Accolto il voto popolare. Durante l’incontro
con il clero della diocesi di Roma, svoltosi nella Basilica di San
Giovanni in Laterano, il Papa ha letto il seguente annuncio in latino: “Il
Sommo Pontefice Benedetto XVI ha dispensato dal tempo di cinque anni di
attesa dopo la morte del Servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla),
Sommo Pontefice cosicché la causa di Beatificazione e Canonizzazione del
medesimo Servo di Dio posa avere subito inizio” (“Summus Pontifex, Benedictus XVI, dispensavit a
tempore quinque annorum exspectationis post mortem Servi Dei Ioannis Pauli
II Summi Pontificis”...).
Cosa
ne pensano ebrei e islamici
«Si può
forse programmarla, la santità?» Domandina apparentemente casuale che
Giovanni Paolo II poneva a suggello di uno dei suoi testi più frizzanti
ed agili, la Tertio Millennio ineunte (n. 31). Impossibile non
risentirla la stessa domanda, ma con un'altra eco, in queste ore in cui
diventa ufficiale ciò che a furor di popolo era stato chiesto quaranta
giorni or sono per le strade di Roma: "Wojtyla, subito santo",
"Presto Santo". Eccoci accontentati. E non sotto pressione
dell'onda emotiva, ma in forza di una lucida, tranquilla persuasione:
Giovanni Paolo II s'è conquistato il riconoscimento della Chiesa, in
vista della santità canonica, a tal punto che per lui non varranno le
cautele di ordine temporale.
Di temporale, semmai c'è da rilevare una
coincidenza, di quelle che a lui piacevano tanto, a proposito del 13
maggio. Ventiquattro anni fa, in quel giorno, egli cadeva quasi martire
sul selciato di San Pietro. «La vita mi è stata ridonata», dirà. E
ieri, ancora un 13 maggio, un'altra sua vita - tutta gloriosa - veniva
preannunciata.
All'iniziale domandina sulla santità possibile, Karol Wojtyla aveva in
realtà risposto da tempo, diciamo fin dalla giovinezza: non è
un'iniziativa tra le altre, il diventar santi, è la decisione, la molla
di un'intera esistenza, la «scultrice - spiegherà ai giovani - che
sagoma tutta la vita». Nel segno del più, non del meno. Del ritrovarsi
non del perdere, della sovrabbondanza non dell'assenza. Non è un caso, a
risaltare in lui erano una humanitas piena, una completezza di
personalità, una sintesi di talenti e doni apparentemente anche lontani,
che ancora impressionano e fanno da contrappunto all'eccezionalità del
passo ieri annunciato.
Per questo pontefice romano infatti sembra valere
solo una "misura alta" rispetto al banale quotidiano. Che pure
Karol Wojtyla ha attraversato con esuberanza e disciplina, sperimentando
che la nostra «è la religione del rimanere nell'intimo di Dio». In
cappella dell'arcivescovado di Cracovia, s'era inventato un
inginocchiatoio speciale, dotato di una tavoletta, e lì pregava e
lavorava, secondo un intreccio profondo, corroborante. Homo Dei,
immerso nell'adorazione, mai segregato rispetto al mondo. Da lì planava,
da lì assaporava ogni tonalità della vita, da lì si spingeva verso il
massimo della proiezione missionaria, senza calcolo, senza tregua.
Al compimento dei 25 anni di pontificato, l'allora cardinal decano
Ratzinger aveva detto a Giovanni Paolo II: «Possiamo constatare oggi come
lei si sia messo con tutto se stesso a servizio del Vangelo e si sia
lasciato consumare. Nella sua vita la parola croce non è solo una parola:
lei si è lasciato ferire da essa nell'anima e nel corpo». Ecco spiegata,
in questo passaggio, la decisione vaticana odierna: Wojtyla presto santo.
Sta qui il punto di contatto, invisibile quanto interminabile, tra i due
Papi, che erano anche - l'abbiamo capito - due grandi amici cristiani. «Il
nostro cardinale Ratzinger…» diceva Giovanni Paolo II, «il nostro Papa»
gli si rivolge ancora oggi Benedetto XVI. E la Chiesa - come ieri i
parroci romani - vibra, estasiata, per questo spettacolo di amicizia e
santità, sperimentando come la successione non sia accantonamento, e
l'affezionarsi rapido, incondizionato verso il nuovo Pontefice non copra
di dimenticanza il vecchio, ma lo faccia ritrovare, senza dissolvenze,
ancora più luminoso. Mistero splendido di un'avventura certo spirituale
ma anche straordinariamente umana. Grazie, papa Benedetto, per quello che
anche tu ci stai donando.
Dino Boffo
Cosa ne pensano ebrei e islamici
«Il fatto
che la memoria di Giovanni Paolo II venga onorata non può che farci
piacere». Così il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha commentato
la notizia dell'avvio della causa di beatificazione di Papa Wojtyla,
annunciata ieri dal suo successore, Benedetto XVI. «Le beatificazioni
sono un procedimento interno alla Chiesa cattolica sulle quali noi non
possiamo esprimere giudizi - ha detto ancora Di Segni -. Tuttavia è molto
positivo il fatto che si valorizzi una figura come quella di Karol Wojtyla».
Giovanni Paolo II fu il primo
Pontefice a varcare la soglia di una sinagoga. Era quella di Roma,
l'anno era il 1986. Un gesto che ben esprime il suo impegno per il dialogo
interreligioso.
Un altro
gesto indimenticabile: la visita alla moschea di
Damasco. Anche con
l'islam Wojtyla ha sempre cercato un rapporto fraterno. «Ogni reazione
non può che essere positiva - commenta alla notizia dell'avvio della
causa di beatificazione Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana
mondiale in Italia -. Giovanni Paolo II è stato un grande Papa, sensibile
interprete della realtà moderna, uomo di grande prestigio non solo nel
mondo cattolico. Anche l'islam gli è molto legato. Sono contento e,
insieme, sorpreso: non sapevo si potesse avviare così presto un processo
di beatificazione».
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[Fonte: "Avvenire" del 13
maggio 2005]