I. Introduzione

È con grande piacere che torno a Palermo, e sono molto onorato dall'invito a parlare in occasione dei l'inaugurazione del Centro Domenicano per lo Studio dell'Islam. L'Ordine dei Predicatori, fin dall'inizio della sua esistenza, ha mostrato un interesse per i paesi a sud dei Mediterraneo. I Domenicani erano preoccupati della sorte dei cristiani nei paesi di maggioranza musulmana. Si occupavano della cura spirituale di questi cristiani, specialmente di coloro che erano in prigione. Si sa che il terzo Maestro Generale dell'Ordine, Raimondo di Peñafort, diede le dimissioni per dedicarsi pienamente alla coordinazione di questo lavoro missionario. Raimondo de Peñafort era molto lungimirante. Riconosceva la necessità di una buona preparazione per l'azione apostolica nel mondo orientale. Fu lui l'artefice dello Studium Arabicum, aperto nel 1250, nell'attuale Tunisia. Ha incoraggiato lo studio dell'arabo e di altre lingue orientali come una chiave per conoscere ed apprezzare un'altra cultura. L'impegno dell'Ordine nel campo della cultura arabo-islamica non è soltanto dei passato. Mi sembra doveroso menzionare qui un altro centro, ideato verso la fine degli anni Trenta ma realizzato dopo la Seconda Guerra Mondiale; voglio parlare dell'Institut Dominicain d'Etudes Orientales (IDEO) del Cairo, fondato dal P. Georges Chehata Anawati, scomparso non molto tempo fa, e dei PP. Jornier e de Beaurecueil fortunatamente ancora in vita. Sono stato di recente al Cairo, per un incontro del comitato che abbiamo stabilito tra il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e l'istituto dell'Azhar. Al nostro invito ha preso parte nelle deliberazioni il P. Régis Morelon, Direttore dei l'IDEO, e P. El lui, dell'Università Santo Tommaso d'Aquino (l'Angelicum) di Roma, siccome il comitato ha deciso di affidare a questa università, in collaborazione con la kufflyyat usúl al-din (facoltà dei fondamenti della religione) di al-Azhar, l'organizzazione di un colloquio sul ruolo dell'insegnamento religioso e il suo rapporto con la cultura.
Ci sono quindi dei buoni precedenti per la fondazione di questo centro, qui a Palermo, che è in se stesso un segno dei continuo interessamento dell'Ordine al rapporto tra cristiani e musulmani. A che punto sono questi rapporti oggi, quali sono i problemi che sorgono e quali le prospettive per un dialogo fruttuoso?

 

