L’offensiva
laicista avanza contro una Chiesa divisa fra intransigenti e dialoganti.
Il cardinale Rouco Varela e il vescovo Sebastián propongono una linea
mediana. In Vaticano trepidano
ROMA – Da lunedì 22 novembre la conferenza episcopale
spagnola è riunita in assemblea plenaria. E dal Vaticano seguono i suoi
lavori con molta apprensione.
La ragione è che la Spagna è considerata un test di prim’ordine
dell’offensiva laicista contro il cattolicesimo e in particolare
contro l’istituto famigliare che per la Chiesa è colonna di civiltà.
Giovanni Paolo II ha lanciato un suo ennesimo allarme in proposito
sabato 20 novembre, parlando al pontificio consiglio per la famiglia:
“La famiglia, come società fondata sul matrimonio, è
un’istituzione naturale insostituibile ed elemento fondamentale del
bene comune di ogni società. [...] Chi distrugge questo tessuto
fondamentale dell’umana convivenza, non rispettandone l’identità e
stravolgendone i compiti, causa una ferita profonda alla società e
provoca danni spesso irreparabili”.
Il papa non ha fatto riferimenti diretti, ma è indubbio che aveva in
mente anche la Spagna. Lì, il governo capeggiato dal socialista José
Luis Rodríguez Zapatero ha in corso iniziative serrate per rendere più
facile e veloce il divorzio ed equiparare al matrimonio le unioni tra
gay e lesbiche, compresa la facoltà di adottare figli. Su questi due
punti “non ci sarà nessuna retromarcia”, ha replicato alle proteste
della Chiesa il deputato Ramon Jauregui, che cura nel partito socialista
le questioni relative al mondo cattolico.
Ma questo è solo l’inizio. La paura della Chiesa spagnola è che la
“revolución” laicista lanciata da Zapatero si estenda rapidamente
ad altri campi: insegnamento della religione cattolica nelle scuole,
finanziamenti alla Chiesa, embrioni, aborto, eutanasia.
Per mettere preventivamente in allarme i fedeli contro una
legalizzazione dell’eutanasia, la conferenza episcopale spagnola ha
fatto diffondere domenica 7 novembre sette milioni di volantini: prima
puntata di una campagna a difesa della vita, della libertà
d’educazione e della famiglia.
Per contrastare la legalizzazione del matrimonio tra omosessuali, il
Forum spagnolo per la famiglia ha lanciato una legge d’iniziativa
popolare che ha già raccolto mezzo milione di firme e conta di arrivare
a due milioni.
Altre associazioni hanno indetto giornate di mobilitazione e cortei.
Abbastanza attiva a sostegno di questa reazione cattolica alla “road
map” laicista di Zapatero è la radio “COPE”, della conferenza
episcopale e di altri enti religiosi. È la terza nel paese in ordine
d’ascolto. Ma a parte questa radio, la Chiesa spagnola dispone di
mezzi di comunicazione molto modesti. Il canale televisivo cattolico
“Popular Televisión” ha una audience ristrettissima. C’è un
settimanale, “Alfa y Omega”, e da poche settimane ne esce un altro,
“Alba”, che è molto combattivo, di taglio simile in Italia a “Il
Timone”: entrambi però con tirature limitate. Di quotidiani cattolici
non ve ne sono.
In realtà la Chiesa spagnola appare incerta e divisa nel decidere come
reagire. Vi sono vescovi, come quello di Girona, Carles Soler Perdigó,
che giudicano sbagliata la campagna informativa indetta dalla conferenza
episcopale e hanno rifiutato di “fare da messaggero” degli opuscoli
contro l’eutanasia. Vi sono numerosi preti e teologi che criticano la
linea “intransigente” tornata in auge, a loro dire, nella Chiesa.
Punto di riferimento ideale di queste voci critiche è la stagione in
cui nella Chiesa spagnola dominava la linea “dialogante” del
cardinale Vicente Enrique y Tarancon: tesa a superare le divisioni
ereditate dal franchismo e a riconciliare i cattolici con l’intera
società spagnola in rapida evoluzione.
Con i governi del socialista Felipe Gonzales la linea del dialogo
avrebbe dato buona prova di sé.
Ma, a giudizio dei critici, l’episcopato spagnolo avrebbe poi
dilapidato l’eredità di Tarancon dando esagerato appoggio al governo
conservatore di José María Aznar in cambio di vantaggi e privilegi.
Così inimicandosi la parte più laica e modernizzante della società e
preparando il terreno all’offensiva di Zapatero.
