Consiglio Pontificio per
il dialogo interreligioso
Riflessioni e orientamenti sul
dialogo interreligioso
e sull’Annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (1)
Introduzione
torna su
1. 25 anni dopo la “Nostra aetate”
La dichiarazione del Concilio
Vaticano Secondo sui rapporti tra la chiesa e altre religioni è
stata promulgata 25 anni dopo la “Nostra
Aetate”. Il documento ha sottolineato l’importanza del
dialogo interreligioso. Allo stesso tempo, esso ha ribadito il fatto
che la chiesa è moralmente vincolata al dovere di annunciare senza
esitazioni Cristo, la via, la verità e la vita, in cui ogni persona
trova il suo compimento (cfr NA 2)
2. Il dialogo e la missione
Per incoraggiare la crescita
del lavoro del dialogo, Papa Paolo VI ha creato nel 1964 il
Segretariato per i Non - Cristiani, che ha assunto recentemente il
nome di Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso. Dopo la
sua Assemblea Plenaria del 1984, il Segretariato ha pubblicato un
documento intitolato. “L’atteggiamento della Chiesa nei
confronti dei seguaci delle altre religioni: riflessioni e
orientamenti sul dialogo e sulla missione”. Questo documento
sancisce la missione evangelizzatrice della chiesa è una “realtà
singola ma complessa e articolata”. Esso indica le componenti
principali di tale missione: presenza e testimonianza; impegno per
lo sviluppo sociale e la liberazione sociale dell’uomo; vita
liturgica, preghiera e contemplazione; dialogo interreligioso;
infine, annuncio e catechesi (2). L’annuncio e il dialogo sono
considerati entrambi, ciascuno nel suo campo specifico, componenti
fondamentali e forme autentiche della stessa missione
evangelizzatrice della chiesa. Essi sono entrambi orientati verso la
comunicazione della verità salvifica.
3. Il dialogo
e l’annuncio
Il presente documento fornisce
un’ulteriore trattazione di queste due componenti. In primo luogo,
esso espone le caratteristiche di ciascuna, per poi esaminare le
loro mature relazioni. Il dialogo viene trattato per primo non
perché abbia la priorità sull’annuncio, ma semplicemente perché
esso è l’interesse principale del Consiglio Pontificio per il
Dialogo Interreligioso che ha iniziato la preparazione del
documento. Il documento in questione è stato discusso per la prima
volta durante l’Assemblea Pubblica del Segretariato nel 1987. Le
osservazioni che sono state fatte allora, insieme ad (ulteriori)
consultazioni successive, hanno portato a questo testo, che è stato
ultimato e adottato dall’Assemblea Plenaria del Consiglio
Pontificio per il Dialogo Interreligioso e della Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli. Entrambi i dicasteri offrono queste riflessioni alla
Chiesa Universale.
4. Argomenti di attualità
Tra le ragioni che hanno reso
il rapporto tra il dialogo e l’annuncio un tema rilevante per lo
studio, possono essere citati i seguenti:
a) Nel mondo di oggi,
caratterizzato dalla velocità delle comunicazioni, dalla
mobilità delle persone e dall’interdipendenza, vi è una nuova
presa di coscienza di un pluralismo religioso. Non si può
affermare che le religioni esistono o sopravvivono: incerti casi,
esse forniscono una chiara dimostrazione di rinascita.
Esse continuano a ispirare e a guidare le vite di milioni dei loro
aderenti. Nell’attuale contesto di pluralità religiosa, il
ruolo importante che viene svolto dalle tradizioni religiose non
può essere ignorato.
b) Il dialogo interreligioso
tra i Cristiani e seguaci di altre tradizioni religiose, come era
stato previsto dal Concilio Vaticano Secondo, viene compreso
soltanto gradualmente. La sua pratica effettiva rimane esistente
in alcuni luoghi. La situazione è diversa da Paese a Paese.
Questa diversità può essere determinata dalla consistenza
numerica della Comunità Cristiana da quali altre tradizioni
religiose siano presenti nel luogo, e da tanti altri fattori
culturali, sociali e politici. Un’analisi più approfondita
della questione può aiutare a stimolare il dialogo.
c) La pratica del dialogo
suscita fraintendimenti in molte persone. Vi sono alcuni che
sembrerebbero pensare, erroneamente, che nella missione della
Chiesa di oggi il dialogo debba semplicemente rimpiazzare l’annuncio.
All’altro estremo si trovano quanti non riescono a riconoscere
il valore del dialogo interreligioso. Alcuni, perplessi, chiedono:
se il dialogo interreligioso è diventato così importante, l’annuncio
del vangelo ha perso la sua urgenza? Lo sforzo di introdurre di
introdurre le persone all’interno della comunità della Chiesa
è divenuto secondario o addirittura superfluo? Vi è pertanto la
necessità di una guida dottrinale e pastorale, cui questo
documento vuole contribuire, senza pretendere di rispondere
completamente alle complesse domande che sorgono in questo
contesto. Mentre questo testo si trovava nelle sue ultime fasi di
preparazione, il Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II, ha donato
alla Chiesa la sua enciclica “Redemptoris Missio”, nella quale
egli affianca queste domande e altre ancora. Il presente documento
espone in un dettaglio particolareggiato l’insegnamento dell’Enciclica
sul dialogo e sulle relazioni con l’annuncio (cfr RM 55-57).
Esso deve essere per tanto letto alla luce di questa Enciclica.
5. Il giorno della preghiera per la Pace ad
Assisi
La Giornata Mondiale di
Preghiera per la pace, tenutasi ad Assisi il 27 ottobre 1986 su
iniziativa di Papa Giovanni Paolo II, fornisce un altro spunto di
riflessione. In quel giorno in quello successivo e in maniera
particolare nel suo discorso rivolto nel mese di dicembre ai
cardinali e alla Curia Romana, il Santo Padre ha spiegato il
significato della celebrazione di Assisi. Egli ha sottolineato la
necessità fondamentale del genere umano tanto nelle sue origini
quanto nel suo destino ultimo e il ruolo della Chiesa come segno
effettivo di questa unità. Egli ha mostrato chiaramente e con
clemenza il significato del dialogo interreligioso, riaffermando
allo stesso tempo il dovere morale della Chiesa di annunciare Gesù
Cristo al mondo (3).
6. L’esortazione di Giovanni Paolo II
L’anno successivo, nel suo
discorso ai membri dell’Assemblea Plenaria del Consiglio
Pontificio per il Dialogo Interreligioso, Papa Giovanni Paolo II ha
dichiarato: “Tanto il dialogo interreligioso quanto l’annuncio
dell’opera salvifica di Dio per mezzo del Nostro Signore Gesù
Cristo è componente della missione della Chiesa ... Non si pone
assolutamente la questione di sceglierne una ignorando o
tralasciando l’altra“ (4). La linea guida data dal Papa ci
esorta a non prestare ulteriore attenzione a questo tema.
7. Ulteriori spunti per affrontare il tema
Questo documento è rivolto a
tutti i Cattolici, in maniera particolare a tutti quelli che hanno
un ruolo di guida all’interno della propria comunità o che sono
impegnati nell’opera della formazione. Esso è offerto altresì alla
considerazione dei Cristiani appartenenti alle altre Chiese o
Comunità Ecclesiastiche che si trovano a riflettere sugli stessi
argomenti che esso abbraccia (5).
Ci si augura che esso riceverà
attenzione anche da parte dei seguaci di altre tradizioni religiose.
Prima di procedere, sarà
utile chiarificare i termini che vengono utilizzati in questo
documento.
8. Evangelizzazione
La missione di
evangelizzazione, o più semplicemente evangelizzazione,
si riferisce alla missione della Chiesa nella sua totalità. Nell’Esortazione
Apostolica “Evangelii Nuntiandi” il termine evangelizzazione
ricopre molteplici significati. Esso significa “portare la Buona
Novella in tutte le aree dell’umanità e, tramite il suo impatto,
trasformare l’umanità stessa dall’interno, rendendola nuova”
(EN 18). Così, per mezzo dell’evangelizzazione, la Chiesa “
mira a convertire, soltanto attraverso il potere divino del
Messaggio che essa proclama, le coscienze sia personali sia
collettive degli uomini, le attività in cui essi sono impegnati, i
loro modi di vita, e i situazione attuali in cui essi vivono “ (EN
18). La Chiesa realizza la sua missione evangelizzatrice mediante
una serie di attività: è per questo motivo che il concetto di
evangelizzazione è molto vasto. Già nell’ “Evangelii Nuntiandi”,
il termine evangelizzazione si presta anche più specificatamente a
designare “l’annuncio chiaro e privo di ambiguità del Signore
Gesù” (EN 22). L’Esortazione sancisce che “questo annuncio - kerygma,
predicazione o catechesi - occupi un ruolo così importante nell’
evangelizzazione da divenire spesso sinonimo di essa, anche se esso
rimane soltanto un aspetto dell’ evangelizzazione” (EN 22). In
questo documento il termine missione evangelizzatrice è
utilizzato per indicare l’evangelizzazione nel senso più vasto
del termine, mentre il suo significato più specifico è espresso
dal termine annuncio.
9. Il dialogo
Il termine dialogo può
essere compreso in differenti modi. In primo luogo, a livello
puramente umano, esso significa “comunicazione reciproca”, che
conduce ad un obiettivo comune o a un livello più profondo, alla
comunione interpersonale. Secondo poi, il dialogo può essere
considerato un atteggiamento di rispetto e amicizia, permea o
dovrebbe permeare tutte quelle attività della Chiesa che
costituiscano la sua missione evangelizzatrice, ciò può essere
appropriatamente definito “lo spirito del dialogo”. In terzo
luogo, nel contesto del pluralismo religioso, dialogo significa “ogni
tipo di relazione interreligiosa positiva e costruttiva con
individui e comunità appartenenti ad altre fedi, che sia mirato
alla muta comprensione e al mutuo arricchimento” (6), nel pieno
rispetto della verità e della libertà. Esso comprende sia la
testimonianza, sia l’esplorazione delle rispettive convinzioni
religiose. È in questo terzo senso che il presente documento
utilizza il termine dialogo come una delle componenti fondamentali
della missione evangelizzatrice della Chiesa.
10. L’annuncio
L’annuncio è la
comunicazione del messaggio del Vangelo, del Mistero della salvezza
realizzato da Dio per tutti in Gesù Cristo per mezzo dello
Spirito Santo. Esso è un invito ad abbracciare la fede in Gesù
Cristo e ad entrare tramite battesimo, nella comunità di credenti
che è la chiesa. L’annuncio può essere (cfr Av. 2,5-41), o una
semplice conversazione privata (cfr Av. 8,30-38). Esso confluisce
naturalmente nella catechesi che mira a rendere più profonda la
fede. L’annuncio è il fondamento, il centro e il vertice dell’evangelizzazione
(cfr EN 27).
11. La conversione
Nell’idea della conversione è racchiuso
generalmente il concetto di un movimento verso Dio, “il ritorno
umile e penitente del cuore a Dio nel desiderio di sottomettere più
generosamente a Lui la propria vita” (7). Più specificatamente,
la conversione può far riferimento a un cambiamento di appartenenza
religiosa, in maniera particolare all’adesione alla fede
cristiana. Quando il termine “conversione” verrà utilizzato in
questo documento, il contesto mostrerà in quale senso debba essere
inteso.
12. Religioni e tradizioni religiose
I termini religioni o tradizioni
religiose sono utilizzati qui in senso generico e analogico.
Essi comprendono quelle religioni che, insieme a quella cristiana,
fanno risalire la loro fede a quella di Abramo (8), come anche le
tradizioni religiose dell’Asia, dell’Africa e di ogni altro
luogo.
13. Nuovi movimenti religiosi
Il dialogo interreligioso deve
estendersi a tutte le religioni e ai loro seguaci. Questo documento,
tuttavia, non tratterà il dialogo con i seguaci “Nuovi Movimenti
Religiosi”, a causa della grande diversità di situazioni che
questi movimenti presentano e la necessità di un ulteriore
discernimento dei valori umani e religiosi che essi contengono (9).
1. IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
torna
su
1. UN APPROCCIO CRISTIANO ALLE TRADIZIONI
RELIGIOSE
14. Valutazione positiva delle tradizioni
religiose
Un giudizio equo delle altre tradizioni
religiose presuppone normalmente uno stretto contatto con esse, il
che comporta - al di là della conoscenza teorica - un’esperienza
pratica di dialogo interreligioso con i seguaci di tali tradizioni,
tuttavia, è anche vero che una valutazione teologica corretta di
queste tradizioni, per lo meno in termini generali, è un
presupposto necessario per il dialogo interreligioso. Queste
tradizioni devono essere avvicinate con una grande sensibilità,
tenendo sempre conto dei valori sperimentali e umani che sono
racchiuse in esse. Esse esigono il nostro rispetto poiché, nel
corso dei secoli, hanno reso testimonianza dei (loro) grandi sforzi
di trovare risposte ai profondi misteri della condizione umana” (NA
1), e hanno dato espressione all’esperienza religiosa e continuano
a farlo tuttora.
15. Orientamenti del Vaticano II
Il Concilio Vaticano II ha
fornito le linee guida di questa valutazione positiva. Il
significato esatto di quanto è affermato dal Concilio necessita un’analisi
attenta e accurata. Il Concilio riafferma la dottrina tradizionale
secondo la quale la salvezza in Gesù Cristo è - in modo misterioso
- una realtà aperta a tutte le persone di buona volontà. Un’enunciazione
evidente di questa convinzione basilare del Vaticano II si trova
nella Costituzione “Gaudium et Spes”. Il Concilio insegna che
Cristo, il Nuovo Adamo, tramite il mistero della sua incarnazione,
morte e resurrezione, lavora all’interno di ogni essere umano per
produrre in esso il rinnovamento interiore.
“Ciò rimane una verità non
soltanto per i cristiani, ma anche per tutte le persone di buona
volontà, nei cui cuori la Grazia è attiva in modo irreversibile.
Poiché, dal momento che Cristo è morto per tutti, e dal momento
che tutti sono di fatto chiamati allo stesso unico destino, che è
divino, noi dobbiamo credere fermamente al fatto che lo Spirito
Santo offre a tutti la possibilità di essere resi partecipi, in un
modo noto a Dio, del mistero pasquale” (GS 22). [che il modo sia
noto a Dio è possibile; ma la responsabilità personale e il dialogo
Trinitario che si instaura in Cristo nel credente, la cui Azione
"teandrica", sola, lo trasforma attraverso un sì da pronunciare e un
"rimanere" in Lui, grazie alla fedeltà e all'osservanza dei
comandamenti resa possibile non in forza della Legge ma dal cuore
Redento? - ndR]
16. Gli effetti della Grazia divina
Il Concilio va ancora oltre.
Facendo propria la visione e la terminologia di alcuni primi Padri
della Chiesa, la “Nostra Aetate” parla della presenza, in queste
tradizioni, di “un raggio di quella verità che illumina tutti”
(NA 2). La “Ad Gentes”riconosce la presenza dei “semi del
Verbo”, [secondo i Padri della Chiesa, iniziando da Giustino, i semi del Verbo
non fecondano le religioni pagane, alle quali essi riservano giudizi
molto severi, quanto piuttosto la filosofia greca e la sapienza dei
poeti e delle Sibille. Non si può ignorare che i frammenti di verità
presenti nelle altre religioni e confessioni cristiane hanno un
ruolo parziale incompleto mentre gli errori all’interno dei quali
sono costrette le distorcono e ne falsano la vera portata. Si pensi
all’esclusione del dogma della Trinità da parte del giudaismo e
dell’islamismo - ndR] mette in risalto i doni che un Dio generoso ha
distribuito presso tutte le nazioni“ (AG 11). Inoltre, la “Lumen Gentium” fa riferimento al bene che “è seminato” non solo “nelle
menti e nei cuori”, ma anche “nei riti e costumi dei popoli”
(LG 17).17. L’azione dello Spirito Santo
Queste poche citazioni sono
già sufficienti per mostrare come il Concilio abbia apertamente
riconosciuto la presenza di valori positivi non solo nella vita
religiosa dei singoli credenti di altre tradizioni religiose, ma
anche nelle tradizioni religiose stesse di cui essi appartengono.
Esso attribuisce questi valori alla presenza attiva di Dio per mezzo
del Suo Verbo, mettendo in rilievo anche l’azione universale dello
Spirito: “Senz’alcun dubbio”, afferma la “Ad Gentes”, “lo
Spirito Santo era al lavoro nel mondo prima ancora che Cristo fosse
glorificato” (No. 4). Da ciò si può vedere come questi fattori,
come preparazione del Vangelo (cfr LG 16), hanno svolto e svolgono
tuttora un ruolo provvidenziale nella economia divina della
salvezza. Questo riconoscimento spinge la Chiesa ad entrare in “dialogo
e collaborazione” (NA 2 - cfr 65 92 - 93): “I cristiani, pur
continuando a testimoniare con la loro fede e il loro modo di
vivere, devono riconoscere, preservare e incoraggiare il loro bene
spirituale e morale che si trova presso i non-cristiani, nonché i
loro valori sociali e culturali” (NA 2).
18. Il ruolo dell’attività
della Chiesa
Il Concilio non è ignaro
della necessità dell’attività missionaria della Chiesa
finalizzata a perfezionare in Cristo questi elementi positivi
trovati nelle altre religioni. Il Concilio sancisce senza
ambiguità: “ogni verità e grazia vengono trovate presso le
nazioni come una sorta di presenza segreta di Dio, vengono liberate
da questa attività da ogni macchia di male, e vengono ricondotte a
Cristo, il loro Artefice, il quale sbaraglia il potere del diavolo
ed estromette la multiforme malizia del vizio. In questo modo, ogni
bene seminato nelle menti e nei cuori degli uomini o nei riti e
nelle culture peculiari ai vari popoli, non viene perduto, e anzi,
ancor più, esso è guarito, reso nobile e perfezionato per la gloria
di Dio, la sconfitta del demonio e la felicità degli uomini” (AG
9)
19. La storia dell’azione
salvifica di Dio
L’Antico Testamento
testimonia che, fin dall’inizio della creazione Dio ha stabilito
un Patto (una Alleanza) con tutte le genti (Gn 1,11). Ciò sta a
dimostrare che vi è una sola storia di salvezza per l’intera
umanità. Il Patto (l’Alleanza) con Noè, l’uomo che “camminava
con Dio” (Gn 6,9), è un simbolo dell’intervento divino nella
storia delle nazioni. I personaggi non-israelitici dell’Antico
Testamento sono considerati, nel Nuovo, appartenenti a tale storia
della salvezza. Abele, Enoch e Noè sono proposti come modelli di
fede (cfr Eb 11, 4-7). È questa storia della salvezza che vede il
suo compimento finale in Gesù Cristo, nel quale è sancita la nuova
e definitiva Alleanza per tutti popoli.
20. Oltre i confini del popolo eletto
La conoscenza religiosa di
Israele è caratterizzata da una profonda consapevolezza del proprio
status di Popolo Eletto di Dio. Questa elezione accompagnata da un
processo di formazione e da continue esortazioni a preservare la
purezza del monoteismo, costituisce una missione. I profeti
insistono continuamente sulla lealtà e sulla fedeltà all’Unico
vero Dio e parlano del Messia promesso. Questi profeti, in maniera
particolare al tempo dell’Esilio, forniscono una prospettiva
universalistica, dal momento che la salvezza di Dio viene vista da
loro estendersi oltre e attraverso Israele a tutte le nazioni.
Così, Isaia preannuncia che negli ultimi giorni tutte le nazioni
affluiranno a la casa di Dio, e diranno: “Venite, andiamo alla
montagna del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; possa Egli
insegnarci le Sue vie e possiamo noi camminare suoi sentieri!” (Is
52,10). Anche nella letteratura sapienziale, che resa testimonianza
degli scambi culturali tra Israele e i popoli suoi vicini, viene
chiaramente affermata l’azione di Dio all’interno dell’intero
universo. Essa va oltre i confini del Popolo Eletto per arrivare a
toccare tanto la storia delle nazioni quanto le vite dei singoli
individui.
21. La missione universale di Gesù
Passando al Nuovo Testamento,
osserviamo che Gesù professa di essere venuto a radunare le pecore
perdute di Israele (cfr Mt 15,24) e proibisce ai suoi discepoli, per
un certo periodo, di rivolgersi ai Gentili (cfr Mt 10,5). Tuttavia,
Egli dimostra un atteggiamento di apertura nei confronti degli
uomini e delle donne che non appartengono al popolo eletto di
Israele: Egli entra in dialogo con loro e riconosce il bene che è
in essi; si meraviglia nella prontezza a credere del centurione,
affermando di non aver mai trovato una fede così grande in Israele
(cfr Mt 8,5-13); compie miracoli di guarigione degli “stranieri”
(cfr Mc 7,24-30; Mt 15,21-28), e questi miracoli sono dei segni
della venuta del Regno; conversa con la Samaritana e le parla di un
tempo in cui l’adorazione non sarà ristretta ad alcun luogo
particolare, in cui tutti i credenti “ adoreranno il Padre in
spirito e verità” (Gv 4,23). Gesù apre in questo modo degli
orizzonti nuovi situati al di là della vera realtà locale, estesi
a una universalità dalle caratteristiche tanto Cristologiche quanto
Pneumatologiche; poiché il nuovo santuario è ora il corpo del
Signore Gesù (cfr Gv 2,21), che il Padre ha innalzato nel potere
dello Spirito.
22. L’annuncio del regno di Dio
Il messaggio di Gesù, provato
dalla testimonianza della Sua stessa vita [e il suo Sacrificio
Espiatore e Redentore? - ndR], e quindi quello che attraverso
la Sua persona il Regno di Dio fa il suo ingresso all’interno di
tutto il mondo. All’inizio del suo pubblico ministero, nella Galilea delle genti, Egli può affermare: “Il tempo è giunto, il
Regno di Dio è a portata di mano”. Egli indica anche le condizioni
per poter entrare nel Regno: “Pentitevi e credete al Vangelo” (Mc
1,15). Questo messaggio non è rivolto solo alla cerchia limitata di
quanti appartengono al popolo eletto: Gesù, infatti, annuncia
esplicitamente l’ingresso dei Gentili nel Regno di Dio (cfr Mt
8,10-11; Mt 11,20-24, Mt 25,31-32,34), un Regno che deve essere
considerato allo storico escatologico. Si tratta del Regno tanto del
Padre, per la venuta era necessario pregare (cfr Mt 6,10), quanto
del Figlio, dal momento che Gesù dichiara apertamente di essere Re
(cfr Gv 18,33-37). Infatti, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto
uomo [per opera dello Spirito Santo], noi abbiamo la pienezza della rivelazione e della salvezza e
il compimento dei desideri delle nazioni.[e la realizzazione del
progetto di Dio per l'umanità? -ndR]
23. La chiamata di tutti i popoli
I riferimenti alla vita
religiosa dei Gentili e alle loro tradizioni religiose all’interno
del Nuovo Testamento potrebbero sembrare contrastanti, ma
possono essere anche considerati complementari. Da una parte
troviamo il verdetto negativo della Lettera ai Romani contro coloro
che non hanno riconosciuto Dio nella Sua creazione e sono caduti
nella idolatria e nella depravazione (cfr RM 1,18-32); d’altro
canto, gli Atti degli Apostoli testimoniano l’atteggiamento
positivo ed aperto di Paolo nei confronti nei Gentili, tanto nel suo
discorso ai Licaoni (cfr At 14,8-18) quanto nel suo discorso dell’Aereopago
ad Atene, nel quale egli ha lodato il loro spirito religioso ed ha
loro annunciato Colui che essi, senza conoscerlo, riverivano come
“Dio ignoto” (cfr At 17,22-34). Non bisogna dimenticare neanche
che la tradizione sapienziale viene applicata nel Nuovo Testamento a
Gesù Cristo, Sapienza di Dio, la Parola di Dio che illumina ogni
uomo (cfr Gv 1,9) e che, con la sua Incarnazione pianta la sua tenda
tra di noi (cfr Gv 1,14).
