Ecumenismo e dialogo
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L'universalismo
di Israele ______________________________ Rabbino
Giuseppe LARAS
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Noè.
l’uomo giusto ______________________________ P. Giovanni BOGGIO
Dalla riflessione sul
tema della giornata per il dialogo con gli
ebrei, di un biblista
cattolico |
“Noè camminava con
Dio” (Gen
6,9)
L'universalismo di
Israele ______________________________ Rabbino Giuseppe
LARAS
17
gennaio 2002 - XIII Giornata per
l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra
cattolici ed ebrei
La giornata del 17 gennaio
precede la settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani poiché se le Chiese cristiane
riscoprono le comuni radici nell’Israele di Dio,
ritrovano la loro unità.
La figura dell’uomo giusto nel commento
di un Rabbi sapiente , Il Rabbino Capo di Milano
Giuseppe Laras, e la riflessione sul tema della
giornata. |
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Noè è presentato dalla Bibbia come uomo
"giusto e integro tra i suoi contemporanei e
camminava con Dio " (Gen 6,9). Dio decise di
salvarlo dal diluvio universale, affinché
diventasse il capostipite di una nuova umanità, in
sostituzione di quella precedente fatta perire
nelle acque del diluvio, perché si era macchiata
di ogni tipo di violenza: "Si corruppe la terra
di fronte a Dio e si riempì la terra di
violenza...Dio disse a Noè: ho decretato la fine
di ogni carne, perché a causa di esse la terra è
piena di violenza" (Gen 6,11.13). I commenti
tradizionali rabbinici fanno notare a proposito di
questi due versetti che il primo mette in risalto
due tipi di colpe: quelle verso Dio e quelle degli
uomini fra loro; il secondo versetto, che riporta
le parole di Dio stesso, cita solo la violenza
come motivo di punizione. "Questo porta a
riflettere su una concezione fondamentale
dell'ebraismo: le colpe tra l'uomo e il suo
prossimo sono considerate più gravi delle colpe
commesse dall'uomo nei riguardi di Dio. È noto che
il digiuno di Kippur serve ad ottenere il perdono
delle colpe commesse dall'uomo contro il suo
Creatore. Viceversa, per le colpe per le quali
l'uomo lede il prossimo, la penitenza non ha
valore finché non si sia ottenuto il perdono di
chi si è offeso o danneggiato"1.
Dio,
prima di punire manda diversi avvertimenti, perché
le creature si convertano. Un midrash sul versetto
''fatti un'arca di legno di pino" (Gen
6,14) recita: ''Disse rav Huna, in nome di
rabbi Josè: per centoventi anni il Santo,
benedetto Egli sia, ammonì gli uomini della
generazione del diluvio, nella speranza che si
ravvedessero; ma poiché non ascoltarono, disse a
Noè: fatti un'arca di legno di pino. Allora Noè si
mise a piantare cedri. La gente gli domandava:
cosa sono questi cedri? Ed egli rispondeva: il
Santo, benedetto Egli sia, sta per mandare un
diluvio sulla terra e mi ha ordinato di preparare
un'arca per salvarmi insieme alla mia
famiglia. La gente rideva e si prendeva gioco
delle sue parole. Intanto Noè coltivava e faceva
crescere i cedri. La gente continuava a domandare:
ma che cosa fai? Egli rispondeva sempre nello
stesso modo e la gente lo scherniva. Alla fine
tagliò i cedri e ne fece delle assi. e la gente a
domandare: cosa fai? Egli rispondeva sempre nello
stesso modo e li ammoniva. Quando il Signore vide
che, nonostante ciò, quella generazione non si
ravvedeva, decise di mandare il diluvio (Tanchuma
Noach) 2.
Dio è
presentato nell'ebraismo come un Padre, che tratta
le sue creature a seconda dei loro bisogni e delle
loro capacità. In Bereshit Rabbà ( XXX, 10)
nel commento alle parole: "Con Dio camminava
Noè" (Gen 6,9), leggiamo: "È simile ad un
principe che aveva due figli, uno grande ed uno
piccolo. Disse al piccolo: Vieni con me, e disse
al grande: Vai, cammina innanzi a me. Cosi Abramo
che era forte: Cammina innanzi a me e sii
integro (Gen 17,1). Ma Noè, che era debole:
con Dio camminava Noè". Dice Rashi: "Di
Abramo invece è scritto: Cammina davanti a
me, e: Il Signore, alla cui presenza
io cammino (Gen 17,1 e 24,40). Noè aveva
bisogno di un sostegno che lo reggesse, mentre
Abramo era forte a sufficienza per camminare da
solo nella sua giustizia". Noè era come un bambino
condotto per mano, Abramo, invece, un adulto che
sa camminare da solo.
