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Discorso
all'UNESCO di Parigi - Il
francobollo raffigura Giovanni Paolo II mentre pronuncia il
discorso nella sede dell'UNESCO a Parigi. In alto, a destra, le
date 2 giugno 1980; in basso, la scritta Poste Vaticane ed il
valore.
Il Papa mostrò
che è possibile costruire un nuovo mondo in cui lo sviluppo e
l’economia abbiano un volto umano e in cui i diritti
dell’uomo e il diritto internazionale siano retti dalla logica
della carità e della solidarietà |
Signor presidente della conferenza generale,
signor presidente del consiglio esecutivo,
signor direttore generale, signore, signori.
1. Desidero anzitutto esprimere i miei ringraziamenti
molto cordiali per l'invito che il signor Amadou Mahtar-M'Bow,
direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per
l'Educazione, la Scienza e la Cultura mi ha indirizzato a più riprese
e fin dalla prima visita che egli mi ha reso l'onore di farmi.
Numerose sono le ragioni per le quali io sono felice di poter
rispondere oggi a questo invito che ho, fin dal primo momento,
altamente apprezzato. Per le amabili parole di benvenuto che essi
hanno appena pronunciato a mio riguardo, ringrazio il signor Napoléon
Leblanc, presidente della conferenza generale, il signor Chams Eldine
El-Wakil, presidente del consiglio esecutivo, e il signor Amadou
Mahtar-M'Bow, direttore generale dell'organizzazione. Voglio salutare
anche tutti coloro che sono qui riuniti per la 109° sessione del
consiglio esecutivo dell'Unesco. Non potrei nascondere la mia gioia
nel vedere riuniti in questa occasione tanti delegati delle nazioni
del mondo intero, tante personalità eminenti, tanti specialisti,
tanti illustri rappresentanti del mondo della cultura e della scienza.
Con il mio intervento cercherò di portare la mia modesta pietra
all'edificio che voi costruite con assiduità e perseveranza, signore
e signori, mediante le vostre riflessioni e decisioni in tutti gli
ambiti che sono di competenza dell'Unesco.
2. Che mi sia permesso di cominciare riferendomi alle
origini della vostra organizzazione. Gli avvenimenti che hanno segnato
la fondazione dell'Unesco mi ispirano gioia e gratitudine verso la
provvidenza: la firma della sua costituzione il 16 novembre 1945;
l'entrata in vigore di questa costituzione e la fondazione
dell'organizzazione il 4 novembre 1946; l'accordo fra l'Unesco e
l'Organizzazione delle Nazioni Unite approvato dall'assemblea generale
dell'Onu nello stesso anno.
La vostra organizzazione è, di fatto, l'opera delle
nazioni che furono, dopo la fine della terribile seconda guerra
mondiale, spinte da ciò che si potrebbe chiamare un desiderio
spontaneo di pace, d'unione e di riconciliazione. Queste nazioni
cercarono i mezzi e le forme d'una collaborazione capace di stabilire.
d'approfondire e di assicurare, in maniera durevole, questa nuova
intesa.
L'Unesco è dunque nata, come l'Organizzazione delle
Nazioni Unite, perché i popoli sapessero che alla base delle grandi
imprese destinate a servire la pace e il progresso dell'umanità
sull'insieme del globo, c'era la necessità dell'unione delle nazioni,
del rispetto reciproco e della comprensione internazionale.
3. Continuando l'azione, il pensiero e il messaggio
del mio grande predecessore, il Papa Paolo VI, io ho avuto l'onore di
prendere la parola davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite,
nel mese d'ottobre scorso, su invito del signor Kurt Waldheim,
segretario dell'Onu. Poco dopo, il 12 novembre 1979, sono stato
invitato dal signor Edouard Saouma, direttore generale
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e
l'agricoltura a Roma. In quelle circostanze mi è stato permesso di
trattare questioni profondamente legate all'insieme dei problemi che
si riferiscono all'avvenire pacifico dell'uomo sulla terra. Di fatto,
tutti questi problemi sono intimamente legati. Noi ci troviamo in
presenza, per così dire, d'un vasto sistema di vasi comunicanti; i
problemi della cultura, della scienza e dell'educazione non si
presentano, nella vita delle nazioni e nelle relazioni internazionali,
in maniera indipendente dagli altri problemi dell'esistenza umana,
come quelli della pace e della fame. I problemi della cultura sono
condizionati dalle altre dimensioni dell'esistenza umana come, a loro
volta, questi li condizionano.
4. Vi è anche - ed io l'ho sottolineato nel mio
discorso all'Onu, riferendomi alla dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo - una dimensione fondamentale, che è capace di
sconvolgere nelle loro fondamenta i sistemi che strutturano l'insieme
del l'umanità e di liberare l'esistenza umana, individuale e
collettiva, dalle minacce che pesano su di lei. Questa dimensione
fondamentale è l'uomo, l'uomo nella sua integrità, l'uomo che vive
nel medesimo tempo nella sfera dei valori materiali e in quella dei
valori spirituali. Il rispetto dei diritti inalienabili della persona
umana è alla base di tutto (cfr. Ioannis Pauli PP. II «Allocutio ad
Nationum Unitarum Legatos», 7 et 13, die 2 oct. 1979: «Insegnamenti
di Giovanni Paolo II», II,2 [1979] 525-526 et 531-532). Ogni minaccia
contro i diritti dell'uomo, che sia nel quadro dei suoi beni
spirituali o in quello dei suoi beni materiali, fa violenza a questa
dimensione fondamentale. Per questo, nel mio discorso alla Fao, ho
sottolineato che nessun uomo, nessun paese e nessun sistema del mondo
possono restare indifferenti dinanzi alla «geografia della fame» e
le minacce gigantesche che ne seguiranno se tutto l'orientamento della
politica economica, ed in particolare la gerarchia degli investimenti,
non cambieranno in modo essenziale e radicale. Per questo anche
insisto, riferendomi alle origini della vostra organizzazione, sulla
necessità di mobilitare tutte le forze che orientano la dimensione
spirituale dell'esistenza umana, che testimoniano del primato dello
spirituale nell'uomo - di ciò che corrisponde alla dignità della sua
intelligenza, della sua volontà e del suo cuore - per non soccombere
di nuovo alla mostruosa alienazione del male collettivo che è sempre
pronto ad utilizzare le risorse materiali nella lotta sterminatrice
degli uomini contro gli uomini, delle nazioni contro le nazioni.
