A che punto siamo con l'ecumenismo?

Editoriale S.A.E. Notizie, periodico del Segretariato Attività Ecumeniche, n.2 Giugno 2005


A che punto siamo con l’ecumenismo? A questa domanda, su cui si è aperto il nostro recente convegno di Salsomaggiore ci siamo accorti che non è facile dare una risposta semplice e netta. 

La molteplicità delle situazioni e dei fenomeni in gioco, l’ambiguità dei segnali che ne provengono, le contrastanti valutazioni che se ne possono trarre, impediscono di pronunciare giudizi univoci e definitivi. 

Padre Tecle Vetrali ci ricordava che si è ormai dato fondo alla serie delle metafore stagionali: all’esaltante primavera sono seguiti, si dice, un autunno e un inverno ecumenici. Ma quale autunno, quale inverno? L’autunno dei frutti maturi o quello delle nebbie e degli alberi spogli? L’inverno delle gelate inaridenti o quello del nascosto germinare dei semi? Forse, proprio come accade nelle stagioni naturali, sono presenti - e bisogna saper vedere - entrambi gli aspetti. E come, nel volgere delle stagioni, non c’è mai un momento d’arresto, ma ad ogni esaurimento corrisponde una rinascita, ad ogni declino un nuovo sviluppo, così può essere anche nella nostra storia: nella storia del movimento ecumenico (e in quel suo solco ove cammina il SAE) come nella più grande storia entro cui esso si snoda. 

A che punto siamo, dunque? Forse potremmo rispondere che anche oggi - come sempre, sia pure in frangenti diversi - siamo davanti alla possibilità di un nuovo inizio. Che certamente non ignori tutto quello che è avvenuto fin qui, ma anzi ne faccia tesoro e ne tragga orientamento; e da una parte sappia raccogliere tutti i frutti maturati lungo il cammino, dall’altra sappia aprire gli occhi, con chiarezza ma senza angoscia, sugli ostacoli non ancora superati o nuovamente insorti, e affrontarli con la pazienza del realismo e la libertà della speranza. All’immagine della gelata ecumenica a me piace contrapporre quella del disgelo che, mentre libera il terreno dalla morsa del ghiaccio, ne scopre però anche tutte le asperità sottostanti. Il disgelo ecumenico del passato ha sbloccato le vie verso l’unità, ma dopo i primi entusiasmi e gli innegabili progressi ha messo anche a nudo le pietre d’inciampo, i dislivelli, le zone instabili e scivolose. Ed è qui che ci troviamo. 

Come procedere, allora? Tenendo alto lo sguardo verso l’orizzonte, ma allo stesso tempo muovendo consapevolmente i nostri passi sui tratti critici del cammino. E l’una e l’altra cosa richiedono, come sempre, un ricupero delle ragioni di fondo della nostra vocazione ecumenica; che è poi come dire del nostro cristiano credere e sperare.

Penso che non sia un caso che su questi temi fondamentali si siano orientate le nostre ultime sessioni, e in particolare la prossima ci richiami a un’approfondita riflessione sulla fede. La fede che ci unisce e la fede in cui sopravvivono le nostre divisioni. La fede che ci spinge all’annuncio della Parola e che ci apre all’ascolto di ogni parola che di quella sia risonanza e invocazione. La fede in cui sta la nostra forza e in cui scopriamo la nostra debolezza. 

A che punto siamo con l’ecumenismo? Possiamo rifrangere la risposta in tante oggettive e soggettive considerazioni; possiamo e dobbiamo farlo, lo abbiamo fatto e lo faremo, se vogliamo essere seri nel nostro impegno. Ma alla fine la risposta non potrà essere che questa: “Crediamo, Signore; vieni in aiuto alla nostra incredulità”. Salsomaggiore. 

Il vescovo di Fidenza Maurizio Galli con P.Tecle Vetrali e Meo Gnocchi.
 

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