24. I Padri dei primi secoli
Anche la tradizione post -
biblica contiene dati contrastanti. Si possono estrapolare numerosi
giudizi negativi sul mondo religioso del loro tempo dagli scritti
dei Padri. Ma le antiche tradizioni mostrano una notevole apertura.
Molti Padri della Chiesa attingono alla tradizione sapienziale
riflessa nel Nuovo Testamento. In particolare, scrittori del secondo
secolo e della prima parte del terzo secolo come Giustino, Ireneo e
Clemente d’Alessandria, più o meno esplicitamente, parlano dei
“semi” piantati dal verbo di Dio nelle nazioni (10), tanto che
si può dire che secondo loro Dio a già manifestato sé stesso, in
maniera incompleta, prima al di fuori della rivelazione cristiana.
Questa manifestazione del “Logos” è una primizia della piena
rivelazione in Gesù Cristo cui essa tende.
25. La teologia della storia
I più antichi Padri della
Chiesa forniscono quella che può essere definita teologia della
storia. La storia diviene storia della salvezza, dal momento che
attraverso di essa Dio si manifesta progressivamente e comunica con
l’umanità. Questo processo di manifestazione e comunicazione
divina raggiunge il suo apice nell’incarnazione del Figlio di Dio
in Gesù Cristo. Per questo motivo Ireneo distingue quattro “alleanze”
offerte da Dio al genere umano: in Adamo, in Noè, in Mosè ed in
Gesù Cristo (11). Si può affermare che questa corrente patristica,
la cui importanza non deve essere sottovalutata, culmini in
Agostino, il quale, nelle sue opere più tarde, ammesse in evidenza
la presenza universale e l’influenza del mistero di Cristo anche
prima dell’Incarnazione. Per completare il suo piano di salvezza,
Dio nel suo Figlio si è offerto all’intera umanità. Per cui, per
un certo senso, la Cristianità esiste già “all’inizio del
genere umano” (12)
26. Il contributo del Magistero
È a questa visione della
Chiesa caratteristica del primissimo Cristianesimo che il Concilio
Vaticano Secondo ha fatto riferimento quello di Papa Giovanni Paolo
II - è andato ancora oltre nella stessa direzione. In primo momento
il Papa ha riconosciuto la presenza operativa dello Spirito Santo
nella vita dei membri delle altre tradizioni religiose, come nel
passo della “Redemptor Hominis” in cui egli parla della loro “fede
salda” come di “un effetto dello Spirito di verità operante al
di fuori dei confini visibili del Corpo Mistico “ (No. 6). In “Dominum
et Vivificantem”, il Pontefice compie un passo ulteriore,
affermando l’azione universale dello stesso Spirito oggi, anche al
di fuori del corpo visibile della Chiesa (cfr No. 53).
27. Giovanni Paolo II e l’approccio alle
altre tradizioni religiose
Nel suo discorso rivolto alla
Curie Romana dopo la Giornata Mondiale della Preghiera per la Pace
ad Assisi, Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato ancora una volta
la presenza universale dello Spirito Santo, sancendo che “ogni
persona che prega con l’atteggiamento di autenticità è ispirata
dallo Spirito Santo, che è misteriosamente presente nel cuore di
ognuno”, Cristiano o meno. Ma di ancora nuovo nello stesso
discorso, il Papa, andando oltre la prospettiva individuale, ha
articolato gli elementi principali che devono essere considerati le
basi teologiche per un approccio positivo alle altre tradizioni
religiose e alla pratica del dialogo interreligioso.
28. Il mistero dell’unità dell’intero
genere umano
Al primo punto è situato il
fatto che l’intera umanità forma una sola famiglia, poiché tutti
gli uomini e le donne hanno un’origine comune, essendo stati
creati a immagine di Dio. Parallelamente, tutti sono chiamati allo
stesso destino comune, vale a dire la pienezza della vita in Dio.
Inoltre, vi è un solo piano di salvezza per l’umanità, con il
suo centro in Gesù Cristo, il quale nella sua incarnazione “si è
unito in un certo qual modo ad ogni persona” (RH 13; cfr 65 22,2).
Infine, è necessario menzionare l’attiva presenza dello Spirito
Santo nella vita religiosa dei membri delle altre tradizioni
religiose. Da tutti questi elementi il Papa arriva a definire il “mistero
dell’unità”, che è stato manifestato chiaramente ad Assisi,
“nonostante le differenze tra le confessioni religiose” (13).
29. L’unità della salvezza
Da questo mistero dell’unità
scaturisce il fatto che tutti gli uomini e le donne che sono salvati
partecipano sia pure in maniera differente tra loro - allo stesso
mistero di salvezza in Gesù Cristo per mezzo del Suo Spirito. I
Cristiani conoscono già questa realtà grazie alla loro fede,
mentre gli altri rimangono inconsapevoli del fatto che Gesù Cristo
sia la fonte della loro salvezza. Il mistero della salvezza li
raggiunge, in una maniera nota a Dio, tramite l’azione invisibile
dello Spirito del Cristo. Dal punto di vista concreto, sarà nella
pratica sincera di ciò che è buono nelle proprie tradizioni
religiose e seguendo la voce della propria coscienza che i membri
delle altre religioni risponderanno positivamente alla chiamata di
Dio e riceveranno la salvezza in Gesù Cristo, anche se essi non lo
ritengono o non lo riconoscono come il loro salvatore (cfr AG
3,9,11). [cristianesimo anonimo di Rahner?]
30. La necessità del discernimento
I frutti dello Spirito di Dio
nella vita personale degli individui, siano essi Cristiani o meno,
sono facilmente discernibili (cfr Gal 5,22- 23). Individuare in
altre tradizioni religiose elementi di grazia in grado di sostenere
la risposta positiva dei loro membri alla chiamata di Dio è più
difficile: ciò richiede un discernimento per il quale bisogna
stabilire dei criteri. Gli individui sinceri marcati dallo Spirito
di Dio hanno certamente messo il loro sforzo personale nell’elaborazione
e nello sviluppo delle loro rispettive tradizioni religiose. Ciò
non implica, tuttavia, che ogni cosa che si trova in esse sia buona.
31. Valori e contraddizioni
Affermare che le altre
tradizioni religiose includono in sé stesse elementi di grazia non
implica il fatto che ogni cosa in esse sia il risultato della
grazia, poiché il peccato è sempre stato all’opera nel mondo, e
pertanto le tradizioni religiose, nonostante i loro valori positivi,
riflettono i limiti dello spirito umano, talvolta incline a
scegliere il male. Un approccio aperto e positivo alle altre
tradizioni religiose non può sorvolare contraddizioni che possono
esserci tra di esse e la rivelazione cristiana. Laddove necessario,
si devono riconoscere le incompatibilità tra alcuni elementi
fondamentali della religione cristiana e alcuni aspetti di tali
tradizioni.
32. Il dialogo e la purificazione
Ciò significa che i
Cristiani, pur entrando in dialogo e mentalità aperta con i seguaci
delle altre tradizioni religiose, devono tuttavia informarsi presso
di loro, con spirito pacifico, dei contenuti della loro fede. Ma
anche i Cristiani devono essere disposti ad essere messi in
discussione: nonostante la pienezza della rivelazione in Dio in
Gesù Cristo, il modo in cui i Cristiani a volte comprendono e
praticano la propria religione può aver bisogno di purificazione.
2. IL
RUOLO DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO ALL’INTERNO DELLA MISSIONE
EVANGELIZZATRICE DELLA CHIESA
33. La Chiesa, sacramento universale di
salvezza
La Chiesa è stata valutata da
Dio e istituita dal Cristo per essere, nella pienezza dei tempi, il
segno e lo strumento del piano divino di salvezza (cfr LG 1), il
centro del quale è il mistero di Cristo. Essa è il “sacramento
universale di salvezza” (LG 48), ed è “necessaria per la
salvezza” (LG 14). Lo stesso Signore Gesù inaugurato la missione
della Chiesa “annunciando la buona novella, vale a dire l’avvento
del Regno di Dio” (LG 5).
34. I semi e gli inizi del Regno
La relazione tra la Chiesa e
il Regno è misteriosa e complessa. Come insegna il Vaticano II, “il
Regno è rivelato innanzitutto nella persona stessa di Cristo. “La
Chiesa, che ha ricevuto dal Signore Gesù la missione di annunciare
il Regno, già “è, sulla terra, il seme è l’inizio di questo
Regno” (LG 5). Pertanto il Regno è inseparabile dalla Chiesa,
poiché entrambi sono inseparabili dalla persona e dall’opera di
Gesù stesso… Non è pertanto possibile separare la Chiesa dal
Regno come se la prima appartenesse esclusivamente al Regno
imperfetto della storia e il secondo fosse il perfetto compimento
escatologico del piano divino di salvezza” (14).
35. Le tradizioni religiose e la Chiesa
Alla Chiesa, come sacramento
nel quale il Regno di Dio è presente “nel mistero”, fanno
riferimento o si orientano (“ordinantur”) (cfr LG 16) i
membri delle altre tradizioni religiose, i quali, dal momento che
rispondono alla chiamata di Dio cosi come essa viene percepita dalla
loro coscienza, sono salvati in Gesù Cristo e partecipano già,
pertanto, in un certo qual modo, alla realtà espressa dal Regno. La
missione della Chiesa consiste nel contribuire alla crescita del “Regno
del nostro Signore e del suo Cristo” (Rm 11,15), al cui servizio
essa si pone. Una parte del suo ruolo consiste nel riconoscere che
la realtà embrionale del Regno si può trovare anche al di fuori di
confini di se stessa, ad esempio nei cuori dei seguaci delle altre
tradizioni religiose, nella misura in questi vivono i valori
evangelici e sono aperti all’azione dello Spirito. Si deve
ricordare tuttavia che questa è una realtà embrionale, che ha
bisogno di trovare il suo compimento essendo posta in relazione con
il Regno del Cristo già presente all’interno della Chiesa ma che
si realizzerà soltanto nel mondo a venire.
36. La Chiesa pellegrina
La Chiesa, sulla terra, è
sempre in pellegrinaggio. Mentre essa è santa per divina
istituzione, i suoi membri non sono perfetti; essi portano il
marchio dei loro limiti umani. Di conseguenza, la trasparenza della
Chiesa come sacramento di salvezza è offuscata. Per questo motivo
la Chiesa stessa, “nella misura in cui essa è un’istituzione di
uomini qui sulla terra”, e non soltanto i suoi membri, si trova
nella necessità costante di rinnovamento e di riforma (cfr Ur 6).
37. Verso la pienezza della
verità divina
Il Concilio ha insegnato, a
proposito della Rivelazione divina, che “la verità più profonda
che questa rivelazione ci dà riguardo a Dio e alla salvezza dell’uomo
sgorga da Cristo, che è sia il mediatore sia la somma della
rivelazione” (Dv 2). Fedeli al comandamento ricevuto da Cristo
stesso, gli apostoli hanno trasmesso questa Rivelazione. E “la
Tradizione che ci viene dagli apostoli” già “compie dei
progressi all’interno della Chiesa, con l’aiuto dello Spirito
Santo. Vi è una crescita tale” (Dv 8). Ciò avviene grazie allo
studio, all’esperienza spirituale all’insegnamento dei vescovi
che hanno ricevuto il carisma certo della verità. Così, la Chiesa
“avanza sempre più verso la pienezza della verità divina, finche
le parole di Dio saranno realizzate in essa” (Dv 8). Ciò non
contraddice in alcun modo la divina istituzione della chiesa né la
pienezza della Rivelazione di Dio in Gesù Cristo, nel quale essa
fonda la propria fede.