2. Due religioni mondiali

Una motivazione per il dialogo islamo-cristiano potrebbe essere semplicemente quella dei numero. I cristiani formano circa un terzo della popolazione mondiale, mentre i musulmani più o meno un quinto. Insieme dunque costituiscono circa la metà degli abitanti dei mondo. Purtroppo, sappiamo che la pace non esiste in alcune zone dei nostro pianeta. È certo che l'intesa tra cristiani e musulmani sarebbe un grande contributo per una pace tanto desiderata. Al tempo di San Tommaso, a cui Raimondo de Peñafort aveva chiesto di scrivere la Somma contra Gentiles che non è un'opera contro i musulmani ma per i predicatori che hanno la missione di spiegare. loro la fede cristiana - si può dire che le Crociate e la Riconquista avevano fatto del mondo dell'islam e di quello dei cristianesimo, almeno il cristianesimo occidentale, due mondi divisi, come due blocchi nemici l'uno contro l'altro. Anche se ci sono state delle zone di convivialità e di collaborazione culturale, come in Spagna e' qui in Sicilia. Oggi tale divisione in due blocchi non è possibile, e forse questo modo di vedere le cose non è mai stato giusto. Ma è difficile, oggi, trovare un paese in cui cristiani e musulmani non entrino in contatto fra di loro. Pensiamo naturalmente al Medio Oriente, dove le antiche comunità cristiane - che esistevano già prima dei sorgere dell'islam - rimangono come minoranze. Abbiamo già parlato dell'Egitto. Si potrebbe menzionare anche l'Iraq dove i Padri Domenicani e le Suore Domenicane sono al centro di comunità cristiane molto vivaci. Si potrebbe pensare all'Iran, da dove i Padri Domenicani irlandesi furono espulsi negli anni Settanta, ma dove è tornato un Padre italiano al servizio delle comunità cristiane in questo paese, con la speranza di rinforzi - dal Pakistan. Sì, nei paesi con il più grande numero di musulmani, non nel Medio Oriente ma in Sud Asia o Sud-Est Asia, India, Bangladesh, Pakistan e Indonesia, ci sono cittadini cristiani. La Chiesa Cattolica in Pakistan, malgrado il numero ridotto dei cristiani in proporzione alla popolazione totale, è ricca di vocazioni e può vantarsi di una Vice-Provincia Domenicana. Il Provinciale Pakistanese si è formato per l'incontro con il mondo dell'Islam, e vorrei accennare più tardi ad alcune delle sue attività. Tornando alla nostra Europa, siamo coscienti della crescita dei numero dei musulmani negli ultimi decenni. Se all'inizio dei l'immigrazione in Europa dal Nord Africa, o dalla Turchia, esisteva il "mito" dei ritorno nel paese d'origine, ben presto gli operai hanno fatto venire le loro famiglie. Le comunità si sono formate, con le loro esigenze sociali e religiose, a tale punto che un recente documento dei vescovi francesi dice che se prima si incontravano dei musulmani oggi giorno l'incontro è con l'islam. Anche qui, nell'aiutare i cristiani a rispondere a questa nuova sfida, l'Ordine dei Predicatori è presente. Penso al Belgio, dove il centro EI-Kalima a Bruxelles ha come direttrice una Suora Domenicana e tra i consiglieri un Padre Domenicano che divide il suo tempo tra l'università di Leuven, l'istituto Cattolico di Parigi e l'IDEO del Cairo.

 

3. I fondamenti dei dialogo islamo-cristiano

Non desidero dilungarmi sui fondamenti dottrinali dei dialogo. Ma dobbiamo dire che il Vaticano Secondo ha rivoluzionato l'atteggiamento dei cattolici verso i seguaci di altre religioni. In particolare, riguardo ai musulmani, la dichiarazione Nostra Aetate dice che si deve guardare ai musulmani con stima. La parola è importante quando si ricorda l'inimicizia dei passato e la sfiducia che permane ancora. Fondamento per tale stima è il credo dei musulmani che si avvicina a quello dei cristiani: un Dio unico, Creatore, il credere negli angeli, nei profeti, nei libri sacri, nel giudizio universale - anche se il documento conciliare non nasconde l'essenziale differenza tra cristiani e musulmani riguardo alla persona di Cristo. Quanto alle pratiche religiose, si fa riferimento in senso positivo alla preghiera, al digiuno e all'elemosina. Infine il Concilio esorta cristiani e musulmani a dimenticare il passato con i suoi conflitti ed a lavorare insieme per promuovere i valori morali, la giustizia e la pace. Sono i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo Il che hanno guidato la Chiesa nella messa in pratica dell'insegnamento dei Concilio. Paolo VI, nella sua visita in Uganda nel 1969, ha voluto incontrare i rappresentanti delle comunità musulmane. In quell'occasione ha detto: Noi siamo sicuri di essere in comunione con voi, Signori Rappresentanti dell'Islam, quando Noi imploriamo l'Altissimo di suscitare nel cuore di tutti i credenti dell'Africa il desiderio della riconciliazione, del perdono sì spesso raccomandato nel Vangelo e nel Corano, affinché dove infierisce ancora la guerra cessi di risuonare il terribile interrogativo di a Caino: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida dalla terra fino a me" (Gn 4, 10).
Mi sembra che queste parole siano ancora di una triste attualità.
Quanto a Giovanni Paolo Il non possiamo dimenticare la sua visita a Casablanca, nell'agosto dei 1985, dove si è rivolto, all'invito dei Re Hassan II, a forse ottantamila giovani musulmani. Ha parlato della necessità dei dialogo, ha dato una testimonianza della sua fede cristiana, e ha incoraggiato i giovani a portare la loro testimonianza al mondo. Ma desidero citare un discorso precedente a quella visita, un discorso fatto dal Papa nel suo primo viaggio fuori Italia, un discorso rivolto alla comunità cattolica di Ankara, Turchia. Dopo aver ricordato l'insegnamento di Pietro sulla necessità di poter 'rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3,15-16), e aver parlato della stima dovuta ai musulmani, Giovanni Paolo ha proseguito: "Miei fratelli, quando penso a questo patrimonio spirituale e al valore che esso ha per l'uomo e per la società, alla sua capacità di offrire soprattutto ai giovani un orientamento di vita, di colmare il vuoto lasciato dal materialismo, di dare un fondamento sicuro allo stesso ordinamento sociale e giuridico, mi domando se non sia urgente, proprio oggi in cui i cristiani e musulmani sono entrati in un nuovo periodo della storia, riconoscere e sviluppare i vincoli spirituali che ci uniscono, al fine di promuovere e difendere insieme, come ci invita il Concilio, i valori morali, la pace e la libertà".