Nel discorso con cui ha aperto l’assemblea plenaria della conferenza
episcopale, lunedì 22 novembre, il suo presidente cardinale Antonio María
Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, ha proposto una linea mediana, di
dialogo nella fermezza.
Col governo Zapatero il cardinale Rouco Varela s’è detto disponibile
a dialogare. Ma ha precisato che “il dialogo vero è possibile perché
esiste una verità accessibile, in principio, a tutti. Il dialogo
autentico si basa sulla verità dell’uomo e non è compatibile con
imposizioni di alcun tipo”.
Passando in rassegna i punti controversi e facendo riferimento ad
aborto, eutanasia ed embrioni “usati come cavie”, Rouco Varela ha
ribadito che la tutela giuridica della vita umana è un “valore non
negoziabile”.
A proposito del matrimonio gay, ha detto che “snaturare la figura
giuridica del matrimonio nella sua sostanza, com’è la sua
costituzione da parte di un uomo e di una donna, significa imporre alla
società nel suo insieme una visione irrazionale delle cose”.
Il grande pericolo di riforme legislative che tocchino questi caposaldi
– ha osservato il cardinale – è che esse “hanno un dinamismo e
una forza pedagogica capace di imporre alla società la filosofia che le
sostiene, in questo caso decisamente errata”.
E questa filosofia – ha detto un altro vescovo di peso, Fernando
Sebastián, di Pamplona – è il “nichilismo”.
Sebastián, che è vicepresidente della conferenza episcopale spagnola,
ha rilasciato un’importante intervista alla vigilia dell’assemblea
plenaria. Anch’egli a favore d’una linea mediana, di un dialogo mite
ma fermo.
Nell’intervista, riportata più sotto, c’è la denuncia della
pericolosità della sfida laicista, specie quando pretende – come ha
detto Zapatero – che “la verità è ciò che decide la
maggioranza”.
Ma c’è anche il riconoscimento della “mediocrità spirituale” e
della “debolezza missionaria” di tanta parte della cattolicità
spagnola.
C’è la speranza che la frustata laicista diventi per la Chiesa
occasione non di scontro, ma di una “testimonianza di fede più viva e
coerente”.
Sebastián, 74 anni, ha dato questa intervista al quotidiano di una
conferenza episcopale sorella, quella italiana, anch’essa incalzata
dalla pressione laicista.
Prima d’essere fatto vescovo è stato professore di teologia e rettore
dell’università di Salamanca. Il cardinale Tarancon lo definì “la
migliore testa pensante del clero spagnolo”.
L’intervista, raccolta da Luigi Geninazzi, è uscita su “Avvenire”
di domenica 21 novembre:
“Questo non è riformismo, è nichilismo”
Intervista con Fernando Sebastián,
vescovo di Pamplona
D. – Monsignor Sebastián, ha l'impressione che la Chiesa in Spagna
sia sotto attacco?
R. – “Non si tratta di un attacco diretto a eliminare la Chiesa
cattolica in quanto tale. A mio avviso siamo di fronte a un attacco
indiretto che mira a instaurare il laicismo nella società. È qualcosa
che non ha nulla a che vedere con la giusta rivendicazione della laicità
dello stato, su cui si fonda la libertà delle diverse espressioni
culturali e religiose. Si vuole invece imporre una concezione di vita
assolutamente immanentista a ogni livello sociale, emarginando la fede
religiosa. La Chiesa potrà continuare ad esistere, al pari dei gruppi
che praticano la magia o credono nei marziani, ma non potrà avere un
ruolo nel dinamismo della società”.
D. – Il governo afferma che i progetti di legge contestati dalla
Chiesa godono del sostegno della maggioranza dell'opinione pubblica.
R. – “In primo luogo vorrei ricordare che questo governo non ha la
maggioranza assoluta. In secondo luogo c'è un'altissima percentuale di
spagnoli, oltre il 70 per cento, che sceglie l'ora di religione per i
propri figli, e quasi un 30 per cento di fedeli praticanti. In molte
persone i sentimenti religiosi convivono con giudizi di segno opposto.
Io comunque non ho dubbi sul fatto che la maggioranza degli spagnoli sia
contro il matrimonio omosessuale, e sarebbero ancora di più se la
televisione non favorisse in modo scandaloso l'opinione opposta. In ogni
caso la verità non dipende dalla maggioranza”.
