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Libertà di coscienza e Islam. Pressioni su chi si converte al Cristianesimo
Padre John Flynn su Zeniti 15 giugno 2007

Nei Paesi a maggioranza musulmana, la fede delle persone convertite al Cristianesimo viene messa a dura prova. L’ultimo esempio delle difficoltà che i cristiani convertiti devono affrontare arriva dalla Malaysia, dove la scorsa settimana la più alta corte civile ha rigettato l’appello di una donna che chiedeva di essere riconosciuta come cristiana, secondo quanto riportato dall’Associated Press il 30 maggio.

Lina Joy, che alla nascita aveva ricevuto il nome di Azlina Jailani, aveva fatto domanda per cambiare sia il suo nome che la sua religione sulla carta di identità. Il cambio del nome non è stato un problema, ma le autorità si sono rifiutate di cancellare la sua identificazione come musulmana. Secondo l’Associated Press, circa il 60% dei 26 milioni di malesi sono musulmani.

Secondo un servizio sempre di Associated Press del 26 maggio, Joy ha iniziato ad andare in chiesa nel 1990 ed ha ricevuto il battesimo otto anni dopo. Nel maggio del 2000 si è rivolta alla Corte federale, al fine di obbligare le autorità pubbliche a cambiare l’indicazione della religione di appartenenza sulla sua carta di identità, ma il tribunale l’ha deferita ai tribunali islamici. Joy ha quindi fatto ricorso alla Corte d’Appello, ma anche quest’ultima ha rigettato la sua istanza.

Joy si è appellata allora alla Corte federale nel 2005. Le udienze si sono concluse nel luglio del 2006 e a fine maggio è stata emessa le decisione di rigetto.

Intanto, Joy è stata diseredata dalla sua famiglia – riferisce ancora l’Associated Press - e costretta a licenziarsi dal suo lavoro di vendita di computer, dopo che i clienti avevano minacciato di non voler fare più affari con lei.

I tre giudici della Corte federale hanno poi approvato con due voti a favore e uno contrario il verdetto finale. Solo la Corte islamica della Sharia ha ora il potere di consentirle di rimuovere la parola Islam dalla categoria della religione di appartenenza sulla sua carta di identità, secondo quanto si legge nella decisione.

Da questa sentenza risultano evidenti le difficoltà con cui i convertiti cercano di ottenere la libertà religiosa. “Non si può ad ogni capriccio passare da una religione a un’altra”, ha affermato il Presidente della Corte federale Ahmad Fairuz Sheikh Abdul Halim nel suo verdetto, secondo quanto riferito dalla Reuters del 30 maggio.

“La questione dell’apostasia è relativa alla legge islamica e quindi è di competenza della corte della Sharia”, ha affermato.

Secondo la Reuters, i tribunali islamici del Paese generalmente non consentono ai musulmani di rinunciare formalmente all’Islam e solitamente demandano queste persone, considerate apostate, ai consultori. Talvolta gli comminano persino pene pecuniarie o detentive.

Diritti fondamentali negati

Poco dopo la decisione della Corte, Joy ha annunciato la sua intenzione di lasciare la Malaysia, poiché impossibilitata a praticare liberamente la sua religione, secondo quanto riportato dall’Associated Press il 31 maggio. “Mi rammarico del fatto che la Corte federale non sia in grado di tutelare un semplice ma importante diritto fondamentale proprio di ogni persona: il diritto di scegliere la religione a cui aderire”, ha dichiarato Joy in un comunicato rilasciato attraverso il suo avvocato Benjamin Dawson.

Joy non è l’unica a vivere questi problemi. Lo scorso anno l’emittente radiofonica BBC ha mandato in onda un servizio sui problemi dei convertiti al Cristianesimo in Malaysia. Secondo quanto pubblicato dalla BBC lo scorso 15 novembre in relazione a questo servizio, molti convertiti sono costretti a condurre una doppia vita in segretezza.

“Se le persone sapessero che mi sono convertito al Cristianesimo, potrebbero farsi carico della legge con le proprie mani. Se non sono persone di buon senso potrebbero prendere le pietre e tirarmele addosso”, ha detto Maria, una delle convertite intervistate dalla BBC.

Il caso di Maria era così delicato che il sacerdote che l’ha battezzata si è rifiutato di consegnarle il certificato di battesimo. Maria ha tenuto nascosta la sua conversione alla famiglia per paura delle reazioni negative che avrebbe potuto provocare.

Ulteriori problemi sono stati riportati lo scorso 6 dicembre dal quotidiano australiano Sydney Morning Herald. Un ospedale della Malaysia si è rifiutato di consegnare la salma di un uomo alla sua vedova perché questa aveva in programma di dare al marito, musulmano convertito al Cristianesimo, un funerale secondo la sua nuova religione.

