Un'operazione
vecchia che non ha mai fatto bene
né alla società né alla Chiesa
Intervista ad Alberto Melloni, su
espressonline.it del 22 novembre 2004
Alberto Melloni è un rinomato storico della Chiesa, uno dei massimi
esperti del Concilio Vaticano II, di cui ha curato una monumentale
storia pubblicata in più lingue. Ma, come cattolico, si definisce
“dell’ultima panca”. E da laggiù in fondo non tace la sua
delusione per come vede la Chiesa cattolica d’oggi. Ha appena mandato
in libreria, stampato da Einaudi, un volumetto dal titolo eloquente:
“Chiesa madre, Chiesa matrigna”, stroncato dal giornale della
conferenza episcopale italiana, “Avvenire”, ma recensito con molto
favore dal priore di Bose, Enzo Bianchi, guru dell’intelligenza
cattolica progressista. In esso, Melloni rimprovera alla Chiesa
d’abbandonare Gesù e fare invece la cappellana di un’altra
religione non sua, tutta e solo civile, a servizio dei potentati del
mondo.
D. – Professor Melloni, ma c’è o no un’aggressione
anticristiana in atto?
R. – “Certo che c’è. Però non è quella laicista di cui in
Italia e in Europa si chiacchiera. Una persecuzione vera, forte,
sanguinosa, di cui molti cristiani sono vittime, esiste in varie regioni
extraeuropee: sono questi i veri perseguitati di cui quasi nessuno
parla. In Europa è tutt’altra cosa. La persecuzione che qui tanti
cattolici lamentano non merita questo nome. È solo un loro problema di
incomprensione, di mancanza di comunicazione, di difficoltà a fare i
conti con l’uomo moderno. Chiamare tutto ciò persecuzione è
un’offesa per i cristiani che in Africa o in Asia sono perseguitati e
uccisi per davvero”.
D. – Ma facendo la vittima senza esserlo, come lei dice, che cosa
pensano di ottenere questi cattolici?
R. – “Sognano il ritorno a una cristianità perduta, a una simbiosi
politico-religiosa che rimetta la Chiesa al centro. E prontamente
trovano le forze politiche interessate a questa operazione. Non c’è
niente di nuovo in tutto ciò. L’alleanza tra reazionari e papalini ha
fatto le sue fortune già nell’Ottocento, al pari dell’incontro tra
cattolicesimo e democrazia, sperimentato dai cattolici moderati di tanti
decenni fa. Oggi questo sogno è rilanciato in grande, su scala europea.
Nella nuova Europa c’è il papa, c’è l’arcivescovo di Canterbury,
c’è il patriarca di Romania, c’è l’arcivescovo di Atene, e
questo basta ad alimentare la pretesa di una nuova Europa cristiana,
dimenticando che vi sono anche i musulmani e gli ebrei, e facendo con ciò
un grave danno proprio alla Chiesa”.
D. – Quale danno?
R. – “Quello di appiattirla sull’Europa. È incredibile che tanti
cattolici ed ecclesiastici non si irritino al vedere personaggi estranei
alla Chiesa stabilire loro quale dev’essere il posto della Chiesa in
Europa. Il cristianesimo non è né europeo né occidentale, ma
mondiale. Si può essere buoni europei ed occidentali senza scomodare il
papato e la Chiesa. In Vaticano lo sanno e infatti sono più prudenti.
Dalla campagna a difesa di Rocco Buttiglione il cardinale Angelo Sodano
s’è tenuto lontano. Ha curato di non schiacciare la Chiesa su piccole
disavventure domestiche”.
D. – La sociologa della religione Danièle Hervieu-Léger sostiene
che il cattolicesimo è ormai fuori dalla cultura d’oggi. Concorda?
R. – “È fuori perché si autoesclude. Se la Chiesa non fa che
ripetere il catechismo in fotocopia e mette al bando dentro di sé la
riflessione sui punti scottanti, non va lontano. Prendiamo i diritti
degli omosessuali. Dentro il mondo cristiano coesistono posizioni molto
differenti. Ma mentre tra gli anglicani, che sono cristiani anche loro,
se ne discute apertamente e ai più alti livelli, dentro la Chiesa
cattolica la discussione non è ammessa. Non c’è fatto di cronaca che
non trovi pronta una dichiarazione del magistero a presidio della
condanna. E così sulla morale sessuale, sull’interruzione di
gravidanza, sugli embrioni, come anche sull’islam. Sono tutte
questioni non esterne ma interne alla Chiesa. Eppure essa non ammette
che i fedeli apertamente si confrontino su come applicare alla realtà
il messaggio di Gesù”.