 

4. La famiglia abramitica

Ci si riferisce spesso all'ebraismo, al cristianesimo e all'islam come alle tre religioni monoteistiche. Non è un termine che amo usare, poiché non si può confinare il monoteismo a queste tre. La religione sikh, per esempio, si basa su uno stretto monoteismo. Non si devono neppure dimenticare le molte religioni tradizionali o tribali che mostrano di credere in un Dio creatore, anche quando accettano un ricco mondo di spiriti. Comunque ebrei, cristiani e musulmani, hanno, in senso lato, una tradizione comune. Il cristianesimo, nato al l'interno della matrice dell'ebraismo, ha fatto proprie le Scritture ebraiche. L'Islam, dal canto suo, divenuto una religione organizzata in contrapposizione all'ebraismo e al cristianesimo, mostra riferimenti ad entrambi le Scritture ebraiche e cristiane nel suo libro sacro, il Corano. Una figura comune per tutte e tre le religioni si trova in Abramo. Non è casuale l'accenno che ne fa la dichiarazione Nostra Aetate. Parlando dei musulmani, dice: "Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti anche nascosti di Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce" (NA 3). Non dobbiamo nascondere le differenze, anche riguardo a questa figura, patriarca per gli ebrei e i cristiani, profeta per i musulmani, padre dell'alleanza con Dio così importante nelle religioni ebraica e cristiana, modello di difensore dei monoteismo nell'islam. Queste differenze però non impediscono lo sviluppo di un dialogo proficuo nella "famiglia abramitica". Penso, per esempio, alla Fraternité d'Abraham che svolge le sue attività in Francia. Un altro dialogo, avviato dalla Communauté de Jérusalem, una famiglia monastica di fondazione recente, ha preso il nome di Enfants d'Abraham. È anche un segno dei tempi che il Consiglio Internazionale degli Ebrei e dei Cristiani ha invitato dei musulmani a partecipare ai suoi lavori. Giovanni Paolo lI, nel suo discorso durante una recente Udienza Generale, ha proposto Abramo come modello: -"Sull'esempio di Abramo, i fedeli si sforzano di riconoscere nella loro vita il posto che spetta a Dio, origine, guida e fine ultimo di tutti gli esseri (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Messaggio ai musulmani per la fine del Ramadan, 14/7/1997). Questa disponibilità ed apertura umana alla volontà di Dio si traduce in atteggiamento di preghiera, che esprime la situazione esistenziale di ogni persona davanti al Creatore". (Osservatore Romano, 6.5.99).

 

5. Problemi dell'incontro tra cristiani e musulmani

Tornando adesso ai problemi che rendono difficile l'incontro tra cristiani e musulmani, mi sembra che si potrebbe presentarli con una serie di domande: qui? quod? quomodo? cur, ad quem finem?