38. Il dialogo della salvezza
Avendo questo tipo di sfondo
diventa più facile individuare perché e in che senso il dialogo
interreligioso sia una componente integrale della missione
evangelizzatrice della chiesa. Il fondamento in cui si basa l’impegno
della chiesa al dialogo non è meramente antropologico ma in primo
luogo teologico. Dio, in un dialogo che si protrae da lungo tempo,
ha offerto e continua ad offrire la salvezza all’umanità. Nella
pienezza dell’iniziativa divina, anche la chiesa deve entrare in
un dialogo di salvezza con tutti gli uomini e le donne.
39. Metodi di presenza, di
rispetto e di amore nei confronti di tutti
Papa Paolo VI lo ha insegnato
chiaramente nella sua prima Enciclica “Ecclesiam Suam”. Anche
Papa Giovanni Paolo II ammesso in rilievo la chiama della chiesa al
dialogo interreligioso e da assegnato ad esso lo stesso fondamento.
Rivolgendosi all’Assemblea Plenaria del Consiglio Pontificio per
il Dialogo Interreligioso, nel 1984, il Papa a dichiarato: “il
dialogo (interreligioso) è fondamentale per la chiesa, che è
chiamata a collaborare al piano di Dio con i suoi metodi di
presenza, di rispetto e di amore nei confronti di tutte le persone”.
Egli a quindi richiamato l’attenzione su un passo della “Ad
Gentes” : “i discepoli di Cristo, strettamente uniti agli uomini
nella loro vita e nel loro lavoro, sperano di rendere agli altri una
autentica testimonianza di Cristo e di lavorare per questa salvezza,
anche quando non siano in grado di annunciare Cristo nella sua
maniera più piena“ (AG 12). Introducendo questo passo, il
Pontefice ha detto : “il dialogo trova il suo posto all’interno
della missione salvifica della Chiesa; per questo motivo esso è un
dialogo di salvezza” (15).
40. Collaborare con lo Spirito
Santo
In questo dialogo di salvezza,
i Cristiani e gli altri credenti sono chiamati a collaborare: con lo
Spirito del Signore Risorto che è universalmente presente ed
attivo. Il dialogo interreligioso non mira soltanto alla mutua
comprensione e a relazioni amichevoli. Esso raggiunge un livello
molto più profondo, quello dello spirito, in cui lo scambio e la
condivisione consistono in una mutua testimonianza della propria
fede e una esplorazione comune delle proprie rispettive convinzioni
religiose. Nel dialogo, i Cristiani e gli altri credenti sono
invitati ad approfondire il loro impegno religioso, per rispondere
con sincerità sempre più grande alla chiamata personale di Dio, la
donazione di se stessa ispirata dalla Grazia - come ci insegna la
nostra fede - passa sempre attraverso la mediazione di Gesù Cristo
e il lavoro del Suo Spirito.
41. La conversione a Dio
Quando è stato assunto l’obiettivo
di una più profonda conversione a Dio di tutti, il dialogo
interreligioso assume la propria validità. In questo processo di
conversione “potrebbe essere presa la descrizione di abbandonare
la propria situazione spirituale o religiosa precedente al fine di
dirigersi verso un’altra” (16). Il dialogo sincero implica da un
lato, la reciproca accettazione delle differenze, o addirittura
delle contraddizioni; dall’altro, il rispetto per le libere
decisioni che vengono prese dalle persone coerentemente a quanto è
dettato dalla loro coscienza (cfr DH 2). L’insegnamento del
Concilio, che afferma che “tutti gli uomini sono tenuti a
ricercare la verità, specialmente ad ancorarsi da essa una volta
che essi ne vengono a conoscenza (DH 1), deve essere tenuto a mente.
3. LE FORME DEL DIALOGO
42. Le forma del dialogo
Esistono diverse forme di
dialogo interreligioso. Può essere utile richiamare quelle che sono
state menzionate all’interno del documento stipulato nel 1984 dal
Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso (17). Esso: parla
di quattro forme, senza pretendere di stabilire alcun ordine di
priorità tra di esse:
a) Il dialogo della vita,
che si ha quando le persone si sforzano di vivere con lo spirito
aperto e pronta a farsi prossimo, condividendo le loro gioie e le
loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umani.
b) Il dialogo dell’azione,
nel quale i cristiani e gli altri credenti collaborano per lo
sviluppo integrale e per la liberazione del loro prossimo
c) Il dialogo dello scambio
teologico, nel quale gli specialisti
cercano di approfondire la propria comprensione delle loro
rispettive eredità spirituali, e di apprezzare, ciascuno i valori
spirituali dell’altro.
d) Il dialogo dell’esperienza
religiosa, nel quale le persone,
radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le loro
ricchezze spirituali, per esempio nel campo della preghiera e
della contemplazione, della fede e dei modi di ricercare Dio o l’Assoluto.
43. L’interdipendenza delle
varie forme di dialogo
Non bisognerebbe mai perdere
di vista questa varietà di forme di dialogo. Se venisse ridotto a
uno scambio teologico, il dialogo potrebbe essere considerato
facilmente una sorta di ambito privilegiato nella missione della
chiesa, (uno spazio) un dominio riservato agli specialisti. Al
contrario, tutte le chiese locali tutti i loro membri - guidati dal
Papa e dai loro vescovi - sono chiamati al dialogo, anche se non
tutti allo stesso modo. Si può notare inoltre che le diverse forme
di dialogo sono interconnesse tra di loro. I contatti all’interno
della vita quotidiana e l’impegno comune all’azione apriranno in
modo naturale la porta alla collaborazione alla promozione dei
valori umani e spirituali; i contatti e l’impegno comune possono
anche eventualmente portare al dialogo dell’esperienza religiosa
in risposta alle grandi domande che le circostanze della vita non
mancano di far sorgere nelle menti degli uomini (cfr NA 2). Gli
scambi a livello di esperienza religiosa possono dare maggior vita
alle discussioni teologiche, e quest’ultime, in cambio, possono
illuminare l’esperienza ed incoraggiare i contatti più stretti.
44. Il dialogo e la
liberazione umana
L’importanza del dialogo per
lo sviluppo integrale dell’uomo, per la giustizia sociale e per la
liberazione umana deve essere messa in rilievo. Le chiese locali
sono chiamate ad impegnarsi a tal proposito - come testimonianza di
Cristo - in maniera generosa e imparziale. Bisogna battersi per i
diritti umani, sostenere le richieste di giustizia e denunciare l’ingiustizia
non soltanto quando ne vengono colpiti i membri della singola
chiesa, ma indipendentemente dall’appartenenza religiosa delle
vittime. Bisogna anche unire le forze nel tentativo di risolvere i
gravi problemi che minacciano la società ed il mondo e nell’impegno
all’educazione alla giustizia e alla pace.
45. Il dialogo e la cultura
Un altro ambito in cui oggi il
dialogo interreligioso appare urgente è quello della cultura. La
cultura è qualcosa di più vasto della religione. In base ad una
delle sue definizioni, la religione può essere rappresentata come
la dimensione trascendente della cultura e - in un certo qual modo -
la sua anima. Le religioni hanno senza dubbio alcuno contribuito al
progresso della cultura e alla costruzione di una società più
umana. Bisogna però riconoscere che tuttavia le pratiche religiose
hanno avuto talvolta un influsso alienante sulle culture. Oggi, una
cultura secolare autonoma può avere un ruolo critico nei confronti
degli elementi negativi che si trovano in alcune religioni. La
questione è complessa, dal momento che molteplici tradizioni
religiose possono coesistere all’interno della stessa cornice
culturale oppure, al contrario, la stessa religione può esprimersi
all’interno di diversi ambiti culturali. Ecco quindi che le
differenze religiose possono portare alla formazione di diverse
culture all’interno della stessa regione geografica.
46. Tensioni e conflitti
Il messaggio cristiano
sostiene molti valori che si trovano e sono vissuti all’interno
della sapienza e della ricca eredità delle culture, ma può anche
mettere in discussione alcuni valori della cultura comunemente
accettati. Un dialogo premuroso indica il riconoscimento e l’accettazione
dei valori culturali che rispettano la dignità della persona umana
e il suo destino trascendente. Può tuttavia accadere che alcuni
aspetti delle culture cristiane tradizionali siano minacciati dalle
culture locali o dalle altre tradizioni religiose (cfr EN 20). All’interno
di queste complesse relazioni tra la cultura e la religione, il
dialogo interreligioso a livello culturale assume un’importanza
considerevole. Il suo obiettivo è quello di eliminare le tensioni e
i conflitti e gli scontri potenziali mediante una migliore
comprensione tra le varie culture religiose di ogni singola regione
geografica. Esso può contribuire a purificare le culture da alcuni
elementi disumanizzanti e può essere pertanto un agente di
trasformazione. Esso può anche aiutare a mantenere vivi alcuni
valori culturali tradizionali che sono minacciati dalla modernità e
dal livellamento verso il basso che una globalizzazione
indiscriminata può portare con sé.
4. DISPOSIZIONI PER IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO E I SUOI FRUTTI
47. Un atteggiamento
equilibrato
Il dialogo richiede, tanto da
parte dei Cristiani quanto da parte dei seguaci delle altre
tradizioni, un atteggiamento equilibrato. Essi non devono essere
ingenui, né eccessivamente critici, ma aperti e recettivi. La non
chiusura su sé stessi, l’imparzialità e l’accettazione di
differenze e di possibili contraddizioni sono dati già menzionate.
Le altre disposizioni richieste sono la volontà di battersi insieme
in difesa della verità e della prontezza nell’acconsentire ad
essere trasformati dall’incontro.
48. Convinzione religiosa
Ciò non significa che quanti
partecipano al dialogo debbano mettere da parte le loro rispettive
convinzioni religiose. È vero esattamente il contrario: la
sincerità del dialogo interreligioso richiede che ciascuno lo
affronti nell’integrità della propria fede. Allo stesso tempo i
Cristiani, pur rimanendo fermi nel credere che in Gesù Cristo - l’unico
mediatore tra Dio e l’uomo (cfr 1Tim, 4 - 6) - è stata data loro
la pienezza della rivelazione, devono ricordare che Dio si è
manifestato in un certo qual modo anche ai seguaci delle altre
tradizioni religiose. Di conseguenza, essi si avvicinano alle
convinzioni e ai valori altrui con menti ricettive.
49. Apertura alla verità
La pienezza della verità
ricevuta in Gesù Cristo non dà ai singoli cristiani la garanzia di
aver raggiunto pienamente tale verità. Ad un’analisi approfondita
emerge il fatto che la verità non è una cosa che noi possediamo,
ma una Persona dalla quale dobbiamo accettare di essere posseduti.
Questo è un processo senza fine. I Cristiani, sforzandosi di
mantenere intatta la propria identità, devono essere pronti ad
imparare e a ricevere da e attraverso gli altri credenti i valori
positivi delle loro tradizioni. Attraverso il dialogo, essi devono
essere spinti ad estirpare pregiudizi radicati, a rivedere idee
preconcette e talvolta anche a permettere che venga purificata la
comprensione della loro stessa fede.
50. Nuove dimensioni della
fede
Se i Cristiani coltivano
questa apertura e si rendono disponibili ad essere messi alla prova,
potranno raccogliere i frutti del dialogo. Essi scoprono con
ammirazione tutto ciò che l’azione di Dio per mezzo di Gesù
Cristo nel Suo Spirito ha compiuto e continua a compiere nel mondo e
in tutta l’umanità. Lunghi dall’indebolire la loro fede, il
dialogo antico la approfondirà; essi diverranno sempre più
consapevoli della loro propria identità cristiana e percepiranno
sempre più chiaramente gli elementi distintivi del messaggio
cristiano. La loro fede guadagnerà nuove dimensioni quando essi
scopriranno la presenza attiva del mistero di Gesù Cristo oltre i
confini visibili della chiesa e della comunità cristiana.
