L’Islam umilia la libertà
religiosa dei cristiani
e i diritti dei musulmani
Samir Khalil Samir sj, su AsiaNews
29 marzo 2006
La vicenda dell’afghano
Abdul Rahman, comune ai tanti convertiti islamici, pone il problema
della sistematica violazione dei diritti umani nell’islam. Se la
sharia uccide un uomo che cambia religione, va condannata e non si
può metterla come principio ispiratore delle leggi, in quanto
distrugge ogni ideale di convivenza e contraddice con la dichiarazione
Onu dei diritti umani, approvata nel 1948 da quasi tutti i Paesi
musulmani.
Inquietante commento di
Der Spiegel
Abdul Rahman, l’afgano convertito dall’Islam al cristianesimo, è
stato scarcerato con un “trucco” giuridico: considerato fuori di
mente e quindi incapace di sostenere il processo – ha potuto evitare
la condanna a morte che la sharia riserva agli apostati. Ma la sua
vicenda è solo un caso su decine di migliaia ogni anno. Solo in Egitto
ogni anno vi sono almeno 10 mila musulmani che si convertono al
cristianesimo. Nello stesso tempo, vi sono almeno 12 mila cristiani che
divengono musulmani.
Il fenomeno delle conversioni al cristianesimo dall’Islam dilaga in
tutto il Medio Oriente e nel mondo. La violenza fondamentalista che
caratterizza il mondo musulmano attuale, spinge tanti di loro a
domandarsi: è veramente da Dio una religione così violenta? Ma qual è
la situazione che attende questi ex musulmani? La fuga, il
nascondimento, l’emigrazione.
Un mio amico che ha voluto battezzarsi, è dovuto fuggire dai suoi
amici universitari perché un giorno essi si sono accorti di un vangelo
tascabile che lui aveva in camera. Hanno cominciato a minacciarlo di
morte ed è fuggito, lasciando gli studi universitari.
La soluzione trovata in Afghanistan è la soluzione migliore, ma è
un compromesso. Essa deve servirci per una domanda radicale: cosa ha la
precedenza nell’Islam, i diritti umani, riconosciuti
internazionalmente, o la sharia islamica? E se la sharia è contro i
diritti umani, non è tempo che la comunità internazionale la condanni?
E se la sharia è iscritta – come dicono i fondamentalisti – nel
Corano, i casi sono due: o il Corano nega i diritti umani, o occorre
rileggerlo per ripulirlo delle incrostazioni false e violente.
Islam: politica o religione?
Secondo la legge afgana Abdul Rahman doveva essere ucciso perché
apostata. La sharia è basata sul Corano e sulla tradizione islamica
degli hadith (i detti di Maometto). Nel Corano si parla in 14 versetti
di colui che rinnega la fede islamica. In 7 casi non c’è allusione al
castigo; negli altri 7 si allude a un castigo, ma non durante la vita
presente, ma nell’aldilà. In uno si parla del fuoco eterno; in un
altro della maledizione di Dio, degli angeli e degli uomini; in un altro
caso si parla di un castigo “doloroso”. Solo in un versetto del
Corano (detto “del pentimento” 9,74) viene prescritto un castigo
doloroso in questo mondo e nell’altro.
Secondo i giuristi musulmani, per decretare la pena di morte, ci
vuole la decisione esplicita del Corano (le hudud). Non
trovandola, ci si basa sui detti di Maometto. Uno di questi detti –
uno solo – afferma che si deve uccidere per 3 casi di peccato, uno dei
quali è l’apostasia.
Storicamente parlando, il termine “apostasia” è usato per la
prima volta, in modo ambiguo, dopo la morte di Maometto. Alcune tribù
arabe già sottomesse (islamo, in arabo) alla nuova fede, si sono
“tirate indietro” (irqed, lo stesso verbo dell’apostasia).
Abu Bakr, il primo successore, tenta di bloccarle, e nel timore che
altre tribù si “tirino indietro”, le combatte. Molti dei compagni
del profeta erano contrari. Ma dopo che Abu Bakr riporta nell’alveo
dell’Islam le tribù ribelli, tutti lo approvano. Da allora, questo
termine ambiguo, “tirarsi indietro, tornare indietro”, è applicato
a tutti coloro che cercano di abbandonare il grembo, la famiglia dell’Islam.