D. – Cosa intende dire?
R. – “La democrazia è un metodo per organizzare la vita collettiva,
non può essere considerata la fonte del bene e della verità. Il valore
dell'uomo non dipende dalle istituzioni che si è dato. Oppure riteniamo
che il principio di maggioranza valga anche per stabilire i valori
morali dell'esistenza? È un dibattito che vede la Chiesa in prima
linea”.
D. – Il cattolicesimo spagnolo è in grado di affrontare questa
battaglia culturale?
R. – “Penso di sì, anche se sono il primo a riconoscere che c'è
una debolezza missionaria della nostra Chiesa. Dobbiamo guardarci dentro
e ammettere la nostra mediocrità spirituale. Molti cattolici hanno
ceduto al materialismo pratico. Quando però il potere si mette contro
la sensibilità religiosa restano sopresi e inquieti. E in molti casi
reagiscono. Io spero che sia l'occasione non per andare allo scontro, ma
per dare una testimonianza di fede più viva e coerente”.
D. – Come giudica la fretta con cui il governo socialista sta portando
avanti le cosiddette riforme laiche?
R. – “C'è l'affanno di liberarsi da quel che ritengono un peso
eccessivo, vale a dire dall'influsso che la religione esercita ancora
sulla società. Ma negare quel che si ha non crea per ciò stesso
qualcosa di nuovo e di migliore. Si nega soltanto per affermare una
libertà vuota e assoluta. Questo non è riformismo, è nichilismo”.
D. – Molti gruppi e associazioni del mondo cattolico si stanno
mobilitando contro i provvedimenti governativi. Qual è il suo giudizio?
R. – “Sono iniziative che essi prendono sotto la loro responsabilità
personale. La nostra responsabilità di vescovi è quella di richiamare
i fedeli a essere bravi cristiani, capaci di utilizzare gli strumenti
della democrazia nel modo più efficace possibile. Ritengo molto
positivo che i cattolici si diano da fare. Poi, sulle scelte concrete,
si potrà ovviamente discutere”.
D. – C'è un dialogo tra governo e conferenza episcopale sulle
cosiddette riforme laiche?
R. – “Noi l'abbiamo sollecitato più volte ma finora non abbiamo
avuto risposta. Diciamo che vi sono stati alcuni contatti a livello
personale e informale, ma un confronto di tipo istituzionale non si è
avviato. Eppure credo che varrebbe la pena trovarsi attorno ad un tavolo
per discutere insieme delle intenzioni del governo e delle
preoccupazioni dell'episcopato.
D. – C'è la possibilità che si arrivi a uno scontro?
R. – “Noi non lo vogliamo nel modo più assoluto. Siamo desiderosi
di collaborare per il bene della società e rispettosi delle iniziative
che il governo intende assumere a tale scopo. L'abbiamo testimoniato
negli anni passati, anche quando al potere c'era un governo socialista
con cui abbiamo avuto rapporti sostanzialmente corretti, in uno spirito
di collaborazione”.
D. – La conferenza episcopale spagnola ha lanciato una serie di
campagne informative sui temi più caldi del momento. La prima riguarda
l'eutanasia che però non compare nel programma del governo socialista.
Come mai?
R. – “Ho rivolto anch'io questa domanda all'interno della conferenza
episcopale. È stato spiegato che la difesa della vita è il punto di
partenza per qualsiasi altra rivendicazione. Lei dice che l'eutanasia
non rientra nei programmi di questo governo. Mi piacerebbe che fosse così.
Purtroppo ci sono indizi di segno opposto. Non siamo ancora alle
proposte di legge ma temo che si stia preparando il terreno con varie
iniziative di tipo culturale”.
D. – Un esponente socialista ha proposto di cambiare l'attuale sistema
di finanziamento alla Chiesa cattolica. Pensa che il governo sia
intenzionato a rimettere in discussione gli accordi sottoscritti tra lo
stato spagnolo e la Santa Sede?
R. – “Il primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero ha detto di
no. Per quanto riguarda il sistema di finanziamento non è stato
realizzato completamente quel che venne stabilito. E al contrario di
quanto solitamente si dice in giro, non per colpa nostra. Comunque siamo
pronti a ridiscuterlo, non è il problema più importante per la
Chiesa”.
D. – Quel che sta succedendo in Spagna potrebbe accadere presto in
altri paesi europei di tradizione cattolica?
R. – “Forse sì, ma in maniera diversa. Credo ad esempio che in
Italia il confronto tra laici e credenti stia avvenendo in modo più
saggio e tranquillo”.
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[Fonte: avvenire.it]