Dante
Lattes ha fatto ima affascinante presentazione di
Noè: "È il primo tipo dello tzaddiq, del
giusto che passa incontaminato fra le tristizie
dei contemporanei. La figura dell'uomo giusto, che
assumerà poi tanto significato etico e una così
vasta funzione redentrice nella ideologia ebraica,
dalla Bibbia al Chassidismo, ha in Noè il suo
primo modello. Noè è uno dei tre giusti, insieme a
Giobbe e a Daniele, passati nella letteratura
profetica (Ezechiele, 14,12-21) a rappresentare il
tipo del perfetto uomo... Noè è l'uomo; l'uomo
senza alcun altro aggettivo; non misurato secondo
criteri di razza, di lingua, di nazionalità, di
religione, di classe, di partito, ma secondo un
criterio unicamente morale, e riconosciuto pieno
di perfezione dinanzi a Dio, o in modo assoluto, e
quindi posto ad esempio alle generazioni, per
quanto remote e diverse dal suo tempo, o, se si
vuole, in modo relativo, secondo il grado di
perversione del suo secolo. L'ammaestramento è
importante. Chi parla di progresso lento e tardivo
della concezione etica ed universalistica
dell'ebraismo, oppure di un monopolio o privilegio
che gli ebrei si sarebbero attribuiti nella scala
delle perfezioni, delle elezioni, delle
beatitudini, dimentica questo primo ed
antichissimo tipo di uomo tzaddiq il quale,
pur essendo vissuto prima di Mosè e prima della
Torà, è rimasto modello di virtù fino nei tardi
tempi del profetismo"3.
Con Noè
Dio stringe un patto che vale per lui e per la sua
discendenza, cioè per tutta l'umanità; anzi il
patto si estende a tutte le creature viventi: "Dio
disse a Noè e ai suoi figli con lui: Quanto a me,
ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i
vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere
vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie
selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti
dall'arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi:
non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque
del diluvio, ne più il diluvio devasterà la terra.
Questo è il segno dell'alleanza che io pongo tra
me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi
per le generazioni eterne: Il mio arco pongo sulle
nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza fra me e
la terra" (Gen 9,8-11).
Dio,
prima di siglare l'alleanza benedice Noè e i suoi
figli e dà loro alcuni precetti (Gen 9,1-7). Tali
precetti sono entrati nella tradizione ebraica
come ''precetti noachici" o "noachidi" destinati a
tutte le genti, che sono considerate "giuste", se
li mettono in pratica. Qual è il contenuto di
questa legge? Nel trattato Sanhedrin
(56-60) del Talmud babilonese ci sono diverse
enumerazioni dei precetti noachidi. La tradizione
più comune è che siano sette, uno positivo e sei
negativi. Quello positivo prescrive l'obbligo
della giustizia (di istituire giudici e
tribunali), gli altri proibiscono: l'idolatria, la
bestemmia, le relazioni sessuali illecite,
l'omicidio, il furto, il consumo delle membra di
un animale vivo. Non esiste, però, l'unanimità fra
i maestri. Il Talmud riporta l'opinione secondo la
quale "i figli di Noè accettarono trenta
precetti"4.
Questo è dovuto anche al fatto, come gli stessi
maestri ebrei sottolineano, che non si tratta di
precetti puntuali, ma di categorie giuridiche
ciascuna delle quali comprende diverse
prescrizioni, anzi, la loro caratteristica è
proprio quella di essere delle indicazioni
passibili di sempre nuove interpretazioni e
applicazioni ai diversi tempi 5.
Di fatto, "le sette leggi noachidi sono più che
sette rigidi pronunciamenti"6.
Benamozegh scrive: "Quale che sia il numero dei
precetti noachidi, è certo che ciascuno di essi
rappresenta non un comandamento unico, ma tutto un
gruppo di obbligazioni della stessa natura"
7.
