Le verità religiose possiedono un contenuto che, quando è vissuto nella pratica, è facile da intuire, anche da persone che, appartenendo ad altre religioni, non lo condividono. Si tratta di verità formulate all'interno di un contesto storico e dottrinale ben specifico, e avvalorate da una tradizione ricavata dalla pratica costante di fedeli per centinaia e anche migliaia d'anni. Il teologo H. M. Barth, per far capire, in un convegno, l’importanza del contesto in cui è manifestata una verità, portava l’esempio della frase: "Cristo è il Signore". Formulata come grido di battaglia al tempo dei crociati, era recepita dai nemici come esplosione di violenza e sopraffazione.La stessa frase sottolineata come professione di fede da parte di credenti che scelgono Cristo come scopo di vita, sintetizza tutto il significato del Vangelo. Crea un ambiente non di sopraffazione, ma di accoglienza, pace, serenità e benessere. Barth voleva anche far capire che le espressioni teologiche se vengono tradotte in una spiritualità vissuta concretamente, non rimangono sterili. Diventano, se non del tutto comprensibili a chi vive una religiosità diversa, capaci di comunicare un senso di rispetto, di riverenza, di possibile rapporto. L'appello alla messa in pratica delle proprie convinzioni diventa particolarmente significativo oggi nella cultura occidentale, dove la crisi della ragione si fa sempre più evidente, e le ripetute, insistenti, appesantite affermazioni dottrinali vengono tollerate a mala pena e senza frutto. Questo vale per tutte le religioni in generale. E’proprio nella corrispondenza tra la dottrina e la vita, la base per le possibilità di dialogo e di ricerche comuni. Come dare espressione alla propria spiritualità Per mettere la propria spiritualità in un contesto di relazione accettabile con le altre, non basta conoscerla, praticarla, affermarla. E' necessario, oggi, tenere presente anche i rapporti avuti nel passato con le altre religioni. Per H. M. Barth, la fede cristiana, se vuole assumere un atteggiamento onesto nell'ambito delle religioni non cristiane, deve accreditarsi una certa dose di pentimento. "Dall'esterno, egli afferma, il cristianesimo di qualsiasi confessione, cattolica o no, continua a venire percepito come una religione violenta, arrogante e avida di potere. Non ha senso discutere in quale misura questa immagine sia legittima o se necessiti di alcune correzioni: l'impressione in ogni caso rimane e i cristiani seri, a qualsiasi chiesa appartengano, sanno bene se vale la pena polemizzare in proposito".In una tavola rotonda tenuta a Trieste (23 aprile 1999) Sergio Rostagno, teologo valdese, ricordava la problematica emersa già nel Congresso Missionario di Edimburgo nel lontano 1910. "Il cristianesimo si è fissato sul mandato espresso alla fine del Vangelo di Matteo (28, 19-20). La missione si è così affermata non come dialogo, possibilità di intesa e convivenza reciproca, ma come missione-conversione. Nessuna riflessione o reazione di fronte alla controtendenza, alla ribellione cioè delle altre religioni. Perché il cristianesimo deve ritenersi l'unica religione vera e la cultura cristiana superiore a tutte le altre? Dove sta scritto o chi può dire d'autorità che tutte le religioni e tutte le culture debbano sottostare a quella cristiana?" Il riferimento riguarda ovviamente le grandi religioni storiche. Nell'ultimo incontro di Trieste emergeva la necessità di relativizzare la propria religione non nel senso di metterne in dubbio il valore o anche solo di sminuirlo. "Relativizzare" nel senso di accettare che la propria religione non sia l'unica, la sola. Questo atteggiamento avvia, all'atto pratico, ad un primo accenno di accettazione reciproca: incominciare con la simpatia e il rispetto per chi non è come noi.Si arriva così a scoprire che ciò che è diverso non è disprezzabile, semplicemente perchè non ricalca quelle verità che per noi hanno un valore assoluto. Ad esempio, per ciò che riguarda Dio, egli è l'Assoluto in se stesso. Ma non lo è nei modi di conoscerlo e raggiungerlo da parte degli uomini, che sono legati ai propri limiti e alla diversità delle culture. Per ribadire il valore della spiritualità e porre le basi di un discorso concreto, H.M. Barth affermava: "Ciò che ci si deve aspettare oggi dai cristiani è quella coerenza che spesso nel corso della storia è loro mancata. Coerenza tradotta nel Vangelo vissuto quotidianamente. Deve diventare riconoscibile che non sono le crociate o le riconquiste la legittima conseguenza della fede cristiana, ma il rispetto, la tolleranza. Aspetti che si esprimono già positivamente oggi in Europa, nella concessione di costruire moschee. E questo anche se in alcuni paesi islamici è ampiamente vietata la costruzione e perfino il restauro delle chiese. La coerenza della fede cristiana si dimostra anche nella battaglia per i diritti umani nonostante che ciò comporti delle tensioni con le religioni non cristiane". L'esigenza di universalità Nelle grandi religioni ci sono notevoli aspetti fondamentalmente
diversi, eppure in ognuna l'esigenza di universalità è molto marcata. Anche alle
varie forme di cultura in genere, vengono attribuite caratteristiche di
universalità come riconoscimento di valore. Ma aspirare all'universale non
giustifica il diritto ad accreditarsi in proprio il senso di superiorità. Essere
in grado di toccare fibre profonde dell'animo umano, aspetto molto importante
per raggiungere l'universale in questo campo, non significa esaurire tutte le
aspettative dell'uomo o far vibrare tutte le risonanze del suo spirito. "Nessuna religione, dice Rostagno, è in grado di dire o di dare tutto su tutto. Il cristianesimo non può estendere l'univeralità che giustamente gli compete come valore, imponendosi come totalizzante di tutte le culture e di ogni loro aspetto. Può diffondere alcune sue peculiarità, l'incarnazione di Cristo principalmente, con tutto ciò che essa comporta". La consapevolezza che la propria religione ha valori universali non dà diritto di imporla necessariamente agli altri, né di ritenere che gli altri siano obbligati ad abbracciarla, pena l’imputazione di inferiorità: Dio ha creato l'uomo libero. L'universalità più che potere è capacità di sondare l'animo umano, di suscitare domande e dare risposta, di creare interessi e aspirazioni, di interpretare e creare ricchezza. Khodr aveva ricordato che la potenzialità del Padre non si esaurisce nell'Incarnazione del Figlio: "Il suo Spirito è onnipresente". Per Rostagno si tratta di riflessioni importanti che nel discorso missionario lasciano cadere la parte inautentica rafforzatasi lungo la storia. Sulla universalità dei valori è sempre possibile discutere, la loro traduzione nelle situazioni concrete viene appesantita e variata dalle circostanze. Tipiche queste di uomini limitati, di popoli che progrediscono e regrediscono, di mutamenti che si verificano e di forme di consapevolezza che si affermano. Il cambio di prospettive nell'ambito delle religioni avviene spesso perché gli aderenti si trovano ad un certo momento a disagio. Nel Buddismo non cambia nulla se un buddista si fa cristiano o viceversa, ma i responsabili si devono chiedere che cosa di ciò che è universale nella propria religione non soddisfa più e perché. Soprattutto quando si tratta di fenomeni di notevole estensione. Difficilmente è la dottrina di fondo a perdere slancio. Non sono i principi che regolano la condotta a perdere di efficacia. Forse è la sola interpretazione a rivelarsi fuori tempo, o l'occhio con il quale viene vista la realtà storica del momento a rendersi inefficiente. Maddalena Masutti [Fonte: Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni] |