5. GLI OSTACOLI AL DIALOGO
51. Ostacoli o dialogo
Anche a livello umano puro e
semplice, praticare il dialogo è già di per sé una cosa
difficile. Il dialogo interreligioso è ancora più difficile. È
importante essere consapevoli degli ostacoli che possono sorgere
contro di esso; alcuni dei quali possono applicarsi a tutti i membri
di tutte le tradizioni religiose e impedire il successo del dialogo,
mentre altri possono porsi più specificatamente alcune tradizioni
religiose rende difficile l’inizio di un processo di dialogo.
Verranno menzionati alcuni degli ostacoli principali.
52. I fattori umani
a) Un insufficiente
radicamento nella propria fede.
b) Un’insufficiente
conoscenza e comprensione della fede e delle pratiche delle altre
religioni, che porta a una mancanza di riconoscimento del loro
significato e persino, a volte, ad una errata rappresentazione.
c) Fattori socio - politici
o retaggi del passato.
d) Una erronea comprensione
del significato di termini come conversione, battesimo, dialogo,
etc.
e) Supponenza, mancanza di
apertura che porta ad atteggiamenti difensivi o aggressivi.
f) Una mancanza di
convinzione dell’importanza del dialogo interreligioso, che
potrebbe essere visto da qualcuno come un obiettivo riservato agli
specialisti, e da altri come un segno di debolezza o addirittura
un tradimento della fede.
g) Sospetti sulle autentiche
motivazioni dell’altro nel dialogo.
h) Uno spirito polemico nell’esprimere
le proprie convinzioni religiose.
i) L’intolleranza, che è
spesso aggravata dall’interconnessione con i fattori politici,
economici, razionali ed etnici, una mancanza di reciprocità nel
dialogo che può portare alla frustrazione.
j) Alcune realtà dell’attuale
clima religioso, come ad esempio il crescente materialismo, l’indifferenza
religiosa ed il diffondersi sempre maggiore di sette religiose che
creano confusione e fanno sorgere nuovi problemi.
53. L’iniziativa di Dio
Molti di questi ostacoli
nascono da una mancanza di comprensione della vera natura e dello
scopo del dialogo interreligioso, natura e scopo che devono essere
costantemente spiegati, con una grande dose di pazienza. Bisogna
ricordare che l’impegno della chiesa nel dialogo non dipende dal
suo riuscire o meno a raggiungere la matura comprensione e il maturo
arricchimento, ma scaturisce dall’iniziativa di Dio di entrare in
dialogo con l’umanità e dall’esempio di Gesù Cristo la cui
vita, morte e resurrezione hanno dato l’espressione più piena a
tale dialogo.
54. La condivisione dei valori
evangelici
Gli ostacoli, anche se reali,
non devono indurci a sottovalutare le possibilità di dialogo o a
dimenticare i risultati già ottenuti. Vi è stata una crescita
nella matura comprensione e nella cooperazione attiva. Il dialogo ha
avuto un impatto positivo sulla chiesa stessa, e anche nelle altre
religioni, tramite il dialogo, sono state spinte al rinnovamento e a
una più grande apertura. Il dialogo interreligioso ha consentito
alla chiesa di poter condividere con gli altri credenti i valori del
Vangelo. Così, nonostante le difficoltà, l’impegno nel dialogo
da parte della chiesa rimane fermo e irreversibile.
2. ANNUNCIARE GESÙ CRISTO
torna su
1. IL MANDATO DEL SIGNORE
RISORTO
55. I messaggeri del Vangelo
Il Signore Gesù ha affidato
ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo. Questo
avvenimento è riportato da tutti e quattro i vangeli e dagli Atti
degli Apostoli, anche se vi sono delle sfumature nelle differenti
narrazioni. Nel vangelo secondo Matteo, Gesù dice ai suoi
discepoli: “Ogni Autorità nel cielo e sulla terra è stata data a
me. Perciò andate e (fate) prendete dei discepoli in tutte le
nazioni, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutti i comandamenti che
vi ho dato; io sono con voi sempre, fino alla fine dei tempi” (Mt
28, 18 - 20).
Nel vangelo secondo Marco il
comandamento viene dato in maniera più succinta: “Andate in tutto
il mondo e predicate il vangelo all’intera creazione. Colui che
crede e viene battezzato sarà salvato; ma colui che non crederà
sarà condannato.” (Mc 16, 15 - 16). Nel vangelo secondo Luca, l’espressione
è meno diretta. Così, è scritto che il Cristo debba soffrire e
debba risorgere dalla morte il terzo giorno; e che nel Suo Nome
bisogna predicare il pentimento e il perdono dei peccati a tutte le
nazioni, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste
cose” (Lc 24, 46-48).
Negli Atti degli Apostoli, l’importanza
della testimonianza è accennata: “Ma voi riceverete (il potere)
la forza quando lo Spirito Santo sarà venuto sopra di voi; e voi
sarete i miei testimoni a Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella
Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Nel vangelo secondo Giovanni,
la missione è espressa in maniera ancora differente: “Come Tu hai
mandato me nel mondo, io ho mandato loro nel mondo” (Gv 17,18);
“Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20,21).
L’annuncio della Buona
Novella a tutti gli uomini, la testimonianza, il fare discepoli, il
battezzare, l’insegnare: tutti questi aspetti rientrano nella
missione evangelizzatrice della chiesa, e devono essere visti alla
luce della missione compiuta da Gesù stesso, la missione che Gli è
stata affidata dal Padre.
56. La presenza del Regno
Gesù ha proclamato il vangelo
che veniva da Dio dicendo: “Il tempo è compiuto, e il Regno di
Dio è in mezzo a voi, pentitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 14-15).
Questo passaggio riassume il mistero di Gesù: Egli non
proclama questa Buona Novella solo a parole, ma anche con le Sue
opere, il Suo comportamento e le Sue scelte, col messaggio reso da
tutta la sua vita e tramite la Sua morte e la sua resurrezione. Le
sue parabole, i Suoi miracoli, gli esorcismi che Egli ha operato, si
riconducono tutti al Regno di Dio che Egli annuncia. E questo Regno
non è semplicemente qualcosa che dev’essere predicata, come se
non avesse alcun legame con la sua persona. Gesù ha dichiarato
esplicitamente che è attraverso di Lui e in Lui che il Regno di Dio
fa il suo ingresso all’interno del mondo (cfr Lc 17, 20 - 22), e
che in Lui il Regno è già in mezzo a noi, anche se esso ha bisogno
di crescere fino alla sua pienezza (18).
57. La testimonianza per mezzo
della vita
Il Suo insegnamento è
confermato dalla Sua vita. “Anche se rifiutate di credere in me,
almeno credete nelle opere che compio” (Gv 10,38). Analogamente,
le Sue azioni sono spiegate dalla Sua parola che sgorga dalla Sua
consapevolezza di essere una sola cosa con il Padre. “Vi dichiaro
solamente che il Figlio non può far nulla da Sé stesso, Egli può
fare ciò che vede fare dal Padre” (Gv 5,19). Nell’interrogatorio
di fronte a Pilato, Gesù afferma di essere venuto nel mondo “per
rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Anche il Padre Gli
rende testimonianza, sia tramite le parole pronunciate dal cielo,
sia nelle opere e nei segni miracolosi che Gesù è abilitato a
compiere. È lo Spirito che “sigilla” la testimonianza di Gesù,
autenticandola (cfr Gv 3,32-35).
2. IL RUOLO DELLA CHIESA
58. L’attività della Chiesa
per l’annuncio
Il mandato del Signore Risorto
alla Chiesa Apostolica deve essere compreso alla luca di tutto ciò.
La missione della chiesa consiste nell’annunciare il regno di Dio
stabilito sulla terra in Gesù Cristo, per mezzo della Sua vita,
della Sua morte e della Sua resurrezione, come una offerta di
salvezza decisiva e universale fatta da Dio al mondo. Per questo
motivo “non vi è vera evangelizzazione se non vengono proclamati
il Nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno e il
mistero di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio” (En 22). Vi è
continuità tra il Regno predicato da Gesù e il mistero di Cristo
annunciato dalla chiesa.
59. Al servizio del Regno
La Chiesa, che continua la
missione di Gesù, è “il seme e l’inizio” del Regno (cfr lg
5). Essa è al servizio del Regno ed è sua “testimone”: la
testimonianza della fede in Cristo, il Redentore, è situata nelle
profondità più intime della fede e della vita della chiesa stessa.
Nella storia della chiesa, tutti gli Apostoli “testimonianza”
della vita, della morte e della resurrezione di Cristo (cfr At 2,32;
3,15; 10,39; 13,31; 23,11). La testimonianza viene resa tramite le
parole e le opere che non possono essere in contraddizione tra di
loro. Le opere convalidano l’annuncio, ma senza l’annuncio le
stesse opere possono essere mal interpretate. La testimonianza degli
Apostoli, nelle parole e nei segni, è subordinata all’azione
dello Spirito Santo, mandato dal Padre per raggiungere l’obiettivo
di tale testimonianza (cfr Gv 15,26 e seguenti; Gv 5,7-10; At 5,32).
3. Il CONTENUTO DELL’ANNUNCIO
60. Pietro annuncia il Cristo
Risorto
Il giorno di pentecoste a
compimento della promessa di Cristo, lo Spirito Santo è sceso sugli
Apostoli. In quel tempo “vivevano a Gerusalemme molti uomini
devoti provenienti da ogni nazione che si trova sotto il cielo”
(At 2,5) - la lista dei popoli presenti che viene fornita negli Atti
serve a sottolineare la portata universale di questo primo evento
ecclesiale. A nome di tutti gli Undici, Pietro si è rivolto alle
persone riunite annunciando Gesù, confermato da Dio con miracoli e
portenti, crocifisso dagli uomini ma risorto nuovamente alla vita da
Dio. Egli a così concluso il suo annuncio: “Per questo motivo l’intera
nazione di Israele può essere certa che Dio a costituito questo
Gesù, che voi avete crocifisso, Signore e Cristo” (At 2,36). Ciò
fu seguito dall’invito ai suoi ascoltatori a pentirsi, a diventare
discepoli di Gesù, facendosi battezzare nel Suo Nome per il perdono
dei peccati e a ricevere così il dono dello Spirito Santo. In
seguito, di fronte al Sinedrio, Pietro a testimoniato la sua fede
nel Cristo risorto, affermando chiaramente: “Solamente in Lui v’è
salvezza, poiché tra tutti i nomi dati agli uomini nel mondo
soltanto il Suo quello tramite il quale si può essere salvati”
(At 4,11-12). La natura universale del messaggio di salvezza
cristiano viene portata avanti nel contesto della conversazione di
Cornelio. Quando Pietro a testimoniato la vita e le opere di Gesù,
dall’inizio del Suo ministero in Galilea fino alla Sua
Resurrezione, “lo Spirito Santo è sceso su tutti quelli che lo
ascoltavano”, cosicché coloro che accompagnavano Pietro rimasero
sbalorditi del fatto “ che il dono dello Spirito Santo potesse
essere effuso anche sui Gentili” (At 10,44-45).