La vedova, Lourdes Mary Maria Soosay, di 69 anni, ha denunciato alla polizia l’oppressione delle autorità religiose islamiche subita in relazione alla questione del funerale del suo settantunenne marito Rayappan Anthony.

Secondo il Sydney Morning Herald, è il secondo caso, in quasi un anno, in cui una non musulmana ha dovuto lottare per i suoi diritti funerari relativi ad un familiare. Nel primo caso, i funzionari islamici avevano celebrato un funerale islamico per un ex soldato, contro i desideri della sua moglie di religione indù.

Caso simile è stato quello oggetto di un servizio del quotidiano South China Morning Post del 19 aprile. Kaliammal Sinnasamy, una donna indù, nel dicembre del 2005 non ha potuto impedire alle autorità islamiche di seppellire suo marito con rito islamico.

Il marito, Moorthy Maniam, era indù, secondo quanto dichiarato dalla vedova. I suoi ricorsi ai tribunali della Malaysia, diretti ad evitare il funerale islamico per suo marito non hanno avuto esito. Il tribunale ha decretato di non avere giurisdizione sui casi relativi all’Islam, anche se una delle parti non è musulmana. Sinnasamy ha quindi presentato appello contro la decisione.

I problemi abbondano

La Malaysia non è certamente l’unico Paese in cui i cristiani si trovano ad affrontare difficoltà notevoli. Lo scorso anno vi è stato il caso di Abdul Rahman, un convertito che in Afghanistan ha rischiato la pena di morte per essere diventato cristiano. Il caso ha fatto il giro del mondo.

Rahman aveva vissuto in Germania per alcuni anni, ma dopo essere tornato a casa, nel febbraio del 2006 è stato arrestato, secondo quanto riportato in un servizio pubblicato il successivo 23 marzo dal Washington Post. Rahman è stato poi liberato e prosciolto dopo che le autorità lo avevano dichiarato mentalmente inidoneo a sostenere un processo, come riportato dalla BBC il 29 marzo. Egli è stato tuttavia costretto a fuggire dall’Afghanistan ed ha trovato asilo in Italia.

In Somalia è vietata ogni forma di conversione, come ha riferito il Catholic Information Service per l’Africa lo scorso 21 settembre. Dopo la caduta del Governo nel 1991, la Somalia è piombata nel caos. Nell’ottobre 2004 si è formato un governo di transizione che successivamente ha adottato una Costituzione federale transitoria, con la quale l’Islam è diventata religione di Stato.

Un altro governo africano, quello del Marocco, ha di recente arrestato un turista e l’ha detenuto per sei mesi con l’accusa di aver tentato di convertire persone musulmane, secondo la Reuters del 29 novembre.

Sadek Noshi Yassa, tedesco di origini egiziane, è stato arrestato mentre distribuiva nelle strade libri e CD sulla fede cristiana a giovani musulmani marocchini, secondo quanto affermato dalle autorità. Un tribunale ad Agadir ha dichiarato il sessantaquattrenne colpevole di aver tentato di “indebolire la fede di un musulmano”.

Violenza religiosa

Oltre ai problemi relativi alla conversione, la vita per i cristiani in molti paesi islamici è a dir poco difficile. Il 3 maggio, il quotidiano inglese Guardian ha riportato la situazione della città di Kano nella Nigeria del nord.

In quella città, alcuni militanti di un gruppo fondato da studenti islamici radicali, ha di recente compiuto un attacco in cui sono rimaste uccise 10 persone. Secondo il Guardian, l’episodio ha innescato una nuova ondata di paura nella comunità cristiana di Kano. La violenza religiosa negli ultimi anni ha provocato la morte di decine di migliaia di morti.

Un altro Paese che presenta problemi in questo senso è il Pakistan, dove ai cristiani è stato di recente intimato di convertirsi, sotto la minaccia di violenze, secondo l’Associated Press del 16 maggio. Circa 500 cristiani pakistani a Charsadda, una città della provincia nord-occidentale che confina con l’Afghanistan, hanno ricevuto, ai primi di maggio, lettere in cui venivano intimati a chiudere le chiese e a convertirsi.

La Pasqua è un’altra questione delicata. In Arabia Saudita essa è infatti illegale, come spiegato in un servizio di Associated Press del 9 aprile. Il Paese consente solo la festa musulmana di al-Fitr, che segna la fine del mese sacro del Ramadan, e quella di al-Adha, che conclude il pellegrinaggio annuale alla Mecca.

Inoltre l’articolo ha riferito che l’erede al trono, il sultano bin Abdul Aziz Al Saud, aveva sottolineato il fatto che il regno non avrebbe mai consentito la costruzione di nuove chiese. Per questa ragione, oggi più che mai, i cristiani che vivono nei paesi islamici.
 

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