Le ideologie sono cadute, ma altri miti ne hanno preso il posto: la scienza, il progresso e la libertà L'analisi
di Ratzinger
«Nessuno si può permettere di deridere ciò che è sacro per ebrei o musulmani. Ma si
annovera fra i diritti dileggiare e coprire di ridicolo ciò che è sacro per i cristiani»
Nel secolo scorso abbiamo sperimentato due grandi elaborazioni mitiche con conseguenze
terribili: il razzismo con la sua falsa promessa di salvezza da parte del nazionalsocialismo; la divinizzazione
della rivoluzione sullo sfondo dell’evoluzionismo storico dialettico; in entrambi i casi furono di fatto
cancellate le intuizioni morali originarie dell’uomo sul bene e sul male. Tutto ciò che serve il dominio della
razza, ovvero tutto ciò che serve l’instaurazione del mondo futuro, è bene – così ci veniva detto –,
anche se ciò, secondo le conoscenze dell’umanità finora acquisite, fosse stato un male.
Dopo la caduta delle grandi ideologie oggi i miti politici sono presentati in modo meno chiaro, ma esistono anche
oggi forme di mitizzazione di valori reali, che appaiono credibili, proprio per il fatto che si ancorano ad
autentici valori, ma appunto anche per questo sono pericolosi, per il fatto che unilateralizzano questi valori in
un modo che si può definire mitico. Direi che oggi tre valori sono dominanti nella coscienza comune, la cui
unilateralizzazione mitica rappresenta allo stesso tempo un pericolo per la ragione morale di oggi. Questi tre
valori continuamente, miticamente unilateralizzati sono il progresso, la scienza, la libertà.
Innanzitutto però deve essere chiaro che il progresso si estende al rapporto dell’uomo con il mondo materiale
ma non dà luogo in quanto tale – come il marxismo e il liberalismo avevano insegnato – all’uomo nuovo, alla
nuova società. L’uomo come uomo resta uguale nelle situazioni primitive come in quelle tecnicamente sviluppate
e non cresce di livello semplicemente per il fatto che ha imparato ad adoperare strumenti meglio sviluppati. L’essere
uomo ricomincia da capo in ogni essere umano. Perciò non può esistere la definitivamente nuova, progredita e
sana società, nella quale non solo hanno sperato le grandi ideologie, ma che diviene sempre più – dopo che la
speranza nell’aldilà è stata demolita – l’obiettivo generale da tutti sperato. Una società
definitivamente sana presupporrebbe la fine della libertà.
Al secondo posto vorrei menzionare il concetto di scienza. La scienza è un grande bene, proprio perché è una
forma di razionalità controllata e confermata dall’esperienza. Ma vi sono anche patologie della scienza,
stravolgimenti delle sue possibilità in favore del potere, in cui allo stesso tempo viene intaccata la dignità
dell’uomo. La scienza può anche servire alla disumanità, se pensiamo alle armi di distruzione di massa o agli
esperimenti umani o al commercio di persone per l’esplantazione di organi, eccetera. Pertanto deve essere chiaro
che anche la scienza deve sottostare a criteri morali e la sua vera natura va sempre perduta allorquando invece
che al servizio della dignità dell’uomo si mette a disposizione del potere o del commercio o semplicemente del
successo come unico criterio.
Infine vi è il concetto di libertà. Anch’esso nell’epoca moderna ha assunto diversi tratti mitici. La
libertà non di rado viene concepita in modo anarchico e semplicemente anti-istituzionale e così diviene un
idolo: la libertà umana può essere sempre solo la libertà del giusto rapportarsi reciproco, la libertà nella
giustizia, altrimenti diventa menzogna e conduce alla schiavitù.