61. Paolo annuncia il mistero che era stato
tenuto nascosto per secoli
Gli Apostoli, dopo l’evento
della Pentecoste, si presentano testimoni della resurrezione di
Cristo (At 1,22; 4,33; 5,32-33) o più semplicemente, con una
formula più coincisa, come testimoni di Cristo (cfr At 3,15;
13,31). Questa testimonianza è stata resa nella maniera più chiara
da Paolo, “chiamato ad essere un discepolo, preso al servizio del
Vangelo” (Rm 1,1), che ha ricevuto da Gesù Cristo la “missione
apostolica di ottenere l’obbedienza della fede da parte di tutte
le nazioni per l’onore del Suo Nome” (Rm 1,15). Paolo annuncia
“il Vangelo che Dio ha promesso tanto tempo fa per bocca dei
profeti nelle sacre scritture” (Rm 1,2), il “Vangelo del Suo
Figlio” (Rm 1,9). Egli annuncia un Cristo crocifisso: “una
pietra d’inciampo per i Giudei e una follia per i Gentili” (1Cor
1,23; cfr 1Cor 2,2), poiché nessuno può porre un fondamento
diverso da quello che già si trova (Gesù Cristo)” (1Cor 3,11). L’intero
messaggio di Paolo è riassunto nella sua solenne dichiarazione agli
Efesini: “Io, che sono più piccolo dell’ultimo degli
appartenenti al popolo di Dio, sono stato investito dalla grazia
speciale di annunciare ai Gentili l’incommensurabile tesoro di
Cristo e di gettar luce sulle realtà più profonde del mistero che
era stato tenuto nascosto in tutte le epoche in Dio, il Creatore di
ogni cosa”, la multiforme sapienza di Dio che Egli ci ha ora
rivelato per mezzo della chiesa, “secondo il piano che Egli aveva
formulato dall’eternità in Cristo Gesù nostro Signore” (Ef
3,8-11). Lo stesso messaggio si trova nelle Lettere Pastorali. Dio
“desidera che tutti gli uomini si salvino e raggiungono la
conoscenza della verità. Poiché c’è un solo Dio, e vi è un
solo mediatore tra Dio, e gli uomini: l’uomo Gesù Cristo, che ha
dato sé stesso in riscatto per tutti” (1Tim 2,4-6). Questo “mistero
della nostra religione” che è “molto profondo” trova
espressione in un frammento liturgico: “Egli si è manifestato
nella carne, è stato giustificato nello Spirito, è stato visto
dagli angeli, è stato annunciato alle nazioni, è stato creduto nel
mondo, è stato assunto nella Gloria” (1Tim 3,16).
62. Giovanni ha reso testimonianza alla Parola
di Vita
Volgendo l’attenzione all’apostolo
Giovanni, notiamo come egli si presenti innanzitutto come un
testimone, come un uomo che ha visto Gesù ed ha scoperto il Suo
mistero (cfr Gv 13,23-25; 21,24). “Noi ti annunciamo ciò che
abbiamo visto e udito” - della Parola di vita - “così che anche
tu possa condividere la nostra vita” (Gv 4,14). L’incarnazione
è centrale nel messaggio di Giovanni Il Verbo si è fatto carne è
vissuto in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la Sua gloria, la gloria
che Egli riceve dal Padre come unico Figlio del Padre, pieno di
grazia e verità” (Gv 1,14). Quindi, per mezzo di Gesù è
possibile vedere il Padre (cfr Gv 14,9), Egli è la via che conduce
al Padre (cfr Gv 14,6). Sollevato (innalzato) sulla croce, Egli
attira tutti a sé (cfr Gv 12,32). Egli è veramente “il Salvatore
del mondo” (Gv 4,42).
63. Il potere della Parola
annunciata dalla Chiesa
“Proclama la parola”,
scrive Paolo e Timoteo (2 Tim 4,2). Il contenuto di questa parola è
espresso in vari modi: è il Regno (cfr At 20,25), il Vangelo del
Regno (cfr Mt 24,14), il Vangelo di Dio (cfr Mc 1,14 M 2,9). Ma
queste diverse formulazioni significano in realtà la stessa cosa:
annunciare Gesù (cfr At 9,20; 19,13), annunciare il Cristo (cfr At
8,5). Gli apostoli predicano la parola di Dio esattamente come Gesù
parlava con le parole di Dio (cfr Gv 3,34), poiché Gesù, che essi
annunciano, è la Parola.
Pertanto il messaggio
cristiano è un messaggio potente, che deve essere accolto per
quello che esso è realmente, “non la parola di un essere umano,
ma la parola di Dio (Fil 2,13). La parola che viene accettata con
fede diverrà “viva e attiva”, più tagliente di una spada a
doppio taglio” (Eb 4,12). Essa sarà una parola che purifica (cfr
Gv 15,3), sarà la sorgente della verità che porta la libertà (cfr
Gv 8,31-32). La parola diverrà una presenza interiore: “chi ama
osserverà la mia parola, e mio Padre lo amerà, e noi verremmo a
lui e stabiliremo la nostra dimora in lui” (Gv 14,23). Questa è
la parola di Dio che deve essere proclamata dai Cristiani.
4. LA PRESENZA E IL POTERE DELLO SPIRITO
64. La presenza dello Spirito
Santo
Proclamando questa parola, la
chiesa sa di poter fare affidamento allo Spirito Santo, che
suggerisce la sua proclamazione e conduce chi ascolta all’obbedienza
della fede. “È lo Spirito Santo che, oggi come agli inizi della
chiesa, agisce in ogni evangelizzatore che è disposto ad essere
posseduto e guidato da Lui. Lo Spirito Santo pone sulle labbra dell’evangelizzatore
le parole che egli non saprebbe trovare da sé stesso, e nello
stesso tempo predispone l’anima di colui che ascolta ed essere
aperta e recettiva alla Buona Novella e alla proclamazione del Regno”
(En 75).
65. Il potere dello Spirito
Santo
La forza dello spirito santo
è dimostrata dal fatto che la testimonianza più efficace viene
data spesso proprio nel momento in cui il discepolo è privo di
aiuto, è più incapace di parlare o di agire, e tuttavia rimane
saldo nella fede. Come dice Paolo: “Mi vanterò quindi ben
volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di
Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi,
nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per
Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor
12,9-10). La testimonianza per mezzo della quale lo Spirito conduce
gli uomini e le donne alla conoscenza di Gesù come il Signore non
è una conquista umana, ma un frutto del lavoro di Dio stesso.
5. L’URGENZA DELL’ANNUNCIO
66. Il dovere dell’annuncio
Papa Paolo VI a detto nella
sua Esortazione “Evangelii Nuntiandi”: “La presentazione del
messaggio evangelico non è un fatto opzionale per la chiesa. E un
suo dovere, assegnato dal Signore Gesù, finalizzato alla fede e
alla salvezza degli uomini. Questo messaggio è veramente
necessario; è unico ed insostituibile; non ammette indifferenza,
sincretismo o compromesso, perché concerne la salvezza del genere
umano” (En 5). La sua urgenza è stata indicata da Paolo: “come
potranno quindi essere chiamati presso di Lui quanti a Lui non hanno
creduto? E come possono credere in Lui se non hanno mai sentito
parlare di Lui? E come sentiranno parlare di Lui se non vi è un
predicatore per loro? (...) Ma è in questo modo che la fede arriva,
tramite l’ascolto, e tramite l’ascolto della parola di Cristo”
(Rm 10,4 ss.). “Questa legge, stabilita un giorno dall’Apostolo
Paolo, mantiene al giorno d’oggi tutta la sua forza. (...) e
tramite l’ascolto della parola che si è guidati alla fede” (En
42). È opportuno ricordare anche queste altre parole di Paolo: “se
annuncio il Vangelo, non ho alcun motivo per vantarmi, poiché ho
una necessità che incombe: guai a me se io non annunciassi il
vangelo!” (2 Cor 9,16).
67. Annunciare la salvezza in
Gesù Cristo
L’annuncio è una risposta
all’aspirazione umana alla salvezza. “In ogni luogo in cui in
cui Dio apre le porte per la parola al fine di proclamare il mistero
di Cristo, il Dio vivente e Colui che Egli ha mandato per la
salvezza di tutti, Gesù Cristo, vengono fiduciosamente e
perseverantemente annunciati a tutti gli uomini. E ciò affinché i
non Cristiani, i cui cuori sono aperti allo Spirito Santo, possono,
credendo, essere liberamente orientati al Signore che - dal momento
che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) - soddisferà
tutte le loro speranze più profonde, se non addirittura le
sorpasserà” (Ag 13).
6. LE MODALITÀ DELL’ANNUNCIO
68. La guida dello Spirito
Proclamando il messaggio di
Dio in Gesù Cristo, la chiesa evangelizzatrice deve ricordare
sempre che il suo compito non è esercitato nel vuoto assoluto,
poiché lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, è presente e attivo
tra coloro che odono la Buona Novella ancor prima che l’azione
missionaria della chiesa sia operativa (cfr RH12; Dv 53). Essi
potrebbero in molti casi aver già implicitamente risposto all’offerta
della salvezza in Gesù Cristo data da Dio: un segno di ciò è la
pratica sincera delle proprie tradizioni religiose, nella misura in
cui esse contengono autentici valori religiosi. Essi potrebbero
essere già stati raggiunti dello Spirito e, in un certo qual modo,
potrebbero essere stati associati in maniera sconosciuta al mistero
pasquale di Gesù Cristo (cfr Gs 22).
69. Imparare ad annunciare
Consapevole di ciò che Dio ha
già compiuto in coloro a cui essa si rivolge, la chiesa si sforza
di scoprire il giusto modo di annunciare la Buona Novella, traendo
ispirazione dalla pedagogia divina. Ciò significa che essa apprende
da Gesù Cristo stesso e osservando i tempi che sono stati definiti
dallo Spirito. Gesù ha rivelato solo gradualmente a quanti lo
ascoltavano il significato del Regno, il piano di salvezza di Dio
realizzato nel Suo mistero. Solo gradualmente, e con infinita cura,
Egli ha svelato loro le implicazioni del Suo messaggio, la Sua
identità di Figlio di Dio, lo scandalo della Croce. Persino i suoi
discepoli più intimi, come attesta il vangelo, hanno raggiunto la
piena fede nel loro Maestro soltanto tramite la loro esperienza
pasquale e il dono dello Spirito. Coloro che desiderano diventare
discepoli di Gesù oggi passeranno attraverso lo stesso processo di
scoperta e di assunzione di responsabilità. Di conseguenza, l’annuncio
fatto dalla chiesa deve essere graduale e paziente, mantenendo il
passo di quanti accolgono il messaggio, rispettando la loro libertà
e financo la loro “lentezza nel credere” (En 79).
70. Le caratteristiche
specifiche del Vangelo
L’annuncio della Chiesa deve
essere caratterizzato altre qualità. Esso dev’essere:
1) fiducioso
nel potere dello Spirito e obbediente al mandato ricevuto dal
Signore (cfr. 1Tim 2,2; 2Cor 3,12; 2Cor 7,4; Fil 1,20; Ef 3,12; Ef
6, 19-20; At 4,13.29.31; At 9, 27-28, ecc.);
2) fedele
nella trasmissione dell’insegnamento ricevuto dal Cristo e
preservato della Chiesa, che è la depositaria della Buona Novella
che deve essere annunciata (cfr EN 15). “La fedeltà al
messaggio di cui noi siamo i servitori (....) è un punto cruciale
dell’annuncio” (EN 4). “L’evangelizzazione non è per
nessuno un atto individuale e isolato, bensì un atto profondamente
ecclesiale (EN 60);
3) umile,
nella consapevolezza del fatto che la pienezza della rivelazione
in Gesù Cristo è stata ricevuta come un dono gratuito (Ef 3,2),
e che gli annunciatori del Vangelo non vivono sempre pienamente
ciò che esso chiede;
4) rispettoso della
presenza e dell’azione dello Spirito di Dio nei cuori di coloro
che ascoltano il messaggio e nel riconoscere che lo Spirito è il
“principale agente di evangelizzazione” (EN 75);
5) dialogico,
Poiché nel contesto dell’annuncio chi ascolta la Parola non dev’essere
un ricettore passivo. Esiste un processo che va dai “semi del
Verbo” già presenti nell’ascoltatore al pieno mistero della
salvezza in Gesù Cristo. La Chiesa deve riconoscere un processo
di purificazione e illuminazione nel quale lo Spirito di Dio apre
la mente e il cuore di chi ascolta all’obbedienza della fede;
6) inculturato,
incarnato nella cultura e nella tradizione spirituale di coloro a
cui è rivolto, in modo tale che il messaggio non solo sia loro
comprensibile, ma risponda anche alle loro più profonde
aspirazioni e rappresenti veramente la Buona novella che essi
avevano atteso da tanto tempo. (cfr EN 20,62)
71. In stretta unione con
Cristo
Per conservare queste qualità
la Chiesa non deve soltanto tenere sempre a mente le circostanze
della vita e dell’esperienza religiosa di coloro cui si rivolge:
essa deve anche vivere in un dialogo costante col suo Signore e
Maestro tramite la preghiera e la penitenza, la meditazione e la
vita liturgica, e soprattutto nella celebrazione dell’Eucarestia.