5. All'origine dell'Unesco, come anche alla base della
dichiarazione universale dei diritti dell'uomo si trovano dunque
questi primi nobili impulsi della coscienza umana, dell'intelligenza e
della volontà. Io mi richiamo a questa origine, a questo inizio, a
queste premesse e a questi primi principi. E in loro nome che vengo
oggi a Parigi, nella sede della vostra organizzazione, con una
preghiera: che al termine d'una tappa di più di trent'anni delle
vostre attività, voi vogliate unirvi ancora di più attorno a questi
ideali e principi che ci furono all'inizio. E in loro nome anche che
mi permetterò ora di proporvi alcune considerazioni veramente
fondamentali perché è solamente alla loro luce che risplende
pienamente il significato di questa istituzione che ha per nome Unesco,
Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la Scienza e la
Cultura.
6. «Genus humanum arte et ratione vivit» (cfr.
S.Thomae «In Aristotelis "Post. Analyt."», 1). Queste
parole di uno dei più grandi geni del cristianesimo, che fu nello
stesso tempo un continuatore fecondo del pensiero antico, portano al
di là del cerchio e del significato contemporaneo della cultura
occidentale sia mediterranea che atlantica. Esse hanno un significato
che si applica all'insieme dell'umanità in cui si incontrano le
diverse tradizioni che costituiscono la sua eredità spirituale e le
diverse epoche della sua cultura. Il significato essenziale della
cultura consiste, secondo queste parole di san Tommaso d'Aquino, nel
fatto che essa è una caratteristica della vita umana come tale.
L'uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita
umana è cultura nel senso anche che l'uomo si distingue e si
differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte
nel mondo visibile: l'uomo non può essere fuori della cultura. La
cultura è un modo specifico dell'«esistere» e dell'«essere»
dell'uomo. L'uomo vive sempre secondo una cultura che gli è propria,
e che, a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure è loro
proprio, determinando il carattere inter-umano e sociale
dell'esistenza umana. Nell'unità della cultura, come modo proprio
dell'esistenza umana, si radica nello stesso tempo la pluralità delle
culture in seno alle quali l'uomo vive. In questa pluralità, L'uomo
si sviluppa senza perdere tuttavia il contatto essenziale con l'unità
della cultura in quanto dimensione fondamentale ed essenziale della
sua esistenza e del suo essere.
7. L'uomo che, nel mondo visibile, è l'unico soggetto
ontico della cultura, è anche il suo unico oggetto e il suo termine.
La cultura è ciò per cui l'uomo in quanto uomo diventa più uomo,
«è» di più, accede di più all'«essere». E' qui anche che si
fonda la distinzione capitale fra ciò che l'uomo è e ciò che egli
ha, fra l'essere e l'avere. La cultura si situa sempre in relazione
essenziale e necessaria a ciò che è l'uomo, mentre la sua relazione
a ciò che egli ha, al suo «avere», è non soltanto secondaria, ma
del tutto relativa. Tutto l'«avere» dell'uomo non è importante per
la cultura, non è un fattore creatore della cultura se non nella
misura in cui l'uomo, con la mediazione del suo «avere», può nello
stesso tempo «essere» più pienamente come uomo in tutte le
dimensioni della sua esistenza, in tutto ciò che caratterizza la sua
umanità. L'esperienza delle diverse epoche, senza escludere la
presente, dimostra che si pensa alla cultura e che se ne parla
anzitutto in relazione alla natura dell'uomo e solo in modo secondario
e indiretto in relazione al mondo delle sue produzioni. Questo non
toglie nulla al fatto che noi giudichiamo il fenomeno della cultura a
partire da ciò che l'uomo produce o che noi traiamo da questo nello
stesso tempo delle conclusioni sull'uomo. Tale approccio - modo tipico
di processo di conoscenza «a posteriori» - contiene in sé la
possibilista di risalire, in senso opposto, verso le dipendenze
ontico-causali. L'uomo, e solo l'uomo, è «autore» o «artefice»
della cultura; l'uomo, e solo l'uomo, si esprime in essa ed in essa
trova il suo proprio equilibrio.
8. Noi tutti qui presenti ci incontriamo sul terreno
della cultura, realtà fondamentale che ci unisce e che è alla base
dell'istituzione e delle finalità dell'Unesco. Ci incontriamo per lo
stesso fatto intorno all'uomo e in un certo senso, in lui, nell'uomo.
Quest'uomo che si esprime e si oggettivizza nella e mediante la
cultura, è unico, completo e indivisibile. Egli è allo stesso tempo
soggetto e artefice della cultura. Non lo si può quindi considerare
unicamente come la risultante di tutte le condizioni concrete della
sua esistenza, come la risultante - per non citare che un esempio -
delle relazioni di produzione che prevalgono ad un'epoca determinata.
