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Discorso
ecumenico del Papa in Germania con aggiunte improvvisate
CITTÀ DEL VATICANO, venerdì, 26 agosto 2005
- Improvvisando a braccio, Benedetto XVI ha fatto delle interessanti aggiunte
nel discorso da lui pronunciato il 19 agosto scorso durante l’incontro
ecumenico tenutosi nella Residenza arcivescovile di Colonia a cui hanno
partecipato i rappresentanti delle confessioni cristiane presenti in Germania.
In seguito, la Santa Sede ha trascritto il testo originale in tedesco e lo ha
tradotto in italiano. Per il suo straordinario interesse, pubblichiamo ora il
testo integrale.
Cari fratelli e care sorelle!
dopo una giornata impegnativa concedetemi di rimanere seduto. Ciò non
significa che io voglia parlare "ex cathedra". Mi scuso anche per il
ritardo. Purtroppo i Vespri hanno richiesto più tempo del previsto e il
traffico è stato più lento di quanto si potesse immaginare. Desidero ora
esprimere la gioia di potere, in occasione di questa mia visita in Germania,
incontrare e salutare molto cordialmente Voi, rappresentanti delle altre
Chiese e Comunità ecclesiali.
Provenendo io stesso da questo Paese, conosco bene la situazione penosa che la
rottura dell'unità nella professione della fede ha comportato per tante
persone e tante famiglie. Anche per questo motivo, subito dopo la mia elezione
a Vescovo di Roma, quale Successore dell'apostolo Pietro, ho manifestato il
fermo proposito di assumere il ricupero della piena e visibile unità dei
cristiani come una priorità del mio Pontificato. Con ciò ho consapevolmente
voluto ricalcare le orme di due miei grandi Predecessori: di Paolo VI che,
ormai più di quarant'anni fa, firmò il Decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis
redintegratio , e di Giovanni Paolo II, che fece poi di questo documento
il criterio ispiratore del suo agire.
La Germania nel dialogo ecumenico riveste senza dubbio un posto di particolare
importanza. Noi siamo il Paese d'origine della Riforma; però la Germania è
anche uno dei Paesi da cui è partito il movimento ecumenico del XX secolo. A
seguito dei flussi migratori del secolo scorso, anche cristiani delle Chiese
ortodosse e delle antiche Chiese dell'Oriente hanno trovato in questo Paese
una nuova patria. Ciò ha indubbiamente favorito il confronto e lo scambio,
cosicché ora esiste fra noi un dialogo a tre. Insieme ci rallegriamo nel
constatare che il dialogo, col passare del tempo, ha suscitato una riscoperta
della nostra fratellanza e creato tra i cristiani delle varie Chiese e Comunità
ecclesiali un clima più aperto e fiducioso.
Il mio venerato Predecessore nella sua Enciclica Ut unum sint (1995) ha
indicato proprio in questo un frutto particolarmente significativo del dialogo
(cfr nn. 41s.; 64). Ritengo che non sia poi così scontato che ci consideriamo
veramente fratelli, che ci amiamo, che ci sentiamo insieme testimoni di Gesù
Cristo. Questa fraternità è in sé, come credo, un frutto molto importante
del dialogo, di cui dobbiamo essere lieti e che dovremmo continuare a curare e
a praticare. La fraternità tra i cristiani non è semplicemente un vago
sentimento e nemmeno nasce da una forma di indifferenza verso la verità. Essa
è fondata, come Lei, illustre Vescovo, ha appena detto, sulla realtà
soprannaturale dell'unico Battesimo, che ci inserisce tutti nell'unico Corpo
di Cristo (cfr 1 Cor 12, 13; Gal 3, 28; Col 2, 12).
Insieme confessiamo Gesù Cristo come Dio e Signore; insieme lo riconosciamo
come unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr 1 Tm 2, 5), sottolineando la
nostra comune appartenenza a Lui (cfr Unitatis redintegratio , 22; Ut
unum sint , 42). A partire da questo essenziale fondamento del Battesimo,
che è una realtà da Lui proveniente, una realtà nell'essere e poi nel
professare, nel credere e nell'agire, a partire da questo decisivo fondamento
il dialogo ha portato i suoi frutti e continuerà a farlo. Vorrei menzionare
il riesame, auspicato da Papa Giovanni Paolo II durante la sua prima visita in
Germania, delle reciproche condanne. Penso con un po' di nostalgia a quella
prima visita. Ho potuto essere presente quando eravamo insieme a Magonza in un
circolo relativamente piccolo e autenticamente fraterno. Furono poste delle
questioni e il Papa elaborò una grande visione
teologica, nella quale la
reciprocità aveva un suo spazio. Da quel colloquio scaturì poi la
commissione a livello episcopale e cioè ecclesiale, sotto la responsabilità
ecclesiale, che con l'aiuto dei teologi portò infine all'importante risultato
della "Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione"
del 1999 e a un accordo su questioni fondamentali che fin dal XVI secolo erano
state oggetto di controversie.
