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L’Islam
dei moderati va alla prima crociata
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 11 luglio
2005
È esplosa la reazione degli intellettuali
musulmani laici alla strage di Londra, per invocare le autorità britanniche a
porre fine alla politica dell’accoglienza nei confronti degli estremisti
islamici, denunciando un atteggiamento che ha di fatto trasformato la Gran
Bretagna in un covo del terrorismo. «Cacciateli»! L’esortazione, anzi la
supplica, è di Abdel Rahman al-Rashed, direttore della televisione Al Arabiya.
Rivolta alle autorità britanniche che «inspiegabilmente hanno concesso il
diritto d’asilo a gente sospetta, coinvolta nei crimini dell’estremismo,
condannata nei Paesi arabi d’origine, alcuni con la sentenza capitale ».
Al-Rashed, intellettuale saudita, in un editoriale pubblicato dal quotidiano
Asharq al-Awsat, lancia un pesantissimo atto d’accusa: «La tolleranza delle
autorità britanniche nei confronti del fascismo fondamentalista ha
incoraggiato molti, tra cui degli intellettuali e dei giornalisti arabi e
musulmani, a partecipare alla campagna demagogica a favore degli estremisti,
difendendo dei criminali come Bin Laden e al-Zarkawi, al punto che molti arabi
e musulmani in Gran Bretagna non osavano più per paura manifestare la loro
condanna degli estremisti».
«L’estremismo è una malattia che si trasmette come un'infezione, è
sufficiente iniettarne una dose affinché il morbo contagi la società,
culminando nella distruzione così come è successo a Londra», prosegue
al-Rashed, «tutti noi ci attendevamo questo crimine, la tolleranza, cari
signori, non è possibile con chi è affetto dalla malattia dell’odio». Il
j’accuse diventa ancor più specifico: «Si è diffusa l’illusione che gli
estremisti di Londra non avrebbero colpito la Gran Bretagna, dal momento che
la sfruttano come base operativa, che i loro nemici erano i governi arabi e
musulmani. Il risultato è che la Gran Bretagna si è riempita dei più noti
ricercati dell'estremismo che hanno realizzato il risultato più importante
accrescendo le fila dei propri adepti ». Infine la conclusione: «È ora che
le autorità britanniche affrontino realisticamente l’estremismo con
fermezza, diversamente sprofonderemo in un vero inferno. In passato vi abbiamo
detto fermateli! Oggi vi diciamo: cacciateli!».
Al-Rashed si era già distinto per il suo coraggio firmando un editoriale in
cui si leggeva: «Anche se non tutti i musulmani sono terroristi, la gran
parte dei terroristi sono musulmani ». Non meno ardita l'invettiva di Shaker
al-Nabulsi, accademico giordano, che sul sito www.elaph.com ha duramente
redarguito le autorità britanniche: «Non c’è capitale al mondo che ospiti
un così gran numero di capi terroristici come Londra. La legge britannica non
ha fatto distinzione tra il terrorista criminale e sanguinario e l'esule
politico. Il risultato è che Londra si è riempita di gruppi terroristici, di
conti correnti bancari dei terroristi, di moschee terroriste che addestrano e
indottrinano i terroristi da inviare in Iraq e in Arabia Saudita, di giornali
terroristici che pubblicano e preannunciano i discorsi dei terroristi ».
Al-Nabulsi è spietato nella sua denuncia: «I terroristi farneticanti
vorrebbero dar vita a un califfato islamico in Gran Bretagna. Come ha detto
Omar Bakri, vogliono far sventolare la bandiera islamica su Buckingham Palace.
Ma al suo posto hanno innalzato la bandiera rossa del sangue degli innocenti
sui vagoni della metropolitana. Gli stessi innocenti che ogni giorno muoiono
in Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Egitto, Marocco.
Così i terroristi vorrebbero riesumare il califfato. Ma da 14 secoli da
questo califfato gli arabi hanno ottenuto solo corruzione, repressione,
malcostume, sottrazione delle libertà, ingiustizie, uccisioni arbitrarie».
Infine un vibrante appello collegiale: «Il terrorismo non è diretto contro
una singola etnia o religione. Ecco perché il mondo intero deve reagire come
un unico proiettile, un'unica spada, un'unica campagna contro il terrorismo,
gli ideologi del terrore, l'informazione del terrore, gli intellettuali del
terrore che riecheggiano gli slogan sanguinari, che continuano a considerare
illegale il governo iracheno eletto dal voto di otto milioni di iracheni, che
affermano che il terrorismo in Iraq sarebbe resistenza». A tutti coloro che
continuano, con comprensibile preoccupazione, a domandarsi dove siano i
musulmani moderati che condannano apertamente e incondizionatamente il
terrorismo, sappiano che ci sono. Al-Rashed è contattabile all'indirizzo
alrashed@asharqalawsat.com e Al-Nabulsi all'indirizzo Shakerfa@worldnet.att.net
. E con loro ci sono tanti altri. Da scoprire, valorizzare, affermare sul
piano mediatico, sociale e politico. Si può e si deve fare. Prima è meglio
è.
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Il Corano e il primato della legge.
Stiamo legittimando un doppio binario
giuridico
Magdi Allam sul Corriere della Sera,
22 luglio 2005
I
terroristi islamici hanno colpito nuovamente Londra mentre il
premier britannico Tony Blair sta trattando con un gruppo di «esponenti
islamici » sulle nuove misure per contrastare il terrorismo, dopo
aver incassato una fatwa (un responso legale islamico) di
condanna dei kamikaze dello scorso 7 luglio. In altri termini, il
governo di uno Stato sovrano ha ritenuto opportuno sottoporre le
proprie decisioni all'approvazione di alcuni cittadini a cui è stato
attribuito in modo del tutto discutibile lo status di rappresentanti
di una supposta «comunità islamica», percepita come un corpo a sé
stante in seno allo Stato di diritto.
