Dialogo della carità e grande giubileo
     Il richiamo alla riconciliazione tra cristiani

 

 

Riferendosi alle divisioni tra i cristiani e alle tensioni etnico-politiche, ed anche ai conflitti armati in Europa, il Santo Padre Giovanni Paolo II, all'Angelus della Domenica, vigilia dell'apertura della II Assemblea Ecumenica Europea di Graz (23-30 giugno), ha proposto queste positive considerazioni. «In questo contesto, si pone con particolare urgenza il richiamo alla riconciliazione tra i cristiani. Il movimento ecumenico, per grazia di Dio ha dato benefici frutti; ha creato una situazione nuova tra i discepoli di Cristo. Vi sono però problemi ancora aperti e talvolta insorgono sconvolgimenti inattesi, nascono timori nuovi, serpeggiano inconsce paure. L'Assemblea di Graz per l'Europa, con il suo programma di incontro, di scambio e di preghiera, intende rinsaldare il dialogo della carità, il solo veramente capace di promuovere anche il dialogo teologico, che ha davanti a sé un percorso ancora molto impegnativo» (L'Osservatore Romano, 22-23 giugno 1997).

Il tema dell'Assemblea è stato: "La riconciliazione, dono di Dio e fonte di vita nuova". Esso si apriva su una vasta gamma di aspetti che comprendevano: la riconciliazione e l'unità visibile dei cristiani, la riconciliazione dei popoli, le culture, i conflitti sociali, i rapporti uomo-donna, le relazioni tra cristiani ed ebrei. A parte il discorso teologico generale, è da tenere presente che anche gli ebrei hanno contribuito alla formazione della cultura europea. Questo ampio spettro di problematica dava adito a fare discorsi talvolta convergenti, ma spesso contrastanti. In effetti è la realtà stessa che è complessa e densa di opzioni differenti. Il tema della riconciliazione era stato scelto a ragion veduta, come esigenza attuale della situazione concreta, in particolare dopo le tensioni emerse in seguito alla caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell'Est Europeo.

Base teologica dell'Assemblea

Questa II Assemblea Ecumenica Europea si teneva a 50 anni dalla creazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (1948 – 1997), a quasi 40 dalla creazione dell'Associazione ( - in seguito, 1964 – Conferenza delle Chiese Europee) e a oltre 30 anni dal Concilio Vaticano II (1965 – 1997). L'attività di questi organismi ha messo in contatto anche i cristiani d'Europa in una fitta rete di dialoghi. La Chiesa cattolica è impegnata in un dialogo teologico che abbraccia tutte le Chiese sia di Oriente che di Occidente. Già dal 1965, appena concluso il Concilio Vaticano II, è stato costituito il Gruppo Misto di Lavoro con il Consiglio Ecumenico delle Chiese, che ha assicurato una variegata cooperazione in diversi campi ed in particolare in quello della Commissione dottrinale "Fede e Costituzione" e nella promozione congiunta dal 1968 in poi della preghiera per l'unità dei cristiani. Questa iniziativa ha fatto da battistrada alla creazione di diverse commissioni miste per i dialoghi bilaterali con le singole Comunioni Cristiane Mondiali.

  • Con la Comunione Anglicana (1966);

  • Con la Federazione Luterana Mondiale (1967);

  • Con l'Alleanza Riformata Mondiale (1970);

  • Con il Consiglio Mondiale Metodista (1967);

  • Con movimenti internazionali pentecostali (1972);

  • Con la Chiesa copta ortodossa (1973);

  • Con i Discepoli di Cristo (1977);

  • Con gli Evangelicals (1977);

  • Con tutte le Chiese ortodosse insieme (1980);

  • Con l'Allenza Mondiale Battista (1984);

  • Con la Chiesa Sira dell'India (1989).

Accanto a questi dialoghi in cui è impegnata la Chiesa cattolica vi è un'altra rete di dialoghi in cui sono impegnati gli altri cristiani tra loro, così:

  • Il dialogo anglicano-luterano (1970);

  • Il dialogo anglicano-ortodosso (1966);

  • Il dialogo anglicano-Antiche Chiese d'Oriente (1990);

  • Il dialogo battista-luterano (1966);

  • Il dialogo battista-Chiese riformate (1973);

  • Il dialogo luterano-ortodosso (1978);

  • Il dialogo metodista-riformato (1985);

  • Il dialogo fra Vecchio cattolici e Ortodossi (1975);

  • Il dialogo fra Ortodossi e Precalcedonesi (1989);

  • Il dialogo fra Ortodossi e Riformati.

