Missione impossibile: costruire una
chiesa in Turchia
Sandro Magister, su l'espresso del 28
dicembre 2004
Il primo ministro Erdogan
promette più libertà religiosa ma i fatti lo smentiscono: la minoranza
cristiana continua a essere discriminata. I dubbi del Vaticano e
l’indifferenza dell’Europa
ROMA – La Santa Sede si
è astenuta da ogni commento ufficiale al via libera dato il 17 dicembre
dall’Unione Europea ai negoziati per l’ingresso della Turchia.
Le sue obiezioni il cardinale segretario di stato, Angelo Sodano, le
aveva esposte nel 2002, in luglio e settembre, in due memorandum inviati
ai capi di governo dei quindici paesi allora membri della UE.
In entrambe le note, la Santa Sede poneva una condizione vincolante
all’ingresso della Turchia in Europa: il rispetto della libertà
religiosa e dei diritti umani. E faceva notare che nei fatti la Turchia
era molto lontana dall’ottemperare a tale condizione.
Nel dicembre 2002 il ministro degli esteri turco assicurò il Vaticano
che un cammino sarebbe stato compiuto dal suo paese in quella direzione.
Il 21 giugno 2004 il primo ministro Tayyip Erdogan ripeté tale
assicurazione ricevendo per la prima volta, ad Ankara, i vescovi
cattolici di Turchia.
Il 30 settembre scorso il cardinale Sodano ha quindi definito né
favorevole né contraria ma “neutrale” la posizione della Santa Sede
sull’ingresso della Turchia nella UE. In più occasioni – l’ultima
il 19 dicembre – il ministro degli esteri vaticano, l’arcivescovo
Giovanni Lajolo, è tornato a ribadire che “il rispetto dei diritti
umani e, primo fra tutti, della libertà religiosa” in Turchia resta
per la Santa Sede la condizione prioritaria. E ha chiesto che nel futuro
negoziato “gli interessi economici e strategici non spingano al
ribasso la valutazione” di tale priorità.
* * *
In effetti, su quest’ultimo punto, un episodio recente ha creato un
certo allarme in Vaticano.
Il 15 dicembre il parlamento europeo, nel votare a larga maggioranza
l’avvio dei negoziati all’ammissione della Turchia nella UE, ha
bocciato un emendamento che sollecitava Ankara a conferire al più
presto personalità giuridica alle Chiese cristiane e a sopprimere la
direzione degli affari religiosi, l’organo di stato che controlla il
culto e impedisce la costruzione di nuove chiese.
Commentando tale episodio, “Avvenire”, il quotidiano della
conferenza episcopale italiana, ha lamentato il “il manifestarsi nella
maggioranza degli eurodeputati di un qualche pregiudizio
anticristiano”. E ha ammonito:
“Non si potrà condurre un’efficace trattativa con la Turchia se si
abdica a singhiozzo, secondo le proprie idiosincrasie, all’identità
europea”.
* * *
In Turchia – terra natale dell’apostolo Paolo e dell’evangelista
Luca – la popolazione sfiora i 70 milioni ed è oggi nella quasi
totalità musulmana. Della residua minoranza fanno parte circa 60.000
armeni ortodossi, 25.000 ebrei e meno di 3.000 greco ortodossi
appartenenti al patriarcato di Costantinopoli. Sono questi tre i soli
gruppi religiosi ai quali il governo riconosce uno speciale statuto di
minoranza, interpretando in tal senso il trattato di Losanna del 1923:
uno statuto che peraltro non estende il riconoscimento legale alle
gerarchie religiose; al patriarca di Costantinopoli, in particolare, il
governo non riconosce il carattere di patriarca “ecumenico” per
l’intera ortodossia.
Mancano statistiche precise, ma si stima che i cristiani in Turchia
difficilmente superino i 100.000. I cattolici sarebbero circa 25.000,
con sei vescovi; gli ortodossi di rito siriaco 10.000; i protestanti di
varie denominazioni 3.000.
Tutti gli esponenti di queste minoranze – in testa il patriarca di
Constantinopoli e i vescovi cattolici – sono fortemente favorevoli
all’ingresso della Turchia in Europa, che comporterebbe un deciso
miglioramento delle loro condizioni di vita. Oltre a mancare di un
riconoscimento giuridico, infatti, tali minoranze sono impedite di
costruire e persino di restaurare i luoghi di culto, di possedere
edifici e terreni, di aprire scuole. Ai cristiani sono vietate talune
cariche e professioni, in particolare le militari. A uno stretto
controllo non sfuggono nemmeno le comunità musulmane: tutte le moschee
sono di proprietà dello stato.
* * *
La minuscola comunità greco ortodossa è una delle più colpite da
discriminazioni.
Il 21 novembre, festa della Presentazione della Madonna, il patriarca di
Costantinopoli, Bartolomeos I, ha denunciato pubblicamente uno dei tanti
soprusi di cui è vittima la sua comunità.
