La capacità di
mediazione fra il cielo e la terra
nell’afflusso di folla al funerale di Giovanni Paolo II
e all’incoronazione di Benedetto XVI
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Chiesa, simboli & tubo catodico
parla il massmediologo Daniel Bougnoux
Fondatore con Régis Debray della "mediologia", la scienza
che studia i mass media, nonché professore emerito di Teoria delle
scienze dell'informazione all'università di Grenoble, Daniel Bougnoux
vede nel Papa un punto di riferimento capace di "radunare"
al di là delle differenze di lingua e di nazione. |
Che cosa rappresenta nell'universo
mediatico la figura del Papa?
«Il Papa è egli stesso - sia detto in maniera non irrispettosa - un
"media". E, come si sa, il "media" è il messaggio. Urbi
et orbi: questo doppio dativo, alla città e al mondo, indica
l'obbligo di mondializzazione del cattolico. Il Papa rappresenta un punto di
trascendenza al di sopra delle lingue, delle nazioni, dei partiti. È una
bella icona della mondializzazione temporale e spirituale, un punto di raduno.
Il cattolicesimo è legato alla visibilità e il messaggio cristiano
all'Incarnazione. Dunque, il Papa "incarna". In tale evidenza
palpabile del raduno, del punto di dialogo, un incontro mi ha commosso. I
fedeli nelle strade erano in comunione. È raro vedere tanta gente piangere e
pregare nello stesso momento. Anche tra i capi di Stato, strette di mano hanno
agito da forma di minima fraternizzazione. Mentre le guerre sono alimentate
dalla paura, si sono visti nemici stare gomito a gomito, stringersi la mano,
superare le reticenze. Le Nazioni unite, ad esempio, non hanno questo potere
di raduno. È molto paradossale l'impatto del Papa sui giovani. Bisogna che
siano privi di padri per gettarsi così verso di lui? Che abbiano sete di
punti di riferimento, di senso, d'autorità, di legge. Sentito ed eletto
plebiscitariamente come legge morale, il Papa non cambia a seconda delle
contingenze o delle urgenze terrene. Scandisce un messaggio trascendente,
mantiene la rotta, risveglia la nostalgia dei tempi lunghi del simbolico,
richiama articoli di fede di un'altra epoca. E il mondo moderno gliene è
riconoscente: ecco il paradosso dell'autorità pontificia. Serve un padre
perché ci siano dei fratelli. Serve una figura paterna, simbolica, al di
sopra della mischia perché alla base ci sia fraternità. Gli uomini possono
intendersi e organizzarsi solo richiamandosi o facendo riferimento a una
trascendenza fondatrice. A Roma l'umanità ha trovato un tale strapiombo
simbolico da potersi riunire e commuovere. Roma, capitale del mondo e del
dolore, poi della gioia. Passava un vento. I momenti di comunione
intensificano la comunicazione».
Che cosa l'ha commosso?
«Il grande corpo formato da tutte quelle folle poliglotte che si
spostavano, convergevano, si radunavano. Gli psicanalisti sostengono che
durante il periodo del lutto si mette il morto in sé, lo si
"incorpora". La folla si è radunata come un corpo solo. Nelle
strade di Roma l'umanità era al meglio. E poiché siamo tutti in cerca
d'entusiasmo…».
Nelle ultime tre settimane i media sono
passati da una sottoesposizione del cristianesimo a una notevole
sovraesposizione… Si è visto, letteralmente, un intero popolo uscire
dall'ombra.
«La Chiesa poggia sulla visibilità essenziale del suo messaggio,
incarnato dal suo Messia. Il messaggio è il Messia; il messaggio è stato
anche, nel caso di Giovanni Paolo II, il corpo sofferente del Papa. Si può
prenderne le distanze, ma è inconfutabile».
Come interpretare tale potere liturgico a
dosi massicce in media che abitualmente ne prendono le distanze?
«Contrariamente al protestantesimo, all'ebraismo e all'islam, il
cattolicesimo ha giocato la carta dell'immagine. L'immagine è un ascensore
tra la vita terrestre e quella celeste, una mediatrice tra l'invisibile e noi,
esseri di carne e peccatori. Da sempre le chiese sono adorne di immagini. La
fede ha bisogno di immagini».
Cosa pensa lo studioso dei media di
quest'elezione che avviene nel segreto più assoluto, al riparo da ogni
sguardo, e si concretizza in una fumata e poi in un'apparizione? «Il
sacro cammina nel segreto, e il simbolico si muove arcaicamente. La Chiesa
parla da duemila anni. Per legittimarsi, il potere spirituale ha bisogno di
tradizione accompagnate a messe in scena fondatrici».
Che culminano in
un'"apparizione" di cui nessuno sa niente nell'attimo stesso in cui
sta per prodursi…
«È il momento del corpo, della presenza reale che è un altro supporto
di immaginazioni per i credenti. L'uomo moderno è assediato da schermi,
telefoni, fax, internet. La presenza reale è insostituibile per rianimare il
contatto. I viaggi di Giovanni Paolo II avevano anche questa funzione: offrire
la presenza reale del Papa alle folle. Esistere vuol dire muoversi. È il
cogito moderno: viaggio dunque sono. Il Papa ha rappresentato anche questa
mutazione: ha seguito la sua epoca, attraverso i suoi viaggi e quella
sovraesposizione che ha trovato l'apoteosi nella sua morte. Il Papa poi,
"creato" da una misteriosa presenza in seno al conclave, più che
salire dal collegio dei cardinali scende dal cielo. Nessuno è insensibile al
mistero in questo mondo saturo di razionalità».
Nella coppia cattolico-catodico,
Chiesa-media, chi ha bisogno di chi?
«È un po' la storia della gallina e dell'uovo. I media non possono che
invidiare la superconduttività del messaggio spirituale che ha attraversato
due millenni senza importanti modifiche. Traggono una lezione di performance,
auditel e longevità da un'istituzione che si fa ascoltare da duemila anni.
Inversamente, la diffusione della fede è certamente opera dello Spirito
Santo, ma passa attraverso canali molto temporali».
(Pubblicato da "Avvenire" del 26 aprile 2005 su gentile concessione
del quotidiano «La croix», traduzione di Anna Maria Brogi)
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