Soltanto allora l’annuncio e la celebrazione del messaggio del
Vangelo divengono pienamente vivi.
7. Gli
ostacoli all’annuncio
72. Difficoltà dell’annuncio
L’annuncio della Buona
Novella effettuato dalla Chiesa richiede un grande impegno tanto da
parte della Chiesa evangelizzatrice e dei suoi membri impegnati nell’evangelizzazione,
quanto da parte di coloro che sono chiamati da Dio all’obbedienza
alla fede cristiana. Non è un obiettivo semplice. Menzioniamo qui
alcuni ostacoli principali che essa può incontrare.
73. Difficoltà interne
a) Può succedere che la
testimonianza cristiana non corrisponda al cred; si può avere un
divario tra parola e azione, tra il messaggio cristiano e il modo in
cui i cristiani lo vivono.
b) I cristiani possono fallire
nell’annuncio del Vangelo a causa della negligenza, del rispetto
umano o della vergogna che S. Paolo chiamava “arrossire per il
Vangelo”, oppure ancora a causa di idee sbagliate sul piano di
salvezza di Dio (cfr EN 80).
c) I cristiani che mancano di
accoglienza e rispetto nei confronti degli altri credenti e delle
loro tradizioni religiose sono mal preparati ad annunciare il
Vangelo.
d) In alcuni cristiani un
certo atteggiamento di superiorità, che si può mostrare a livello
culturale, può far sorgere l’equivoco che una cultura particolare
sia legata al messaggio cristiano e debba essere imposta ai
convertiti.
74. Difficoltà esterne
a) Il peso della storia
rende l’annuncio più difficile, poiché alcuni sistemi di
evangelizzazione nel passato hanno talvolta generato paura e
sospetti da parte dei seguaci di altre religioni.
b) I membri di altre
religioni possono temere che la missione evangelizzatrice della
Chiesa comporti la distruzione della loro religione e della loro
cultura.
c) Una diversa concezione
dei diritti umani o una mancanza di rispetto nei confronti di essi
può far scaturire l’effetto della mancanza di libertà
religiosa.
d) La persecuzione può
rendere l’annuncio della Chiesa particolarmente difficile o
quasi impossibile. Bisogna tuttavia ricordare che la Croce è una
fonte di vita; “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”.
e) L’identificazione di
una particolare religione con la cultura nazionale o con un
sistema politico crea un clima di intolleranza.
f) In alcuni luoghi, la
conversione è proibita dalla legge; in altri, i convertiti al
cristianesimo si scontrano con seri problemi, come l’ostracismo
dalle loro comunità religiose di origine o dal loro ambito
sociale e culturale.
g) In contesti pluralistici,
il pericolo dell’indifferenza, del relativismo o del sincretismo
religioso crea degli ostacoli all’annuncio del Vangelo.
8. L’ANNUNCIO NELLA MISSIONE
EVANGELIZZATRICE DELLA CHIESA
75. L’annuncio del fatto che
Gesù è il Figlio di Dio
La missione evangelizzatrice
della Chiesa è stata talvolta vista come un semplice invito a
diventare discepoli di Gesù all’interno della Chiesa.
Gradualmente ha cominciato poi a svilupparsi una più vasta
comprensione dell’evangelizzazione, all’interno della quale l’annuncio
del mistero di Cristo rimane tuttavia centrale. Il decreto del Concilio
Vaticano Secondo sull’Attività Missionaria della Chiesa, laddove
tratta dell’opera missionaria, menziona la solidarietà col genere
umano, il dialogo e la collaborazione prima di parlare della
testimonianza e della predicazione del Vangelo (cfr AG 11-13). Il
Sinodo dei Vescovi del 1974 e l’Esortazione Apostolica “Evangelii
Nuntiandi” che lo ha seguito hanno affrontato l’evangelizzazione
in maniera estesa. Nell’evangelizzazione l’intera persona dell’evangelizzatore
è coinvolta; le parole, le azioni, la testimonianza di vita (cfr EN
21-22). Analogamente, il suo direttivo si estende a tutto ciò che
riguarda l’uomo, poiché si sforza di trasformare la cultura umana
e le singole culture col potere del Vangelo (cfr EN 18-20). Papa
Paolo VI ha già espresso in maniera abbastanza chiara che l’evangelizzazione
sarà sempre necessaria, come fondamento, nucleo e vertice del suo
dinamismo, un annuncio chiaro del fatto che in Gesù Cristo, Il
Figlio di Dio fatto uomo, che è morto e risorto dai morti, la
salvezza viene offerta a tutti come dono dell’amore e della
misericordia di Dio (EN 27). È in questo spirito che il documento
del 1984 del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso
include l’annuncio tra i fattori costitutivi della missione
evangelizzatrice della Chiesa (19).
76. Il sacro dovere di
annunciare
È anche utile sottolineare
ancora una volta che annunciare il nome di Gesù ed esortare i
popoli a divenire suoi discepoli all’interno della Chiesa è un
dovere sacro e fondamentale che la Chiesa stessa non può
trascurare. L’evangelizzazione sarebbe incompleta senza di esso
(EN 22), poiché, senza questo elemento centrale, gli altri - pur
essendo in sé stessi forme genuine della missione della Chiesa -
perderebbero la loro coesione e la loro vitalità. È perciò
evidente come e perché, in situazioni nelle quali - per ragioni
politiche o di altra natura - l’annuncio in quanto tale è
praticamente possibile, la Chiesa sta già portando avanti la sua
missione evangelizzatrice non solo tramite la presenza e la
testimonianza ma anche per mezzo di attività come lo sforzo per una
promozione dello sviluppo umano integrale e per il dialogo. Dall’altro
lato, in quelle altre situazioni in cui le persone sono disposte ad
ascoltare il messaggio del Vangelo e hanno la possibilità di
metterlo in pratica, la Chiesa è assolutamente in dovere di
soddisfare pienamente le loro aspettative.
3. IL DIALOGO INTERRELIGIOSO E
L’ANNUNCIO torna
su
1. SONO CORRELATI MA NON INTERCAMBIABILI
77. La missione della Chiesa
Io dialogo interreligioso e l’annuncio,
anche se si situano su livelli diversi, sono entrambi elementi
autentici della missione evangelizzatrice della Chiesa. Sono
entrambi legittimi e necessari. Sono profondamente correlati, ma non
intercambiabili: il vero dialogo religioso presuppone, da parte dei
Cristiani, il desiderio di conoscere meglio, riconoscere e amare
Gesù Cristo; l’annuncio di Gesù Cristo deve essere portato
avanti nello spirito evangelico del dialogo. Le due attività
rimangono distinte, ma come mostra l’esperienza, la stesa Chiesa
locale o la stessa persona possono essere impegnate in entrambe in
maniera diversa.
78. Coscienza delle
circostanze contingenti
Concretamente, il modo in cui
viene realizzata la missione della Chiesa dipende dalle particolari
circostanze in cui si trova ciascuna Chiesa locale e ciascun
Cristiano. Essa implica sempre una certa sensibilità agli aspetti
sociali, culturali, religiosi e politici della situazione in cui ci
si trova, e anche l’attenzione ai “segni del tempi” tramite i
quali lo Spirito di Dio parla, insegna e guida. Questa sensibilità,
questa attenzione si sviluppa con uno spirito di dialogo. Essa
richiede un discernimento basato sulla preghiera e una riflessione
teologica sul significato del piano di Dio nelle diverse tradizioni
religiose e nell’esperienza di quanti si trovano trovano in esse
nutrimento spirituale.
2. LA CHIESA E LE RELIGIONI
79. L’universalità della
missione della Chiesa
Nel compiere la sua missione,
la Chiesa entra in contatto con persone di altre tradizioni
religiose. Alcune di esse diventano discepoli di Gesù Cristo nella
Sua Chiesa, come risultato di una profonda conversione e tramite una
libera decisione personale. Altre sono attratte dalla persona di
Gesù e dal suo messaggio, ma per varie ragione non entrano nell’ovile.
Altre ancora sembrano avere un interesse scarso o nullo nei
confronti di Gesù. Qualsiasi caso ci si trovi di fronte, la
missione della Chiesa si estende a tutti. Si può vedere come la
Chiesa possa avere un luogo profetico nel dialogo anche in relazione
alle religioni cui le persone alle quali essa si rivolge
appartengono: testimoniando i valori del Vangelo, essa fa nascere
degli interessi rogativi all’interno di queste religioni.
Analogamente, la Chiesa, dal momento che porta il marchio dei limiti
umani, si può trovare impegnata in una sfida. Così, nel promuovere
questi valori, in uno spirito e emulazione e di rispetto per il
Mistero di Dio, i membri della Chiesa e i fedeli di altre religioni
si trovano ad essere compagni di strada sul sentiero comune che l’umanità
è chiamata a percorrere. Al termine della giornata di preghiera,
digiuno e pellegrinaggio per la pace, svoltasi ad Assisi, Papa
Giovanni Paolo II ha detto: “Cerchiamo di vedere in questa
giornata un’anteprima di ciò a cui Dio vorrebbe che lo sviluppo
della storia dell’umanità porti: una giornata vissuta in
fraternità, nella quale ci accompagniamo gli uni agli altri fino
alla meta trascendente che Egli ha stabilito per noi” (20)
80. La via del dialogo
La Chiesa incoraggia e promuove
il dialogo non solo tra sé stessa e le altre tradizioni religiose, ma
anche quello tra le varie tradizioni religiose stesse. Questa è una
via nella quale essa svolge il suo ruolo come un "sacramento,
vale a dire uno strumento di comunione con Dio e di unità tra tutti i
popoli" (LG 1). Essa è esortata dallo Spirito a incoraggiare
tutte le istituzioni e i movimenti religiosi a incontrarsi, a entrare
in collaborazione e a purificare se stessi al fine di promuovere la
verità e la vita, la santità, la giustizia, l'amore e la pace, le
dimensioni di quel Regno che, alla fine dei tempi, Cristo
riconsegnerà a Suo Padre (cfr 1Cor 15,24). In questo modo il dialogo
interreligioso è veramente parte del dialogo di salvezza iniziato da
Dio (21).
3. ANNUNCIARE GESÙ CRISTO
81. Predicazione confessione
D'altro canto, l'annuncio mira a
guidare gli uomini e le donne alla conoscenza esplicita di ciò
che Dio ha fatto in Gesù Cristo e per tutti e a invitarli a diventare
discepoli di Gesù diventando membri della Chiesa. Quando la Chiesa,
in obbedienza al comandamento del Signore Risorto e alle istruzioni
dello Spirito, si mette al lavoro per realizzare l'obiettivo
dell'annuncio, lo deve fare spesso in una maniera progressiva. Bisogna
utilizzare il discernimento per vedere il grado di presenza di Dio
nella storia personale di ciascuno. I fedeli delle altre religioni -
come anche i Cristiani - possono scoprire che vi sono già molti
valori condivisi. Ciò può rappresentare una sfida che può essere
vissuta tramite la testimonianza della comunità cristiana o tramite
la professione di fede individuale, con la quale viene confessata
umilmente la piena identità di Gesù. Poi, quando i tempi sono
maturi, si può porre la domanda decisiva di Gesù: "Chi dite voi
che io sia?". La vera risposta a questa domanda può venire solo
dalla fede. La predicazione e la confessione, su ispirazione della
Grazia, che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio Padre, il Signore
Risorto e il Redentore, costituisce la fase finale dell'annuncio. Chi
professa liberamente questa fede è invitato a divenire un discepolo
di Gesù all'interno della sua Chiesa e di assumere un ruolo
responsabile nella missione di quest'ultima.