Il fine di ogni sempre necessaria smitizzazione è la restituzione della ragione a se stessa. Qui però deve
ancora una volta essere smascherato un mito, che solo ci mette davanti all’ultima decisiva questione di una
politica ragionevole: la decisione a maggioranza è in molti casi, forse nella maggior parte dei casi la via
«più ragionevole» per giungere a soluzioni comuni. Ma la maggioranza non può essere il principio ultimo; ci
sono valori che nessuna maggioranza ha il diritto di abrogare. L’uccisione degli innocenti non può mai divenire
un diritto e non può essere elevato a diritto da alcun potere. Anche qui si tratta ultimamente della difesa della
ragione: la ragione, la ragione morale, è superiore alla maggioranza.
Ma come possono essere conosciuti questi valori ultimi, che costituiscono i fondamenti di ogni politica
«ragionevole», moralmente giusta e pertanto vincolano tutti al di là di ogni cambiamento delle maggioranze? La
dottrina dello Stato sia nell’antichità e nel Medioevo come proprio anche nei contrasti dell’epoca moderna ha
fatto appello al diritto naturale, che la recta ratio può riconoscere. Ma oggi questa recta ratio sembra non dare
più una risposta, e il diritto naturale non viene più considerato come ciò che è evidente per tutti, ma
piuttosto come una dottrina cattolica particolare. Questo significa una crisi della ragione politica, il che
equivale a una crisi della politica come tale. Sembra che ormai esista solo la ragione partitica, non più la
ragione comune a tutti gli uomini almeno nei grandi ordinamenti fondamentali dei valori.
Esiste oggi un canone dei valori mutato, che praticamente non è messo in discussione, ma in realtà resta troppo
indeterminato e mostra zone oscure. La triade pace, giustizia, integrità della creazione è universalmente
riconosciuta, ma dal punto di vista del contenuto totalmente indeterminata: che cosa è al servizio della pace?
Che cosa è la giustizia? Come si protegge nel modo migliore la creazione? Altri valori universalmente
riconosciuti sono l’uguaglianza degli uomini in opposizione al razzismo, la pari dignità dei sessi, la libertà
di pensiero e di fede. Anche qui vi sono mancanze di chiarezza dal punto di vista dei contenuti, che perfino
possono di nuovo diventare minacce per la libertà del pensiero e della fede, ma gli orientamenti di fondo sono da
approvare e sono importanti. Un punto essenziale resta controverso: il diritto alla vita per ciascun essere umano,
l’inviolabilità della vita umana in tutte le sue fasi. In nome della libertà e in nome della scienza vengono
inferte ferite sempre più gravi nei confronti di questo diritto. Qui si deve dare spazio alle demitizzazioni dei
concetti di libertà e di scienza, se non vogliamo perdere i fondamenti di ogni diritto, il rispetto per l’uomo
e per la sua dignità.
Un secondo punto oscuro consiste nella libertà di deridere ciò che è sacro per altri. Grazie a Dio presso di
noi nessuno si può permettere di deridere ciò che è sacro per un ebreo o per un musulmano. Ma si annovera fra i
diritti di libertà fondamentali il diritto di dileggiare e di coprire di ridicolo ciò che è sacro per i
cristiani.
Nel mio dibattito con il filosofo Flores d’Arcais si toccò proprio questo punto – i limiti del principio del
consenso. Il filosofo non poteva negare che esistono valori, i quali non possono essere messi in discussione anche
da maggioranze. Ma quali? Davanti a questo problema il moderatore del dibattito, Gad Lerner, ha posto la domanda:
perché non prendere come criterio il decalogo? E in realtà, il decalogo non è una proprietà privata dei
cristiani o degli ebrei. È un’altissima espressione di ragione morale, che come tale si incontra largamente
anche con la sapienza delle grandi culture. Riferirsi nuovamente al decalogo potrebbe essere essenziale proprio
per il risanamento della ragione, per un nuovo rilancio della recta ratio. Qui emerge ora anche con chiarezza ciò
che la fede può fare per una buona politica: essa non sostituisce la ragione, ma può contribuire all’evidenza
dei valori essenziali.
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