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L’ebraicità di Gesù
La madre di Gesù è una
giovane ebrea, figlia di genitori ebrei che osservano gli insegnamenti
della legge mosaica e partecipano al culto divino. Giuseppe, lo sposo di
Maria, è un ebreo della stirpe di Davide. Gesù è quindi nato in una
famiglia di ebrei osservanti ed è nato a Betlemme di Giudea, come
aveva predetto il profeta Michea (5,1).
Il fatto che Gesù
appartenga al popolo ebraico non è marginale, ma è essenziale, perché
“Israele è il popolo sacerdotale di Dio, colui che ‘porta il Nome del
Signore’. È il popolo di coloro a cui Dio ha parlato quale
primogenito” e al quale Egli ha rivelato il suo disegno di redenzione
per tutta l’umanità.
Ad Israele Dio ha donato la
Torah, la sua Parola viva ed eterna che i Maestri ebrei definiscono il “bacio”
di Dio agli uomini. Con Israele Dio ha stretto un’Alleanza perenne. “Voi
siete miei testimoni, miei servi, che io mi sono scelto perché mi
conosciate e crediate in me…Io, io sono il Signore, fuori di me non v’è
Salvatore” (Is 43,10-11).
La professione di fede che
gli ebrei fanno due volte al giorno, lo Shemà, così recita: “Adonaj
è il nostro Dio. Adonai è unico!”.
Adonaj è il Dio unico di
Israele! Egli è il Dio dei Patriarchi, il Dio dei Profeti, il Dio dell’ebreo
Gesù.
L’evangelista Matteo
ritiene così importanti le origini ebraiche di Gesù da iniziare il suo
Vangelo con la “Genealogia di Gesù Cristo (= Unto, Messia) figlio di
Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe,
Giacobbe generò Giuda…”, e così fino ad arrivare a Giuseppe, sposo
di Maria, dalla quale è nato Gesù.
Sempre Matteo, al capitolo
2 del suo Vangelo, narra che Gesù è ritenuto dai Magi il re dei Giudei:
“Nato Gesù, al tempo del re Erode, alcuni Magi giunsero da oriente a
Gerusalemme e domandavano: Dov’è il re dei Giudei che è nato?
” (Mt 2,1-12).
Vediamo ora brevemente
qualche episodio significativo sull’ebraicità di Gesù:
- - Otto giorni dopo la sua
nascita, Gesù viene presentato dai suoi genitori al tempio di Gerusalemme
dove viene offerto al Signore e circonciso, secondo la Legge di Mosè (Lc
2,21). La circoncisione (Berith Milah = patto della circoncisione), anche
ai nostri giorni, sancisce l’appartenenza di ogni bambino ebreo al
popolo dell’alleanza.
- - Quando poi Gesù
raggiunge l’età stabilita dalla Legge, diventa “figlio del precetto”
col rito del bar-mizvah, che segna l’ingresso nel mondo degli adulti di
ogni ragazzo ebreo. Il Vangelo di Luca riporta l’episodio di Gesù
giovinetto che fu ritrovato dai suoi genitori nel tempio di Gerusalemme
“seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava”
(2,46); è quanto avviene anche ai nostri giorni per i ragazzi ebrei che
entrano nella maggiore età. Divenuti “figli del precetto”, si diventa
responsabili dei propri atti e si ha l’obbligo di osservare le mizvoth
(= i 613 precetti), gli insegnamenti dati da Dio a Israele tramite Mosè,
sul monte Sinai, inclusi i dieci comandamenti. Ai piedi del Sinai gli
ebrei dissero: “Tutto ciò che ha pronunziato il Signore, eseguiremo e
obbediremo” (Es 24,7). Luca conclude la narrazione di Gesù al tempio
tra i dottori, con questa nota: “E Gesù cresceva in sapienza, età e
grazia davanti a Dio e agli uomini” (2,52). Egli era un vero Israelita
che “eseguiva” e “obbediva”.