5.1 Qui?
Molte volte si sente un disagio nel dialogo con i musulmani perché non si sa con chi dialogare. Si chiederà spesso: chi rappresenta questo imám, o questo professore? Di quale autorità gode nella sua comunità? Forse vogliamo troppo quando domandiamo che il mondo dell'islam rispecchi le strutture della Chiesa alle quali noi siamo abituati. Credo che dobbiamo accettare la realtà com'è. È una delle regole dei dialogo: non dobbiamo imporre le nostre idee sul partner. Sarà dunque necessario accettare che non c'è una voce autorevole nell'islam. Non c'è magistero. Non c'è una dottrina sul dialogo come si è sviluppata nei,la Chiesa Cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Non c'è stato un concilio nell'islam. Non dovrebbe dunque causare sorpresa se incontriamo posizioni diverse riguardo al dialogo con i cristiani.

Spesso vediamo l'Islam come uno sbocco monolitico. Ma non lo è. Dall'inizio, dalla morte di Muhammad, l'islam si è spaccato tra sunniti e sciiti, e nello sciismo esistono diversi correnti. H successo dell'islam, la sua espansione in diverse regioni dei mondo, ha dato origine ad una grande varietà nell'islam vissuto. Si può distinguere tra diverse aree culturali: l'islam arabo, l'islam persiano che ha avuto il suo influsso nel sotto-continente indiano, l'islam turco che si estende nelle repubbliche asiatiche dell'ex-Unione Sovietica e fino alla Cina, l'islam malaysiano dei Sud-Est Asiatico, con l'Indonesia, il paese nel mondo con il più gran numero di musulmani, l'islam africano, e l'islam della diaspora. In ognuno di queste zone l'Islam ha una fisionomia diversa. Si possono aggiungere alle diversità culturali le differenze ideologiche tra musulmani moderati e radicali, tra quelli che hanno una visione più legalista e quelli che appartengono ai movimenti sufi.

Anche in Europa, e forse in modo speciale, si evidenzia la natura frammentaria della comunità islamica. I musulmani provengono da paesi diversi, Algeria, Marocco, Tunisia, Turchia, India, Bangladesh, Pakistan, Mali, Senegal, Surinam, Albania, Kosovo. Molti conservano dei legami con i paesi d'origine, anche se per molti, come ho detto, il mito del ritorno non esiste più. C'è persino una interferenza dei governi dei paesi d'origine che, mettendo a disposizione delle comunità un personale religioso, degli imam per le moschee, possono esercitare un certo controllo. In Italia, dove i musulmani sono forse circa 750.000, si nota la diversità d'origine, Tunisini, Marocchini, Egiziani, "Senegalesi" (che possono provenire da diversi paesi dell'Africa Occidentale), Albanesi. Si trovano anche in Italia diverse associazioni di musulmani che non sono sempre unite tra di loro, ciò ha reso difficile arrivare all'intesa col governo.

Come reagire davanti a questo carattere frammentario dell'islam? Credo che è necessario moltiplicare i rapporti con i vari gruppi. Sarebbe controproduttivo puntare su di un gruppo solo, escludendo gli altri. Il dialogo dovrebbe essere aperto a tutti. Non sarà sempre facile, ma forse i cristiani possono servire talvolta come "mediatori" per riunire musulmani di diverse tendenze. Un certo "ecumenismo" può venire come un frutto dei dialogo.

5.2 Quod?

La parola "dialogo" evoca per molti gli scambi formali, il dibattito, la discussione teologica. Un tale modo di capire il dialogo risulta spesso in una certa misura. Come si può mettere in dibattito l'essenzialità della fede?

Un tale atteggiamento, che può condurre al rifiuto dell'incontro con l'altro, nasce da una mancata comprensione della vera natura dei dialogo interreligioso e dei suo obiettivo. Sarà dunque necessario spiegarlo incessantemente. Sarebbe bene utilizzare la definizione data nel documento Dialogo e annuncio (1991 ):

In un contesto di pluralismo religioso, il dialogo significa I'insierne dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento", nell'obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà. ciò include sia la testimonianza che la scoperta delle rispettive convinzioni religiose (DA 9).

