Intervista con Youssef Sidhom, direttore di “Watani”


Quella che segue è un’intervista uscita sull’ultimo numero di “Il Regno”, quindicinale dei religiosi dehoniani di Bologna. L’intervistato è un cristiano copto-ortodosso, direttore di un settimanale del Cairo. Il ritratto che dà della condizione dei cristiani in Egitto – abitualmente classificato tra i paesi arabi “moderati” – conferma in pieno quanto scritto più in generale da “La Civiltà Cattolica”:


IL CAIRO – Youssef Sidhom è direttore del settimanale “Watani”, la mia patria. Fondato nel 1958 da suo padre, Antoun Sidhom, s’è sempre prefisso di pubblicare notizie e commenti sulla Chiesa e sul cristianesimo, temi completamente trascurati in tutti gli altri giornali egiziani. Molti pensano che sia un giornale della Chiesa copto-ortodossa, ma non è così. È indipendente e non ha relazioni particolari con tale Chiesa, né tanto meno riceve da essa sussidi. [...]

Quali sono i principali problemi dei cristiani in Egitto?

"Il problema che più ci colpisce è la difficoltà estrema ad avere il permesso di costruire una chiesa. La legislazione attuale offre tutte le facilitazioni per la costruzione di moschee, mentre frappone ostacoli quasi invalicabili per la costruzione di chiese. Nel 1934 il sottosegretario al Ministero degli interni, Muhammad al-‘Azabi, pose dieci condizioni per dare il permesso di costruire una chiesa e tali condizioni sono tuttora valide. Ne citiamo alcune: una chiesa non deve essere costruita su un terreno agricolo; non deve essere vicina a una moschea né a monumenti; se viene costruita in una zona abitata anche da musulmani, occorre avere prima il loro permesso; ci deve essere in quella zona un numero sufficiente di cristiani; non devono esserci altre chiese vicine; occorre il permesso della polizia se si è vicino a ponti sul Nilo o a suoi canali o alla ferrovia; è necessaria la firma del presidente della repubblica. Tutte queste condizioni causano difficoltà insormontabili. Infatti, prima che si arrivi ad avere il permesso della polizia, possono passare anche più di dieci anni e nel frattempo sorgono in fretta moschee vicine al terreno dove si voleva costruire la chiesa, per cui si cade in un altro divieto. Inoltre, non è specificato quanti devono essere i cristiani per avere diritto alla chiesa. Se, per esempio, ce ne sono 1.500, il governo può dire che non è un numero sufficiente, quando ne basterebbero cento per riempire una nostra chiesa".

Ma il presidente Mubarak non ha facilitato i rilasci di questi permessi delegandoli ai prefetti delle province?

"Sì, ha consentito che i permessi siano dati dai prefetti delle province e un anno più tardi ha stabilito che possono essere dati anche dall’autorità locale del paese. Ma questa delega riguarda solo i permessi per riparazioni e ristrutturazioni delle chiese. Il permesso di costruire una chiesa nuova è ancora prerogativa del solo presidente della repubblica. [...] Questa discriminazione nella costruzione delle chiese porta i cristiani all’amara convinzione che lo stato li considera cittadini di seconda categoria. Per lo stato un cristiano è un kafir, un infedele, non conosce la vera religione né ha la vera fede, quindi non vale la pena che sia ascoltato. In Egitto viviamo un’umiliante discriminazione su base religiosa". [...]

La discriminazione riguarda solo la costruzione di chiese o anche altri aspetti della vita sociale dei cristiani in Egitto?

"Riguarda tutta la nostra vita. C’è discriminazione nelle cariche dello stato. Per costituzione il presidente deve essere musulmano. La religione islamica è il fondamento della legislazione egiziana. Oggi nessun cristiano può essere primo ministro, benché ce ne siano stati in passato. Dei trentadue ministri solo due sono cristiani, il ministro dell’economia e il ministro dell’ambiente. Nessun sindaco di città né di villaggio può essere cristiano. Le alte cariche dell’esercito, della polizia, della guardia presidenziale sono coperte solo da musulmani. Il corpo diplomatico conta centinaia di persone, ma i cristiani sono solo due o tre. Nessun cristiano può avere un’alta carica nei tribunali. Secondo la legge occorrono due testimoni per motivare una sentenza, ma se uno dei due è cristiano, il giudice può rifiutare la sua testimonianza perché viene da un infedele. I rettori di università devono essere musulmani. [...] In qualsiasi ufficio un musulmano arrivato da poco sopravanza nella carriera un cristiano che si trova in quel posto da anni. Nelle elezioni del 2000 il partito al-Watani che domina la politica del paese ha messo in lista solo 3 cristiani su 888 candidati. Un cristiano non può insegnare arabo perché questa materia è collegata all’insegnamento della religione islamica. La discriminazione è in atto anche sulla nostra carta d’identità, dove è segnata la religione del padre".

E in caso di divorzio?

"La legge prevede che i bambini restino con la mamma. Ma se il papà vuole divorziare perché è diventato musulmano, cosa che succede spesso, il giudice stabilisce che i bambini restino con la parte che ha la vera fede, cioè con il papà. Quindi, i figli nati cristiani crescono in una famiglia completamente musulmana".

È consentito cambiare religione?

"Uno che si fa musulmano è accolto con grandi feste. Gli si cambia molto in fretta la carta d’identità, è facilitato nel lavoro, nella casa, eccetera. Ma se un musulmano vuol farsi cristiano non solo cercheranno con tutti i mezzi di dissuaderlo, ma la sua stessa vita sarà in pericolo. Credo che ogni giorno ci siano egiziani che cambiano religione, ma è impossibile sapere quanti siano. Al-Azhar pubblicherebbe volentieri le sue statistiche, che sarebbero un segno di vittoria e di gloria, ma la Chiesa non potrà mai fare una scelta di questo tipo, perché comporterebbe moltissime tragedie. Tuttavia, c’è una sentenza di tribunale che stabilisce che se un egiziano nasce non musulmano e poi diventa musulmano e poi ancora vuole ritornare alla sua fede originaria, lo può fare. La consideriamo una grande vittoria per i cristiani. Ma uno che è musulmano di nascita non potrà mai cambiare religione, pena l’esclusione dall’eredità e dalla società di appartenenza, con pericolo per la sua stessa incolumità".

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[Ampio stralcio dell'Intervista a cura di Camillo Ballin e Francesco Strazzari pubblicata da "Il Regno"/sett.2003]

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