Non si
deve guardare alla legge noachide come se fosse un
codice basato sulla ragione umana, poiché è
anch'essa, come la Torà di Mosè, una rivelazione
divina. Dice Maimonide: "Chiunque accetti i sette
comandamenti e li osservi con cura è considerato
un gentile devoto, e ha parte alla vita eterna, a
condizione, però, che riceva e segua tali precetti
perché Dio li ha imposti nella sua Legge e ci ha
rivelato tramite Mosè, nostro maestro, che quelli
sono i comandamenti ricevuti in origine dai figli
di Noè"8.
La distinzione tra gli obblighi ai quali è tenuto
chi appartiene al popolo ebraico e quelli che sono
propri degli appartenenti agli altri popoli, anche
se non si parlava ancora esplicitamente di
precetti noachidi, risale ad epoca assai
precedente alla stesura del Talmud. Ne abbiamo
un'eco nel capitolo 15 degli Atti degli Apostoli
dove nel cosiddetto concilio di Gerusalemme
l'assemblea degli apostoli e degli anziani decide
di non chiedere ai credenti in Cristo provenienti
dal paganesimo di farsi circoncidere, ma di
seguire solo quattro precetti fra quelli della
Torà obbligatori per tutti i figli di
Israele: "astenersi dalle sozzure degli idoli (cf
Lv 17, 3-9), dall'impudicizia (cf Lv 18), dagli
animali soffocati (cf Lv 17, 15-16) e dal sangue
(cf Lv 17, 10-14)" (At 15,20).
Legge
mosaica e legge noachide non sono in contrasto, i
precetti contenuti in quest'ultima fanno parte dei
613 precetti, che gli ebrei sono obbligati ad
osservare per compiere la missione particolare
loro affidata da Dio in vista del bene di tutta
l'umanità: "In tè si benediranno tutte le famiglie
della terra" (Gen 12,3). "Ecco perché l'ebraismo
vede nella figura di Noè la fonte di salvezza per
tutti i popoli, e la premessa a tutte le
successive alleanze bibliche... E sull'arcobaleno
ci sia permesso di raccontare, a conclusione, una
storia rabbinica del primo o secondo secolo della
nostra era: secondo i maestri, l'arcobaleno non
appare se nel mondo c'è qualche giusto cosi giusto
da placare l'ira del Signore. In quei giorni c'era
un giusto così, e l'arcobaleno non apparve. Ma al
giusto fu chiesto se avesse visto l'arcobaleno, ed
egli, nella sua profonda umiltà, mentì e disse di
averlo visto, per stornare da sé ogni 'sospetto'
di santità. Non importa, dunque, che nel mondo
tutti siano giusti: importa che sempre ci sia
qualche giusto. Noi tutti abbiamo visto molte
volte i bei colori dell'arcobaleno, quasi il
sorriso di Dio. Ora sappiamo che se un capo
dell'arcobaleno poggia su di lui, l'altro poggia
su un umile, sconosciuto giusto" 9.
____________________
Note:
1.
J.ZEGDUN, Guida allo studio della Torà. I.
Genesi, a cura dei Rabbini d'Italia, pp 22s. 2.
R. PACIFICI, Midrashim fatti e personaggi
biblici, Marietti, Casale Monferrato 1986, p
21. 3.
Nel solco della Bibbia, Laterza, Bari 1953,
p 39. 4.
Avodah Zarah 8, 4-6. 5.
Una trattazione moderna ed esauriente sul
significato del "noachismo" è stata fatta da ELIA
BENAMOZEG (1823-1900), Israele e l'umanità,
Marietti, Genova 1990; cf. in particolare,
209-240. 6.
A. LICHTENSTEIN, Le sette leggi di Noè,
Lamed, Milano s.d. 7.
E. BENAMOZEGH, Israele e l'umanità,
Marietti, Genova 1990, p 220. 8.
Maimonide, Hilkhot Melakhim, 8, 11 citato
in E. BENAMOZEGH, op. cit., p 219, 9.
P. DE BENEDETTI, "II Dio dell'arcobaleno", in
Annali di Studi religiosi I (2000), p
27-35.