Questo criterio delle relazioni di produzione non sarebbe allora in
nessun modo una chiave per la comprensione della storicità dell'uomo,
per la comprensione della sua cultura e delle molteplici forme del suo
sviluppo? Certo, questo criterio costituisce bene una chiave, ed anche
una chiave preziosa, ma non è la chiave fondamentale, costitutiva. Le
culture umane riflettono, non c'è dubbio, i diversi sistemi delle
relazioni della produzione; tuttavia non è questo o quel sistema che
è all'origine della cultura, ma è l'uomo, L'uomo che vive nel
sistema, che l'accetta o che cerca di cambiarlo. Non si può pensare
una cultura senza soggettività umana e senza causalità umana; ma
nell'ambito culturale, l'uomo è sempre il fatto primario: l'uomo è
il fatto primordiale e fondamentale della cultura. E questo l'uomo lo
è sempre nella sua totalità: nell'insieme integrale della sua
soggettività spirituale e materiale. Se la distinzione fra cultura
spirituale e cultura materiale è giusta in funzione del carattere e
del contenuto dei prodotti nei quali la cultura si manifesta, bisogna
constatare nello stesso tempo che, da una parte, le opere della
cultura materiale fanno apparire sempre una «spiritualizzazione»
della materia, una sottomissione dell'elemento materiale alle forze
spirituali dell'uomo, vale a dire, alla sua intelligenza e alla sua
volontà, e che, d'altra parte, le opere della cultura spirituale
manifestano, in una maniera specifica, una «materializzazione» dello
spirito, una incarnazione di ciò che è spirituale. Nelle opere
culturali, questa duplice caratteristica sembra essere ugualmente
primordiale ed ugualmente permanente. Ecco dunque, a guisa di
conclusione teorica, una base sufficiente per comprendere la cultura
attraverso l'uomo integrale, attraverso tutta la realtà della sua
soggettività. Ecco anche - nell'ambito dell'agire - la base
sufficiente per cercare sempre nella cultura l'uomo integrale, l'uomo
tutto intero, in tutta la verità della sua soggettività spirituale e
corporale; la base che è sufficiente per non sovrapporre alla cultura
- sistema autenticamente umano, sintesi splendida dello spirito e del
corpo - delle divisioni e delle opposizioni preconcette. Di fatto, che
si tratti di una assolutizzazione della materia nella struttura del
soggetto umano, o, inversamente, di una assolutizzazione dello spirito
in questa stessa struttura, né l'una né l'altra esprimono la verità
dell'uomo e non servono la sua cultura.
9. Vorrei fermarmi qui ad un'altra considerazione
essenziale, ad una realtà di un ordine ben diverso. Possiamo
accostarla notando il fatto che la santa Sede è rappresentata all'Unesco
dal suo osservatore permanente, la cui presenza si situa nella
prospettiva della natura stessa della sede apostolica. Questa presenza
è, in un modo più ampio ancora, in consonanza con la natura e la
missione della Chiesa cattolica e, indirettamente, con quella di tutto
il cristianesimo. Colgo l'occasione che mi è offerta oggi per
esprimere una convinzione personale profonda. La presenza della sede
apostolica presso la vostra organizzazione - benché motivata dalla
sovranità specifica della santa Sede - trova soprattutto la sua
ragion d'essere nel legame organico e costitutivo che esiste fra la
religione in generale e il cristianesimo in particolare da una parte,
e la cultura dall'altra. Questa relazione si estende alle molteplici
realtà che bisogna definire come espressioni concrete della cultura
nelle diverse epoche della storia e in tutti i punti del globo. Non
sarà certo esagerato affermare in particolare che, attraverso una
moltitudine di fatti, l'Europa tutta intera - dall'Atlantico agli
Urali - testimonia, nella storia di ogni nazione come in quella della
comunità intera, il legame fra la cultura e il cristianesimo.
Ricordando questo, non voglio in alcun modo diminuire l'eredità degli
altri continenti, né la specificità e il valore di quella stessa
eredità che deriva da altre fonti di ispirazione religiosa, umana ed
etica. Ben di più, a tutte le culture dell'insieme della famiglia
umana, dalle più antiche a quelle che ci sono contemporanee, desidero
rendere l'omaggio più profondo e sincero. E' pensando a tutte le
culture che voglio dire ad alta voce qui, a Parigi, nella sede dell'Unesco,
con rispetto e ammirazione. «Ecco l'uomo!». Voglio proclamare la mia
ammirazione davanti alla ricchezza creatrice dello spirito umano,
davanti ai suoi sforzi incessanti per conoscere e per affermare
l'identità dell'uomo: di quest'uomo che è sempre presente in tutte
le forme particolari di cultura.
10. Parlando invece del posto della Chiesa e della
sede apostolica presso la vostra organizzazione, non penso soltanto a
tutte le opere della cultura nelle quali, nel corso dei due ultimi
millenni, si è espresso l'uomo che ha accettato Cristo e il Vangelo,
né alle istituzioni di diverse specie che sono nate dalla stessa
ispirazione nell'ambito dell'educazione, dell'istruzione, della
beneficenza, dell'assistenza sociale e in tanti altri. Penso
soprattutto, signore e signori, al legame fondamentale del Vangelo,
ossia del messaggio di Cristo e della Chiesa, con l'uomo nella sua
stessa umanità. Questo legame è in effetti creatore della cultura
nel suo fondamento stesso. Per creare la cultura, bisogna considerare,
fino alle sue ultime conseguenze e integralmente, l'uomo come un
valore particolare e autonomo, come il soggetto portatore della
trascendenza della persona. Bisogna affermare l'uomo per se stesso e
non per qualche altro motivo o ragione: unicamente per se stesso!
