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«Ora basta! Jobs non era
il Messia!»
E’ nata una nuova religione: la Chiesa catodica. Che non rivela il senso della vita, ma vi priva del senso del ridicolo. Questa chiesa si è scelta come suo (involontario) messia (provvisorio, in base ai gusti del mercato) il povero Steve Jobs. A sua insaputa. I suoi celebranti, prosternati e adoranti, sono giornalisti, intellettuali, vip di ogni genere, politici e opinionisti. I quali, non credendo più a Dio, non è che non credano in nulla, ma – come diceva Chesterton – credono a tutto. Si sono convinti perfino che Jobs sia il messia: colui che “ha cambiato il mondo”. D’altra parte nei decenni scorsi intellettuali, politici e giornalisti avevano acclamato come “salvatori dell’umanità” dei sanguinari tiranni, che avevano milioni di vittime sulla coscienza, quindi con quelli di oggi in fondo c’è un miglioramento: il buon Jobs non mai fatto male a nessuno. Ha semplicemente dato sfogo alla sua inventiva, producendo tanti aggeggi elettronici, diventando un grosso industriale e accumulando un patrimonio enorme. La sua attività di industriale però non può spiegare lo stupefacente spettacolo di queste ore. I tg che aprono su Jobs e occupano mezzo telegiornale, tutte le catene televisive del mondo che celebrano il defunto con tonnellate di incenso, come una divinità dei nostri tempi e poi i programmi della serata che inneggiano al “grande”, a colui che ha “realizzato il sogno dell’umanità”. Un telegiornale ieri titolava: ““E ora? Come sarà il mondo senza di lui?”. Tranquilli: sarà esattamente come prima. Se l’umanità ha superato perfino la scomparsa dell’inventore della lavatrice, ce la farà anche stavolta.
Solo che della morte dell’inventore della lavatrice nessuno ha
nemmeno dato notizia. Per la morte di Jobs invece siamo stati
alluvionati dalle “lacrime” mediatiche.
Come si spiega? Si dice: la sua tecnologia ha cambiato le nostre
abitudini. Bene. C’è qualcuno che conosce padre Eugenio Barsanti e
Felice Matteucci? Non credo. Nemmeno fra giornalisti e intellettuali. Eppure hanno cambiato la vita dell’umanità forse anche più di Jobs:
hanno infatti inventato e brevettato il primo motore a scoppio. Auto,
moto e quant’altro vengono da lì. Scusate se è poco: senza di loro andremmo ancora a piedi, o in
bicicletta. Ma restano del tutto sconosciuti (neanche noi italiani –
loro connazionali – li riconosciamo come esempio di ingegno nostrano).
Volete un altro esempio proprio nel campo dei computer e di internet?
Bene. C’è un tizio che – secondo me – è stato molto più decisivo di Jobs
nel rivoluzionare i nostri modi di vivere e – sorpresa! – è un italiano.
Solo che nessuno lo conosce. Almeno in Italia, perché in America lo
conoscono benissimo: si chiama Federico Faggin e il 19 ottobre 2010 ha
ricevuto dalle mani di Barack Obama il più alto riconoscimento americano
in campo scientifico, la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e
l’Innovazione. E’ a lui che si deve il progetto del primo microprocessore, cioè
quella cosina minuscola che fa funzionare tutti i nostri computer e
tutti i congegni elettronici.
Credo si possa dire che senza quest’invenzione non ci sarebbero né
Internet, né Jobs, né Bill Gates, né Google, né Facebook, perché non ci
sarebbero nemmeno i personal computer e gli smart phone. E tante altre
cose. Ma in Italia resta uno sconosciuto. Non ricordo di aver mai letto un
articolo su di lui (tanto meno in prima pagina) o di aver visto un
programma tv che mostrasse questo vanto del genio italiano.
Un altro caso. Qualcuno conosce il dottore Albert Bruce Sabin? Molto
pochi. Eppure è colui che ha realizzato il vaccino antipolio che ha
liberato l’umanità (e anche il popolo italiano) dalla terribile
poliomielite. Ebbene Sabin, che poteva diventare miliardario con la sua scoperta,
non ne ricavò neanche un dollaro. Rinunciò infatti a brevettarla e a
sfruttarla in senso commerciale perché il prezzo del vaccino fosse alla
portata di tutti. Disse: “Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho
voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”.
