Un
viaggio nelle nuove catacombe d'Italia. Alla scoperta dei
neocristiani del Terzo millennio. Incontri segnati dalla paura.
Un incubo che si annida nell'animo e nella mente di chi era nato
nella fede in Allah e nel messaggio rivelato dal profeta
Mohammad, Maometto. Sono consapevoli che l'apostasia nell'islam
non è un semplice sostantivo. Potrebbe trasformarsi in una
condanna a morte. Eppure c'è chi ha deciso di infrangere le
tenebre e sfidare il terrore. Come frate Antuan, un giovane
turco che si è spinto ben oltre la conversione alla fede in Gesù
Cristo. Presto diventerà il primo sacerdote cattolico di
origine musulmana non soltanto nel nostro Paese, ma nella stessa
Turchia. E c'è chi denuncia e lancia accorati appelli. Lo fa
Nura, una signora maghrebina che invoca l'intervento della
Chiesa cattolica e del governo italiano per far rispettare il
diritto alla libertà religiosa dei musulmani convertiti. Ma c'è
anche chi non si nasconde e vive l'adesione al cristianesimo con
grande serenità. È il caso di Bekim e Flutura, una coppia di
albanesi che erano musulmani solo nominalmente.
Proprio dalle file degli albanesi, in Italia sono oltre
centomila, proviene la maggioranza dei musulmani convertiti. Ma
tra i neocristiani ci sono marocchini, tunisini, algerini,
egiziani, bosniaci, zingari, nigeriani e somali. Non si sa bene
quanti siano. Probabilmente alcune migliaia. Oltre al
cattolicesimo, c'è chi è diventato Testimone di Geova o
protestante.
Frate Antuan fa tenerezza. Veste un semplice saio marrone.
Pizzetto curato. Sguardo mite e riflessivo. Ha subito vessazioni
in patria ed è stato vittima di aggressioni verbali e fisiche
in Italia. Ma lui non demorde. Ha un carattere tenace. Con un
radicato senso della vita come missione: «Già all’università
avevo cominciato a mettere in discussione la mia religione.
Avevo scoperto che non mi soddisfacevano spiritualmente le cose
che facevo, la preghiera, la lettura del Corano. Il Signore che
desideravo così vicino a me, nell’islam lo scoprivo molto
lontano. Padrone di ogni cosa, ma non un Dio che sta con noi.
Piuttosto un Dio irraggiungibile». Sottolinea la serietà con
cui affrontò la sua crisi interiore: «Ho voluto leggere il
Corano in turco. Nel mio piccolo ho cominciato a scoprire alcune
contraddizioni. Del tipo: in un passo si parla dell’amore e
dell’elemosina per i poveri, in un altro si parla della guerra
contro gli infedeli e del bottino. Non riuscivo a conciliare
queste differenze».
Poi il destino che si compie: «Per caso, un giorno sono entrato
in una chiesa cattolica a Mersin, nel sud della Turchia. Avevo
finito l'università. La chiesa è retta da una comunità di
religiosi cappuccini di Parma. Lì ho conosciuto il
bibliotecario, padre Raimondo Bardelli, un anziano che a me è
sembrato come Simeone del tempio di cui si parla nel Vangelo. Mi
dava i libri da leggere. Poi con amorevole pazienza rispondeva
alle mie domande. Per la mia conversione è stato importante
vedere in questa persona la disponibilità, la pazienza,
l’amore, il desiderio di annunciare agli altri la fede in
Cristo».
Infine la svolta, la scelta di vita: «A un certo punto ho
cominciato a frequentare la messa. All’inizio l’ho fatto per
curiosità. Veniva celebrata in turco. Nella mia conversione è
stato importante il fatto di capire le parole della preghiera
rivolte a Dio. Seguivo la messa cristiana recitata in turco, ma
non comprendevo la preghiera islamica pronunciata in arabo.
L’islam è una religione che ho praticato nell’esteriorità.
Questa è una delle ragioni per cui voglio tornare in Turchia
quando diventerò sacerdote. Voglio celebrare la messa in turco,
confessare in turco. La mia esperienza dimostra che in Turchia
ci sono veramente molti ragazzi alla ricerca della verità.
Questi ragazzi, se entrano in chiesa e parlano con un sacerdote,
devono essere accolti da un sacerdote che conosca la lingua e la
cultura turca. Così il loro cammino spirituale va avanti».
Nura è una donna colta, intraprendente e battagliera: «Noi
musulmani convertiti al cristianesimo in Italia siamo in tanti.