Siamo
così arrivati all'Europa del «clero islamico», della fatwa
e della sharia, la legge coranica. Dopo essersi distinta come
retrovia logistica dei combattenti islamici in Afghanistan, Cecenia,
Kashmir, Algeria, Bosnia, Palestina, Egitto, Marocco, Tunisia, Yemen,
Iraq, Arabia Saudita, dopo essersi trasformata in una terra di
predicazione della Jihad globale intesa come «guerra santa», dopo
essersi scoperta «fabbrica di kamikaze » che si fanno esplodere
fuori e dentro i propri confini, l'Europa emerge ora come avanguardia
mondiale di uno Stato teocratico islamico in nuce i cui leader
sentenziano ciò che i musulmani debbono fare o meno. Tutto ciò
all'interno di uno Stato di diritto dove vige un'unica legge che
dovrebbe essere osservata da tutti i cittadini e residenti. Tutto ciò
tra l'assenso, addirittura la compiacenza delle autorità europee, e
perlopiù tra l'indifferenza dell'opinione pubblica.
La
recente immagine di cinque barbuti pachistani in abbigliamento
tradizionale che, davanti alla sede del Parlamento, leggono a nome di
oltre cinquecento esponenti religiosi del «British MuslimForum» una fatwa
di condanna degli attentati che hanno insanguinato Londra lo scorso 7
luglio, è stata accolta dai più come un evento altamente
significativo e positivo. Così come accadde il 10 marzo scorso quando
l a «Commissione islamica di Spagna » emise una fatwa in cui
sentenziava che «Osama Bin Laden, Al Qaeda e tutti coloro che
pretendono di giustificare il terrorismo in nome del sacro Corano sono
fuori dall'islam». In entrambi i casi la condanna del terrorismo si
fonda su ciò che «il sacro Corano dichiara» e «ciò che l'islam ci
insegna».
Ma
ci rendiamo veramente conto di quello che stiamo combinando?
Stiamo legittimando il doppio binario giuridico in seno allo Stato di
diritto, la legge ordinaria per gli autoctoni e la sharia per i
musulmani. È mai possibile che i musulmani per condannare il
terrorismo, il massacro indiscriminato di innocenti, i kamikaze di Bin
Laden, debbano obbligatoriamente far riferimento e trarre una
legittimità dal Corano? Chi ha detto che i musulmani non debbano
invece, al pari di tutti gli altri cittadini, far riferimento alle
leggi dello Stato laico e al sistema di valori fondanti della civiltà
umana che salvaguardano la sacralità della vita di tutti? E che cosa
accadrebbe se in un domani, sempre facendo riferimento al Corano, gli
stessi barbuti di Londra e Madrid dovessero sentenziare diversamente
da quanto prescrivono le nostre leggi e contemplano i nostri valori?
Intanto
noi oggi, plaudendo alla loro condanna del terrorismo nel nome
del Corano, li abbiamo già legittimati come referenti giuridici,
abbiamo attribuito loro un potere che abbraccia la sfera della
rappresentatività religiosa e politica. Come potremmo in un domani
dire loro ci andavate bene quando condannavate le bombe di Madrid e
Londra, ma non ci andate più bene quando osannate le bombe di
Gerusalemme e Bagdad? Inoltre, una volta istituito il doppio binario
giuridico, una volta accreditata la sharia in Occidente come
fonte legittimante dei valori e della vita dei musulmani, come
potremmo rifiutare e denunciare le fatwa emesse da altri
sedicenti imam, ulema o mufti? Cosa farà
l'Occidente di fronte allo scontro tra opposte fazioni islamiche che
si delegittimano e condannano a vicenda a suon di fatwa?
Tutto
ciò avviene già nei Paesi musulmani. Quello che sta avvenendo
nella Londra bersagliata dai kamikaze e dalle bombe islamiche, è di
fatto la resa agli integralisti e ai terroristi. Il multi-culturalismo
prima ha lasciato fare ai barbuti della fatwa e della sharia,
poi ha partorito il mostro del terrorismo suicida. Sono due facce
della stessa medaglia.
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«Il passo avanti che
non basta».
Contro il terrorismo islamico in Italia si fa troppo poco
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 24 luglio 2005
Londra, Bagdad, Sharm
el Sheikh. L'internazionale del terrorismo di matrice islamica
continua a mietere morti. Un'unica strategia di destabilizzazione
dell'Occidente e del mondo musulmano. Coniugando la manovalanza
autoctona a luogotenenti che obbediscono al grande burattinaio Osama.
Mescolando la schizofrenia identitaria e la rabbia dei giovani
musulmani nei confronti dei rispettivi governi, con il radicato
ideologismo antiamericano e antiebraico. Sfornando nuovi aspiranti
suicidi in grado di perpetuare la scia di sangue. Una sfida che ci
vede culturalmente disarmati e politicamente inadeguati. Anche
l'Italia si limita a interagire con l'attività terroristica di
superficie, senza scardinare la «fabbrica dei kamikaze».