4. L'IMPEGNO NELL'UNICA
MISSIONE
82. Coinvolgimento personale
Tutti i cristiani sono chiamati
a lasciarsi coinvolgere personalmente nelle due modalità di portare
avanti l'unica missione della Chiesa: queste due modalità sono
l'annuncio e il dialogo. Il modo in cui essi si lasceranno coinvolgere
dipende dalle circostanze e anche dal loro grado di preparazione. I
cristiani devono però tenere sempre a mente che il dialogo - come è
già stato detto - non costituisce da solo l'intera missione della
Chiesa e che esso non può rimpiazzare l'annuncio, ma rimane orientato
verso l'annuncio man mano che il processo dinamico della missione
evangelizzatrice della Chiesa raggiunge in esso il suo apice e la sua
pienezza. Quando si impegneranno nel dialogo interreligioso, essi
scopriranno i "semi del Verbo" piantati nei cuori degli
uomini e delle donne e nelle tradizioni religiose cui appartengono.
Approfondendo il loro apprezzamento del mistero di Cristo, saranno in
grado di discernere i valori positivi nella ricerca umana del Dio
sconosciuto o non completamente conosciuto. Attraverso le varie fasi
del dialogo, le due parti sentiranno una grande necessità di dare e
ricevere informazioni e spiegazioni, di fare domande gli uni agli
altri. I Cristiani hanno il dovere di fornire alle persone con cui
sono in dialogo delle risposte soddisfacenti a proposito dei contenuti
della fede cristiana, di rendere testimonianza a questa fede quando
ciò è loro richiesto, di rendere conto della loro speranza (1Pt
3,15). Per poter essere in grado di far questo, i Cristiani devono
approfondire la loro fede, purificare i loro sentimenti, rendere
chiaro il proprio linguaggio e rendere la propria fede sempre più
autentica.
83. Amore e condivisione
All'interno di questo approccio
dialogico, come potremmo non sperare e desiderare di condividere con
gli altri la loro gioia nel conoscere e nel seguire Gesù Cristo,
Signore e Redentore? Siamo qui al cuore del mistero dell'amore. Dal
momento che la Chiesa e i Cristiani hanno un profondo amore per il
Signore Gesù, il desiderio di condividere la Sua persona con gli
altri non è motivato semplicemente dall'obbedienza al comandamento
del Signore, ma da questo stesso amore. Non dovrebbe essere
sorprendente, ma piuttosto normale, il fatto che i seguaci di altre
religioni desiderino anch'essi condividere sinceramente la loro fede.
L'intero dialogo implica reciprocità e mira a bandire la paura e
l'aggressività.
84. Le istruzioni dello
Spirito Santo
I Cristiani devono essere sempre
coscienti dell'influsso dello Spirito Santo ed essere pronti a seguire
il suo impulso in qualsiasi luogo, stabilito dalla Provvidenza e dal
disegno di Dio, li sta guidando. È lo Spirito che guida la missione
evangelizzatrice della Chiesa. Spetta allo Spirito ispirare tanto
l'annuncio della Chiesa quando l'obbedienza della fede. Spetta invece
a noi essere attenti alle istruzioni dello Spirito. Che l'annuncio sia
possibile o no, la Chiesa persegue la sua missione nel pieno rispetto
della libertà, tramite il dialogo interreligioso, la testimonianza e
la condivisione dei valori del Vangelo. In questo modo, le parti
coinvolte nel dialogo procedono in sintonia con la chiamata divina di
cui essi sono coscienti. Tutti, sia i Cristiani che i seguaci di altre
tradizioni religiose, sono invitati ad entrare da Dio stesso nel
mistero della Sua pazienza nei confronti degli esseri umani che
cercano la Sua luce e la verità. Solo Dio conosce i tempi e le fasi
del compimento di questa lunga ricerca umana.
5. GESÙ NOSTRO MODELLO
85. L'esempio di Gesù
È in questo clima di attesa e
di ascolto che la Chiesa e i Cristiani affrontano l'annuncio e il
dialogo interreligioso con un vero spirito evangelico. Essi sono
consapevoli del fatto che "tutto concorre al bene di coloro che
amano Dio" (Rm 8,28). Per mezzo della Grazia essi sono arrivati a
sapere che Dio è Padre di tutti e che Egli si è rivelato in Gesù
Cristo. Non è forse proprio Gesù il loro modello e la loro guida
nell'impegno nell'annuncio e nel dialogo? Non è forse Egli il solo
che possa ancora oggi dire a una persona sinceramente religiosa:
"Non sei lontano dal Regno di Dio" (Mc 12,34)?
86. Intimamente uniti a
Cristo
I Cristiani non devono soltanto
imitare Gesù, ma devono anche essere strettamente uniti a Lui. Egli
ha invitato i Suoi discepoli e amici a unirsi a Lui nella sua unica
offerta per la salvezza di tutta l'umanità. Il pane e il vino per i
quali Egli ha reso grazie simbolizzavano l'intera creazione, e sono
diventati il Suo corpo "dato" e il Suo sangue "versato
per il perdono dei peccati". Tramite il ministro della Chiesa,
l'unica Eucaristia viene offerta da Gesù in ogni tempo e in ogni
luogo, a partire dall'epoca della Sua passione, morte e resurrezione a
Gerusalemme. È lì che i Cristiani si uniscono al Cristo nella Sua
offerta che "porta la salvezza a tutto il mondo. (Preghiera
Eucaristica IV). Siffatta preghiera è gradita a Dio, che
"desidera che tutti gli uomini siano salvati e pervengano alla
conoscenza della verità" (1Tim 2,4). Così essi rendono grazie
per "tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onorabile, tutto
ciò che è giusto e puro, tutto ciò che noi amiamo e ammiriamo,
tutto ciò che è buono e degno di fede (Fil 4,8). Qui essi disegnano
la traccia della Grazia, per essere in grado di leggere i segni della
presenza dello Spirito e per riconoscere il tempo opportuno e il
giusto modo di annunciare Gesù Cristo.
CONCLUSIONE
87. Una speciale attenzione per ogni religione
L'intento di queste riflessioni sul dialogo
interreligioso e sull'annuncio è stato quello di fornire alcune
chiarificazioni basilari. Tuttavia, è importante ricordare che le
varie religioni differiscono l'una dall'altra. Pertanto, bisogna
rivolgere una particolare attenzione alle relazioni con i seguaci di
ciascuna religione.
88. Studi specifici sulle relazioni tra il dialogo
e l'annuncio
È anche opportuno che vengano affrontati gli studi
specifici sulle relazioni tra il dialogo e l'annuncio, che prendano in
considerazione ogni religione all'interno della sua area geografica e
del suo contesto socio- culturale. la Conferenza Episcopale potrebbe
affidare tali studi a commissioni appropriate e ad Istituti teologici
e pastorali. Alla luce dei risultati di questi studi, questi istituti
potrebbero anche organizzare corsi speciali e sessioni di studio
finalizzati a formare le persone al dialogo e all'annuncio. Bisogna
rivolgere un'attenzione particolare ai giovani che vivono in un
ambiente pluralistico, che incontrano seguaci di altre religioni a
scuola, sul lavoro, nei movimenti giovanili, nelle associazioni di
altro tipo o persino nelle loro stesse famiglie.
89. La necessità della preghiera
Il dialogo e l'annuncio sono degli obiettivi difficili
ma assolutamente necessari. Tutti i Cristiani, in base alla loro
situazione, devono essere incoraggiati a equipaggiarsi per poter
meglio affrontare questo difficile impegno. Ancor più che obiettivi
da raggiungere, il dialogo e l'annuncio sono delle grazie che devono
essere ricercate nella preghiera. Che tutti implorino continuamente
l'aiuto dello Spirito Santo in modo tale che Egli possa essere
"il divino ispiratore dei loro piani, delle loro iniziative e
delle loro attività di evangelizzazione (EN 75) !
Roma 19 maggio 1991
(1)
Documento congiunto del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, Roma,
19 Maggio 1991; OR. 21 giugno 1991.
(2) L'atteggiamento della Chiesa
nei confronti dei seguaci delle altre religioni: Riflessioni e Orientamenti su Dialogo e Missione, AAS
75 [1984], pp. 816-828; anche Bollettino del Segretariato per i
non-Cristiani 56 (1984/2), No. 13. (This document will be referred to
henceforth as DM).
(3) Insegnamenti 1986, IX/2, pp. 1249-1273; 2019-2029.
Cf. Bollettino
No. 64 (1987/1), contenente tutti i discorsi del Papa prima, durante il
giorno di preghiera in Assisi.
(4) Insegnamenti 1987, X/1, pp. 1449-1452.
Cf. Bollettino
No. 66 (1987/3), pp. 223-225.
(5) Guidelines on Dialogue with People of Living Faith and
Ideologies, World Council of Churches, Geneva 1979; "Mission
and Evangelism - an Ecumenical Affirmation", in International
Review of Mission 71 (1982), pp. 427-451.
(6) DM 3.
(7) DM 37.
(8) Poiché il patrimonio spirituale
comune a Cristiani ed Ebrei è molto grande (NA 4), il dialogo tra
Cristiani ed Ebrei ha le sue proprie peculiarità. Esse non sono
affrontate in questo documento. Per una completa trattazione, cf. Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei, Guidelines
on Religious Relations with Jews, 1 Dicembre 1974 (in Austin P.
Flannery, O.P., ed. Documents of Vatican II, 1984, pp. 743-749);
"Sussidi per una Corretta Presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo
nella predicazione e nella catechesi cattolica", 24 giugno 1985, in Origins vol. 15,
No. 2 (4 luglio 1985), pp. 102-107.
(9) La questione dei Nuovi Movimenti
Religiosi è stata trattata nel recente documento pubblicato in
collaborazione dai seguenti Consigli Pontifici: PC per la Promozione
dell'Unità dei Cristiani, PC per il Dialogo Interreligioso, PC per il
Dialogo con i Non-Credenti e PC per la Cultura. Il testo completo può
essere trovato in Origins vol. 16, No. 1 (22 maggio 1986);
l'originale Francese in La Documentation Catholique, No. 1919
(1 giugno 1986).
(10) Giustino parla dei "semi"
piantati dal Logos
nelle tradizioni religiose. Attraverso l'incarnazione la manifestazione
del Logos diviene completa (1 Rv 46:1-4; 2 Rv
8:1; 10:1-3; 13:4-6). Per Ireneo, il Figlio, la manifestazione visibile
del Padre, si è rivelato all'umanità "fin dal principio";
mentre l'incarnazione porta con sé qualcosa di interamente nuovo (Adv. Haer.,
4,6,5-7; 4.7,2; 4,20,6-7). Clemente di Alessandria afferma che la "filosofia"
è stata donata ai Greci da Dio come un "patto", come una "pietra
miliare per la filosofia che è in accordo con Cristo," come un "maestro
di scuola" che conduce a sé la mente degli Ellenisti (Stromata, 1,5; 6.8; 7,2).
(11) Adv. Haer., 3,11,8.
(12) Retract., 1,13,3; cf. Enarr. in Ps. 118 (Sermo
29,9), 142,3.
(13) Insegnamenti 1986, IX/2, pp. 2019-2029; OR.EE. 5
gennaio 1987.
(14) Giovanni Paolo II, Ai
vescovi indiani in visita "ad limina" (13 Aprile 1989); Insegnamenti 1989, XII/1, pp. 802 -
804.
(15) Insegnamenti 1984, VII/1, pp. 595-599.
(16) DM 37.
(17) Cf. DM 28-35.
(18) Nella Chiesa primitiva, Il Regno
di Dio è identificato col Regno di Cristo (cf. Ep 5:5; Rv 11:15; 12:10).
Vedi anche Origene,
in Mt 14:7; Hom. in Lk 36, in cui chiama Cristo autobasileia, e Tertulliano, Adv. Marc. IV, 33,8: "In
evangelio est Dei Regnum, Christus ipse". Sulla corretta
comprensione del termine "regno", vedi la relazione della
Commissione Teologica Internazionale (8 Ottobre 1985): Temi Scelti di
Ecclesiologia, No. 10,3.
(19) DM 13.
(20) Insegnamenti 1986, IX/2, p. 1262.
(21) Cf. Ecclesiam Suam, ch.
III; cf. anche Insegnamenti
1984, VII/1, p. 598.
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Traduzione dall'originale inglese per InternEtica di Antonio
Marcantonio
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