Su questa base si possono dimostrare tutte le possibilità che esistono per avviare un dialogo fruttuoso con i musulmani, nel dialogo di vita, nella collaborazione, negli scambi più teorici, e negli scambi di tipo spirituale.

Il dialogo della vita è ben più che vivere fianco a fianco, sebbene questa condizione non sempre significhi avere effettivamente molti contatti. Il dialogo della vita richiede un'attitudine di apertura, di rispetto e di stima reciproca. Come ogni attitudine deve essere coltivata. Ci si deve sforzare per approfondire la conoscenza dell'altro e della religione dell'altro così che non rimanga a livello superficiale dove spesso abbondano i pregiudizi.

Gli scambi di visite in occasione di feste, o per circostanze familiari - nascita di un bambino, malattia di una persona, matrimoni o funerali - possono contribuire a creare un senso di comunità condivisa. t in questo contesto che possiamo vedere l'utilità del messaggio che il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso indirizza ogni anno ai musulmani in occasione dell'Eid ul-fitr, la festa alla fine dei digiuno dei mese di Ramadan. Incoraggiamo i vescovi e altre persone delle comunità cattoliche a portare di persona questo messaggio ai loro fratelli e sorelle musulmani. Tutto ciò che contribuisce a promuovere un clima di comprensione e di pace tra cristiani e musulmani, ogni segno di fraternità, può essere considerato un modo di praticare il dialogo della vita. La Sicilia ha una tradizione d'accoglienza, ed esperienza nei contatti con i musulmani, specialmente con i Tunisini. Spero che questo centro domenicano, aiutando ad una maggiore conoscenza e comprensione delle loro tradizioni, potrà contribuire a rinforzare lo spirito di dialogo al livello della vita quotidiana.

Nella vita di ogni giorno molte sono le occasioni per gesti spontanei di aiuto, ma una collaborazione più organizzata può svilupparsi. Non dobbiamo dimenticare qui le istituzioni cristiane, scuole, ospedali, centri sociali, dove i musulmani lavorano a fianco dei cristiani, e neanche la presenza di cristiani, soprattutto religiose, negli ospedali di paesi prevalentemente musulmani. Si può pensare, per esempio, agli ospedali della Libia per i quali il Colonnello Gheddafi ha chiesto a Papa Paolo Vi delle Suore. C'è ancora il settore privato, come le associazioni per gli handicappati a cui appartengono sia cristiani che musulmani, e queste nei paesi dell'Africa del Nord. Ci sono anche associazioni per il dialogo tra cristiani e musulmani che intraprendono delle attività in favore di tutta la popolazione. Una tale associazione nel nord dei Ghana ha cominciato una serie di programmi alla radio locale per diffondere informazioni esatte sulle due comunità ed aiutare ad una comprensione reciproca maggiore. Nel Pakistan esiste il Pakistan Association for Interreligious Dialogue il cui segretario è il Vice-Provinciale dei Padri Domenicani, egli stesso pakistano. I membri dell'associazione, musulmani e cristiani, hanno intrapreso insieme l'attività in favore dei diritti umani ed incontrano i responsabili dei governo per parlare dei problemi concreti.

Il dialogo teologico è senza dubbi il più difficile, poiché sono grandi le suscettibilità. Anche qui si deve spiegare bene lo scopo dei dialogo. Non si tratta certo di distruggere la posizione dell'altro o di convincerlo dei suoi errori. Fare così sarebbe cadere nella trappola della polemica. Il vero dialogo teologico mira ad un chiarimento di idee, a collocare con esattezza le convergenze e le divergenze. È un lavoro che richiede molta pazienza ed anche un clima di fiducia. Uno dei migliori esempi dei dialogo teologico tra cristiani e musulmani è il lavoro del Groupe de Recherches lslamo-Chrétien (GRIC), fondato nel 1977, che tuttora continua i suoi lavori. I membri dei gruppi nazionali, nella Tunisia, nel Marocco, in Francia e nel Belgio, preparano dei testi che sono esaminati in una riunione annuale a livello internazionale. È questa istanza che decide se le ricerche sono pronte per la pubblicazione. Il primo libro pubblicato dal GRIC, Ces Ecritures qui nous questionnent, ha suscitato molto interesse. È stato seguito da altri, sulla fede e la giustizia e sui rapporti tra religione e stato. Un membro di spicco dei gruppo della Francia fu il P. Claude Geffré, O.P., attualmente direttore dell'Ecole Biblique à Gerusalemme.