Nel Corano vi sono alcuni versetti (cap. II , vv. 191-193) che tutti
usano per questi casi, un versetto con parole molto pericolose: “Uccidete
i nemici di Dio ovunque li incontriate, scacciateli da dove hanno
scacciato voi. Poiché - e qui viene la parola pericolosa – la
sedizione o la sovversione è peggiore dell’uccisione”. E al v. 193:
“Combatteteli finché non ci sia più sovversione o sedizione e la
religione sia quella di Dio”. Questa parola-chiave, “sovversione”
(in arabo fitnah), è la parola usata in tutti i casi per
giustificare un’uccisione. In Iran viene usata anche per combattere
gli omosessuali. Uccidere un sedizioso è considerato “un male minore”
rispetto alla “sovversione” che, dilagando, può divenire un
fenomeno pericoloso.
Muhammad Chalabi, il capo di Al Ahzar negli anni ’50, diceva: “Non
costringiamo l’apostata a ritornare all’Islam, per non contraddire
la parola di Dio che proibisce ogni costrizione nella fede. Ma gli
lasciamo l’opportunità di ritornare volontariamente. Se non ritorna,
deve essere ucciso perché egli è strumento di sedizione (fitnah)
e apre la porta ai pagani per attaccare l’Islam e per seminare il
dubbio fra i musulmani. L’apostata è quindi in guerra dichiarata
contro l’Islam anche se non alza la spada di fronte ai musulmani”.
Nell’islam, questo è il pensiero abituale.
La settimana scorsa al Cairo, parlavo con alcuni musulmani del caso
di Abdul Rahman. E loro mi rispondono che anche gli occidentali fanno la
stessa cosa. “Supponiamo – dicono – che uno di voi sia passato al
nemico e abbia comunicato segreti di stato al nemico. Non lo uccidete?
Non merita una punizione radicale? L’apostata ha tradito la comunità!”.
Io rispondo: quello che dite riguarda il campo politico e non religioso.
Inoltre, noi cristiani non siamo troppo favorevoli alla pena di morte.
I miei amici musulmani concludono: “La
Umma va difesa dagli
attacchi contro l’Islam”. Io rispondo: “Ma Abdul Rahman non ha
condannato nessuno. È un uomo pacifico”. Loro rispondono con le
stesse parole del capo di Al-Ahzar: “Anche se non alza la spada, l’apostata
è un sedizioso”.
Vale la pena notare:
- l’Islam si presenta come una strada a senso unico: si può
entrare e non si può uscire;
- al mondo islamico non importa niente della questione sulla
libertà di coscienza;
- l’Islam pensa se stesso in termini politici.
Ma qui si apre una questione enorme: se l’Islam è un progetto
politico, un movimento che usa anche la violenza più estrema, allora va
combattuta in modo politico. E soprattutto bisognerebbe non chiamarlo
più una religione, un movimento spirituale che aiuta l’uomo a creare
la pace. Di fatto nell’Islam vi è una forte ambiguità che va
denunciata: talvolta i musulmani parlano in termini spirituali (“Islam
significa pace (salam), convivenza, tolleranza, ecc…”); altre volte
agiscono in modo politico, giustificando scelte violente.
La sharia è contro i diritti umani
Se la sharia uccide un uomo che cambia religione, allora essa va
condannata e non si può metterla alla base delle costituzioni
nazionali. Se si mette la sharia come principio ispiratore delle leggi,
si distrugge ogni ideale di convivenza e più ancora ci si pone in
contraddizione con la dichiarazione Onu dei diritti umani, approvata nel
1948 da quasi tutti i paesi musulmani.
L’art. 18 della dichiarazione dice: “Ogni persona ha diritto alla
libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. E si precisa: “Tale
diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà
di manifestare da soli o in comune, in pubblico o in privato, la propria
religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel
culto e nell’osservanza dei riti”.
Ebbene, guardiamo alle notizie che ci giungono dai paesi musulmani:
tutti i giorni questo articolo viene violato, come voi di AsiaNews
documentate spesso. In Indonesia si distruggono le chiese domestiche; in
Algeria si proibisce di manifestare in pubblico la fede; in tutti i
paesi musulmani si commina la morte per chi invita l’altro a lasciare
l’Islam. Nel mondo occidentale adesso si esulta per il successo
ottenuto nel caso di Abdul Rahman, ma il compromesso raggiunto, nasconde
il problema effettivo: la radice della violenza verso l’apostasia si
trova nel Corano e nella tradizione islamica, tanto che si può parlare
di incompatibilità fra i diritti dell’uomo e i diritti previsti dal
Corano.