Una «fabbrica dei kamikaze» che si annida al di sotto e al di là
delle linee rosse tracciate dalle nostre leggi e dalla nostra
ingenuità. La dimensione internazionale di Sharm el Sheikh emerse
già all'indomani dell'11 settembre 2001, quando venne individuata
come un possibile bersaglio «italiano». Perché ospita un gran
numero di turisti italiani e accoglie importanti investimenti
italiani. E l'Italia è stata ripetutamente minacciata, con più
veemenza negli ultimi giorni, da Al Qaeda. Più in generale la
«Rimini del Sinai» è il simbolo dell'apertura dell'Egitto all'
Occidente e alla prospettiva di un Medio Oriente prospero e
pacificato. Va da sé che colpire questo simbolo significa affievolire
la speranza di una maggiore sicurezza nell' area più vitale e più
martoriata della Terra.
Mubarak avrebbe dovuto imparare la lezione dell'assassinio di Sadat
per mano di un estremista islamico in divisa, frutto della politica di
apertura dello stesso Sadat nei confronti dei Fratelli Musulmani. La
storia contemporanea insegna che ovunque, in Algeria con il Fis
(Fronte di salvezza islamico), in Tunisia con Ennahda, nello Yemen con
Al Islah, si è lasciato mano libera agli integralisti islamici, prima
o dopo si è scatenato il terrorismo islamico. Eppure anche Mubarak si
è illuso di poter domare i Fratelli Musulmani, mantenendoli sulla
graticola dell'interdizione ufficiale e della tolleranza di fatto.
Per quanto ci concerne è arrivato il momento di aprire gli occhi e di
prendere atto di tre elementari ma dirompenti realtà. La prima è
che, piaccia o meno, è in corso una guerra mondiale scatenata dal
terrorismo di matrice islamica. La seconda è che questa guerra
interessa direttamente l'Europa, non solo in quanto bersaglio ma
soprattutto in quanto roccaforte del terrorismo islamico.
La terza è che questa guerra la si potrà vincere soltanto sradicando
la «fabbrica di kamikaze», presente anche in Italia, che partendo
dalla predicazione della «guerra santa», all'indottrinamento alla
fede del «martirio», all'arruolamento talvolta sui campi di Al Qaeda
in Afghanistan, Pakistan e Iraq, sfocia nell'attentato terroristico
vero e proprio.
Ecco perché non bastano le recenti misure varate dal governo. Vanno
bene per contenere l'attività di quanti sono già operativi. Ma non
sono in grado di prevenire la formazione di nuove leve del terrorismo.
Ciò che serve è interrompere sul nascere il processo che porta,
tramite il lavaggio di cervello, alla trasformazione dei giovani
musulmani in robot della morte. A tale fine è essenziale punire
l'apologia del terrorismo, l'equazione kamikaze uguale resistente,
Jihad uguale resistenza. E' necessario sanzionare la cospirazione
contro la sicurezza dello Stato da parte di coloro che promuovono
iniziative islamiche eversive. E' opportuno affermare, anche a livello
internazionale, che il terrorismo suicida è un crimine contro
l'umanità.
Perché la vera posta in gioco è
il valore della vita, che viene disconosciuto dal nichilismo di quanti
hanno elevato la morte propria e altrui come massima aspirazione. In
quest'ambito l'Italia non può più tollerare che talune moschee,
centri islamici, scuole coraniche, siti Internet integralisti, centri
di finanza occulta, operino al di fuori della legalità e siano
portatori di idee e di attività ostili ai valori fondanti della
società italiana. L'Italia ha il diritto e il dovere di riscattare
alla piena legalità ogni palmo del proprio territorio. Per il bene di
tutti, musulmani compresi.
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«Amicizie
sbagliate»
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 25 luglio 2005
Di solito prima
di portare qualcuno a casa nostra, ci si informa quantomeno su
chi sia. Capita invece che noi italiani non soltanto ci portiamo in casa
un estraneo, ma l’abbracciamo e stringiamo accordi. Accordi che
ridicolizzano la nostra credibilità e minano la nostra sicurezza. Sarà
perché siamo anime pie, forse spregiudicati avventurieri o peggio
ancora degli ideologizzati che infieriscono contro se stessi. Ma è così
che abbiamo consegnato la rete delle moschee d'Italia agli integralisti
e estremisti islamici dichiarati fuorilegge nei rispettivi Paesi
d'origine. Che scegliamo come interlocutori all'estero nomi altisonanti
di prestigiose istituzioni islamiche, come l'università Al Azhar del
Cairo o la Lega musulmana mondiale della Mecca, senza preoccuparci
minimamente del fatto che in realtà sono degli strenui apologeti del
terrorismo suicida che massacra gli ebrei in Israele o gli occidentali
in Iraq. E tra questi, val la pena ricordarlo, ci siamo anche noi
italiani.
È successo poco
più di un mese fa, il 15 giugno, che al Cairo è stato siglato
un accordo per la creazione di un Comitato accademico italo-egiziano di
«studi comparati per il progresso delle scienze umane nel Mediterraneo»
(Oscum), tra la celebre università islamica di Al Azhar, considerata
una sorta di Vaticano sunnita, e un cartello di cinque università
italiane (La Sapienza di Roma, il Pontificio Istituto Orientale di Roma,
l'Orientale di Napoli, la Bocconi di Milano, l'Iuav di Venezia),
coordinato dal professore Sergio Noja Noseda, ex docente di Lingua e
letteratura araba alla Cattolica di Milano e titolare di una omonima
Fondazione. L'accordo è stato firmato dal rettore di Al Azhar, Ahmed
al-Tayeb e dall'ambasciatore d'Italia, Antonio Badini, alla presenza
dello sheikh di Al Azhar, Mohamed Sayed Tantawi, ritenuto la massima
autorità teologica dell'islam sunnita. Ed è sorprendentemente
l'Avvenire , l'organo della Cei (Conferenza episcopale italiana), a
ricordarci che proprio Tantawi, un «amico del Papa» avendo accolto
Giovanni Paolo II al Cairo nel 2000 e partecipato alle sue esequie, è
in realtà a capo di un'istituzione islamica che legittima il terrorismo
suicida.