Ma gli scambi intellettuali non si limitano ai temi teologici. Nei diversi colloqui organizzati dal nostro Pontificio Consiglio con organizzazioni musulmane si è concentrato più su temi sociali, per esempio l'educazione religiosa, i diritti umani, il ruolo della donna nella società, mass-media e religione, e così via. Qui i lavori hanno cercato di individuare punti comuni che possono rendere una collaborazione pratica.

A livello spirituale il dialogo tra cristiani e musulmani non è forse molto sviluppato, ma esiste. Il Movimento dei Focolari ha, in diversi paesi, degli amici musulmani che s'ispirano alla Parola di Vita inviata dalla fondatrice, Chiara Lubich, ai membri dei Focolari ogni mese. Condividono dopo con i cristiani ciò che hanno trovato sul tema nel Corano o nei testi della tradizione islamica. Con certi musulmani della tendenza sufi tali scambi a livello spirituale sono più facili. Si può menzionare anche il desiderio di pregare insieme per la pace. Quasi un bisogno di unirsi per pregare Dio in favore della pace si è fatto sentire durante la.Guerra dei Golfo. E nel 1993, quando il Papa Giovanni Paolo li, con i Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, hanno indetto un week-end di preghiera ad Assisi per la pace in Europa, e specialmente nei paesi balcanici, un buon numero di musulmani ha risposto all'invito. Ma pregare insieme non è cosa semplice. Si deve evitare ogni apparenza di sincretismo; si deve avere cura di non utilizzare parole o simboli che potrebbero urtare la sensibilità degli uni o degli altri. Anche qui il nuovo centro potrebbe servire da punto di riferimento per consigli preziosi in questo campo.


5.3
Quomodo?

Un altro problema per molti, riguardo al dialogo, è che non si sa come fare, dove iniziare. C'è spesso una ignoranza della religione dell'altro e talvolta della propria religione che inibisce ogni iniziativa. Si fa sentire il bisogno di una certa preparazione, delle buone informazioni sull'islam e sui rapporti tra cristiani e musulmani. Importante anche è una riflessione sull'esperienza dei dialogo. Dare questa formazione, non è in armonia con il con templata tradere, e così un compito che conviene ai Padri Domenicani?

Ci può essere inoltre una mancanza d'interesse per il dialogo, per il contatto con altri credenti. Può sorgere da uno spirito di autosufficienza, o di sfiducia verso l'altro. Per avere rapporti fruttuosi è necessario una certa apertura di cuore, ma in maniera equilibrata, né troppo ingenui né ipercritici. Entrare in, dialogo non significa, quindi, mettere da parte le proprie convinzioni religiose. Al contrario, il partner nel dialogo vuoi sapere ciò che il suo interlocutore crede realmente. Più radicato uno è nella sua fede, più è possibile aprirsi ed apprezzare le ricchezze di una altra tradizione.

Ma ci sono altre difficoltà nel dialogo tra cristiani e musulmani. C'è il peso della storia. La Nostra Aetate parla di dissensi e inimicizie sorti tra cristiani e musulmani nel corso dei secoli. Pensiamo subito alle Crociate e agli effetti del colonialismo, ma dall'altra parte c'è la storia dell'espansione islamica e la situazione dei dhimmí, ebreo o cristiano, quando viene applicata la legge islamica. Forse non è possibile dimenticare il passato, come esortava il Concilio, ma sarebbe molto utile preparare degli studi oggettivi e sereni, per facilitare uno sguardo comune sulla storia.