La conclusione è che al mondo islamico è necessaria una scelta: o
dire che i testi delle tradizioni e il Corano sono documenti
inaccettabili, contrari alla dignità umana; oppure si deve interpretare
il Corano, lasciando perdere quegli aspetti di violenza, legati alle
situazioni antiche.
Non possiamo tacere, o continuare a parlare dell’Islam in modo
ambiguo, definendo l’Islam come un religione che “parla di pace e
tolleranza”, nascondendo i versetti che spingono alla violenza e all’uccisione
brutale. Tale atteggiamento ambiguo è vergognoso per chi lo fa e per
chi tace.
L’occidente non deve tacere
Dico questo per affetto e simpatia verso i musulmani. Tanti amici
musulmani sono in difficoltà con i testi dell’Islam e non sanno cosa
dire. Se osano criticare i testi, sono subito accusati di apostasia e
blasfemia. Nel mondo arabo e islamico vi sono decine di migliaia di
casi: Salman Rushdie, Taslima Nazrin, Sarag Foda (egiziano, morto
assassinato, un agnostico che aveva criticato l’Islam); Naguib Mahfuz,
che ha rischiato la morte nel ’95 per apostasia, tanto che ha dovuto
ritrattare. Vi è poi il caso di Nasr Abu Zaid, al quale hanno tolto la
cattedra universitaria e perfino la moglie, obbligata a divorziare
perché lui, condannato come apostata, non poteva più tenere una moglie
musulmana. Entrambi si sono poi rifugiati in Olanda. Non possiamo
coprire tutte queste aberrazioni dicendo: pazienza, l’Islam è nato
molti secoli dopo il cristianesimo, deve ancora fare tanta strada... È
come dire che l’Islam è una religione di minorati! Invece fra i
musulmani sono grandi personalità, scienziati, intellettuali. In
realtà, per l’occidente è giunto il momento di dire la verità per
salvare gli stessi musulmani. L’occidente cita tutti i giorni i
diritti umani, ma quando si scontra su casi come questi, dove è in
gioco l’offesa massima ai diritti umani, la vita e la libertà di
coscienza, i governi occidentali tacciono. Il caso più tipico è quello
dell’Arabia Saudita, che calpesta tutti i diritti umani, anche quelli
del suo popolo, e nessuno dice nulla. L’occidente nel mondo islamico
ha perso tanta credibilità, a causa di atti contrari ai diritti umani,
come le guerre preventive, le ingiustizie economiche, l’immoralità di
leggi occidentali, ecc. È giunto il tempo di una scelta: se c’è
incompatibilità fra diritti umani e i diritti del Corano, allora – mi
spiace dirlo – bisogna condannare il Corano; oppure si deve dire: la
nostra comprensione del Corano ci mette contro i diritti della persona e
della coscienza, e allora bisogna cambiare l’interpretazione. Una cosa
è certa: non possiamo più tacere. É proprio di questi giorni la
decisione dei vescovi europei di dedicare l’anno prossimo allo studio
dei problemi dell’Islam in Europa e dell’Islam nel mondo, alle
relazioni dell’Unione europea con i paesi a maggioranza musulmana,
sotto l’aspetto della giustizia internazionale e della reciprocità.
Ma se i paesi europei tacciono, la reciprocità non potrà mai essere
richiesta.
Da soli i musulmani non riescono a cambiare. Se l’Afghanistan fosse
uno stato isolato, senza rapporti con l’occidente, Abdul Rahman
sarebbe stato ucciso. I musulmani con un profonda coscienza dei diritti
umani sono una minoranza. Il gruppo di Amnesty International in
Egitto, ad esempio, produce due riviste mensili in arabo, ma non riesce
a controbilanciare la tendenza fondamentalista. È necessario che la
comunità internazionale intervenga con pressioni dall’esterno. Nel
caso dei diritti umani non è per nulla un’intrusione. Bisogna
arrivare a prendere provvedimenti seri: escludere dall’Onu chi non
rispetta la Carta dei diritti umani; attuare un boicottaggio economico;
ecc. Forse col boicottaggio alcuni paesi all’inizio si induriranno
ancora di più, ma si alla fine potrebbe salvare paesi e centinaia di
milioni di persone da una terribile oppressione.
