L’India del Mahatma Gandhi, della tolleranza, della
democrazia è scivolata nella vergogna. “Una vergogna per la nostra Patria”: così
il premier Manmohan Singh e il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai,
hanno definito il pogrom contro i cristiani scatenatosi dal 23 agosto in poi
nello stato dell’Orissa. Il bilancio è gravissimo e destinato a crescere: decine
di morti (alcune fonti dicono 100); almeno 52 chiese (fra cattoliche e
protestanti) distrutte; centinaia di case danneggiate; quattro conventi, cinque
fra ostelli e alloggi per giovani, sei istituti cattolici dediti al volontariato
e al sociale devastati, centinaia di auto e altri oggetti personali incendiati.
Ancora oggi migliaia di cristiani, fuggiti al massacro vivono nelle foreste
vicine, nel terrore, senza abiti, né cibo.
L’Orissa, uno stato del nord-est indiano, non è nuovo a queste ondate di
persecuzione. Lo scorso dicembre, alla vigilia di Natale, l’organizzazione
fondamentalista indù (Vishwa Hindu Parishad, Vhp) ha ucciso 3 persone, attaccato
e distrutto 13 chiese e cappelle, ferendo e lasciando senza tetto un gran numero
di cristiani sempre nel distretto di Kadhamal. A spingere le folle indù contro i
cristiani vi era Swami Laxmanananda Saraswati, uno dei capi del Vhp.
Quest’ultimo sussulto di persecuzione è avvenuto
proprio dopo la morte dello Swami ad opera di un gruppo terrorista maoista la
sera del 23 agosto. Sebbene anche alla polizia fossero chiari gli autori
dell’assassinio dello Swami, alcuni capi del Vhp hanno subito dato la colpa ai
cristiani e durante le cerimonie funebri del guru migliaia di radicali indù
hanno dato inizio al pogrom col grido “uccidete i cristiani! Distruggete le loro
istituzioni!”.
L’accanirsi contro persone e strutture serve ad
eliminare la missione dei cristiani. Tribali - spesso utilizzati come schiavi
per i lavori agricoli – e Dalit, gli emarginati dalle caste, vedono nel
cristianesimo una strada per migliorare la loro situazione, vedere affermati i
loro diritti, trovare finalmente una dignità al loro essere uomini. In un certo
senso, la persecuzione è la misura dell’efficacia della missione cristiana.
Nell’opporsi all’impegno dei cristiani, i
fondamentalisti indù si oppongono anche all’induismo di Gandhi, che voleva per
l’India un Paese laico, aperto a tutte le religioni, l’eliminazione delle caste
e la dignità dei Dalit, da lui definiti “figli di Dio” (harijian).
Il Vhp, nel suo nazionalismo esclusivo, molto
vicino al nazismo, vuole invece eliminare dall’India cristiani, musulmani,
parsi. Insomma: distruggere la storia dell’India, da sempre luogo d’incontro e
di integrazione fra culture e religioni.
Oltre alla “vergogna” dell’India, vi è anche una
“vergogna” per l’Europa e per il mondo. Al di là di qualche sparuta voce – come
quella del ministro italiano Frattini - nessun governo ha osato dire qualcosa
sui massacri dell’Orissa, domandandone la fine. Molte associazioni così pronte a
difendere gruppi, minoranze, specie in estinzione, impegnati pacifisti hanno
preferito tacere e anzi sospettare che dietro le accuse di proselitismo fatte
dai radicali indù ci sia una qualche verità. Come hanno giustamente additato
alcune personalità vaticane, vi è in Europa e nel mondo una specie di
“cristianofobia” che cerca di scrollarsi di dosso, anche con la menzogna,
l’eredità cristiana. Per questo, le notizie di persecuzione dei fedeli in Orissa,
come in Cina o in Medio oriente, non interessano, anzi sono magari giustificate.
Questo rende ancora più importante il nostro
servizio di informazione, la nostre preghiera e la nostra testimonianza, in
India come in Europa. Anche l’invito dei vescovi italiani a una giornata di
preghiera e digiuno per i cristiani dell’India - domani 5 settembre, memoria
della beata Teresa di Calcutta – è parte di questo impegno per la verità e
l’amore.