Lo ha fatto il
rettore al-Tayeb persino nel convegno organizzato dalla comunità
di Sant’Egidio a Milano il 7 settembre 2004 dal titolo «Disarmare il
terrore. Un ruolo per i credenti». «Un conto è il terrorismo che
colpisce innocenti, un conto è affibbiare l'etichetta di terrorismo a
quella che è solo una reazione di autodifesa per proteggersi da
qualcosa, come nel caso della resistenza nei confronti di forze di
occupazione», spiegò in un'intervista al mensile 30 Giorni , «I
palestinesi sono un popolo che non ha niente. Povera gente che viene
uccisa ogni giorno. Nella disperazione ricorrono a mezzi estremi per
opporsi all'occupazione». In precedenza, il 4 aprile 2002, quando
ricopriva la carica di Gran mufti d'Egitto, massimo giureconsulto
islamico, sentenziò che «la soluzione al terrorismo israeliano si basa
sulla proliferazione degli attacchi di martirio che terrorizzano i cuori
dei nemici di Allah. I Paesi islamici, sia i popoli che i governanti,
devono sostenere queste operazioni di martirio». Così come lo stesso
Tantawi, sempre il 4 aprile 2002, ricevendo al Cairo il deputato
arabo-israeliano Abdel Wahhab Darawsheh, emise una fatwa, un responso
giuridico, in cui sentenziò che «le operazioni di martirio contro
qualsiasi israeliano, inclusi i bambini, le donne e i giovani, sono
legittime dal punto di vista della legge islamica».
Tantawi spronò «il
popolo palestinese a intensificare le operazioni di martirio contro il
nemico sionista, in quanto la manifestazione più alta della Jihad».
Non sorprende quindi che il collega Carlo Termignoni concluda sull'
Avvenire : «Alla luce di una simile realtà ad alcuni osservatori non
è parso dunque prudente l'accordo di collaborazione culturale e di
cooperazione scientifica tra l'università di Al Azhar e istituzioni
italiane». Che l'università di Al Azhar sia pesantemente infiltrata
dal movimento integralista dei Fratelli Musulmani è un fatto noto. Così
come lo è la Lega musulmana mondiale sponsorizzata dall'Arabia Saudita
che, tramite il Centro culturale islamico d'Italia, gestisce la grande
moschea di Roma. Anche se l'ambasciatore Mario Scialoja, che presiede la
sezione italiana della Lega musulmana mondiale, non ha nulla a che fare
con i Fratelli Musulmani. Ben diverso è il caso di gran parte delle
moschee sorte in modo incontrollato in Italia. E che oggi sono
sottoposte al controllo, diretto o indiretto, dell'Ucoii (Unione delle
comunità e organizzazioni islamiche in Italia), emanazione dei Fratelli
Musulmani, e di gruppi fondamentalisti che predicano la Jihad, intesa
come guerra santa, ed esaltano i kamikaze islamici in Israele e in Iraq.
È qui che si attua il lavaggio di cervello che trasforma i musulmani in
robot della morte. Ed è da qui che deve scaturire il riscatto alla
piena legalità dell'islam d'Italia.
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Nuove
Moschee. Quei soldi pubblici agli integralisti
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 26 luglio 2005
L’Italia
dei politici creduloni e degli ideologizzati non si smentisce.
Accadde all’indomani dell’11 settembre, il più sanguinoso
attentato terroristico. Allora la Regione Campania promosse la
costruzione di una grande moschea a Napoli. All’indomani del 7
luglio il Consiglio comunale di Firenze ha concordato sulla
costruzione di una moschea cittadina.
Chiariamo
subito: ben vengano le moschee quali luoghi di culto. Ma
il problema si pone quando rischiano di trasformarsi in centri
di indottrinamento all’integralismo islamico, se non veri e
propri covi di arruolamento di terroristi. Ebbene, sapete da chi
sarebbero controllate le moschee di Napoli e Firenze qualora
fossero realizzate? Dall’Ucoii (Unione delle comunità e
organizzazioni islamiche in Italia), affiliata ai Fratelli
Musulmani, un movimento integralista fuorilegge nella maggior
parte dei Paesi musulmani. E visto che queste moschee verrebbero
finanziate con il denaro pubblico, non è il caso di domandarsi
se non esistano altre priorità in cui investire per agevolare
una costruttiva integrazione dei musulmani?
Il caso
della moschea di Napoli si arenò in Parlamento per
l’opposizione della Lega e le riserve della Casa delle libertà
al finanziamento pubblico, oltre due miliardi di lire, deciso
dal presidente della Regione Antonio Bassolino. L’onorevole
Antonio Soda, dei Ds, denunciò la «cultura dell’intolleranza».
Passò invece del tutto inosservato il fatto che
un’istituzione dello Stato avesse deciso di costruire e
consegnare la moschea non a una rappresentanza qualificata e
possibilmente eletta dei musulmani partenopei, ancor meglio se
cittadini italiani, bensì ai consoli dei Paesi arabi e ad
alcuni imam stranieri auto-eletti legati all’Ucoii. Il
convincimento, legato allo stereotipo del tutto visionario
secondo cui l’homo islamicus non avrebbe altra aspirazione che
pregare dalla mattina alla sera, sembra aver ispirato il
capogruppo dei Ds a Firenze Ugo Caffaz, di fede ebraica, che ha
annunciato l’iniziativa di una grande moschea destinata ai «fratelli
islamici».
