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[da
"Avvenire" del 7 febbraio 2003]
A
Viterbo una tre giorni nazionale di studio e preghiera organizzata dalla
Cei con ortodossi e protestanti. Gli interventi di Chiaretti,
Chiarinelli, Valentinetti, De Rita, Long e Genre
«Come tanti punti su
un'ipotetica circonferenza. Se ci ostiniamo a cercare un avvicinamento
reciproco rimanendo su quel limite, rischiamo di rimanere bloccati, o
addirittura di respingerci a vicenda. Se ogni punto cerca di avanzare
verso il centro del cerchio, automaticamente ci ritroveremo più vicini
gli uni gli altri». Con questa immagine, antica ma mai scontata, Lorenzo
Chiarinelli, vescovo di Viterbo, propone di leggere il significato del
secondo convegno ecumenico nazionale, ospitato dalla città laziale,
organizzato dalla Commissione episcopale Cei per l'ecumenismo e il
dialogo, la federazione delle Chiese evangeliche in Italia, la Sacra
arcidiocesi ortodossa d'Italia.
Una tre giorni di studio, confronto, ma soprattutto preghiera («ciò che
alla fine veramente conta: di semplici e "umane" parole ne
abbiamo spese fin troppe in questi secoli», precisa Chiarinelli)
incentrato sul tema delle Beatitudini. Un convegno che si pone come la
continuazione di quello svoltosi a Pe rugia nel '99, allora dedicato al
tema del Padre Nostro. Una diocesi, quella di Viterbo, con un suo posto
d'onore nella storia del dialogo fra i cristiani (dagli sforzi ecumenici
di san Bonaventura da Bagnoregio in vista del concilio ecumenico di Lione
del 1274, all'opera del beato viterbese Domenico Barberi, che accolse
nella Chiesa romana il cardinale John Henry Newman) e un parterre di
ospiti altrettanto autorevole: da monsignor Giuseppe Chiaretti,
arcivescovo di Perugia, presidente della Commissione episcopale per
l'ecumenismo e il dialogo, a monsignor Tommaso Valentinetti, vescovo di
Termoli-Larino e presidente di "Pax Christi" per l'Italia; da
Gennadios Zervos, metropolita greco-ortodosso d'Italia, all'archimandrita
Nilos Vatopedinos, igumeno del monastero di S. Elia a Reggio Calabria; da
Yoannis Foundolis, liturgista del'università di Salonicco, a Yann Redalié,
della facoltà teologica valdese di Roma; da Gianni Long, presidente della
federazione delle chiese evangeliche in Itali a, Giuseppe Laras, rabbino
capo di Milano. E, dulcis in fundo, Giuseppe De Rita, segretario del
Censis e attento osservatore della ricerca della "beatitudine"
da parte della società italiana contemporanea.
Ed è stato proprio De Rita, ieri, a dare il via al confronto vero e
proprio, imperniato appunto su quel messaggio «inquietante e sovversivo
agli occhi del mondo» - secondo le parole di Chiaretti - che sono le
Beatitudini. Messaggio che costituisce di per sé - come ha sottolineato
Gianni Long - un fattore di aggregazione tra le varie confessioni
cristiane, dal momento che «solo al loro interno esse possono essere
capite, prima ancora che messe in atto». Beatitudini che sono per Ermanno
Genre - docente di teologia alla facoltà valdese di Roma - uno di quei
punti del Vangelo capaci di generare «nuclei di consenso differenziato»,
ossia fondamenti di fede, comuni e intaccabili, su cui potere costruire
insieme un edificio «che non inclini ad inutili tentazioni utopiche», ma
si tenga nel la postura di «un sano realismo». «Ecumenismo infatti -
sottolinea sempre Genre - non vuol dire pensare ad una Chiesa unica, a
strutture ecclesiali unificate», semmai «focalizzare una gerarchia di
valori: mettendo al primo posto i fondamenti comuni della fede, e al
secondo le questioni secondarie, ossia quelle "organizzative":
nella figura di Gesù Cristo, in un certo senso, siamo già uniti». Dello
stesso parere anche padre Giovanni Boggio, biblista dell'istituto
filosofico-teologico viterbese, secondo cui l'approfondimento del tema
delle beatitudini può essere una via per mantenere in moto un dialogo
che, se nella pastorale ordinaria tarda ancora a decollare, nel mondo
degli studi biblici procede in un clima positivo e con frutti alle volte
notevoli.
Il precedente:
Perugia 1999, insieme nel nome
del Padre Nostro
Il convegno
ecumenico sulle beatitudini - organizzato a Viterbo dalla Commissione
episcopale per l'ecumenismo e il dialogo insieme alla Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia e la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia -
ha avuto un significativo precedente nell'aprile del 1999, quando teatro
del primo incontro nazionale fu Perugia e il tema che unì le varie
confessioni fu quello della più famosa preghiera cristiana: il Padre
Nostro. Culmine fu la liturgia comune nella basilica inferiore di Assisi,
nella quale sacerdoti, pastori, laici e studiosi recitarono la preghiera
di Gesù nella nuova traduzione interconfessionale fatta apposta per gli
incontri ecumenici. Ma non solo. Un incontro nel nome della pace, dato che
era in corso la guerra del Kosovo. Inoltre, nell'occasione venne
licenziata una traduzione di Luca che fu diffusa per il Giubileo. In quei
giorni, infine, il pastore valdese Domenico Tomasetto (presidente Fcei),
il metropolita ortodosso per l'Italia Gennadios Zervos e l'arcivescovo di
Perugia-Città della Pieve Giuseppe Chiaretti, presidente della
Commissione Cei per l'ecumenismo e il dialogo, firmarono un documento
comune, nel quale richiamavano lo "spirito di Assisi" del 1986 e
scrivevano: «L'aver pregato insieme "sia santificato il tuo
nome" ci ha richiamati con rinnovata forza alla nostra responsabilità.
Il nome di Dio non sia profanato tra i popoli per colpa nostra. Versare
sangue innocente, sin dai tempi di Abele (...) è profanazione della terra
e aperto rifiuto del dare gloria al Dio che ha creato uomini e donne a sua
immagine». Parole, come si vede, ancora attualissime.
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