Ancor più, bisogna amare l'uomo perché è uomo, bisogna rivendicare
l'amore per l'uomo in ragione della dignità particolare che egli
possiede. L'insieme delle affermazioni concernenti l'uomo appartiene
alla sostanza stessa del messaggio di Cristo e della missione della
Chiesa, malgrado tutto ciò che gli spiriti critici hanno potuto
dichiarare in materia, e tutto ciò che hanno potuto fare le diverse
correnti opposte alla religione in generale e al cristianesimo in
particolare. Nel cuore della storia, noi siamo già stati più di una
volta e siamo ancora i testimoni d'un processo, d'un fenomeno molto
significativo. Là dove sono state soppresse le istituzioni religiose,
dove le idee e le opere nate dall'ispirazione religiosa e, in
particolare, dalla ispirazione cristiana, sono state private del loro
diritto di cittadinanza, gli uomini ritrovano di nuovo questi stessi
dati, fuori dalle strade istituzionali, col confronto che si opera,
nella verità e nello sforzo interiore, fra ciò che costituisce la
loro umanità e ciò che è contenuto nel messaggio cristiano. Signore
e signori, mi vorrete perdonare questa affermazione. Proponendola, non
ho voluto offendere assolutamente nessuno. Vi prego di comprendere
che, in nome di ciò che sono, non potevo astenermi di dare questa
testimonianza. Essa porta anche in sé quella verità - che non può
essere passata sotto silenzio - sulla cultura, se si cerca in essa
tutto ciò che è umano, ciò in cui l'uomo si esprime o mediante il
quale vuol essere il soggetto della propria esistenza. Parlandone,
volevo nello stesso tempo manifestare ancor più la mia gratitudine
per i legami che uniscono l'Unesco alla sede apostolica, legami di cui
la mia presenza oggi vuol essere una espressione particolare.
11. Da tutto questo deriva un certo numero di
conclusioni fondamentali. In effetti, le considerazioni che ho fatto
mostrano con evidenza che il compito primario ed essenziale della
cultura in generale e anche di ogni cultura, è l'educazione.
L'educazione consiste in sostanza nel fatto che l'uomo divenga sempre
più umano, che possa «essere» di più e non solamente che possa «avere»
di più, e che, di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli «ha»,
tutto ciò che egli «possiede», sappia sempre più pienamente, «essere»
uomo. Per questo bisogna che l'uomo sappia «essere più» non solo «con
gli altri», ma anche «per gli altri». L'educazione ha un'importanza
fondamentale per la formazione dei rapporti interumani e sociali. A
questo punto, tocco anche un insieme di assiomi, sul terreno dei quali
le tradizioni del cristianesimo derivate dal Vangelo incontrano
l'esperienza educativa di molti uomini ben disposti e profondamente
saggi, tanto numerosi in tutti i secoli della storia. Non mancano
neppure nella nostra epoca questi uomini che si rivelano grandi
semplicemente per la loro umanità, che sanno dividere con gli altri,
in particolare con i giovani. Nello stesso tempo, i sintomi di crisi
di ogni genere, di fronte ai quali soccombono gli ambienti e le società,
che, per altro verso, sono i più provveduti - crisi che investono
prima di tutto le giovani generazioni - fanno a gara nel testimoniare
che l'opera di educazione dell'uomo non si compie soltanto con l'aiuto
delle istituzioni né solo con l'aiuto di mezzi organizzati e
materiali, per quanto eccellenti siano. Essi mostrano anche che il più
importante è sempre l'uomo, l'uomo e la sua autorità morale, che
deriva dalla verità dei suoi principi e dalla conformità delle sue
azioni con questi principi.
12. In quanto organizzazione mondiale di massima
competenza in tutti i problemi della cultura, l'Unesco non può
ignorare questi altri problemi assolutamente primordiali: che fare
perché l'educazione dell'uomo si realizzi soprattutto nella famiglia?
Quale è lo stato della moralità pubblica che assicurerà alla
famiglia e soprattutto ai genitori, l'autorità morale necessaria a
questo fine? Quale tipo d istruzione? Quale forma di legislazione
sostiene questa autorità o, al contrario, l'indebolisce o la
distrugge? Le cause di successo e di insuccesso nella formazione
dell'uomo mediante la sua famiglia si situano sempre all'interno
stesso dell'ambiente creatore fondamentale della cultura che è la
famiglia ed anche a un livello superiore, quello della competenza
dello Stato e dei suoi organi da cui esse restano dipendenti. Questi
problemi non possono non provocare riflessione e sollecitudine nel
foro dove si incontrano i rappresentanti qualificati dello Stato. Non
c'è dubbio che il fatto culturale primario è fondamentale è l'uomo
spiritualmente maturo, vale a dire pienamente educato, l'uomo capace
di educare se stesso e di educare gli altri. Non c è dubbio neppure
che la dimensione primaria e fondamentale della cultura è la sana
moralità: la cultura morale.