I
consiglieri verdi Varrasi e Valentino hanno sostenuto che
«la religione, la conoscenza e la bellezza estetica sono gli
antidoti più potenti contro la violenza». Peccato che
l’Arabia Saudita con le sue 45 mila moschee e l’Egitto con
le sue 90 mila moschee si siano rivelati terreni fertili del
terrorismo islamico. La verità è che, a differenza di quanto
asserito ieri da Paolo Portoghesi sul Corriere, non è affatto
automatico che il luogo di culto si traduca in una cultura della
pace. La verità, ahimè amara, è che se anche non tutte le
moschee sono integraliste o terroriste, tutti i terroristi sono
diventati tali attraverso la moschea. Una verità che dovrebbe
tener presente anche Paolo Brogioni, sindaco di Colle Val
d’Elsa (Siena), che si appresta a costruire una moschea che
rischia di finire sotto il controllo dell’Ucoii.
Ieri
Osvaldo Napoli, di Forza Italia, ha invocato la richiesta
di un «certificato antiterrorismo» ai gestori delle moschee.
Certamente servono imam compatibili al cento per cento con le
nostre leggi e con i valori della nostra società. Prima delle
moschee pensiamo a formare gli imam. Prima degli imam pensiamo a
integrare i musulmani. Che hanno né più né meno le stesse
priorità di tutte le altre persone umane.
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Moschee deserte
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 27 luglio 2005
Chi rappresenta i musulmani nel nostro Paese? Esiste un
«Islam moderato»? È la domanda che assilla e divide gli
italiani. Politici e gente comune. Rilanciata tra non poche
polemiche dall'annuncio del ministro dell'Interno, Giuseppe
Pisanu, fatto su Repubblica, della prossima formazione di una
Consulta dei musulmani d'Italia. Il dubbio, obiettivamente, è
più che fondato. Perché nell'Islam il rapporto tra il fedele e
Dio è diretto.
Non c'è il sacerdote che funge da intermediario, né un
clero che amministra il culto né tanto meno un papa che incarna
il dogma della fede. E guardandoci attorno vediamo una rete di
moschee cresciute tra l'arbitrio giuridico e l'indifferenza
delle istituzioni, affidate a imam stranieri autoeletti,
in gran parte espressione di gruppi integralisti ed estremisti
islamici dichiarati fuorilegge negli stessi Paesi musulmani.
E noi italiani che cosa facciamo? Ci siamo limitati a
prendere atto dello status quo, abbiamo promosso gli imam-despoti
a interlocutori istituzionali e a star televisive, ci affanniamo
a rincorrere un dialogo di facciata dove non ci si confronta sui
diritti fondamentali della persona a partire dalla sacralità
della vita di tutti, perseguiamo una politica degli abbracci a
beneficio delle telecamere, immaginando che in questo modo
allontaniamo lo spettro dello scontro di civiltà. Insomma, è
la retorica credulona del volemose bene , della carità
cristiana, del siamo tutti figli dello stesso Dio. Ma è anche
l'ideologismo cinico e masochista delle frontiere aperte a
tutti, della solidarietà ai fratelli islamici in fuga dai
tiranni arabi filo-americani.
Più in generale, è l'ottusità politica che, insistendo
sul fatto che uno Stato laico non deve interferire negli affari
religiosi, finisce per consegnare fette dello Stato e della
società al controllo diretto o indiretto di movimenti e di
Stati integralisti stranieri. Un controllo che non è soltanto
religioso ma anche politico e finanziario.
L'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in
Italia), che afferma di controllare la gran parte delle moschee,
è essenzialmente, quale emanazione dei Fratelli Musulmani,
una forza politica che strumentalizza la religione per affermare
il proprio potere. Con l'obiettivo di ergersi a unico
rappresentante dei musulmani per la stipula di un'Intesa con lo
Stato, che le consentirebbe di accedere al finanziamento
pubblico dell'8 per mille.
Anche se i suoi membri non sono in alcun modo
rappresentativi, si sono auto-insigniti e governano in modo
dittatoriale. Patrocinano un'ideologia anti-occidentale,
anti-americana, anti-ebraica. Esaltano i terroristi suicidi
islamici che massacrano gli israeliani. Così come legittimano
gli attentati contro gli americani in Iraq, fino a spingersi a
giustificare la strage degli italiani a Nassiriya.
L'iniziativa della Consulta dei musulmani d'Italia potrebbe
rappresentare l'avvio di un approccio più serio e costruttivo
con l'insieme dei musulmani. Una Consulta che sia per metà
rappresentata da donne, come Souad Sbai, presidente della
Confederazione della comunità marocchina in Italia, Gulshan
Jivraj Antivalle, presidente della Comunità ismailita italiana,
Irta Lama, titolare dell’azienda informatica Its Associates.
Da giovani umanamente onesti e intellettualmente coraggiosi come
Khalid Chaouki, direttore del sito www.musulmaniditalia.com ,
Yassine Belkassem, membro della Consulta comunale di Poggibonsi
(Siena), Ali Baba Faye, coordinatore nazionale Forum «Fratelli
d'Italia» dei Ds. Da religiosi riformatori come Yahya Sergio
Pallavicini, vice-presidente del Coreis (Comunità religiosa
islamica d'Italia), Gabriele Mandel Khan, Gran maestro per
l'Italia della Confraternita turca Jerrahi-Halveti, Feras
Jabareen, imam del Centro culturale islamico di Colle Val
d'Elsa (Siena).