Sabin era ebreo e aveva avuto due nipotine uccise dalle SS: nel suo
cuore c’erano i tanti innocenti che soffrivano ingiustamente. Non vi
sembra un grande? Non vi pare che abbia fatto una cosa immensa per
l’umanità? Eppure alla sua morte, nel 1993, non si sono fatte paginate di
giornali. Né editoriali dove si diceva che era un uomo che aveva
cambiato il mondo.
Potrei continuare con gli esempi. Ce ne sarebbero tanti. E tutti
dimostrerebbero che non si spiega l’enfasi mitologica dei media, i
titoli messianici e queste ovazioni planetarie per Jobs.
Il Corriere della sera, per fare solo un esempio, ha dedicato – oltre
all’apertura di prima pagina – otto pagine (ripeto: otto!) al decesso,
peraltro annunciatissimo di Jobs. Non ha esitato – il “Corriere” –
nemmeno a titolare: “A Cupertino come da Madre Teresa”.
E, per non farci mancare niente, ha affidato l’editoriale a Beppe
Severgnini il quale ha occupato la prima pagina del quotidiano milanese
per dare al mondo due fondamentali notizie: 1) “il primo portatile l’ho
acquistato vent’anni fa in California” (e chi se ne frega!); 2) “il
(mio) primo computer è stato un Macintosh: ci ho scritto il primo libro”
(cosa che potrebbe gravare sulla coscienza di Jobs come un macigno).
Perfino i giornali di sinistra hanno partecipato alla devota
processione con i turiboli per la mitizzazione di Jobs, sebbene sia un
simbolo del grande capitalismo. “Il Manifesto” gli ha dedicato
l’apertura e un editoriale laudatorio intitolato: “Un borghese
rivoluzionario”.
E un altro titolo che (letto su un giornale comunista) fa un po’
ridere: “Il morso dell’utopia”. Di questo passo rischiano di mitizzare
pure Berlusconi.
Anche “Avvenire” – il giornale dei vescovi – ha dedicato a Jobs un
articolo (con foto) in prima e all’interno addirittura quattro pagine.
Che francamente lasciano un po’ perplessi considerato che ci sono
tantissimi missionari che donano la loro vita intera, fin da giovani,
per assistere i più diseredati della terra, in condizioni durissime (ho
presente certi lebbrosari africani) e la loro morte non è segnalata da
nessuno, nemmeno sulla stampa cattolica.
Eppure credo che potrebbero testimoniare qualcosa, sulla vita e sulla
morte. Penso che loro siano dei veri maestri. E la loro vita potrebbe
essere più interessante e istruttiva della vicenda professionale di Jobs
che in fin dei conti viene magnificato per delle massime che trasudano
una certa banalità.
Sentite queste: “nella vita tutto serve”, “bisogna credere in
qualcosa”, “quando la vita vi colpisce con una bastonata non
scoraggiatevi”, “nessuno vuole morire, ma alla morte nessuno è mai
sfuggito”. Non c’era bisogno di Jobs: questi pensieri li abbiamo già sentiti
tutti da nostra nonna. Decantare queste parole come perle filosofiche
rischia di farci finire nell’assurdo o nel ridicolo.
Jobs è un uomo del nostro tempo. E’ stato un bravo inventore e un
industriale di grande talento. Anche un tipo simpatico e tosto, per come
ha vissuto la malattia. Ma, sinceramente, non mi pare uno che ha
rivoluzionato la storia umana. Nemmeno un filosofo.
Le sole due frasi suggestive da lui pronunciate nel famoso discorso
di Stanford non sono sue: sono citazioni (e lui peraltro lo dice
esplicitamente). Eppure vengono evocate come massime del mito Jobs.
“Continuate ad aver fame. Continuate ad essere folli” è una frase del
“Whole Earth Catalog” di Steward Brand. Mentre “vivi ogni giorno come se
fosse l’ultimo” è un pensiero della spiritualità monastica cristiana che
Jobs lesse a 17 anni in forma di battuta umoristica: “Se vivrete ogni
giorno come se fosse l’ultimo, un giorno sicuramente avrete avuto
ragione”.
Jobs è stato semplicemente un creativo e un grosso
industriale. Non facciamone il messia. E non inventiamo miti per coprire
il nostro vuoto. Credo che lui stesso, che continuava a vestire jeans e
girocollo, avrebbe trovato assurda questa enfasi messianica planetaria. | indietro | | inizio pagina | |
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