L'espressione
"se vorrete ascoltare" utilizza la stessa radice verbale
ebraica (sh-m- ‘) della professione di fede ebraica: "Ascolta (shema
) Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno!" (Dt
6,4). Pertanto il servizio sacerdotale di Israele fra le genti è
l'ascolto attivo e la custodia dell'insegnamento rivelato.
Per questo tutto il popolo è radunato ai
piedi del Sinai dopo l'uscita dall'Egitto: uomini, donne e bambini sono
tutti chiamati all'impegno attraverso il proprio assenso (Es 19,16). Dio
propone una santità secondo l'esortazione levitica: "Sarete santi,
perché Io, il Signore, Dio vostro, sono Santo" (Lv 19,2). Il verbo
al futuro "sarete" esprime una tensione e l'idea di una meta
da raggiungere. Non a caso Gesù nel "discorso della montagna"
afferma di non essere venuto ad abolire la Torà ma a darle pienezza (Cf
Mt 5,17-19): infatti i doni divini sono irrevocabili (Cf Rm 9-11).
Il dono della Torà è offerto a Israele
e a tutta l'umanità. C'è un commento rabbinico che coglie
l'universalità della rivelazione sinaitica nel passo "tutto il
popolo vedeva le voci" (Es 20,18) esplicitandola così: "Perché
`le voci'? Perché la voce del Signore si trasformava in sette suoni e
da questi nelle settanta lingue, affinché tutti i popoli potessero
comprendere" (Esodo Rabbà V,9). Tale divisione secondo un numero
che nella Bibbia indica universalità ha come orizzonte l'umanità
intera secondo la dinamica biblica della relazione e della reciprocità.
Nel rapporto fra Israele e Dio la
mediazione di Mosè avviene secondo l'espressione: "Mosè parlava e
il Signore rispondeva con una voce" (Es 19,19). Nel testo
masoretico la forma verbale intensiva (iedabber) sottolinea il carattere
autorevole e rivelativo della parola di Mosè che media "una
voce" di Dio capace di trasformarsi in settanta lingue affinché
tutta l'umanità possa comprenderne il senso.
Nella tradizione rabbinica postbiblica il
dono dell'unica Torà sul Sinai è universale perché duplice: il
giudaismo infatti prevede 613 mitzwot (precetti) per gli ebrei e 7
precetti noachidi (cioè dati da Dio a Noè dopo il diluvio) per tutti i
non ebrei (Cf E. BENAMOZEGH, Israele e l'umanità, Marietti, Genova
1990, pp.181277 ).
Nel Libro dei giubilei (II sec. a.C.) la
Pentecoste ebraica è considerata memoriale dell'alleanza tra Dio e Noè
per tutta l'umanità e non solo per gli ebrei (Cf J.J. PETUCHOWSKI, Le
feste del Signore, pp.47-48 ).
Proprio durante la Pentecoste ebraica la
chiesa madre di Gerusalemme si trova riunita nel Cenacolo (Atti 2). Ci
sono i dodici apostoli (con Mattia al posto di Giuda), Maria, madre di
Gesù, e altre donne. Gli apostoli, dodici come le tribù di Israele,
alludono all'intero popolo
che
era ai piedi del monte Sinai (Es 19,16-18) e alcuni elementi comuni ai
due testi - vento, fuoco, rumore, nube, fumo - indicano la
manifestazione di Dio (teofania).
I giudei e prosèliti che
negli Atti provengono "da tutte le nazioni del mondo"
corrispondono alle "settanta lingue" della parola di Dio sul
Sinai. Le settanta lingue parlano di un messaggio che raggiunge
"gli estremi confini della terra": l'unica parola di Dio è
rivolta a tutti i (settanta) popoli o nazioni del mondo. Israele, che
come primogenito riceve questa Parola, è chiamato, nell'osservanza dei
613 precetti, a preservare la propria particolarità per essere
"luce delle Genti" e offrire così una testimonianza
universale. Le Genti, che vengono raggiunte dalla parola di Dio fatta
carne in Gesù, sono chiamate a "tradurre" l'unica e
universale Parola nelle rispettive e particolari culture.
Unica è la Parola, unica
è la polarità particolare-universale, diversa e speculare è la
prospettiva "missionaria" di Israele e delle Genti. Il tema
della Giornata ci offre la preziosa possibilità di leggere proprio in
questa prospettiva il recente documento della Pontificia commissione
biblica su "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana" (LEV, Città del Vaticano 2001).
Poiché la Torà "non è più in
cielo" ma è "molto vicina" all'umanità affinché possa
eseguirla (cf Dt 30,12-14) è compito di ogni uomo e di ogni donna
ricercarne tutti i possibili sensi. Se, da una parte, è importante che
la tradizione stabilisca dei criteri interpretativi e riconosca chi ha
particolare autorità nell'applicarli alla parola rivelata, dall'altra
è fondamentale che ogni persona, con la propria unicità, possa portare
il proprio contributo nell'orizzonte di una dialettica aperta. In altri
termini: se un uomo o una donna non nascono, un senso della Scrittura
non viene svelato (cf E. LÉVINAS, La Révélation dans la tradition
juive, in AA.VV., La révelation, Bruxelles 1977, pp.5_6-60).
Ecco perché è importante che tutti
possano "vedere" le voci, che tutti possano "fare e
ascoltare" secondo le proprie possibilità, magari anche attraverso
relazioni significative, così come è accaduto a Ruth, la moabita che
nel rapporto con la suocera ebrea Noemi incontra il Dio di Israele e
diviene una figura importante all'interno della discendenza davidica (cf
Rt 4,13-22).
Non a caso la tradizione ebraica legge il
libro che testimonia la sua vicenda proprio a Pentecoste, nel giorno in
cui si fa memoria della rivelazione sinaitica. Saper "vedere"
la parola/evento di Dio significa allora impegnare tutte le potenzialità
umane: ascolto, azione, razionalità per rendere visibili nella storia i
molteplici segni della verità che è la meta finale a cui tutti
tendiamo e nei confronti della quale tutti siamo in qualche modo
responsabili.
Nell'ottica della Giornata dell'ebraismo
ci siamo messi in ascolto di quanto la tradizione ebraica può offrire
alla nostra spiritualità cristiana, anche se non parla di Gesù Cristo.
La nostra fede in Gesù nostro Signore e unico Salvatore può solo
approfondirsi quando scopriamo la ricchezza e l'apertura della
prospettiva ebraica che il Nazareno condivise con il suo popolo.
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