Sono solo alcuni nomi che potrebbero offrire l'immagine di un
islam compatibile con le nostre leggi e i valori fondanti della
nostra società.
Dobbiamo partire dalla constatazione che solo il 5 per cento dei
musulmani in Italia frequenta abitualmente le moschee. Dobbiamo
prendere atto che lo Stato, piaccia o meno, non può rimanere
indifferente alla continua erosione di fette di legalità da
parte degli integralisti e estremisti islamici.
La Consulta dovrebbe riflettere sia la realtà che sul terreno
vede la prevalenza di una società civile musulmana laica, sia
promuovere l'orientamento dello Stato all'integrazione piena dei
musulmani.
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Chi sono gli interlocutori musulmani
moderati?
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 28 luglio 2005
Chi sono i musulmani moderati con cui lo Stato
potrebbe trattare e di cui gli italiani potrebbero fidarsi? Che
ci siano si è detto certo anche il deputato leghista Edouard
Ballaman intervenendo ieri a «Radio anch'io», anche se «l'Islam
moderato non esiste», ha ribadito il capogruppo della Lega alla
Camera Andrea Gibelli, «perché è un paravento dietro cui si
nasconde l'Islam fondamentalista». Problematico è apparso
perfino Carlo Giovanardi, ministro Udc per i Rapporti con il
Parlamento, quando afferma: «C'è difficoltà a individuare con
certezza l'organo che sia esponente della collettività dei
musulmani d'Italia».
Il luogo comune più diffuso è che, eccezion fatta per una
infima minoranza di terroristi che storpiano il messaggio
dell'Islam e che pertanto non dovrebbero essere neppure
considerati musulmani, tutti gli altri musulmani sarebbero
moderati. Eppure la bravissima Fiamma Nirenstein, sulla Stampa,
racconta sul luogo della recente strage di Sharm el Sheikh che
pur essendo vero, verissimo, che la maggioranza degli egiziani
è fermamente contro il terrorismo, questa stessa maggioranza
resta convinta che gli attentati, perfino quelli suicidi,
sarebbero opera di Israele o dell'America.
Perché, è questa la leggenda metropolitana inculcata ai più,
un buon musulmano non potrebbe rendersi responsabile di simili
atrocità e di conseguenza sono certamente da addebitare ai
nemici eterni dell' islam, gli ebrei e i novelli crociati.
La verità è che esiste una cultura dell'odio che accomuna
integralisti islamici e laici. Affermata in modo dirompente
dall'11 settembre 2001 che ha visto dei giovani arabi laici
convertirsi alla fede del «martirio» islamico ad Amburgo,
prima di scatenare il più micidiale attentato terroristico
della Storia. Che ha registrato l'avvento dei kamikaze
palestinesi laici, prima uomini e poi anche donne, nel contesto
di una terrificante guerra per il potere tra Arafat e Hamas a
suon di vittime innocenti israeliane. Un'ennesima conferma la si
è avuta con gli attentati di Londra dello scorso 7 luglio,
protagonisti quattro giovani kamikaze britannici che fino a
pochi giorni prima esibivano uno stile di vita laico. Il che
sottolinea la radice ideologica, anziché religiosa tout court,
della guerra globalizzata del terrorismo di matrice islamica.
Quindi se il «male» non è nell' islam in quanto religione
universale ma casomai in una sua interpretazione estremista, e
se al tempo stesso la cultura dell'odio è diffusa anche in seno
alla maggioranza di musulmani che denuncia il terrorismo, chi
sarebbero dunque i musulmani moderati? Forse sono quelli dell'Ucoii
(Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia),
che non hanno resistito alla tentazione per la prima volta in
Italia di emettere una fatwa, un responso legale islamico,
condannando il terrorismo tramite il riferimento al concetto
coranico della fitna, intesa come sedizione e eversione, e
dell'elaborato giuridico del Aqd al Aman, un Patto di sicurezza
che i musulmani stipulerebbero al momento del loro ingresso
legale nel nostro Paese? Forse è moderato l'ex ambasciatore
Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana mondiale-Italia,
che si prodiga da anni per traghettare la grande moschea di Roma
dal controllo assoluto dell'Arabia Saudita a una gestione più
italianizzata, pur senza recidere i legami con il regime
fondamentalista wahhabita che non a caso ha partorito Osama bin
Laden e ben 15 dei 19 dirottatori-kamikaze dell'11 settembre?
Ma a questo punto sorge l'interrogativo: se non vanno bene
quelli dell'Ucoii perché longa manus del movimento integralista
dei Fratelli Musulmani che tramite il controllo delle moschee
mira a imporre il proprio potere politico, se non va bene la
Lega musulmana mondiale perché, come ha rilevato ieri
Giovanardi, «è retta dagli ambasciatori dei Paesi musulmani»,
chi potrebbero essere gli interlocutori musulmani moderati da
includere nella prospettata Consulta dei musulmani d'Italia che
il ministro dell'Interno Pisanu si appresta a varare? I nomi non
mancano e ieri, sul nostro giornale, ne abbiamo elencati alcuni
a titolo esemplificativo. Ciò che vale sono i principi e i
valori che ispirano i musulmani. Non si può, come fa l'Ucoii,
porsi come riferimento giuridico e politico dei musulmani. Non
si può, come fa la Lega musulmana mondiale, immaginare che
l'islam italiano possa derivare dalla mala pianta del wahhabismo
saudita. C'è un'unica legge che deve valere per tutti. C'è un
sistema di valori fondanti della civiltà italiana che deve
essere condiviso da tutti. C'è un'unica identità nazionale
italiana che deve essere interiorizzata da tutti. Tutti.