Noè.
l’uomo giusto ______________________________ P. Giovanni
BOGGIO
Dalla riflessione di un
biblista cattolico sul tema della
giornata per il dialogo con gli
ebrei | |
La figura
di Noè rappresenta uno dei pilastri sui quali è
costruito il racconto del libro della Genesi, che
vede in lui il. secondo padre di tutta l'umanità,
dopo Adamo. Il suo nome può essere interpretato o
come «colui che è stato prolungato» si intende
nella sua vita (cf i nomi del protagonista dei
racconti mesopotamici), in riferimento al diluvio
dal quale è scampato per l'intervento di Dio,
oppure, secondo l'interpretazione di Gn 5,29 messa
sulle labbra del padre Lamech: «Costui ci
consolerà del nostro lavoro e della fatica delle
nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha
maledetto», dove il riferimento è al tempo
precedente il diluvio e riguarda l'aiuto che il
padre si aspetta di ricevere dal figlio. È facile
però riferire la «consolazione» alla benedizione
che Dio gli ha dato all'inizio della nuova era del
mondo susseguente al cataclisma che, secondo il
racconto biblico, ha cancellato dalla terra ogni
traccia di vita che può continuare soltanto grazie
a Noè e ai suoi figli (cf Gn 9,1). Un'altra
possibile interpretazione collega il nome ad una
radice ebraica che significa «respirare» con
richiamo evidente alla sopravvivenza di Noè e
della sua famiglia.
Il
racconto che il redattore della Genesi sta
costruendo, pone il patriarca in un contesto
evidente di universalismo, collocandolo all'ultimo
posto nelle Genealogie che risalgono ad Adamo (Gn.
5,29) e quindi al primo in quelle che seguono il
diluvio (Gn 10,1), facendo derivare da lui tutta
l'umanità post diluviana.
Ma non
solo dal punto di vista della generazione fisica
Noè si trova al centro di una vicenda universale.
Ancora più importante è la dimensione delle
benedizioni di Dio che lo collegano direttamente
al primo uomo. A Noè è ripetuta la benedizione
data agli animali (Gn 1,22 e 8,17) e alla razza
umana (Gn l,28ss e 9,1 ss). Quest'ultima
benedizione contiene anche un elemento nuovo che
ne estende la portata, cioè il permesso di cibarsi
delle carni degli animali (Gn 9,3) insieme al
divieto di alimentarsi con il sangue e di
versarlo, in quanto considerato sede della vita
(Gn 9,4).
Sulla
stessa linea va posto il racconto dell'alleanza
che Dio stringe con tutta la creazione attraverso
Noè. L'impegno di assicurare il succedersi
regolare dei diversi tempi che scandiscono la vita
dell'umanità, con la garanzia di poter raccogliere
i frutti delle stagioni, era già stato assunto da
Dio che escludeva cosi il ripetersi di uno
sconvolgimento generale delle leggi che lui stesso
aveva dato alla natura (Gn 8,21-22).
In Gn
9,9-11 si introduce il termine «alleanza»
«berit» che qui indica un impegno solenne
da parte di Dio senza che sia richiesto all'uomo
alcun corrispettivo. Questo particolare garantisce
la realizzazione di quanto promesso, in quanto
dipende unicamente dal partner divino e non
dalla volontà o dall'osservanza di qualche
clausola da parte dell'uomo, cosa che avrebbe
introdotto un elemento di debolezza nel patto
stesso. Noè riceve da Dio una parola solenne che
riguarda tutto il creato e gli assicura la
sopravvivenza.
L'arcobaleno, per il suo verificarsi in
ogni parte del mondo, è interpretato come segno
universale di questo giuramento pronunciato da Dio
e garanzia del mantenimento della promessa che non
è rivolta soltanto a Noè ma all'umanità intera (Gn
9,12-16). La forma assunta dal fenomeno naturale
(quasi un ponte che congiunge la terra al cielo),
e il momento in cui si manifesta (la quiete della
natura dopo la violenza di un temporale) hanno
suggerito l'interpretazione poetica e religiosa
che ha riscontri in quasi tutte le culture.
L'altra immagine rievocata, quella dell'arco
riposto dopo un combattimento (il nubifragio con i
fulmini e le saette scoccate dalla divinità), ha
portato a pensare all'annuncio di un periodo di
pace, anticipato dal segno comparso nel
cielo.
