Gruppi islamici impongono una tassa sui “sudditi" cristiani
Milizie islamiche a Baghdad e Mosul ordinano di riscuotere dai cristiani la
jizya, l’imposta dei tempi dell'Impero ottomano che garantiva il permesso ai
non musulmani di praticare la loro fede e ne assicurava la protezione; tra le
direttive anche quella di “non farsi scoprire” dalle autorità governative
mentre si versa il tributo in moschea.
“I sudditi non musulmani devono pagare il tributo al
jihad se vogliono
avere il permesso di continuare a vivere e professare la loro fede in Iraq”.
Sono le direttive imposte dalle milizie islamiche ai cristiani di Baghdad e
Mosul, che si vedono inoltre costretti a lasciare le loro case perché lettere
minatorie ne assegnano già la proprietà a cittadini musulmani.
L’iniziativa
sembra rientrare nella più generale campagna di islamizzazione del Paese, già
avviata con l’obbligo di indossare il velo per tutte le donne. A darne notizia
il sito in arabo Ankawa.com, che riporta le testimonianze di diversi iracheni
fuggiti ad Erbil, nella regione semi autonoma del Kurdistan.
Il quarto anniversario dell’entrata delle forze americane a Baghdad, 20
marzo 2003, non vede miglioramenti nelle condizioni della sempre più esigua
comunità cristiana. Attentati, rapimenti e minacce continuano a segnare la
quotidianità di chi non è riuscito a fuggire. Ultimo segnale di una situazione
sempre più preoccupante, la notizia dell’obbligo del pagamento della jizya,
l'imposta di “compensazione” chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani
“protetti” tuttavia dalla umma islamica. La tassa è stata riscossa dall’Impero
ottomano fino al suo crollo nel 1918, ma ora dalle moschee di Baghdad e Mosul
è partito l’ordine di introdurla di nuovo, “senza che le autorità ne siano a
conoscenza”.
Come raccontano alcuni cristiani, si tratta di un tributo alla guerra
santa, che - secondo i jihadisti - protegge anche loro da aggressioni esterne.
Il denaro va consegnato alla moschea preposta, “con l’accortezza di non farsi
scoprire dal governo”.
Altri racconti parlano poi di lettere lasciate nei giardini di casa o
all’ingresso delle abitazioni di cristiani in cui si avvertono le famiglie di
abbandonare le loro proprietà perché sono già state assegnate ad altri, di cui
nella missiva si riportano nomi e cognomi.