“Com'è a tutti noto – ha detto – la chiesa della Presentazione
della Madonna è stata anch’essa colpita dal barbaro attentato al
consolato britannico di Istanbul di un anno fa, subendo notevoli danni,
che la rendono inagibile. Ma oggi noi ci troviamo a essere vittime non
solo dei terroristi ma anche delle autorità di questo paese, per
l'ingiustificabile protrarsi dei tempi per la concessione della licenza
necessaria alla ricostruzione della nostra chiesa. Non abbiamo richiesto
né risarcimenti né trattamenti di favore. Abbiamo solo domandato, e lo
esigiamo in piena legalità come cittadini pacifici di questo paese, un
paese che vuole essere accolto nella UE, quello che è un diritto per
ogni suo cittadino”.
Pochi giorni dopo, in visita a Roma, Bartolomeos I ha informato di ciò
anche papa Giovanni Paolo II. Ma tornato in patria non solo non ha
ottenuto quanto richiesto, ma ha assistito ad altre prepotenze.
All'inizio di dicembre, senza alcuna spiegazione plausibile, le autorità
turche hanno vietato al vescovo greco ortodosso di Miron di celebrare la
messa, come tutti gli anni il 6 dicembre, nei ruderi della venerata
chiesa di San Nicola Miron, in Asia Minore.
Inoltre, negli stessi giorni, la corte suprema turca ha negato al
patriarcato i diritti di proprietà su un orfanotrofio delle Isole dei
Principi, dopo aver già posto il veto, due mesi prima, alla
restituzione allo stesso patriarcato del seminario teologico di Halki,
confiscato e chiuso più di trent’anni fa: restituzione inutilmente
promessa, la scorsa primavera, dal primo ministro Erdogan.
* * *
Analoghi soprusi colpiscono le comunità protestanti. Una vicenda
esemplare è stata riferita da Hugh Pope nel servizio di apertura di
“The Wall Street Journal Europe” del 26-28 novembre 2004. E ha per
oggetto un’antica chiesa cristiana in rovina ad Antalya, città
turistica sul mare, dirimpetto a Cipro.
Nel 1996 il rev. James Bultema, americano del Michigan e pastore della
Chiesa presbiteriana, in Turchia dal 1990, la vede e progetta di
acquistarla e restaurarla per i suoi fedeli: un’ottantina di immigrati
da diverse nazioni, dalla Russia all’Africa, da lui riuniti fin lì
nel locale di un hotel.
La chiesa, all’epoca già in abbandono, era stata nazionalizzata nel
1949, e poco dopo ceduta a una famiglia musulmana che ne aveva fatto un
deposito di cotone, sesamo e pistacchio.
La famiglia è d’accordo a vendere. Ma quando il rev. Bultema ne parla
col sindaco di Antalya, questi gli risponde con una risata: “Una
chiesa acquistata da lei? Impensabile”.
Il pastore non si arrende. Crea una piccola società turistica e a nome
di questa comincia a comperare una casa a fianco della vecchia chiesa,
con sala di preghiera e caffé, che chiama St. Paul Center.
Nel 2001 tutto è pronto per l’acquisto della chiesa. Ma all’ultimo
minuto salta fuori un veto del ministero del commercio: una società
turistica non può comperare un edificio di culto.
L’anno dopo va al potere Erdogan e qualcosa torna a muoversi.
L’ambasciatore olandese ad Ankara conosce la vicenda di Antalya, ne
parla con il suo governo, e quando nel 2003 il primo ministro olandese
Jan Peter Balkenende visita la Turchia, strappa a Erdogan la promessa di
sistemare la cosa.
Più esattamente, Erdogan promette di far costruire contemporaneamente, vicino ad Antalya,
una chiesa, una sinagoga e una moschea. Il primo
ministro turco sa che nella seconda metà del 2004, quando si voterà
sull’ingresso del suo paese in Europa, la presidenza dell’UE spetterà
all’Olanda. Nella legge che in Turchia regola le costruzioni fa
sostituire la parola “moschea” con “luogo di culto”,
teoricamente mettendo alla pari tutte le religioni.
Oggi delle tre costruzioni si innalzano gli scheletri di cemento. I
lavori sono fermi in attesa di nuovi finanziamenti.
Ad Antalya sono sorte altre due comunità cristiane. La prima,
cattolica, di lingua tedesca, è guidata da padre Rainer Korten e si
riunisce in una casa presa in affitto. La seconda, composta da turchi
convertiti, è ospitata al St. Paul Center.
Il rev. Bultema ha intanto creato una nuova società, non più
turistica, la St. Paul’s Church Association. L’ha fatta registrare e
a suo nome si appresta finalmente ad acquistare la chiesa.
Finalmente? No. Lo scorso settembre gli dicono che un’associazione
turca – come lo è la St. Paul’s Church Association – non può
accettare donazioni dall’estero: cioè i soldi fin lì raccolti dal
rev. Bultema, quasi tutti negli Stati Uniti, per effettuare
l’acquisto.
Gli oppositori gioiscono. Nizamettin Sagir, capo ad Antalya del Partito
d’Azione Nazionale, è uno di loro. Hugh Pope riporta queste sue
parole:
“Prendetemi pure per un teorico del complotto, ma sono convinto che
l’America è governata da una setta cristiana che getta un occhio
famelico sul nostro paese. È come una nuova crociata”.
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