- - I Vangeli raccontano
anche che Gesù, come tutti gli ebrei osservanti, si recava a Gerusalemme,
tre volte l'anno, per le feste di Pèsach (Pasqua), Shavuòt (Pentecoste)
e Sukkòt (Capanne).
- - Gesù era un Maestro
ebreo, un Rabbino che conosceva perfettamente
la Torah, i Profeti e gli altri Scritti. Egli citava spesso i testi sacri,
e recitava i Salmi. Il Rabbi di Nazaret frequentava il Tempio di
Gerusalemme e partecipava alla liturgia sinagogale.
Luca, nel suo Vangelo, dice
che Gesù “insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi
lodi”. Poi aggiunge: “ Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed
entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si
alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò
il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è
sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato
per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai
prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in
libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.
Poi arrotolò il volume, lo
consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella
sinagoga stavano fissi sopra di lui”.
Gesù, nella sinagoga della
sua città, ha letto il testo d’Isaia che annunciava la venuta del
Messia, redentore d’Israele. Questa profezia si è compiuta nella
persona dell’ebreo Gesù, perché: “la salvezza viene dai Giudei” (Gv
4,22).
- - Gesù, come tutti i
maestri della Torah, insegnava stando seduto, e parlava “come uno che ha
autorità”, suggellando i suoi detti con la parola: “Amen!” ( “così
è!”, “senza alcun dubbio!”).
Gli insegnamenti di Gesù
non provengono da qualche filosofia peregrina, ma sono tratti dalla
Scrittura e dalla Tradizione ebraiche. Egli stesso dirà: “Non pensate
che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per
abolire, ma per dare compimento”.
Noi, come gli apostoli e i
discepoli di Gesù, crediamo in “colui del quale hanno scritto Mosè
nella Legge e i profeti”. E quando recitiamo i Salmi, ci rivolgiamo a
Dio con le stesse parole con cui il Figlio di Dio conversava col Padre
suo. I Salmi con cui la Chiesa prega sono i Salmi di Israele; sono gli
stessi con cui pregava e prega il popolo ebraico.
Il Padre Nostro, la
preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, così cara a noi
cristiani, ha le sue fonti ebraiche, tant’è che un ebreo non avrebbe
alcuna difficoltà a recitarla con noi. La Liturgia cristiana è intessuta
di Sacra Scrittura.
La Costituzione sulla Sacra
Liturgia del Concilio Vaticano II dice: "Massima è l'importanza della
Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa infatti si attingono
le letture da spiegare poi nell’omelia e i salmi da cantare; del suo
afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni
liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i gesti
liturgici" (SC I, 24).
Possiamo anche affermare
che la struttura complessiva della Messa, la preghiera eucaristica, la
benedizione del pane e del vino sono di derivazione ebraica, attualizzate
con significato nuovo, pasquale. È nel contesto della pasqua ebraica
che l’ebreo Gesù ci ha lasciato il memoriale della sua pasqua.
Gesù è sempre stato
ebreo. Egli ha sempre vissuto da ebreo osservante, fino alla morte. Sulla
sua croce i Romani hanno scritto: “Gesù nazareno, re dei Giudei”.
Quindi, come ha detto
Giovanni Paolo II nella Sinagoga di Roma: «La religione ebraica non ci è
"estrinseca" ma, in un certo senso, è "intrinseca"
alla nostra religione. Noi abbiamo dunque verso di lei dei rapporti che
non abbiamo con nessun'altra religione. Voi siete i nostri fratelli
preferiti e, in un certo senso, si potrebbe dire i nostri fratelli
maggiori».
Il Rabbi di Nazaret, è “nostro
fratello maggiore”. Egli è la Parola di Dio che si è fatta carne nel
grembo di una fanciulla ebrea. È il nostro Maestro che, come ai
discepoli di Emmaus, svela alla Chiesa il senso profondo delle Scritture d’Israele.
Il Verbo che si è fatto carne è davvero il “bacio” di Dio all’umanità
assetata di amore.
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