Tra noi lo sappiamo. Ma non ce lo diciamo. Tranne quando c’è
un rapporto intimo. Ciò avviene più facilmente tra le donne
sposate con gli italiani. Quando ci sono i figli delle coppie
miste che hanno dei nomi cristiani, è facile intuire la
conversione. Ci sono delle mamme formalmente musulmane che
festeggiano il battesimo, la comunione e la cresima dei loro
figli! Ma in pubblico diciamo che siamo atei. Questa è la
strategia adottata all’unanimità: farsi passare per atei».
Nura vorrebbe emanciparsi dalle catene della paura e
dell’ipocrisia. Lancia un vibrante appello: «Dobbiamo aprire
le catacombe! Quando ci sarà la libertà di culto anche per
noi, vedrete quanti ne usciranno fuori! Oggi non sussiste il
diritto alla reciprocità. Perché il cristiano che diventa
musulmano può manifestare tranquillamente la propria fede,
addirittura si fa della pubblicità senza rischiare nulla,
mentre il musulmano che diventa cristiano vive nella paura? Il
cristiano che diventa musulmano è fiero. E’ come se si
sentisse ben protetto alle spalle. Noi invece ci nascondiamo.
Abbiamo paura. Io ho il terrore di entrare in chiesa. Scelgo una
chiesa lontana dal quartiere dove abito. Sto molto attenta a non
farmi vedere. Ma non rinuncio a andare in chiesa. Ci credo
veramente. La prima volta che ho sentito una messa in arabo mi
sono messa a piangere».
La sua denuncia è forte: «La Chiesa non ci dà un angolo per
noi. Un angolo per i musulmani convertiti. La Chiesa dovrebbe
chiedere ai governi musulmani di sottoscrivere il diritto di
reciprocità anche sul piano della libertà di culto. Oggi siamo
costretti a vivere nella schizofrenia. In caso di difficoltà
sono costretta a dire che non sono cristiana. Se lo dichiarassi
non potrei più tornare nel mio paese d’origine. Anche se ho
acquisito la cittadinanza italiana, nel mio paese sono
sottoposta alle leggi locali». Quindi la stoccata finale: «La
Chiesa ci considera una sorta di tabù. Loro hanno i registri.
Sanno bene quanti Abdallah e Khadija si sono convertiti in
Pietro e Maria. Loro lo sanno. Perché non lo dicono? E’
giusto tutelare le persone. Ma potrebbero almeno dire che il
fenomeno esiste, che riguarda molte, molte persone. Perché
stanno zitti? Io denuncio il silenzio della Chiesa. Noi ci
sentiamo abbandonati. Dopo la conversione non abbiamo nessuno
che ci sostenga. Chiediamo aiuto alla Chiesa e all’Italia:
proteggeteci! Difendeteci!».
Bekim è un regista teatrale. Flutura è un’attrice molto nota
in Albania: «La nostra generazione è cresciuta senza fede,
senza religione, senza Dio. Non sapevamo in che cosa credere. E
non sappiamo che cosa eravamo prima, se cristiani o musulmani.
Per questo motivo noi albanesi oggi abbiamo il privilegio di
scegliere. Siccome adesso viviamo in Italia, stiamo conoscendo
il cattolicesimo. Da tre anni siamo in contatto con i cattolici.
Loro ci aiutano tanto. Forse la loro bontà, la loro carità ci
hanno spinto a entrare nella religione cattolica». La coppia
albanese spiega così la scelta religiosa morbida, senza traumi:
«Noi in realtà non siamo mai stati dei veri musulmani. Ecco
perché oggi non ci sentiamo dei convertiti. Non riteniamo di
aver abbandonato l’islam. Di fatto aderendo al cattolicesimo
noi scegliamo per la prima volta la nostra fede. Ci battezzeremo
la prossima Pasqua. Nostra figlia è già stata battezzata.
Tante famiglie albanesi in Italia sono diventate cattoliche.
Secondo noi il settanta per cento degli albanesi in Italia erano
o sono diventati cristiani, ortodossi o cattolici. Non ci sono
dubbi». Al di là dei numeri alcune considerazioni si
impongono. La nuova realtà dei neocristiani fa emergere la
dialettica e la vitalità presenti in seno all’islam. Conferma
ancor di più quanto sia infondato lo stereotipo che immagina i
musulmani come una massa monolitica, oscurantista e immutabile.
E poi chiama in causa il Vaticano e l’Italia. Ci sono fedeli
cristiani e cittadini italiani che si sentono discriminati e
temono per la loro vita nel nostro Paese a causa della loro
conversione dall’islam. La condanna di apostasia li
perseguita. Finora sono sopravvissuti nel buio come ombre
fuggiasche. Ma ora hanno deciso di parlare. Rivendicano il
diritto di vivere alla luce del sole.
Magdi Allam
| home
| | inizio pagina |
|