Tutto è stato vissuto, detto e scritto sui conflitti che ancora oggi insanguinano il
mondo. L'essenziale lo esprime la Bibbia nella descrizione del primo delitto, quello di
Caino che uccide Abele (Genesi 4,8). Abele e Caino sono fratelli. Uno è pastore, l'altro
agricoltore. Essi non accettano la loro diversità. Sono lacerati dalla gelosia fino al
delitto. Data l'unità della razza umana, nata da un'unica coppia - Adamo ed Eva -, tutti
gli umani sono necessariamente fratelli. Ogni omicidio è un fratricidio.
Si apre così la via al primo e al più difficile dovere dell'uomo o della donna: quello
di accettare la propria differenza, origine di tutti i conflitti e di tutte le guerre. Il
dialogo è possibile solo nell'accettazione primaria delle differenze dell'Altro. Io posso
conoscere l'Altro e dialogare con lui solo nella misura in cui conosco e accetto la sua
differenza, quella della sua persona, del colore della sua pelle, della sua razza, della
sua lingua, della sua cultura, della sua religione, del suo carattere.
Il primo dovere dell'uomo nuovo sarà perciò di vincere l'infermità congenita che lo
porta a rinchiudersi in se stesso nell'illusione di essere il centro e la misura unica
dell'universo. Questa illusione ingenera tutti i conflitti tribali, nazionali,
internazionali e, cosa forse ancor più grave, le guerre di religione che hanno
insanguinato e seguitano a insanguinare il pianeta.
La loro estrema gravità deriva dal fatto che sono condotte nel nome di Dio. Si può
venire a patti su interessi umani. Gli interessi di Dio non si contrattano. Di qui il
carattere implacabile delle guerre di religione. Esse imperversano tuttora in ogni
continente così come hanno imperversato in ogni secolo. Le peggiori sono probabilmente
quelle che hanno contrapposto le religioni abramiche: giudaismo, cristianesimo e islam.
Queste religioni adorano il medesimo Elohim. I loro testi sacri sono la Bibbia ebraica, il
Nuovo Testamento e il Corano, che proclamano i medesimi valori di amore, giustizia e
fratellanza universale annunciati dai medesimi profeti.
Ho sempre provato un senso di stupore e ribellione nei confronti dei conflitti nati dallo
scontro di queste tre religioni, sorelle nemiche, che perpetuavano le loro guerre
fratricide su qualunque frontiera e in qualunque secolo s'incontrassero. Ai loro occhi, i
conflitti avevano cause tanto più irrefutabili quanto più erano inscindibili dalla loro
identità. Per gli ebrei i conflitti, connaturati alla loro stessa identità, cominciano
fin dai tempi più remoti e sono legati agli esili subiti.
Il regno d'Israele, distrutto dagli assiri nel 721 a.C., e il regno di Giudea, occupato
dai babilonesi nel 586 a.C., costringono gli ebrei a imboccare la via senza fine
dell'esilio, fino a quando i romani occupano il loro Paese nell'anno 63 prima dell'era
cristiana e distruggono Gerusalemme nell'anno 70 della nostra era. In quell'occasione
crocifiggono, secondo Tacito, circa 600 mila vittime e costringono i superstiti della
guerra di Roma ad abbandonare il loro Paese conquistato per imboccare la via senza fine
dell'esilio. Per salvaguardare le vestigia della propria identità perduta, gli ebrei non
hanno altra scelta che quella di barricarsi nei loro ghetti. Lì riusciranno a
salvaguardare la memoria della loro storia, i loro scritti, la loro lingua e i sogni dei
loro profeti, tramandati nella Bibbia ebraica.
Il ritorno, pressoché contemporaneo, dei peggiori massacri della storia, quelli delle
ultime due guerre mondiali, avviene nelle nostre generazioni, sotto i nostri occhi,
nell'epoca dei mutamenti più radicali dell'umanità. Essa scopre con orrore i crimini, le
omissioni e gli errori di cui si è resa colpevole e, contemporaneamente, la portata del
suo genio che è in grado di penetrare i più reconditi segreti dell'infinitamente grande
e dell'infinitamente piccolo.
Dipende dalla scelta di ognuno di noi se orientare il nostro futuro globale verso le
distruzioni che minacciano il pianeta, oppure verso l'infinito di un nuovo futuro che il
genio dell'uomo dischiude all'umanità. L'ostacolo più arduo su questa via d'innovazione
consiste per l'uomo nel consentire il sacrificio della propria identità, senza il quale
nessun futuro sarebbe per lui possibile sulla terra.
Paradossalmente le stesse religioni che sono all'origine dei peggiori conflitti della
storia detengono anche, nei Dieci Comandamenti, la chiave del futuro. Esse sono unanimi
nell'indicare questo testo come essenziale per il futuro dell'umanità, soprattutto in
questo anno 2000, proclamato anno internazionale della pace dalle Nazioni Unite, che su
iniziativa dell'Unesco hanno redatto un manifesto che sollecita tutti i Paesi del mondo ad
aderire al Mouvement international pour la culture de la paix et de la non-violence,
e ognuno di noi cittadini ad assumere nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro,
nella nostra comunità, nel nostro Paese, l'impegno di: rispettare la vita, in
particolare quella di qualunque persona senza discriminazioni né pregiudizi; respingere
la violenza, fisica, sessuale e psicologica in particolare; liberare la nostra
generosità; ascoltare per comprendere meglio; preservare il pianeta,
difendendo l'equilibrio delle sue risorse naturali; reinventare la solidarietà.
A questi sei principi proclamati dal Manifesto dell'anno 2000 aggiungo una settima
raccomandazione, invitando tutti coloro che si rifanno alla Torah, ai Vangeli o al Corano,
a eliminare ogni reciproca barriera di misconoscimento e di odio. Cristiani, musulmani ed
ebrei devono ritenersi particolarmente responsabili di questo Manifesto, che in ogni sua
parte è implicito nel Decalogo.
Il nostro sogno, quello dei profeti di Israele, degli apostoli di Gesù Cristo, dei
compagni di Muhammad, come pure dei fondatori delle Nazioni Unite, diventa ai giorni
nostri un'esigenza politica. Essa condiziona non solo la sopravvivenza dell'umanità, ma
anche quella del pianeta stesso, minacciato dalla corsa agli armamenti da parte di tutti i
governi del mondo. In questo senso le religioni, che hanno agito da potente freno,
potrebbero, con la loro riconciliazione e riunione, accelerare il cammino dell'umanità
verso l'adempimento della sua unità originaria.
Un primo passo in questa direzione è stato compiuto durante lo storico pellegrinaggio di
papa Giovanni Paolo II a Gerusalemme, in occasione della sua preghiera ai piedi del muro
del pianto. L'ulivo della pace, piantato a Gerusalemme da un ebreo, un musulmano e dal
Papa stesso, apre la prospettiva nuova di una sinergia fra le tre religioni un tempo
concorrenti.
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