Daniele Garrone
Docente presso Facoltà Valdese
Teologia, Roma
Presidente Associazione Amicizia Ebraico cristiana di Roma
Prima di esporre brevemente, e un
po’ sommariamente, viso il poco tempo, il mio punto di vista di protestante
italiano sulla "scuola di uguali diritti", vorrei fare una premessa di
carattere generale sul tema della laicità. La dimensione della laicità
dello stato moderno non è solo accettata, ma caparbiamente rivendicata dai
protestanti italiani. La laicità non è solo accettata come presupposto dello
stato moderno, ma è un valore per cui impegnarsi. Credo che si possa dire senza
trionfalismi che i protestanti italiani hanno fatto di quello della laicità uno
dei fronti del loro impegno culturale e sociale fin dal Risorgimento. Per noi -
per fare un solo esempio - la Repubblica Romana di centocinquant’anni fa è
una delle tappe significative del cammino che ha portato all’emergere di una
democrazia laica nel nostro paese.
E’ a partire da questo nostro amore per la laicità dello stato che noi
difendiamo e chiediamo sia valorizzata e promossa la scuola pubblica. Pensiamo
che la scuola pubblica debba essere il laboratorio della laicità che poi dovrà
ispirare la vita politica e civile del nostro paese. Laicità vuol dire in
questo caso che la scuola deve essere esente da ingerenze confessionali come
pure dal suo pendant che è il laicismo ideologico. A partire da questa
convinzione che la scuola debba essere palestra di laicità e di pluralismo,
vanno comprese la nostra battaglia - invero assai poco fruttuosa e spesso non
capita, anche in ambienti cosiddetti "laici" - contro la celebrazione
di atti di culto in orario scolastico, contro il cosiddetto insegnamento
religioso diffuso e la nostra posizione contraria all’insegnamento religioso
confessionale. La cura della trasmissione dell’identità è a nostro avviso un
compito che spetta alle famiglie e alle comunità.
Nella società multiculturale e multietnica la scuola può e deve essere una
palestra di formazione all’incontro e al dialogo e alla convivenza di identità
diverse senza che alcuna di queste identità sia discriminata ma neppure
privilegiata. In Italia ci sono cattolici, ebrei, protestanti ed evangelici,
ortodossi, musulmani, buddisti, Testimoni di Geova ... (e certamente questo
elenco di confessioni e religioni non è esaustivo!); non credenti; persone di
varie culture e di etnie diverse, giunte insieme da percorsi geografici e
storici diversi. Siamo e diventiamo sempre più una società plurale. La scuola
mi sembra essere il primo laboratorio, e forse il laboratorio per eccellenza,
dove il fatto del pluralismo della nostra società viene non solo assunto, ma
valorizzato per una formazione all’accoglienza delle differenze, al dialogo
tra culture diverse.
Nulla di più distante dalle nostre posizioni dalla richiesta, avanzata anni
addietro, da parte di gruppi cattolici, di avere corsi connotati
confessionalmente o ideologicamente nella scuola pubblica. Ci aspettiamo che
nella scuola pubblica i nostri figli incontrino ebrei, cattolici musulmani ecc.
e che questa varietà sia valorizzata e non temuta, tematizzata e non rimossa.
Vogliamo la loro identità si costruisca nel confronto e non in una situazione
"protetta".