13. Certo, si trovano in questo ambito numerosi
problemi particolari, ma l'esperienza mostra che tutto resta e che
questi problemi si situano in sistemi evidenti di dipendenza
reciproca. Per esempio, nell'insieme del processo dell'educazione,
dell'educazione scolastica in particolare, non è forse avvenuto uno
spostamento unilaterale verso l'istruzione nel senso stretto della
parola? Se si considerano le proporzioni assunte da questo fenomeno,
come l'accrescimento sistematico dell'istruzione che si riferisce
unicamente a ciò che l'uomo possiede, non è l'uomo stesso che si
trova sempre più messo in ombra? Questo trascina allora con sé una
vera alienazione dell'educazione: invece di operare in favore di ciò
che l'uomo deve «essere», essa lavora unicamente in favore di ciò
di cui l'uomo può servirsi nell'ambito dell'«avere», del «possesso».
La tappa ulteriore di questa alienazione è di abituare l'uomo,
privandolo della sua propria soggettività, ad essere oggetto di
molteplici manipolazioni: le manipolazioni ideologiche o politiche che
si fanno attraverso l'opinione pubblica; quelle che si operano
attraverso il monopolio o il controllo, dalle forze economiche o dai
poteri politici, dai mezzi di comunicazione sociale; la manipolazione,
infine, che consiste nel presentare la vita come manipolazione
specifica di se stessi. Sembra che da tali danni in materia di
educazione siano minacciate soprattutto le società di civilizzazione
tecnica più sviluppata. Queste società si trovano davanti la crisi
specifica dell'uomo che consiste in una mancanza crescente di fiducia
nei confronti della propria umanità, del significato del fatto
d'essere uomo e dell'affermazione e della gioia che ne derivano e che
sono sorgente di creazione. La civiltà contemporanea tenta d'imporre
all'uomo una serie di imperativi apparenti che i loro portavoce
giustificano ricorrendo al principio dello sviluppo e del progresso.
Così, per esempio, al posto del rispetto della vita, l'«imperativo»
di sbarazzarsi della vita e di distruggerla; al posto dell'amore, che
è comunione responsabile di persone, l'«imperativo» del massimo di
godimento sessuale al di fuori da ogni senso di responsabilità; al
posto del primato della verità nell'azione, il «primato» del
comportamento in voga, del soggettivo e del successo immediato. In
tutto questo si esprime indirettamente una grande rinuncia sistematica
alla sana ambizione che è l'ambizione di essere uomo. Non facciamoci
illusioni: il sistema formato sulla base di questi falsi imperativi,
di queste rinunce fondamentali, può determinare l'avvenire dell'uomo
e l'avvenire della cultura.
14. Se, in nome dell'avvenire della cultura, bisogna
proclamare che l'uomo ha il diritto di «essere» di più e se per la
stessa ragione bisogna esigere un sano primato della famiglia
nell'insieme dell'opera di educazione dell'uomo a una vera umanità,
bisogna anche porre nella stessa linea il diritto della nazione;
bisogna porre anch'essa alla base della cultura e dell'educazione. La
nazione è in effetti la grande comunità degli uomini che sono uniti
per diversi legami, ma, soprattutto, dalla cultura. La nazione esiste
«mediante» la cultura e «per» la cultura, ed essa è dunque la
grande educatrice degli uomini perché essi possano «essere di più»
nella comunità. Essa è quella comunità che possiede una storia che
sorpassa la storia dell'individuo e della famiglia. E' anche in questa
comunità, in funzione della quale ogni famiglia educa, che la
famiglia comincia la sua opera di educazione nella cosa più semplice,
la lingua, permettendo così all'uomo che è ai suoi primi passi,
d'imparare a parlare per diventare membro della comunità che è la
sua famiglia e la sua nazione. In tutto ciò che io proclamo ora e che
svilupperò ancora di più, le mie parole traducono un'esperienza
particolare, una testimonianza nel suo genere. Io sono figlio di una
nazione, che ha vissuto le più grandi esperienza della storia, che i
suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è
sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato la sua
identità ed ha conservato, nonostante le spartizioni e le occupazioni
straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle
risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla sua
cultura. Questa cultura si è rivelata all'occorrenza d'una potenza più
grande di tutte le altre forze. Quello che io dico qui in ordine al
diritto della nazione, al fondamento della sua cultura e del suo
avvenire non è «eco» di alcun nazionalismo, ma si tratta sempre di
un elemento stabile dell'esperienza umana e delle prospettive umane
dello sviluppo dell'uomo. Esiste una sovranità fondamentale della
società che si manifesta nella cultura della nazione. Si tratta della
sovranità per la quale, allo stesso tempo, l'uomo è supremamente
sovrano. E quando mi esprimo così penso ugualmente, con un'emozione
interiore profonda, alle culture di tanti popoli antichi che non hanno
ceduto quando si sono trovati di fronte alle civiltà degli invasori
ed esse restano ancora per l'uomo la fonte del suo «essere» uomo
nella verità interiore della sua umanità. Penso anche con
ammirazione alle culture delle nuove società, di quelle che si
svegliano alla vita nella comunità della propria nazione - come la
mia nazione si è svegliata alla vita dieci secoli fa - e che lottano
per conservare la loro propria identità e i loro propri valori contro
le influenze e le pressioni dei modelli preposti dall'esterno.
15. Indirizzandomi a voi, signore e signori che vi
riunite in questo luogo da oltre trent'anni, ora, in nome del primato
delle realtà culturali del luogo, delle comunità umane, dei popoli e
delle nazioni, vi dico: vigilate, con tutti i mezzi a vostra
disposizione, su questa sovranità fondamentale che possiede ogni
nazione in virtù della sua propria cultura. Proteggetela come la
pupilla dei vostri occhi per l'avvenire della grande famiglia umana.