Bisogna inoltre riconoscere con gratitudine i risultati costituiti dalle varie
comuni prese di posizione su importanti argomenti quali le fondamentali
questioni sulla difesa della vita e sulla promozione della giustizia e della
pace. Sono ben consapevole che molti cristiani in Germania, e non solo qui, si
aspettano ulteriori passi concreti di avvicinamento e anche io me li aspetto.
Infatti è il comandamento del Signore, ma anche l'imperativo dell'ora
presente, di continuare in modo convinto il dialogo a tutti i livelli della
vita della Chiesa. Ciò deve ovviamente avvenire con sincerità e realismo,
con pazienza e perseveranza nella fedeltà al dettato della coscienza, nella
consapevolezza che è il Signore, che poi dona l'unità, che non siamo noi a
crearla, che è Lui a donarla, ma che dobbiamo andargli incontro.
Non intendo sviluppare qui un programma per i temi immediati del dialogo.
Questo è compito dei teologi in collaborazione con i Vescovi: i teologi sulla
base della loro conoscenza del problema, i Vescovi a partire dalla loro
conoscenza della situazione concreta delle Chiese nel nostro Paese e nel
mondo. Mi sia concessa soltanto una piccola annotazione: si dice che ora, dopo
il chiarimento relativo alla Dottrina della giustificazione, l'elaborazione
delle questioni ecclesiologiche e delle questioni relative al ministero sia
l'ostacolo principale che rimane da superare. Ciò in definitiva è vero, ma
devo anche dire che non amo questa terminologia e da un certo punto di vista
questa delimitazione del problema, poiché sembra che ora dovremmo dibattere
delle istituzioni invece che della Parola di Dio, come se dovessimo porre al
centro le nostre istituzioni e fare per esse una guerra. Penso che in questo
modo il problema ecclesiologico così come quello del "ministerium"
non vengano affrontati correttamente. La questione vera è la presenza della
Parola nel mondo.
La Chiesa primitiva nel secondo secolo ha preso una triplice decisione:
innanzitutto di stabilire il canone, sottolineando in tal modo la sovranità
della Parola e spiegando che non solo il Vecchio Testamento è "hai
graphai", ma che il Nuovo Testamento costituisce con esso un'unica
Scrittura e in tal modo è per noi il nostro vero sovrano. Ma al contempo la
Chiesa ha formulato la successione apostolica, il ministero episcopale, nella
consapevolezza che la Parola e il testimone vanno insieme, che cioè la Parola
è viva e presente solo grazie al testimone e, per così dire, da esso riceve
la sua interpretazione, e che reciprocamente il testimone è tale solo se
testimonia la Parola. E infine, la Chiesa ha aggiunto come terza cosa la
"regula fidei" quale chiave interpretativa.
Credo che questa vicendevole compenetrazione costituisca oggetto di dissenso
fra noi, sebbene siamo uniti su cose fondamentali. Quindi, quando parliamo di
ecclesiologia e di ministero, dovremmo parlare preferibilmente di questo
intreccio di Parola, testimone e regola di fede e considerarlo come questione
ecclesiologica e quindi insieme come questione della Parola di Dio, della sua
sovranità e della sua umiltà, in quanto il Signore affida la sua Parola ai
testimoni e ne concede l'interpretazione, che però deve commisurarsi sempre
alla "regula fidei" e alla serietà della Parola. Scusatemi se ho
espresso qui un'opinione personale, ma mi sembrava giusto farlo.
Una priorità urgente nel dialogo ecumenico è costituita poi dalle grandi
questioni etiche poste dal nostro tempo; in questo campo gli uomini di oggi in
ricerca si aspettano con buona ragione una risposta comune da parte dei
cristiani, che, grazie a Dio, in molti casi si è trovata. Esistono talmente
tante dichiarazioni comuni della Conferenza Episcopale Tedesca e della Chiesa
Evangelica in Germania, che possiamo solo esserne grati. Ma purtroppo non
sempre questo avviene. A causa di contraddizioni in questo campo la
testimonianza evangelica e l'orientamento etico che dobbiamo ai fedeli e alla
società perdono di forza, assumendo non di rado caratteristiche vaghe, e così
veniamo meno al nostro dovere di dare al nostro tempo la testimonianza
necessaria. Le nostre divisioni sono in contrasto con la volontà di Gesù e
ci rendono inattendibili davanti agli uomini. Penso che dovremmo impegnarci
con rinnovata energia e dedizione a recare una testimonianza comune
nell'ambito di queste grandi sfide etiche del nostro tempo.