Il
privilegio di cui gode Noè è attribuito al fatto
che «era uomo giusto e integro tra i suoi
contemporanei e camminava con Dio» (Gn 6,9).
Questa sua caratteristica giustifica quanto detto
nel versetto precedente, e cioè che «trovò grazia
agli occhi del Signore» (Gn 6,8). La benevolenza
di Dio si manifesta verso quello che viene
presentato come l'unico «giusto» in mezzo ad una
umanità depravata. Non si tratta dunque di un
atteggiamento di favoritismo immotivato, ma del
riconoscimento di un complesso di qualità,
sintetizzate nel termine tzaddiq che nel
linguaggio biblico indica l'uomo che corrisponde
in tutto ai progetti di Dio nei suoi
riguardi.
Non è
fuori luogo sottolineare che nel racconto del
Pentateuco le «dieci parole» non sono state ancora
consegnate a Mosè. Quella «Torah» che costituirà
il vanto di Israele (cf Dt 4,6-8; Bar 4,1-4) non
può ancora separare un popolo privilegiato dal
resto dell'umanità. Noè appartiene ad una massa
degenerata destinata all'annientamento totale, ma
nonostante ciò non è intaccato dalla corruzione
generale e continua a «camminare con Dio» (Gn
6,9), espressione usata anche per descrivere la
vita di Enoch (Gn 5,22.24), l'altro patriarca
premiato per la sua fedeltà a Dio.
L'atteggiamento religioso di Noè è messo in
evidenza anche dopo il diluvio. Il primo atto che
compie dopo aver rimesso in libertà gli animali
che popolavano l'arca è l'offerta di un sacrificio
in ringraziamento. Il racconto sembra insinuare
che Noè era tanto fedele a Dio da anticipare le
prescrizioni riguardanti gli animali che si
potevano offrire in sacrificio: solo quelli che in
seguito la legislazione contenuta nel Levitico
avrebbe indicato come «mondi» (cf Lv
11).
Questa
preoccupazione era già stata attribuita a Dio
stesso quando si trattava di introdurre nell'arca
le coppie di animali. Era stata fatta distinzione
tra quelli puri, di cui dovevano essere salvate
sette coppie, e gli altri per cui era sufficiente
mettere in salvo una sola coppia (Gn 7,2-3). Il
motivo di questa variante risulta chiaro nel
momento del sacrificio, che avrebbe rischiato di
essere il primo e l'ultimo della storia umana, se
fossero stati uccisi gli unici superstiti degli
animali destinati all'offerta
sacrificale.
La
promessa che Dio fa di non alterare il corso delle
stagioni umane (8,22) sembra voler riconoscere la
correttezza e la bontà di un atto di culto
condiviso e praticato da tutti i popoli, anche se
con modalità differenti (a volte anche in modo
radicale, vedi ad esempio l'uso dei sacrifici
umani) da quelle praticate dal popolo ebraico.
L'ottimismo derivante da questa promessa è però
velato dalla motivazione che ha spinto Dio a
farla: la malvagità radicale dell'uomo (Gn 8,21).
È uno spiraglio drammatico che apre la strada alle
narrazioni successive nelle quali emergono il
particolarismo e l'odio che nemmeno il diluvio è
riuscito a cancellare dall'animo della nuova
umanità.
Nel
seguito della storia, Noè viene presentato come
agricoltore e scopritore delle possibilità e
qualità della vite e del suo derivato: il vino (Gn
9,20-24). È visto anche come la prima vittima
delle conseguenze sgradevoli dovute all'uso di
bevande alcoliche, qui rappresentate da quella che
nei paesi mediterranei è la più diffusa e gradita,
benché non sia universale nel vero senso del
termine.
