DICHIARAZIONE COMUNE
DI SUA SANTITÀ IL PAPA GIOVANNI PAOLO II
E
DI SUA BEATITUDINE IL PATRIARCA TEOCTIST
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Giovanni Paolo II e Teoctist,
Roma 2002 |
"E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come
noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e
il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Gv
17, 22-23).
Nella gioia profonda del ritrovarci insieme nella città di Roma, presso la
tomba dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ci scambiamo l'abbraccio di pace di
fronte a Colui che veglia sulla sua Chiesa e guida i nostri passi, e meditiamo
ancora una volta queste parole che l'evangelista Giovanni ci ha tramandato e
che sono l'accorata preghiera di Cristo alla vigilia della sua Passione.
1. Questo nostro incontro si pone come continuazione dell'abbraccio che ci
siamo scambiati a Bucarest nel mese di maggio del 1999, mentre risuona ancora
nel nostro cuore l’appello accorato: "Unitate, unitate! Unità, unità!",
levatosi spontaneamente davanti a noi, in tale occasione, da una grande folla
di fedeli. Esso faceva eco alla preghiera di nostro Signore "affinché tutti
siano una cosa sola" (Gv 17,21).
L'odierna circostanza rafforza il nostro impegno di pregare e operare per
giungere alla piena unità visibile di tutti i discepoli di Cristo. Il nostro
scopo ed il nostro desiderio ardente è la comunione piena, che non è
assorbimento, ma comunione nella verità e nell’amore. E’ un cammino
irreversibile, che non ha alternative: è la via della Chiesa.
2. Segnate ancora dal triste periodo storico durante il quale si è negato
il Nome e la Signoria del Redentore, le comunità cristiane in Romania non di
rado trovano ancora oggi difficoltà a superare gli effetti negativi che quegli
anni hanno prodotto sull’esercizio della fraternità e della condivisione e
sulla ricerca della comunione. Il nostro incontro deve essere considerato un
esempio: i fratelli debbono ritrovarsi per rappacificarsi, per riflettere
insieme, per scoprire i modi di giungere ad intese, per esporre e spiegare le
ragioni degli uni e degli altri. Esortiamo, dunque, coloro che sono chiamati a
vivere fianco a fianco nella medesima terra romena, a trovare soluzioni di
giustizia e di carità. Occorre superare, mediante il dialogo sincero, i
conflitti, i malintesi ed i sospetti sorti nel passato, affinché i cristiani
in Romania, in questo periodo decisivo della loro storia, possano essere
testimoni di pace e di riconciliazione.
3. Il nostro rapporto deve riflettere la comunione vera e profonda in
Cristo che esiste già tra noi, anche se ancora non è piena. Riconosciamo,
infatti, con gioia che condividiamo la tradizione della Chiesa indivisa,
centrata sul mistero dell’Eucaristia, di cui sono testimoni i santi che noi
abbiamo in comune nei nostri calendari. D’altra parte i numerosi testimoni
della fede al tempo dell'oppressione e della persecuzione del secolo scorso,
che hanno mostrato la loro fedeltà a Cristo, sono un seme di speranza nelle
difficoltà di oggi.
Per alimentare la ricerca della piena comunione, anche nelle divergenze
dottrinali che tuttora permangono, occorre trovare strumenti concreti,
instaurando consultazioni regolari, nella convinzione che nessuna situazione
difficile è destinata a rimanere irrimediabilmente tale, e che grazie
all'atteggiamento di ascolto e di dialogo e allo scambio regolare di
informazioni possono essere individuate soluzioni soddisfacenti per appianare
le frizioni e giungere ad una equa soluzione di problemi pratici. Occorre
rafforzare questo processo perché la piena verità della fede divenga
patrimonio comune, condiviso dagli uni e dagli altri e capace di suscitare una
convivenza veramente pacifica, radicata e fondata nella carità.
Sappiamo bene come regolarci nello stabilire gli orientamenti che debbono
guidare l’opera di evangelizzazione, tanto necessaria dopo il periodo buio
dell’ateismo di Stato. Siamo d’accordo nel riconoscere la tradizione religiosa
e culturale di ogni popolo, ma anche la libertà religiosa. L’evangelizzazione
non può essere basata su uno spirito di competitività, ma sul rispetto
reciproco e sulla cooperazione, che riconoscono a ciascuno la libertà di
vivere secondo le proprie convinzioni, nel rispetto della propria appartenenza
religiosa.
4. Nello sviluppo dei nostri contatti, dalle Conferenze Panortodosse e dal
Concilio Vaticano II in poi, siamo stati testimoni di un promettente
ravvicinamento tra Oriente ed Occidente, fondato sulla preghiera, sul dialogo
nella carità e nella verità, così denso di momenti di profonda comunione. Per
questo vediamo con preoccupazione le difficoltà che attraversa attualmente la
Commissione Mista Internazionale di Dialogo tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa e, in occasione di questo nostro incontro, desideriamo
formulare l'auspicio che non si tralasci alcuna iniziativa per riattivare il
dialogo teologico e per rilanciare l’attività della Commissione. Abbiamo il
dovere di farlo, poiché il dialogo teologico renderà più forte l'affermazione
della nostra condivisa volontà di comunione di fronte all’attuale stato di
divisione.
5. La Chiesa non è una realtà rinchiusa su se stessa: essa è inviata al
mondo ed è aperta al mondo. Le nuove possibilità che si creano in un'Europa
già unita, e che sta estendendo i suoi confini per abbracciare i popoli e le
culture della parte centro-orientale del Continente, costituiscono una sfida
che i cristiani d'Oriente e d'Occidente debbono raccogliere insieme. Più essi
saranno uniti nella loro testimonianza all'unico Signore, più essi
contribuiranno a dare voce, consistenza e spazio all'anima cristiana
dell’Europa: alla santità della vita, alla dignità e ai diritti fondamentali
della persona umana, alla giustizia e alla solidarietà, alla pace, alla
riconciliazione, ai valori della famiglia, alla tutela del creato. L’Europa
intera ha bisogno della ricca cultura forgiata dal Cristianesimo.
La Chiesa ortodossa di Romania, centro di contatto e di scambio tra le
feconde tradizioni slave e bizantine dell’Oriente, e la Chiesa di Roma che
evoca, nella sua componente latina, la voce occidentale dell’unica Chiesa di
Cristo, debbono contribuire insieme ad un compito che caratterizza il terzo
millennio. Secondo un’espressione tradizionale e tanto bella, le Chiese
particolari amano designarsi quali Chiese sorelle. Aprirsi a questa
dimensione, significa collaborare per restituire all'Europa il suo ethos più
profondo ed il suo volto veramente umano.
Con queste prospettive e con questi propositi, insieme ci affidiamo al
Signore implorandoLo di renderci degni di edificare il Corpo di Cristo,
"finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di
Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena
maturità di Cristo" (Ef 4, 13).
Vaticano, 12 ottobre 2002