5.4
Cur, ad quem finem?

L'ultima domanda è sullo scopo dei dialogo. La mancanza di chiarezza su questo punto impedisce un rapporto sano. Il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa" dichiara il Papa nella Redemptoris Missio (RM 55). Ma spesso i musulmani fraintendono queste parole. Dialogo è il nuovo nome della missione, dicono, intenta a convertire al cristianesimo. Se è cosi, non vogliamo parteciparvi. Il Papa risponde lui stesso all'obiezione:

"Il dialogo" non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole" (RM 5 6).

Si deve ripetere che la missione evangelizzatrice della Chiesa è difatti la vita della Chiesa. L una realtà complessa costituita dalla presenza e dalla testimonianza dei cristiani, dalla vita di preghiera, di contemplazione, di celebrazioni liturgiche, dall'impegno di carità e di servizio specialmente verso i più bisognosi, dal dialogo rispettoso con persone di altre tradizioni spirituali, e dall'annuncio dei nome di Cristo Signore e Salvatore. Ognuno di questi elementi ha la sua importanza e nessuno è subordinato ad un altro.

Il dialogo, definito come un camminare insieme verso la verità e un collaborare insieme in opere di interesse comune, non mira alla conversione nel senso di cambiamento da una religione ad un'altra, dall'islam al cristianesimo. Ma possiamo dire che la fine dei dialogo è difatti la conversione nel senso della purificazione dei cuore per avvicinarsi a Dio e sottomettersi più pienamente e più generosamente alla sua volontà. È per questo che il documento Dialogo e annuncio esplicita:

Il dialogo interreligioso non tende semplicemente a una mutua comprensione e a rapporti amichevoli. Raggiunge un livello assai più profondo, che è quello dello spirito, dove lo scambio e la condivisione consistono in una testimonianza mutua del proprio credo e in una scoperta comune delle rispettive convinzioni religiose. Mediante il dialogo, i cristiani e gli altri sono invitati ad approfondire il loro impegno religioso, e a rispondere, con crescente sincerità, all'appello personale di Dio e al dono gratuito che egli fa di se stesso, dono che passa sempre, come lo proclama la nostra fede, attraverso la mediazione di Gesù Cristo e l'opera del suo spirito. (DA 40).


6. Prospettive

Dopo queste considerazioni, forse troppo generali, desidero indicare alcune nuove prospettive per il dialogo islamo-cristiano. Spesso si dice che sono sempre i cristiani ad iniziare il dialogo, a fare i primi passi. Mi sembra che in questi ultimi anni ci sono state delle iniziative dalla parte musulmana, segni di una nuova apertura.

Era nel 1989 che il nostro Pontificio Consiglio ha risposto positivamente all'invito dei Principe Hassan, della Giordania, ad entrare in dialogo con l'Accademia Reale per le Ricerche sulla Civilizzazione Islamica. Non eravamo i primi cristiani ad avere dei rapporti con questo organismo. Già il Principe Hassan si era rivolto agii Anglicani, della Cappella Reale di Windsor, e poi agli ortodossi dei Centro Ortodosso di Chambéry, Ginevra, ma desiderava un dialogo con il mondo cattolico. Abbiamo accettato l'invito con una sola condizione, che la Chiesa locale, in questo caso il Patriarcato Latino di Gerusalemme sia coinvolta. Dal 1989 ci siamo riuniti sei volte, con alternanza tra Roma ed Amman.

Un altro organismo che ci ha invitato al dialogo formale è la Società Mondiale per L'Appello all'islam, che ha la sua sede a Tripoli, Libia. Con loro ci sono stati quattro colloqui, più una sessione speciale, workshop, per giornalisti.

Cogliendo un invito dell'Iran, abbiamo organizzato un simposio, tenutosi a Teheran, sul l'interpretazione teologica della modernità. Dopo la recente visita dei Presidente Khatami, e la sua insistenza sulla necessità del dialogo culturale, stiamo per riprendere i nostri contatti.

Si potrebbe parlare anche d'inviti ricevuti a partecipare ad assemblee islamiche, come per esempio la riunione annuale indetta in Egitto dal Consiglio Supremo per gli Affari Religiosi, o per la seconda riunione della Shura, un'istanza di consultazione islamica ad Ankara, Turchia. Da parte cattolica c'è stato l'invito a tre musulmani, un Sunnita, uno Sciita e un Druza, a partecipare come osservatori nel Sinodo per il Libano, ma è stato piuttosto un'eccezione.