Proteggetela! Non permettete che questa sovranità fondamentale
diventi la preda di qualche interesse politico o economico. Non
permettete che diventi vittima dei totalitarismi, degli imperialismi o
delle egemonie, per i quali l'uomo non conta che come oggetto di
dominazione e non come soggetto della sua propria esistenza umana. Per
essi anche la nazione - la loro propria nazione o le altre - non conta
che come oggetto di dominazione ed esca di interessi diversi, e non
come soggetto: il soggetto della sovranità che proviene dalla cultura
autentica che le appartiene in proprio. Non ci sono forse sulla carta
d'Europa e del mondo delle nazioni che hanno una meravigliosa sovranità
storica che proviene dalla loro cultura e che sono tuttavia e allo
stesso tempo private della loro piena sovranità? Non è questo un
punto importante per l'avvenire delle cultura umana, importante
soprattutto nella nostra epoca, quando è quanto urgente eliminare i
resti del colonialismo?
16. Questa sovranità che esiste e che trae la sua
origine dalla cultura propria della nazione e della società, dal
primato della famiglia nell'opera dell'educazione ed infine dalla
dignità personale di ogni uomo, deve restare il criterio fondamentale
nella maniera di trattare quel problema importante per l'umanità
d'oggi che è il problema dei mezzi di comunicazione sociale
(dell'informazione che è loro legata e anche di ciò che si chiama la
«cultura di massa»). Visto che questi mezzi sono i mezzi «sociali»
della comunicazione, non possono essere mezzi di dominazione sugli
altri da parte di agenti del potere politico come di quello delle
potenze finanziarie che impongono il loro programma e il loro modello.
Essi devono diventare il mezzo - e che mezzo importante! - di
espressione di quella società che si serve di loro e che ne assicura
anche l'esistenza. Essi devono tener conto dei veri bisogni di quella
società. Essi devono tener conto della cultura della nazione e della
sua storia. Devono rispettare la responsabilità della famiglia
nell'ambito dell'educazione. Devono tener conto del bene dell'uomo,
della sua dignità. Non possono essere sottomessi al criterio
dell'interesse, del sensazionale e del successo immediato, ma tenendo
conto delle esigenze dell'etica, devono servire alla costruzione di
una vita «più umana».
17. «Genus humanum arte et ratione vivit». Si
afferma in fondo che l'uomo è se stesso mediante la verità, e
diventa sempre più se stesso mediante la conoscenza sempre più
perfetta della verità. Vorrei qui rendere omaggio, signore e signori,
a tutti i meriti della vostra organizzazione e nello stesso tempo
all'impegno e a tutti gli sforzi degli Stati e delle istituzioni che
voi rappresentate, sulla via della popolarizzazione della istruzione a
tutti i gradi e a tutti i livelli, sulla via dell'eliminazione
dell'analfabetismo che significa la mancanza di ogni istruzione anche
la più elementare, mancanza dolorosa non solo dal punto di vista
della cultura elementare degli individui e degli ambienti, ma anche
dal punto di vista del progresso socio-economico. Ci sono degli indici
inquietanti di ritardo in questo ambito, legati ad una distribuzione
dei beni spesso radicalmente ineguale e ingiusta: pensiamo alle
situazioni nelle quali esistono, accanto ad una oligarchia
plutocratica poco numerosa, moltitudini di cittadini affamati che
vivono nella miseria. Questo ritardo può essere eliminato non per la
via di lotte sanguinarie per il potere, ma soprattutto per la via
dell'alfabetizzazione sistematica attraverso la diffusione e la
popolarizzazione dell'istruzione. Uno sforzo così orientato è
necessario se si desidera operare per i cambiamenti che s'impongono
nell'ambito socio-economico. L'uomo che «è più» grazie anche a ciò
che «ha» e a ciò che «possiede», deve saper possedere, vale e
dire disporre e amministrare i mezzi che possiede, per il suo bene
proprio e per il bene comune. Per questo fine l'istruzione è
indispensabile.
18. Il problema dell'istruzione è sempre stato
strettamente legato alla missione della Chiesa. Nel corso dei secoli
essa ha fondato scuole di ogni grado; ha dato i natali alle università
medievali in Europa: a Parigi come a Bologna, a Salamanca come a
Heidelberg, a Cracovia come a Lovanio. Nella nostra epoca, essa offre
pure lo stesso contributo ovunque la sua attività in questo ambito è
richiesta e rispettata. Che mi sia permesso di rivendicare in questo
luogo per le famiglie cattoliche il diritto che appartiene a tutte le
famiglie di educare i loro figli nelle scuole che corrispondono alla
loro visione del mondo, ed in particolare lo stretto diritto dei
genitori credenti a non vedere i loro figli sottoposti, nelle scuole,
a programmi ispirati all'ateismo. Si tratta in effetti di diritti
fondamentali dell'uomo e della famiglia.
19. Il sistema d'insegnamento è legato organicamente
al sistema dei diversi orientamenti dati al modo di praticare e di
rendere popolare la scienza. Fatto a cui servono gli istituti di
insegnamento ad alto livello, le università ed anche, visto lo
sviluppo attuale della specializzazione e dei metodi scientifici, gli
istituti specializzati. Si tratta di istituzioni di cui sarebbe
difficile parlare senza un'emozione profonda. Esse sono le banche del
lavoro, presso le quali la vocazione dell'uomo alla conoscenza, come
il legame costitutivo dell'umanità con la verità come scopo della
conoscenza, diventano una realtà quotidiana, in un certo senso il
pane quotidiano di tanti insegnanti, corifei venerati della scienza e,
attorno a loro, di giovani ricercatori votati alla scienza e alle sue
applicazioni, come pure della moltitudine di studenti che frequentano
questi centri della scienza e della conoscenza. Noi ci troviamo a
questo punto come sui gradini più alti della scala che l'uomo, dopo
l'inizio, sale verso la conoscenza della realtà del mondo che lo
circonda e verso quella del mistero della sua umanità. Questo
processo storico ha raggiunto nella nostra epoca delle possibilità
prima sconosciute; esso ha aperto all'intelligenza umana degli
orizzonti finora insospettati. Sarebbe difficile entrare a questo
punto nel dettaglio perché, sul cammino della conoscenza, gli
orientamenti della specializzazione sono tanto numerosi come è ricco
lo sviluppo della scienza.