La valorizzazione delle differenze derivanti dalla presenza di varie identità
nella "scuola di tutti" è un aspetto importante della formazione e
della cultura. Menzionerei qui due aspetti. Non c’è solo il diritto delle
minoranze - un tempo perseguitate, discriminate o semplicemente ignorate
(pensiamo ai destini paralleli di Ebrei e Valdesi nella storia d’Italia) - ad
essere prese sul serio per la loro realtà ed interloquite nel loro apporto
culturale, ma c’è anche un altro aspetto che io oggi sottolineerei
maggiormente: c’è il diritto per la cosiddetta maggioranza a non essere
privata dell’apporto culturale che le culture "di minoranza" hanno
dato allo sviluppo della cultura occidentale, in particolare nella modernità, e
che possono dare oggi alla costruzione di una società veramente pluralistica. A
noi non interessa - come sarebbe possibile secondo una certa concezione dei
diritti delle minoranze - costituire delle sorte di riserve in cui noi siamo
tutelati e valorizzati in quanto minoranze. Il problema è di inserire quello
che noi rappresentiamo e abbiamo da dire nel circolo della cultura e della
formazione di tutti. Un solo esempio: quando abbiamo ricordato congiuntamente,
ebrei e valdesi, i 150 anni dalla concessione dei diritti civili a valdesi ed
ebrei nel 1848 da parte della stato sabaudo, con una manifestazione pubblica
nazionale, abbiamo chiesto - e il Presidente Violante ha subito aderito alla
proposta, l’ha anzi sostenuta con interesse - che questo avvenisse in
Parlamento, cioè nella sede che più di ogni altra rappresenta la democrazia e
la laicità dello stato pluralista. Programmando i contenuti della
manifestazione non abbiamo centrato i discorsi sulla storia di persecuzione né
abbiamo cercato di fare "lobbying" a favore delle nostre realtà, ma
abbiamo proposto i temi della cittadinanza, del pluralismo, della democrazia,
cioè i nodi che garantiscono a tutti ("maggioranze",
"minoranze" vecchie e nuove) un quadro di libertà e di pluralismo.
Non abbiamo voluto fare delle nostre vicende una sorta di carta di credito per
riscuotere oggi quello che ci è stato negato in passato, ma ne abbiamo ricavato
una particolare sensibilità per questi temi di generale interesse civile.
Questa passione per la laicità può oggi suonare inattuale, e invero non sembra
esserci una grande sensibilità per essa. Anzi, personalmente ritengo che si
debba essere molto preoccupati per lo stato della laicità e per la scarsa
attenzione al pluralismo nel nostro paese. Tra di noi non sono in pochi a
parlare di neoconfessionalismo, per esempio a proposito della richiesta di
finanziamenti alle scuole confessionale, chiamate "scuole libere" con
una espressione che non può non risultare di spregio per la scuola pubblica. Io
credo che un insegnante dovrebbe ribellarsi nel profondo dell’animo sentendo
che si insinua che la scuola "di tutti" in cui egli insegna non è
libera. Pressioni e/o acquiescenze confessionali si registrano a mio avviso
nella discussione sulla procreazione assistita, nella gestione del grande
Giubileo del 2.000, nei piani della sua copertura mediatica da parte della Radio
TV pubblica. Basta assistere ad un talk show televisivo su temi etici o
religiosi, per vedere come non si sia avvezzi a valorizzare l’apporto
dell’islam, dell’ebraismo, del protestantesimo o di un approccio non
credente - per fare solo qualche esempio - quasi che le dimensioni religiosa ed
etica siano esaurite dalla presenza di un interlocutore cattolico.
Comunque si spieghi questa realtà (in politica può giocare una ricerca di
legittimazione da parte della cultura religiosa per secoli maggioritaria;
certamente la cultura italiana non ha conosciuto dal 500 ad oggi le dialettiche
che hanno invece permeato quelle della Germania, dell’Olanda, della Gran
Bretagna, della Francia o degli Stati Uniti o la ha vissute in una forma
determinata dall’egemonia confessionale cattolico-romana), mi sembra chiaro
che il riconoscimento del carattere plurale della nostra società, in gran parte
secolarizzata, e l’assunzione di una prospettiva europea, spingono a cercare
nuove vie di pluralismo e di confronto interculturale e religioso. La scuola può
e deve essere un fondamentale laboratorio per il futuro.
Detto questo, come può articolarsi nella scuola la presenza di culture diverse?
Vorrei citare solo qualche esempio.
-
Vorrei cominciare da un
paradosso. Il nostro paese è apparentemente religiosissimo, tant’è che
in ogni aula di scuola o di tribunale si espone un simbolo confessionale,
cioè il crocifisso, eppure la Bibbia è stata fino al Concilio Vaticano II
un libro praticamente sconosciuto, anzi rimosso nella cultura italiana degli
ultimi secoli. Il Vaticano II ha riportato la Bibbia nelle chiese e nella
vita dei cattolici, ma che ne è della scuola e della cultura? C’è qui
una lacuna da colmare. Non è possibile che una persona colta non conosca la
Bibbia. Mi sembra che questa esigenza sia condivisa. Ho partecipato come
relatore a vari incontri di formazione per insegnanti, organizzati dal
comitato Bibbia cultura e scuola in collaborazione con gli IRSAE
regionali, e vi ho incontrato insegnanti, non solo di materie letterarie,
che pur non essendo personalmente "credenti", sentivano il bisogno
di confrontarsi con il "grande codice" della cultura occidentale.