Negli ultimi anni si sono stabilite alcune strutture per il dialogo tra cattolici e musulmani. Il Pontificio Consiglio ha formato due comitati, uno nel 1995 con rappresentanti di organizzazioni internazionali islamiche, e l'altro nel 1998 con l'istituto di El-Azhar al Cairo. E ancora presto per valutare l'utilità di tali comitati misti, ma la nostra speranza è che possano fornire un quadro e un forum per scambi d'informazione e opinioni su diverse situazioni nel mondo dove cristiani e musulmani sono coinvolti.

Un altro segno di apertura è il desiderio di varie università nei paesi di maggioranza musulmana di avere contatti con delle università cattoliche. Già da qualche anno esiste un accordo accademico tra l'Università di Ankara, Turchia, e la Pontificia Università Gregoriana a Roma, con scambi di professori e di tanto in tanto un simposio. Più recentemente l'Università el-Zaitouna, l'antica università religiosa della Tunisia, ha iniziato dei rapporti con l'Università Gregoriana e il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'islamistica a Roma. L'anno prossimo, al Cairo, come già accennato, si terrà un colloquio tra la Facoltà di Fondamenti della Religione di el-Azhar e l'Università S. Tommaso d'Aquino a Roma. Sembra che altre università stiano cercando di seguire la stessa via dei dialogo.

Un'altra novità e che diversi giovani universitari musulmani si dedicano allo studio dei cristianesimo. Il nostro Consiglio ha istituito la Fondazione "Nostra Aetate" per offrire borse di studio a persone di altre religioni che vogliono studiare il cristianesimo negli Atenei Pontifici. Ogni anno ci sono due o tre musulmani che si avvalgono di questa possibilità. La nostra speranza è di vederli protagonisti dei dialogo nel futuro.

7. Conclusione

Siamo ormai alle soglie del.Terzo Millennio. Il Santo Padre, Giovanni Paolo li, ci ha aiutato a prepararci per questo momento. Nella sua lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, il Papa ha insistito sull'importanza dei dialogo interreligioso in generale, e sul dialogo con gli ebrei e i musulmani in particolare. Cogliendo il suo invito, il Consiglio di Presidenza dei Comitato Centrale per il Grande Giubileo dell'Anno 2000 ha affidato al nostro Pontificio Consiglio ['organizzazione di una Assemblea Interreligiosa, che si terrà dal 24 al 29 ottobre di quest'anno in Vaticano. Sarà una assemblea multireligiosa, con circa 200 rappresentanti di diverse Chiese e comunità cristiane e anche delle diverse religioni. Un buon numero di musulmani ha già accettato l'invito a partecipare.

L'entrata nel nuovo millennio è un kairòs, un momento di grazia, che non dobbiamo lasciare passare, che non abbiamo il diritto di trascurare. Nella più recente Udienza Generale, Giovanni Paolo Il ha ribadito l'importanza del dialogo tra cristiani e musulmani. Le sue parole formano la migliore conclusione a questa relazione:

"Nel mondo di oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio, cristiani e musulmani sono chiamati a difendere e promuovere sempre, in uno spirito d'amore, la dignità umana, i valori morali e la libertà. Il comune pellegrinaggio verso l'eternità deve esprimersi nella preghiera, nel digiuno e nella carità, ma anche in un solidale impegno per la pace e la giustizia, per la promozione umana e la protezione dell'ambiente. Camminando insieme sulla via della riconciliazione e rinunciando, nell'umile sottomissione alla volontà divina, ad ogni forma di violenza come mezzo per risolvere le differenze, le due religioni potranno offrire un segno di speranza, facendo risplendere nel mondo la sapienza e la misericordia di quell'unico Dio che ha creato e governa la famiglia umana".
(Osservatore Romano, 6 maggio 1999).

+ Michael L. Fitzgerald
Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
Palermo 7 maggio 1999
 


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