Ed ora chiediamoci: che cosa significa ristabilire l'unità di tutti i
cristiani? Sappiamo tutti che esistono numerosi modelli di unità e voi sapete
anche che la Chiesa cattolica si prefigge il raggiungimento della piena unità
visibile dei discepoli di Gesù Cristo secondo la definizione che ne ha dato
il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi documenti (cfr Lumen gentium
, nn. 8;13; Unitatis redintegratio , nn. 2; 4 ecc.). Tale unità,
secondo la nostra convinzione, sussiste, sì, nella Chiesa cattolica senza
possibilità di essere perduta (cfr Unitatis redintegratio , n. 4); la
Chiesa infatti non è scomparsa totalmente dal mondo. D'altra parte questa
unità non significa quello che si potrebbe chiamare ecumenismo del ritorno:
rinnegare cioè e rifiutare la propria storia di fede. Assolutamente no! Non
significa uniformità in tutte le espressioni della teologia e della
spiritualità, nelle forme liturgiche e nella disciplina. Unità nella
molteplicità e molteplicità nell'unità: nell'Omelia per la solennità dei
santi apostoli Pietro e Paolo, lo scorso 29 giugno, ho rilevato che piena unità
e vera cattolicità nel senso originario della parola vanno insieme.
Condizione necessaria perché questa coesistenza si realizzi è che l'impegno
per l'unità si purifichi e si rinnovi continuamente, cresca e maturi.
A questo scopo può recare un suo contributo il dialogo. Esso è più di uno
scambio di pensieri, di un'impresa accademica: è uno scambio di doni (cfr Ut
unum sint , n. 28), nel quale le Chiese e le Comunità ecclesiali possono
mettere a disposizione i loro tesori (cfr Lumen gentium , nn. 8; 15; Unitatis
redintegratio , nn. 3; 14s; Ut unum sint , nn. 10-14). È proprio
grazie a questo impegno che il cammino può proseguire passo passo fino a
quando, come dice la Lettera agli Efesini, finalmente arriveremo "tutti
all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ef
4, 13). È ovvio che un tale dialogo può svilupparsi solo in un contesto di
sincera e coerente spiritualità. Non possiamo "fare" l'unità con
le sole nostre forze. La possiamo soltanto ottenere come dono dello Spirito
Santo. Perciò l'ecumenismo spirituale, e cioè la preghiera, la conversione e
la santificazione della vita costituiscono il cuore dell'incontro e del
movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio , n. 8; Ut unum sint
, nn. 15s; 21 ecc.).
Si potrebbe anche dire: la forma migliore di ecumenismo consiste nel vivere
secondo il Vangelo. Desidero anche io in questo contesto ricordare il grande
pioniere dell'unità, Fratello Roger Schutz, che è stato strappato alla vita
in modo così tragico. Lo conoscevo personalmente da tempo e avevo con lui un
rapporto di cordiale amicizia. Mi ha spesso reso visita e, come ho già detto
a Roma, il giorno della sua uccisione ho ricevuto una sua lettera che mi è
rimasta nel cuore perché in essa sottolineava la sua adesione al mio cammino
e mi annunciava di volermi venire a trovare. Ora ci visita dall'alto e ci
parla. Penso che dovremmo ascoltarlo, ascoltare dal di dentro il suo
ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza
verso un ecumenismo interiorizzato e spiritualizzato.
Vedo un confortante motivo di ottimismo nel fatto che oggi si sta sviluppando
una sorta di "rete" di collegamento spirituale tra cattolici e
cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali: ciascuno si impegna nella
preghiera, nella revisione della propria vita, nella purificazione della
memoria, nell'apertura della carità. Il padre dell'ecumenismo spirituale,
Paul Couturier, ha parlato a questo riguardo di un "chiostro
invisibile", che raccoglie tra le sue mura queste anime appassionate di
Cristo e della sua Chiesa. Io sono convinto che, se un numero crescente di
persone si unirà interiormente alla preghiera del Signore "perché tutti
siano una sola cosa" (Gv 17, 21), una tale preghiera nel nome di Gesù
non cadrà nel vuoto (cfr Gv 14, 13; 15, 7.16 ecc.). Con l'aiuto che viene
dall'Alto, troveremo, nelle varie questioni tuttora aperte, soluzioni
praticabili, e il desiderio di unità alla fine, quando e come Egli vorrà,
sarà appagato. Ora andiamo insieme lungo questa via nella consapevolezza che
l'essere in cammino insieme è un tipo di unità. Rendiamo grazie a Dio per
questo e preghiamolo affinché continui a guidarci tutti.
[Traduzione dal tedesco a cura della Santa Sede]
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