Ai dialoghi internazionali, che influiscono direttamente anche in Europa, va aggiunto il lavoro perseverante della Conferenza delle Chiese Europee che raggruppa le Chiese ortodosse, anglicane e protestanti di Europa e la sua cooperazione con il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, dall'incontro di Chantilly (Francia, 1978) ad oggi.

L'insieme di questi dialoghi ha creato una situazione nuova tra i cristiani e ha dato ai contatti e alle manifestazioni ecumeniche la solida base della fede comune riscoperta e riaffermata. Questa fede comune è parziale e perciò ancora non vi è piena comunione di fede, per cui il problema ecumenico resta aperto e, secondo la parola del Papa, "ha davanti a sé un percorso ancora molto impegnativo". Tuttavia, la fede comune esistente ha dato alle relazioni tra i cristiani una piattaforma consistente, per intensificare il dialogo, per fondare la preghiera comune, per giustificare una cooperazione che può assumere la qualità di testimonianza comune. «Frutto prezioso delle relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono è la crescita di comunione» (Enciclica Ut Unum Sint, 49). È proprio su questa accresciuta comunione che si è potuta fondare l'assemblea di Graz.

Ecumenismo di popolo

Questa espressione "ecumenismo di popolo" è stata dominante nell'assemblea di Graz. E forse essa esprimeva la vera natura dell'Assemblea. Certamente erano presenti eminenti pastori – come il patriarca di Mosca Alessio II, il catolikos degli armeni Karekin I, i cardinali Martini, Volk e Cassidy, o l'Arcivescovo anglicano di Canterbury Carey – che hanno dato temi di discussione ed orientamenti con i loro interventi, ma la grande maggioranza erano laici, uomini e donne, sensibili e impegnati nel problema ecumenico. Naturalmente l'insieme, pastori e semplici fedeli, costituivano popolo di Dio. Ma l'espressione "ecumenismo di popolo" forse voleva dire, un ecumenismo vissuto, sperimentato, provato e sentito nella comunione esistente, nell'incontro fraterno, nella preghiera comune, nei progetti rivolti all'avvenire. Si raggiungeva qui una intuizione sempre valida del decreto conciliare sull'ecumenismo, che affermava: «la cura di ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, ed ognuno secondo le proprie capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno, quanto negli studi teologici e storici» (UR. 5). Certamente questa espressione non poteva intendere un ecumenismo contrapposto a quello dei dialoghi teologici veri e propri che restano indispensabili per risolvere il problema delle divergenze, il vero problema ecumenico. L'espressione voleva intendere il necessario coinvolgimento nella ricerca ecumenica dell'intero popolo di Dio.

Questa espressione portava in un contesto reale un orientamento dato da Giovanni Paolo II nell'Enciclica sull'impegno ecumenico: «Mentre prosegue il dialogo su nuove tematiche – egli scriveva – o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati finora raggiunti. Essi non possono rimanere affermazioni delle commissioni bilaterali, ma debbono diventare patrimonio comune. Perché ciò avvenga e si rafforzino così i legami di comunione, occorre un serio esame che, in forme e modi e competenze diverse, deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme» (Ut Unum Sint, 80). "Ecumenismo di popolo" non può significare una ricerca dell'unità al di fuori dei criteri teologici e neanche accomodarsi ad una situazione "come se" le divergenze non esistessero più. Al contrario l'assemblea di Graz nel suo messaggio conclusivo dichiara: «Il dono della riconciliazione in Cristo ci spinge ad impegnarci nell'instancabile sforzo per il raggiungimento di una unità visibile».

Dialogo della carità

A Graz si sono, naturalmente manifestate, varie e profonde tensioni nelle discussioni nelle assemblee; ma anche al di fuori delle assemblea si sono verificati degli episodi di un certo peso nelle relazioni ecumeniche. Il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I ha rinunciato a recarsi all'assemblea di Graz, benché il suo intervento era previsto da tempo; il Patriarca di Mosca Alessio II, su decisione del Sinodo non ha potuto incontrare il Santo Padre, benché questo incontro - egli ha dichiarato - «era desiderato»; il Patriarcato Ecumenico ha considerato che quest'anno non era possibile «che il Patriarcato sia rappresentato alla festa dei SS Pietro e Paolo» a Roma, benché si era ormai instaurata una vera tradizione da oltre 20 anni. Inoltre nella stessa Assemblea di Graz si sono levate forti proteste contro il "proselitismo" senza le necessarie ed adeguate distinzioni. Tutto ciò insieme ed assieme ad altri elementi, manifesta un sicuro disagio nel campo ecumenico.

Sono residui lasciati dalla caduta dei regimi comunisti? Sono insorgenze di "nuovi timori" o espressioni di "inconsce paure", come diceva Giovanni Paolo II? Oppure sono indizi di vere inadempienze nelle relazioni fraterne tra le Chiese?