20. La vostra organizzazione è un luogo di incontro,
d'un incontro che ingloba nel suo ampio seno tutto l'ambito tanto
essenziale della cultura umana. Questo auditorio è quindi il luogo più
indicato per salutare tutti gli uomini di scienza e di rendere omaggio
particolarmente a coloro che sono qui presenti e che hanno ottenuto
per il loro lavoro il più alto riconoscimento e i più eminenti
meriti mondiali. Mi sia permesso di esprimere loro i più sinceri
auguri che, non dubito, raggiungeranno il pensiero e il cuore dei
membri di questa augusta assemblea. Tanto ci edifica nel lavoro
scientifico - ci edifica ed anche ci allieta profondamente - questa
marcia della conoscenza disinteressata della verità che lo scienziato
serve con la massima dedizione e talvolta a rischio della salute e
perfino della vita, altrettanto deve preoccuparci tutto ciò che
contraddice i principi di disinteresse e di oggettività, tutto ciò
che farebbe della scienza uno strumento per conseguire fini che non
hanno niente a vedere con essa. Sì, noi dobbiamo preoccuparci di
tutto ciò che propone e presuppone solo scopi non scientifici
esigendo uomini di scienza che si mettano a loro servizio senza
permettere loro di giudicare e di decidere, in tutta indipendenza di
spirito, dell'onestà umana ed etica di tali scopi o minacciandoli di
portarne le conseguenze quando essi si rifiutano di contribuire.
Questi scopi non scientifici di cui parlo, questo problema che pongo
hanno bisogno di prove o di commenti? Voi sapete a che cosa mi
riferisco; basti alludere al fatto che fra coloro che furono citati
davanti ai tribunali internazionali alla fine dell'ultima guerra
mondiale, vi furono anche uomini di scienza. Signore e signori, vi
prego di perdonarmi queste parole, ma io non sarei fedele ai doveri
del mio incarico se non le pronunciassi, non per tornare sul passato,
ma per difendere l'avvenire della scienza e della cultura umana; più
ancora per difendere l'avvenire dell'uomo e del mondo! Penso che
Socrate, che, nella sua rettitudine poco comune, ha potuto sostenere
che la scienza è allo stesso tempo virtù morale, dovrebbe respingere
la sua certezza se potesse considerare le esperienze del nostro tempo.
21. Ci rendiamo conto, signore e signori, che
l'avvenire dell'uomo e del mondo è minacciato, radicalmente
minacciato, a dispetto delle intenzioni, certamente nobili, dell'uomo
di cultura, dell'uomo di scienza. Ed è minacciato perché i
meravigliosi risultati delle sue ricerche e delle sue scoperte,
soprattutto nell'ambito delle scienze della natura, sono state e
continuano ad essere utilizzate - a pregiudizio dell'imperativo etico
- per dei fini che non hanno niente a che vedere con le esigenze della
scienza e perfino a fini di distruzione e di morte, e questo ad un
grado mai conosciuto fino ad oggi, causando dei danni veramente
inimmaginabili. Allorché la scienza è chiamata ad essere al servizio
della vita dell'uomo, si constata troppo sovente che essa è asservita
a scopi che sono distruttori della vera dignità dell'uomo e della
vita umana. E' il caso della ricerca scientifica quando è orientata
verso questi scopi o quando i suoi risultati sono applicati a fini
contrari al bene dell'umanità. Questo si verifica tanto nell'ambito
della manipolazione genetica e della sperimentazione biologica che in
quello degli armamenti chimici, batteriologici e nucleari. Due
considerazioni mi guidano a sottoporre particolarmente alla vostra
riflessione la minaccia nucleare che pesa sul mondo d'oggi e che, se
non è scongiurata, potrebbe condurre alla distruzione dei frutti
della cultura, dei prodotti della civiltà elaborati attraverso i
secoli da generazioni successive di uomini che hanno creduto nel
primato dello spirito e che non hanno risparmiato né i loro sforzi né
le loro fatiche. La prima considerazione è questa. Ragioni
geopolitiche, problemi economici di dimensione mondiale, terribili
incomprensioni, orgogli nazionali feriti, il materialismo della nostra
epoca e la decadenza dei valori morali hanno condotto il nostro mondo
ad una situazione d'instabilità, a un equilibrio fragile, che rischia
d'esser distrutto da un momento all'altro in seguito ad errori di
giudizio, d'informazione o d'interpretazione. Un'altra considerazione
si aggiunge a questa inquietante prospettiva. Si può, ai nostri
giorni, essere ancora sicuri che la rottura dell'equilibrio non porterà
alla guerra e a una guerra che non esiterebbe a ricorrere alle armi
nucleari? Fino ad oggi si è detto che le armi nucleari hanno
costituito una forza di dissuasione che ha impedito lo scoppio di una
guerra più grande, ed è probabilmente vero. Ma ci si può nello
stesso tempo chiedere se sarà sempre così. Le armi nucleari di
qualsiasi ordine di grandezza o di qualsiasi tipo siano, si
perfezionano ogni anno di più e si aggiungono all'arsenale di un