D. – Giovanni Paolo II, nel suo discorso al parlamento italiano,
disse che la democrazia diventa totalitarismo se non ha una “verità
ultima” che la guida. Che cosa ne pensa?
R. – “Se la Chiesa vuole parlare a una società disorientata, ha una
sola ‘verità ultima’ da offrirle: la pace. La pace come capacità
di convivere tra diversi. La Chiesa è arrivata a scoprire questa verità
dopo secoli, passando attraverso intolleranze e guerre di religione.
Oggi che in Europa s’è affermato il pluralismo, la Chiesa non
dovrebbe guardarlo come una minaccia, ma come un’attrattiva che rende
la fede ancora più bella”.
D. – Ma a una democrazia che trasforma in verità e diritto ogni
desiderio della maggioranza, la Chiesa continua a dire no.
R. – “La democrazia ha le sue debolezze, non funziona come un
seminario di gesuiti. L’importante è confrontarsi e mediare. Come è
sbagliato rifiutare ogni dichiarazione episcopale quasi fosse un
attentato alla laicità, così è sbagliato vedere dappertutto un
attacco alla Chiesa. Le idee evolvono. Oggi sulla libertà di stampa la
Chiesa non ragiona più come Gregorio XVI che la demonizzava, né sulla
democrazia allo stesso modo di Pio XII. La Chiesa è chiamata a imparare
dalla voce dello Spirito che risuona nel cuore dell’esistenza
umana”.
D. – Risuona anche nel cuore di quei non credenti, laicissimi come
Pera o Ferrara, che si sono recentemente schierati a difesa della
Chiesa?
R. – “La Chiesa da costoro dovrebbe guardarsi. Fanno mostra di
difenderla, ma in realtà la strumentalizzano per fini politici, senza
alcun rispetto per i contenuti della fede. La loro è un’operazione
vecchia, che non ha mai fatto bene né alla società né alla Chiesa.
Eccita i clericali con conseguenze che saranno tutti i cristiani a
pagare, in termini di perdita di credibilità: e quando questo accadrà,
i cosiddetti ‘atei devoti’ li avranno già lasciati soli. La fede
cristiana non ha bisogno di simili apologeti. Sa difendersi da sola con
i modi suoi propri, che sono fermezza e mitezza”.
D. – Strumentalizza la fede anche un filosofo come Jürgen Habermas,
ateo eppure grande estimatore della teologia cristiana?
R. – “In Germania è diverso. La teologia tedesca non si fa solo nei
seminari, come in Italia. Si insegna nelle università statali, è un
sapere in dialogo aperto con la società, tant’è vero che la
gerarchia della Chiesa spesso se ne distacca e ne condanna le
posizioni”.
D. – La nuova carta d’Europa non fa parola delle “radici
cristiane”. Per la Chiesa è stata una sconfitta?
R. – “Non credo che il papa, la curia e i vescovi si siano poi tanto
mobilitati, per quella menzione che era più che altro simbolica. Almeno
su questo, la Santa Sede è stata esemplarmente neutrale. In un Europa
senza più partiti cattolici, alla Chiesa interessa molto di più tenere
uniti i cittadini che dividerli in forza delle appartenenze
religiose”.
D. – E lo choc delle elezioni americane?
R. – “Thomas Friedman ha scritto sul ‘New York Times’ del 4
novembre: ‘Non ci siamo divisi su ciò che l’America fa, ma su ciò
che l’America è’. Guai se anche in Europa ci dividessimo gli uni
dagli altri e dal resto del mondo per ragioni di identità religiosa.
Dentro la Chiesa c’è chi vuole farlo. Ma fortunatamente la Chiesa è
troppo complessa per muoversi compatta in questa direzione. Una grande
Chiesa di popolo non accetta di ridursi a frangia politica, non accetta
di buttare Dio sul mercato per vedere quanti voti raccoglie”.
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