A Graz si è parlato molto della necessità di una spiritualità ecumenica. L'espressione usata da Chiara Lubich nel suo intervento è entrata in molti discorsi. Ciò mostra che si constatava una vera esigenza.

Il decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II era stato categorico al proposito. Affermava: «Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione, poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità» (UR. 8). A Graz questa esigenza è apparsa in tutta la sua utilità. Circolavano parole che non sempre si capivano nello stesso modo, parole che per chi le pronunciava significavano un diritto, per gli altri la violazione di un altro diritto. Circolavano parole con restrizioni mentali o con allusioni malevoli. Il decreto sull'ecumenismo nel capitolo riguardante l'esercizio sull'ecumenismo citava questo consiglio di S. Paolo: «Vi scongiuro di portarvi in modo degno della vocazione, a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e dolcezza, con longanimità, sopportandovi l'un l'altro con amore, e studiandovi di conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace» (Eph. 4, 1-3).

Quando si è trattato di studiare se e come aprire il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, le conferenze pan-ortodosse di Rodi hanno proposto che si dovesse preparare gli spiriti. In questa prospettiva ciascuna Chiesa poteva avere rapporti di fraternità con la Chiesa cattolica. Il patriarca ecumenico Athenagoras I di Costantinopoli propose quel processo noto come "dialogo della carità" . Egli si basava sull'invito del diacono nella liturgia bizantina che introduce il segno di pace e la recita della professione di fede con questa esortazione: «Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito professiamo la nostra fede». Per poter fare la professione di fede - in campo ecumenico, per poter fare una professione di fede comune ed eventualmente raggiungerla se non si ha una piena comunione di fede, come è il caso - occorre instaurare una situazione carità reciproca. In effetti è stato questo processo che ha avuto manifestazioni e gesti densi non soltanto di carità, ma anche di valore teologico. È stato possibile così aprire il dialogo fra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse insieme Avvenimento assolutamente inedito.

Nell'incontro di Gerusalemme con il Patriarca Athenagoras (6 gennaio 1964) riferendosi al futuro necessario dialogo teologico Papa Paolo VI diceva: «Ciò che può e deve progredire sin da ora, è la carità fraterna, ingegnosa a trovare nuovi modi per manifestarsi; una carità che, traendo lezioni dal passato, sia pronta a perdonare, inclina a credere più volentieri al bene che al male, attenta innanzitutto a conformarsi al divin Maestro e di lasciarsi attirare e trasformare da lui» (Tomo Agapis, n.49).

Il dialogo della carità è denso di possibilità. Purifica l'occhio, il cuore e la parola. Fa vedere in modo nuovo, fa sentire le vere motivazioni del prossimo e trasmette pensieri trasparenti, comprensibili anche quando non sono accettabili. È questa la vera condizione del dialogo.

Il dialogo della carità ha molte dimensioni di cui tre sono primarie. Aiuta la purificazione della memoria storica con animo disposto al perdono e alla comprensione degli altri. A questo proposito l'appello di Graz dichiara l'impegno "a iniziare un processo di risanamento delle memorie". La seconda dimensione è proprio l'amore reciproco come realizzazione del "comandamento nuovo" lasciato da Gesù Cristo ai suoi discepoli e amarsi l'un l'altro. E ciò manifesta che essi veramente sono suoi discepoli. Infine la carità non è ipocrita, ama la verità. Essa diventa così la vera molla del movimento ecumenico, della ricerca cioè della piena unità nella unità di fede.

Le espressioni di malessere manifestate negli ultimi anni del movimento ecumenico forse mettono in rilievo che occorre un rilancio del dialogo della carità, una maggiore riflessione sulle dimensioni spirituali del rapporto fra i cristiani e fra le Chiese. Forse occorre anche una purificazione dell'idea di ecumenismo che si va diffondendo, allontanandosi sempre più dagli orientamenti e dalle esigenze espresse nel decreto sull'ecumenismo e, particolarmente ricordati dal Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo e, in particolare, dall'enciclica Ut Unum Sint.

La lettera Tertio Millennio Adveniente esprime un orientamento proprio in questo senso, con il suo invito all'esame di coscienza, al pentimento, al perdono, alla preghiera, alla considerazione sostanziale dei valori cristiani presenti ed attivi tra gli altri cristiani, alla preparazione di un incontro pan-cristiano in cui si possa dichiarare la comune fede in Gesù Cristo Signore e Salvatore del mondo.

Osservazione

In tale situazione e prospettiva il dialogo della carità ha un ruolo permanente tra i cristiani. Solo se sostanziato dalla carità il dialogo teologico potrà essere strumento di comunicazione e veicolo vero scambio tanto da assicurare una trasparenza di fede.

Eleuterio F. Fortino

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