Questa sensibilità lascia ben sperare.
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Nel nostro paese il
protestantesimo è stato represso e marginalizzato dalla potente offensiva
controriformista. Non che non ci sia stata una simpatia italiana per la
Riforma, ma essa fu repressa. La Controriforma blindò l’Italia impedendo
ogni interlocuzione con un pensiero che invece fu determinante per la
cultura europea (e nordamericana) moderna. La ricaduta culturale di questo
fatto è stata enorme. Il protestantesimo, in tutte le sue forme, è una
componente essenziale della modernità, come lo sono stati l’ebraismo,
l’illuminismo ecc. L’Italia è stata in gran parte esclusa da questa
dialettica di culture. Dobbiamo oggi recuperare. Anche qui la nostra
esigenza non è quella di una attività di lobbying di minoranza, ma
di una recupero della cultura della minoranza protestante in Italia come una
delle dimensioni essenziali del dibattito moderno.
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Come farlo? A nostro avviso
questo deve avvenire innanzitutto nel quadro delle normali materie di
insegnamento, ad es. la storia, la filosofia, la letteratura. E qui non si
tratta solo di parlare correttamente di valdesi ed ebrei, ad. esempio, perché
sono stati per secoli le minoranze perseguitate del nostro paese. Si tratta
di mostrare l’apporto che le grandi culture di cui questi gruppi sono
portatori hanno dato alla storia, alla filosofia e alla letteratura
dell’Europa nella quale diciamo di volerci inserire. La vicenda puritana -
ad esempio - è fondamentale per comprendere la moderna democrazia e
l’idea dello stato moderno come patto tra liberi ed uguali che si
vincolano ad una legge di libertà. Tanti aspetti della patologia
tipicamente italica nel rapporti tra stato e cittadini, tra individuo e
legge sono legati al fatto che l’Italia non ha vissuto questa riflessione
sul rapporto tra legge e libertà. Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
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La dimensione religiosa è una
delle componenti essenziali dell’umano e quindi della cultura. È perciò
necessario che se ne parli a scuola; come farlo in modo non confessionale?
Come offrire una presentazione e un confronto tra la storia e la realtà
delle varie religioni, come lo si fa tra le varie filosofie ecc.? In alcuni
ordini di scuola (ad es. le superiori) ciò potrebbe assumere la forma di
una corso di storia delle religioni. In ogni caso, in ogni ordine di scuola,
e nell’ambito delle normali materie, in particolare letterarie, gli
allievi dovrebbero essere messi in grado di conoscere le altre religioni e
le loro culture e questo potrebbe avvenire indipendentemente
dall’orientamento personale dell’insegnante: il presentare correttamente
e valorizzare nel confronto posizioni diverse dalle proprie fra parte della
deontologia di un insegnante. Inoltre ci potrebbero essere
"testimonianze", magari a partire dal vissuto delle varie
religioni e culture nella classe. L’offerta di pacchetti didattici quella
predisposta dal comune di Roma (dove però mi sembra che i cattolici si
siano sottratti alla sfida di un approccio plurale) è anche una buona
soluzione. Per fare questo è necessario che tutte le religioni accettino di
mettersi per così dire sulle stesso piano e si sottopongano tutte allo
stesso approccio culturale. Lungi dall’essere una diminutio capitis
delle religioni, quella del confronto paritario e pluralistico non soltanto
l’unica forma di confronto possibile oggi, una sfida da raccogliere non obtorto
collo, ma la grande occasione che finalmente ci è data di poter vivere
senza rinunciare alle proprie convinzioni più profonde e senza pensare che
esse debbano valere anche per gli altri, ma mettendole in dialogo le une con
le altre.
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