Il
racconto, che si sofferma sul comportamento dei
figli nei confronti del padre, denota
un'accentuata caratteristica eziologica
soprattutto per il riferimento sorprendente a
Canaan (Gn. 9,25) maledetto al posto del padre
Cam, il diretto responsabile dell'irriverenza
verso Noè. Sembra evidente la preoccupazione
dell'autore del racconto di spiegare (e
giustificare) la situazione storica determinatasi
nel territorio abitato dai Cananei dopo la
conquista operata da Israele, collegato
esplicitamente alla discendenza di Sem attraverso
il patriarca Abramo (Gn 11.10-30). La condizione
di sudditanza politica delle popolazioni locali ai
conquistatori non solo Ebrei ma anche Filistei
questi ultimi collegati a Iafet (Gn 10,1-5). viene
spiegata come conseguenza di una maledizione che
non ha colpito tutti i discendenti di Cam, ma solo
le tribù il cui territorio si affacciava sul
Mediterraneo (Gn 10,15-19).
Con
questa eziologia, dall'universalismo che
contraddistingue il racconto sulla vita di Noè si
restringe l'orizzonte al particolarismo di una
piccola regione, con le sue lotte fra tribù locali
che cercano faticosamente di trovare una ragione
per la propria sopravvivenza. E la motivazione
viene indicata in un peccato che ha violato il
precetto del rispetto verso l'autorità
patema.
La figura
di Noè mantiene invece la sua caratteristica di
universalità nelle presentazioni che ne vengono
fatte negli altri libri della Bibbia.
Ezechiele
presenta Noè come il prototipo dell'uomo giusto
(Ez 14,14-20) e vede nell'arcobaleno una
componente della manifestazione della «gloria» con
cui Dio si rende presente nel mondo (Ez 1,28). Il
Siracide è ammirato per il suo splendore e
bellezza che rivelano la potenza di Dio (Sir
43,11-12) e, parlando dei giusti del passato,
ricorda Noè come colui che ha assicurato il futuro
dell'intera umanità (Sir 44,17-I8). Lo stesso
concetto è espresso nel libro della Sapienza che
chiama Noè «la speranza del mondo» perché ha
lasciato «la semenza di nuove generazioni» (Sap
14,16).
Per
l'autore della seconda Lettera di Pietro, Noè non
è soltanto personalmente giusto
ma anche
«banditore di giustizia» (2 Pt 2.5), idea che
troviamo anche nella tradizione rabbinica
ricordata nella riflessione del Rav Laras. La
giustizia di Noe ha il suo fondamento nella fede
che lo ha portato a fidarsi ciecamente nella
parola che Dio gli aveva comunicato, senza
richiedere prove o dimostrazioni della verità.
Cosi afferma l’autore della Lettera agli Ebrei nel
suo excursus sulla fede dei grandi uomini
della storia (Eb 11,7). Infine nell'Apocalisse si
riprende l'immagine dell'arcobaleno per descrivere
lo splendore della gloria nella Gerusalemme
celeste (Ap 10,1) e soprattutto quello del trono
su cui siede il dominatore della stona (Ap
4,3).
Anche gli
apocrifi hanno esaltato Noè per le caratteristiche
messe in evidenza nei testi biblici, spesso
ampliando con leggende le notizie scarne del testo
sacro.. L’iconografia cristiana ha rappresentato
volentieri la scena del diluvio mettendo in luce
la figura del protagonista, spesso rappresentato
da solo in atteggiamento di preghiera.
Il Corano
gli intitola la sura 71 che presenta Noè
con la caratteristica di predicatore, appena
accennata nella seconda Lettera di Pietro e qui
invece molto sviluppata, con una polemica anti
idolatrica già presente nella sura 7,
59-64. In altri passi si ritorna sulla rivelazione
che Dio gli ha consegnato e sulla fedeltà di Noe
nel mettere in pratica i suoi comandi.
La figura
di questo patriarca ha offerto e continua ad
offrire spunti molto interessanti per una
riflessione sui rapporti tra Dio e l'umanità,
indipendentemente da rivelazioni particolari
vantate dall'una o dall'altra fede. Collocato nel
racconto biblico in una fase iniziale della storia
umana, Noè sintetizza in sé un messaggio
universale proprio perché precede le divisioni
dolorose che si sono create nel corso dei
millenni. Il messaggio di unità del genere umano,
derivante dalla comune origine da una sola
famiglia, mantiene intatto il suo valore, anche se
questo è velato dalla vicenda infelice che ha
avuto per protagonista Cam.
Purtroppo
questo particolare realistico, dovuto al
comportamento dei figli, ha assunto nei rapporti
tra i popoli una dimensione tale da far passare in
secondo piano i valori universali legati alla
figura del padre.
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