Compresi i musulmani.
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Terrorismo: Islam
d'Italia, legalità anno zero
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 31 luglio 2005
Le
nuove misure anti-terrorismo lasciano ben sperare,
avendo fatto emergere un’ampia maggioranza politica
trasversale in Parlamento. L’arresto a Roma di un terrorista
britannico in fuga dopo gli attentati del 21 luglio a Londra
conferma l’efficienza del coordinamento transnazionale nella
lotta al terrorismo globalizzato. A questo punto, perché non
consolidare il fronte interno gettando le basi sane e solide
dell’islam d’Italia? Giovedì il ministro dell’Interno
Pisanu ha auspicato «la formazione di un islam italiano
rispettoso della nostra identità nazionale e delle nostre
leggi». Ma il problema è come conseguire questo traguardo.
Certamente
non possiamo prescindere dalla realtà sul terreno. Che
offre il quadro allarmante di una maggioranza di moschee
gestite da movimenti integralisti ed estremisti islamici che
legittimano il terrorismo suicida in Israele e in Iraq, che
inneggiano alla jihad intesa come guerra santa, che
patrocinano un ideologismo antioccidentale e antiebraico.
Finora
l’Italia con questa realtà ha perseguito la via del dialogo,
inevitabilmente fine a se stesso, e dell’intesa perlopiù
sulle questioni della sicurezza per prevenire il peggio. Ci si
è, in sostanza, rassegnati a uno status quo percepito
come inviolabile. Lo Stato si è mosso con lo stesso approccio
descrittomi nel 1998 da Abdelhamid Shaari, presidente della
pluri-inquisita moschea di viale Jenner a Milano, personaggio
enigmatico che si professa laico ma è partner dell’imam
jihadista Abu Imad, il più temuto in Italia: «Devo lavorare
con la gente che c’è e il minestrone lo faccio con le
verdure che ho a disposizione».
In
quest’ottica abbiamo finito per considerare moderato
chi non mette le bombe in Italia, anche se non gli dispiace
affatto che le bombe esplodano altrove. Chi condanna gli
attentati terroristici suicidi a Londra e Sharm el Sheikh, ma
plaude a quelli a Gerusalemme e Bagdad. Chi dice che è
impegnato nel dialogo interreligioso, ma considera haram,
peccato, stringere la mano a un ebreo.
L’ennesimo
esempio ci è offerto dalla fatwa, un responso
legale islamico, che l’Ucoii (Unione delle comunità e
organizzazioni islamiche in Italia) intende rendere pubblica
oggi a Bologna. Vi si afferma, secondo il testo diffuso
dall’Apcom, la legittimità del «jihad fi sabiliLhah,
sforzo sulla via di Dio, inteso anche come fisico, vuoi
militare ». Quindi «è importantissimo stabilire quale sia
il jihad lecito od obbligatorio per il musulmano che
vive in Paesi nei quali non è direttamente aggredito». Si
tiene conto che «nella totalità dei Paesi occidentali... gli
ordinamenti e le leggi rendono possibile la vita dei musulmani
e le restrizioni che sono state recentemente introdotte in
alcuni Paesi, per quanto inopportune e ingiuste, non inficiano
il quadro generale di tolleranza ed eguaglianza di fronte alla
legge». «In queste condizioni— sentenza l’Ucoii —, il
musulmano e lamusulmana... sono tenuti al rispetto della legge
generale, alla lealtà e alla collaborazione nei confronti
delle istituzioni».
Di
fatto, l’Ucoii annuncerà la legittimità della guerra santa
e specificherà se e quando potrebbe essere scatenata. Tutto
ciò significa legittimazione dell’uso della violenza contro
lo Stato qualora i musulmani si sentissero discriminati,
tradimento della comune identità nazionale italiana, ponendo
la «comunità musulmana» come una controparte delle
istituzioni, violazione implicita dell’unicità della legge
italiana avallando la legge islamica.
Fino a
quando l’Italia continuerà a tollerare la presenza
di chi si percepisce un corpo distinto e potenzialmente
antagonista allo Stato? Non è forse arrivato il momento di
sradicare questa mala pianta della schizofrenia identitaria e
della cultura della violenza? Possibile che qualche centinaio
di predicatori dell’odio possano condizionare il futuro
della nostra nazione? A questo punto l’Italia deve scegliere
e decidere: o continuare a mandar giù minestroni indigesti
fino a creparne o bonificare un terreno minato che ci vede
oggi testimoni e domani potenziali vittime. Che cosa
aspettiamo a mettere fuorilegge tutte le sigle dietro cui si
celano trame eversive di movimenti islamici internazionali e
interessi occulti di Stati stranieri? Se la Francia, lo Stato
laicista per antonomasia, è pesantemente intervenuto per
disciplinare l’islam inscenando elezioni-farsa e assumendo
il controllo dei finanziamenti alle moschee, perché
l’Italia continua a restare inerte di fronte alla crescita
dell’ideologia che alimenta il terrorismo islamico? Piaccia
o meno, ma storicamente e universalmente è lo Stato che ha
gestito l’islam, perché si tratta di una religione che
fisiologicamente non può autogovernarsi, data la soggettività
del rapporto tra il fedele e Dio, la pluralità e la
conflittualità comunitaria, l’assenza di un’unica autorità
spirituale.