numero crescente di paesi. Come si potrà essere sicuri che l'uso
delle armi nucleari, anche ai fini di difesa nazionale o in conflitti
limitati, non trascinerà con sé una scalata inevitabile portando a
una distruzione che l'umanità non potrà mai né prendere in
considerazione, né accettare? Ma non è a voi, uomini di scienza e di
cultura, che devo domandare di non chiudere gli occhi su ciò che una
guerra nucleare può rappresentare per l'umanità intera (cfr. Ioannis
Pauli PP. II «Homilia Calendis Ianuariis habita, die paci fovendae
terdecies dicato», die 1 ian. 1980: vide «Insegnamenti di Giovanni
Paolo II», III,1 [1980] 3ss)
22. Signore e signori, il mondo non potrà proseguire
a lungo su questa via. All'uomo che ha preso coscienza della
situazione e della posta in gioco, che si ispira anche al senso
elementare delle responsabilità che incombono a ciascuno, una
convinzione s'impone, che è allo stesso tempo un'imperativo morale:
bisogna mobilitare le coscienze! Bisogna aumentare gli sforzi delle
coscienze umane nella misura della tensione tra il bene e il male alla
quale sono sottoposti gli uomini alla fine del XX secolo. Bisogna
convincersi della priorità dell'etica sulla tecnica, del primato
della persona sulle cose, della superiorità dello spirito sulla
materia (cfr. Ioannis Pauli PP II «Redemptor
Hominis», 16). La causa dell'uomo sarà servita se la scienza si
allea alla coscienza. L'uomo di scienza aiuterà veramente l'umanità
se conserverà il «senso della trascendenza dell'uomo sul mondo e di
Dio sull'uomo» (Ioannis Pauli PP. II «Allocutio in Aula Regia
Palatii Vaticani habita, occasione oblata saeculi expleti ab obitu
Alberti Einstein», 4, die 10 nov. 1979: «Insegnamenti di Giovanni
Paolo II», II,2 [1979] 1109). Così, cogliendo l'occasione della mia
presenza oggi nella sede dell'Unesco io, figlio dell'umanità e
Vescovo di Roma, mi indirizzo direttamente a voi, uomini di scienza, a
voi che siete qui riuniti, a voi che siete le più alte autorità in
tutti gli ambienti della scienza moderna. E mi indirizzo, attraverso
voi, ai vostri colleghi e amici di tutti i paesi e di tutti i
continenti.
Mi indirizzo a voi in nome di questa terribile
minaccia che pesa sull'umanità e, allo stesso tempo, in nome
dell'avvenire e del bene di questa umanità del mondo intero. E vi
supplico: dispieghiamo tutti gli sforzi per instaurare e rispettare,
in tutti gli ambiti della scienza, il primato dell'etica. Dispieghiamo
soprattutto i nostri sforzi per preservare la famiglia umana
dall'orribile prospettiva della guerra nucleare! Ho toccato questo
argomento davanti all'assemblea generale dell'Organizzazione delle
Nazioni Unite, a New York il 2 ottobre dell'anno scorso. Ne parlo oggi
a voi. Mi indirizzo alla vostra intelligenza e al vostro cuore, al di
sopra delle passioni, delle ideologie e delle frontiere. Mi indirizzo
a tutti coloro che, per il loro potere politico o economico,
potrebbero essere e sono sovente condotti ad imporre agli uomini di
scienza le condizioni del loro lavoro e il loro orientamento. Mi
indirizzo prima di tutto ad ogni uomo di scienza individualmente e a
tutta la comunità scientifica internazionale. Tutti insieme voi siete
una potenza enorme: la potenza delle intelligenze e delle coscienze!
Mostratevi più potenti dei più potenti del nostro mondo
contemporaneo! Decidetevi a dar prova della più nobile solidarietà
con l'umanità: quella che è fondata sulla dignità della persona
umana. Costruite la pace cominciando dal fondamento: il rispetto di
tutti i diritti dell'uomo, quelli che sono legati alla sua dimensione
materiale ed economica come quelli che sono legati alla dimensione
spirituale e interiore della sua esistenza in questo mondo.
Possa ispirarvi la saggezza. Possa guidarvi l'amore,
quell'amore che soffocherà la minaccia crescente dell'odio e della
distruzione! Uomini di scienza, impegnate tutta la vostra autorità
morale per salvare l'umanità dalla distruzione nucleare.
23. Mi è stato dato di realizzare oggi uno dei
desideri più vivi del mio cuore. Mi è stato dato di entrare, proprio
qui, all'interno dell'areopago che è quello del mondo intero. Mi è
stato dato di dire a voi tutti, membri della Organizzazione delle
Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, a voi che
lavorate per il bene e per la riconciliazione degli uomini e dei
popoli attraverso tutti gli ambiti della cultura, dell'educazione,
della scienza e dell'informazione, di dirvi e di gridarvi dal fondo
dell'anima: Sì! l'avvenire dell'uomo dipende dalla cultura! Sì! la
pace del mondo dipende dal primato dello spirito. Sì! l'avvenire
pacifico dell'umanità dipende dall'amore. Il vostro contributo
personale, signore e signori, è importante, è vitale. Esso si attua
nell'approccio corretto dei problemi, alla soluzione dei quali
consacrate il vostro servizio. La mia parola finale è questa: Non
cessate. Continuate. Continuate sempre.