Il problema dei diritti umani nel mondo islamico non è legato solo
all’apostasia. Anche persone che vogliono continuare a vivere nell’Islam,
sono sottoposte a pressioni sociali inaudite. Un esempio: molte ragazze
che vivono in Egitto oggi, si coprono col velo. Si dice lo facciano
volontariamente. Ma la pressione sociale è tale che, se una ragazza
esce senza velo, tutti i vicini di casa cominciano a dire: non vi
vergognate? Vostra figlia è una ragazza senza pudore. Così perfino le
donne cristiane alla fine dicono: preferiamo mettere il velo pur di
stare in pace! L’apostasia è la punta dell’iceberg di un problema
enorme: a tutt’oggi, nel mondo islamico vi sono un miliardo di persone
costrette in una prigione ideologico-religiosa, che nega loro i diritti
umani fondamentali. Questa stortura sta allontanando molta gente dalla
fede islamica. A Teheran i giovani si allontanano sempre più dall’Islam,
cercando la verità in altre religioni: non sopportano più questa
giustificazione alla violenza. Forse è per questo che in Iran, tutti i
siti cristiani sono censurati o oscurati.
La sofferenza del mondo islamico è accresciuta dall’informazione
globalizzata. Grazie a televisione, radio e internet, le idee di
libertà, sui diritti umani si diffondono e questo aumenta il desiderio
e la frustrazione dei musulmani, che non vedono “nessun futuro” per
sé e le loro famiglie. Occorre che chi vive nei paesi islamici trovi
non solo il pane, ma anche i diritti umani. Se l’Europa non lavora per
questo, tutte le prediche sulla globalizzazione sono solo chiacchiere.
Tacere è un’ingiustizia fatta a milioni di persone. È giunto il
tempo della denuncia, non per aggredire, ma per amore.
Inquietante commento
di Der Spiegel
torna su
Dal quotidiano Libero
apprendiamo che il giornale tedesco Der Spiegel informa i propri lettori
che Abdul " Joel" Rahman, l'afgano convertito al cattolicesimo
che è riuscito a sfuggire al boia grazie anche al nostro governo, è un
" matto", un " insano di mente", un “MATTO DA
LEGARE “. I lettori del foglio tedesco troveranno certamente molto
interessante sapere che, come riporta l’articolo di Libero, “Abdul
era stato giudicato «molto confuso» dal funzionario tedesco che lo
interrogò quando fece richiesta di asilo in Germania il 25 febbraio
2000. Nell'articolo si riferiscono con dovizia di particolari
testimonianze sui problemi mentali di cui avrebbe sofferto l'uomo. Nel
1991, aggiunge il settimanale, un medico pakistano aveva certificato che
Rahman soffriva di «gelosia patologica» e «disturbi nella
percezione»”.
A parte il fatto che chi soffre di “gelosia patologica” si trova
molto più a suo agio nella religione islamica che non in altre, la
carognata del giornale tedesco sta nel dare man forte a tutti coloro,
mussulmani e non, che ritengono che convertirsi dall’islam al
cristianesimo sia indice di infermità mentale.
Forse i lettori di Der Spiegel avrebbero invece ritenuto più
interessante sapere che in Afganistan, nonostante l’immane sforzo di
tutto il mondo civilizzato per riportare nel martoriato paese un minimo
di pace e di benessere, i nuovi politici non si differenziano molto dai
talebani che li hanno preceduti, se non per il fatto che le condanne a
morte per apostasia vengono comminate da un potere giudiziario
strutturato all’occidentale; forse i lettori tedeschi sarebbero giunti
alla conclusione che gli islam (come vedete uso il plurale, perché
l'islam ha diverse concrete realtà nazionali e sovranazionali) sono
TUTTI la negazione dei diritti e che non vale la pena di continuare ad
investire in vite umane e risorse , se questi sono i risultati.
Tornando all’articolo di Der Spiegel, il MESSAGGIO SUBLIMINALE del
fogliaccio (mi sia consentito questo sfogo) è evidente: al diavolo i
diritti fondamentali della persona, evviva il relativismo culturale, va
bene la sharia anche in casa nostra.
____________________________
[Fonte: Forum Corriere della Sera 4 aprile
2006]