Quindi
mettiamocelo in testa: o lo Stato, direttamente o
indirettamente, governa l’islam italiano, o lo continueranno
a fare i Fratelli Musulmani, i wahhabiti, i jihadisti. Che
sono fuorilegge nella gran parte dei Paesi musulmani, mentre
da noi prosperano e comandano. Facciamo quel salto di qualità
sul piano della maturità culturale e sul piano
dell’assunzione della responsabilità politica. Riscattiamo
le nostre moschee alla piena legalità, affidiamole ai fedeli
che vogliono pregare e basta, sradichiamo la fabbrica
dell’odio che minaccia la vita e la libertà di tutti.
Autoctoni e musulmani. Azzeriamo un passato all’insegna del
buonismo, della viltà e dell’ideologismo. Ricominciamo
dall’anno zero dell’islam d’Italia.
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Moschea-mania, serve uno stop
Magdi Allam sul Corriere della Sera, 29 settembre 2005
In Italia
sembra essere esplosa la moschea-mania. Da Genova a Firenze,
da Verona a Reggio Emilia, da Napoli a Colle Val d'Elsa, tutti
la vogliono. Ebbene, da cittadino italiano, musulmano, laico,
lancio un appello a tutte le istituzioni dello Stato affinché
sospendano la costruzione di nuove moschee.
Nonché la concessione dell'autorizzazione a trasformare in
luoghi di culto islamici dei locali acquistati o affittati. La
libertà di culto dei musulmani, al pari dei fedeli di altre
religioni, è un diritto sancito dalla Costituzione e ci
mancherebbe che fossi io a metterlo in discussione. Ma abbiamo
il dovere di contestualizzare e sostanziare l'esercizio di
tale diritto in una fase in cui talune moschee sono colluse
con il terrorismo internazionale di matrice islamica e in cui
molte moschee fanno apologia di terrorismo legittimando il jihad,
inteso come guerra santa, e esaltando i kamikaze come «martiri».
E' un dato di fatto che all'interno di alcune moschee si
genera quel lavaggio di cervello che trasforma delle persone
umane in robot della morte.
Ascoltiamo la testimonianza di due mamme musulmane. La prima
è una convertita britannica, Samantha Lewthwaite, di 21 anni,
vedova di Germaine Lindsay, di 19 anni, anch'egli un
convertito britannico originario della Giamaica. Germaine è
stato il quarto terrorista suicida dello scorso 7 luglio a
Londra, provocò 26 morti facendosi esplodere su un autobus.
È il primo caso accertato di un cristiano convertito
all'islam che si trasforma in kamikaze islamico.
«Mio marito era un uomo semplice e generoso. Era cambiato da
quando aveva iniziato a frequentare la moschea. Gli hanno
avvelenato il cervello », ha detto Samantha in un'intervista
rilasciata a The Sun. «Spariva continuamente, andava
sempre a pregare nella moschea. È sparito anche la sera prima
dell'attentato: l'ho sentito entrare nella stanza di Abdullah
(il figlio di 17 mesi, ndr), baciarlo e quindi uscire. Poi ho
ricevuto un messaggio sul cellulare: ti amerò per sempre.
Vivremo per sempre insieme».
La seconda testimonianza è di una mamma egiziana residente a
Reggio Emilia da una trentina d'anni, ha due figli nati in
Italia. Preferisco mantenere l'anonimato per proteggerla dal
clima d'odio diffuso tra i gruppi islamici nel nostro Paese:
«Inizialmente portavo i miei figli nella moschea di via Adua
perché volevo che conoscessero la loro religione. Ma poi ho
deciso di non farlo più perché i predicatori della moschea
incitavano a non aver nulla a che fare con gli italiani e con
i cristiani. Io invece i miei figli li ho mandati nelle scuole
pubbliche e nel pomeriggio hanno frequentato l'oratorio della
chiesa. A me quella gente che predica nelle moschee fa paura».
Come lei tanti musulmani hanno paura. E comprensibilmente
molti più italiani hanno paura. Ritengo che sul tema cruciale
delle moschee, in considerazione del contesto internazionale e
nazionale, ci dovrebbe essere un ampio consenso tra le forze
politiche e soprattutto tra la cittadinanza sul cui territorio
vengono insediate. Non si possono imporre per decreto le
moschee, da parte di amministrazioni buoniste, ipergarantiste
o ideologicamente colluse con l'integralismo islamico,
ignorando il primato della tutela della vita e della sicurezza
della collettività, fregandosene del fondato sentimento di
paura che accomuna italiani e musulmani perbene.
La verità è esattamente opposta a quella che urlano o
paventano l'islamofobia in Italia: i luoghi di culto islamici
bastano e avanzano, proliferano in modo esponenziale a fronte
di una percentuale di frequentatori assai bassa. Erano 400 nel
2000 e ora sono 611, sono quindi cresciuti del 50% in cinque
anni. Mentre i frequentatori delle moschee continuano a
attestarsi attorno al 5%, vale a dire 50 mila persone su circa
un milione di musulmani. Diciamolo chiaramente: le moschee non
sono la priorità dei musulmani ma lo è l'integrazione. Molti
musulmani non parlano adeguatamente l'italiano, non conoscono
la cultura italiana, disconoscono i valori fondanti della
società italiana.
Così come dovremmo preoccuparci della formazione degli imam,
dei funzionari religiosi, istituendo un master o una laurea
specialistica nelle università italiane. Prima dobbiamo
riscattare alla piena legalità le moschee già esistenti, poi
avere la certezza che le nuove moschee non vadano a finire
nelle mani dei predicatori d'odio. Soltanto così potremo
sperare che le moschee diventino delle case di vetro che,
nella condivisione dei valori e dell'identità italiana,
ispirino fiducia a tutti, italiani e musulmani.
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