Francia: perché gli intellettuali credenti
sono discriminati dai critici?
Claire Lesegretain


La denuncia del filosofo ateo Comte-Sponville: «Negli anni ’50 Sartre o Camus si dicevano non credenti contro Mauriac e Bernanos Da vent’anni invece l’identità religiosa non è più dichiarata». «Oggi il nichilismo vince: così anche in Francia autori come Bobin e Schmitt sono snobbati. E il Nobel va alla Jelinek»

Meglio non dirsi intellettuali cristiani, anche in Francia. Parola di André Comte-Sponville, filosofo e scrittore non credente, che però ha l'onestà di riconoscere l'handicap col quale i suoi colleghi cattolici partono nei confronti della critica e in generale del dibattito culturale. Comte-Sponville - che ha in libreria oltralpe un Trattato della disperazione e della felicità, il Piccolo trattato delle grandi virtù e un Dizionario di filosofia - spiega il problema.

Professore, come vede il ruolo degli intellettuali cristiani oggi in Francia?
«Anzitutto mi colpisce che non si sappia più se un intellettuale è o non è cristiano. Dopo gli anni Cinquanta, quando gli intellettuali si contrapponevano dichiarando il loro ateismo - Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir o Albert Camus - o la loro fede cristiana - François Mauriac, Georges Bernanos, Gustave Thibon o Gabriel Marcel -, da vent'anni assistiamo al declino dell'affermazione identitaria religiosa».

Come lo spiega?
«Una prima spiegazione va ricercata nel fatto che molti intellettuali sono ormai tagliati fuori dalle domande metafisiche. Circostanza che deploro perché la metafisica resta - a mio parere - una delle questioni filosofiche più importanti. Per fortuna esistono eccezioni. I due scrittori francesi contemporanei che per me contano di più, Christian Bobin ed Eric-Émmanuel Schmitt, sono entrambi cristiani e riscuotono grande successo. Ebbene, curiosamente, vengono entrambi sottovalutati dalla critica. Di fatto, le critiche sono quasi sempre astiose nei confronti di Bobin e condiscendenti verso Schmitt, che è l'autore di teatro più rappresentato al mondo e che, con Il vangelo secondo Pilato, ha scritto uno dei rari capolavori moderni».

È il prezzo del successo?
«La ragione della scarsa considerazione verso questi due grandi autori va ricercata proprio nel contenuto della loro opera. La maggior parte dei media celebra gli autori nichilisti o "nientisti" secondo l'espressione di Nancy Huston nel suo ultimo s aggio Professeurs de désespoir, quali il rumeno Cioran, Samuel Beckett, Thomas Bernhard, Milan Kundera, o l'austriaca Elfried Jelinek che quest'anno ha ricevuto il Nobel. Autori che hanno spesso talento. Ma ai quali piace presentare la vita umana in quanto ha di più oscuro, derisorio o sordido. Applicando l'affermazione di André Gide secondo la quale "con i buoni sentimenti si fa cattiva letteratura", i nostri critici credono che i cattivi sentimenti facciano la buona letteratura. A loro non piacciono gli autori che richiamano all'amore e alla generosità. In questa prospettiva, Montaigne, Corneille o Hugo sarebbero dei cattivi scrittori... Non so se si tratti di un male della critica francese».

Secondo lei, che tipo d'impegno potrebbero avere gli intellettuali cristiani nella società?
«Non è questo il problema. Di primo acchito, viene in mente un impegno politico di destra o di sinistra. Inoltre, l'impegno degli intellettuali cristiani non è legato tanto alla religione quanto alla libertà di pensiero. Ad esempio, so che Jacques Julliard - che considero attualmente uno dei migliori editorialisti - è cristiano. Ma non è questo che m'interessa di lui. Mi interessa la bontà delle sue analisi. Detto questo, ciò che mi colpisce in certi intellettuali cristiani è talvolta meno la religione che la libertà di pensare. Credo che una fede autentica, un ancoraggio forte a una tradizione, qualunque essa sia, possa preservare dal pensiero "in serie" - il prêt-à-penser - e dal politicamente corretto del momento».

Oltre ad essere spiriti indipendenti, le sembra che gli intellettuali cristiani abbiano qualcosa di particolare da dire?
«Forse ricordarci che l'essenziale sfugge, per definizione, al mercato e all'Auditel. Dirsi cristiani, nel microcosmo mediatico francese, non è ben visto... Va detto pure che ci sono pochi intellettuali cristiani perché ci sono pochi cristiani. Le poche volte che entro in una chiesa, la domenica mattina, sono costretto a constatare che le parrocchi e assomigliano sempre più ad associazioni della terza età. Tale declino del cristianesimo non mi rallegra affatto, poiché questa religione gode della mia simpatia di "ateo fedele", come mi piace definirmi».

Che cosa pensa degli intellettuali impegnati?
«Non granché. A parte il periodo post-Liberazione quando parecchi intellettuali francesi - penso naturalmente a Vladimir Jankélévitch - hanno agito da intellettuali impegnati, in filosofia o in letteratura la questione dell'impegno politico generalmente non si pone. L'unica cosa che conta, in uno scrittore o un filosofo, è il talento. Non ha senso chiedersi se Platone o Shakespeare fossero impegnati. Dal momento che un intellettuale si mette a servizio di un pensiero politico, perché scrive saggi filosofici o romanzi? Dovrebbe bastargli scrivere articoli di giornale! Per carità, gli intellettuali smettano di sentirsi in dovere di dare lezioni politiche al mondo. Tanto più che tali lezioni - si pensi a Sartre che corteggiava gli staliniani o a Michel Foucault che celebrava la rivoluzione islamista in Iran! - sono state spesso tragicamente sbagliate. Il talento non è garanzia di lucidità».
(per gentile concessione del quotidiano «La Croix» Trad. di Anna Maria Brogi)

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[Fonte: "Avvenire" del 9 dicembre 2004]

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