Intervista ad Alfonso López Quintás
MADRID, mercoledì, 12 gennaio 2005 - Per dominare le persone in determinati aspetti della vita e dirigerne il
comportamento, il manipolatore non esita ad impiegare strategie, il cui principale vettore è l’immagine e il
linguaggio, anche nella manipolazione ideologica, di grande pericolosità.
Ma è possibile difendere la propria libertà dalla manipolazione? In questa intervista, Alfonso López Quintás - docente
emerito di filosofia presso l’Università Complutense di Madrid, membro della Real Academia Española de Ciencias
Morales y Políticas e sacerdote dell’Ordine della Mercede - rivela l’attuale portata di questo fenomeno e gli
strumenti per combatterlo.
Secondo lei, oggi viviamo nella libertà?
Alfonso López Quintás: Non è sufficiente vivere in una democrazia per godere della libertà interiore. Possiamo avere
ogni sorta di libertà per operare secondo il nostro arbitrio ed essere al contempo dominati dai nostri desideri e quindi
incapaci di scegliere in virtù dell’ideale a cui dobbiamo preordinare la nostra vita.
I mezzi di comunicazione ci offrono una serie infinita di possibilità per informarci, distrarci, condividere altre vite,
assistere ad ogni sorta di eventi rilevanti, ecc. Disporre di tali possibilità significa possedere un’impressionante
“libertà di manovra”, che ci dà una sensazione di potere e di ricchezza.
Basta premere un bottone per aprirci un orizzonte sempre nuovo di paesaggi, concerti, notizie, eventi di ogni genere.
Questo incremento giornaliero della nostra “libertà di manovra” ci inebria e ci seduce. La seduzione e l’ebbrezza
ci porta a mescolarci e ad unirci alla realtà della seduzione, impedendoci di prendere le distanze necessarie per farci
rendere conto del rischio che tale immensa “libertà di manovra” possa pregiudicare o persino distruggere la nostra
“libertà creativa”.
Se vogliamo conservare quest’ultima forma di libertà, indispensabile per condurre una vita autenticamente personale,
dobbiamo analizzare molto attentamente cosa significa manipolare, chi manipola, perché lo fa, e che mezzi utilizza per
farlo. Per chiarire bene questi temi, occorre distinguere tra diversi livelli della realtà e del comportamento, secondo
il loro rispettivo rango.
Costituiscono il “livello 1” gli oggetti e l’azione di domino, di possesso e di godimento rispetto ad essi. Il “livello
2” è dato dalle realtà di rango superiore - opere d’arte, persone, istituzioni... - e l’atteggiamento di rispetto,
stima e collaborazione creativa ad esse dovuto.
Cosa significa esattamente manipolare?
Alfonso López Quintás: Manipolare, in senso eticamente negativo, è trattare una persona o un gruppo di persone (livello
2) come se fossero oggetti (livello 1), al fine di dominarli facilmente e porli al proprio servizio.
Questa forma di relazione implica un abbassamento di livello, uno svilimento. Quando in tempi bui si ammassavano centinaia
di prigionieri (livello 2) in un vagone ferroviario, come se fossero pacchi (livello 1), e li si faceva viaggiare in
questo modo per giorni e notti, l’obiettivo non era tanto quello di farli soffrire, quanto di svilirli in tale misura da
far considerare gli uni gli altri come esseri abietti e repellenti.
Tale considerazione impediva loro di unirsi e di formare strutture solide capaci di generare una forza di resistenza.
Questa riduzione illegittima delle persone ad oggetti è la finalità del “sadismo”, azione che implica non tanto un
atteggiamento crudele, quanto un riduttivismo.
La gravità di queste azioni rende necessario determinare chi è che manipola...
Alfonso López Quintás: Certamente. Esistono padri di famiglia che vanno fieri del fatto che non parlano ai propri figli
dei valori perché - affermano - ciò “significherebbe manipolarli”. Dicendo questo confondono “manipolare” un
bambino con la necessità di “guidarlo”, “orientarlo”, “avvicinarlo alla fonte di irradiazione dei grandi valori”.
Questo errore porta con sé conseguenze nefaste.
Manipola colui che vuole “vincerci senza convincerci”, ovvero colui che tenta di sedurci per farci accettare ciò che
ci vuole offrire “senza darci motivazioni”. Il manipolatore non parla alla nostra intelligenza, non rispetta la nostra
libertà (livello 2); agisce in modo astuto sui nostri centri decisionali, al fine di tirarci verso scelte che favoriscano
i suoi propositi (livello 1).
In una pubblicità televisiva veniva presentato un automobile di lusso. Nella parte opposta dello schermo appariva subito
la figura di una bellissima giovane che non diceva neanche una parola né faceva alcun gesto; semplicemente mostrava la
propria immagine incantevole. Poi, la vetture iniziava a girare attraverso paesaggi esotici e una voce ci proponeva: “Abbandonati
ad ogni tipo di sensazioni!”.
In questa pubblicità non si proponeva alcuna motivazione per scegliere quell’automobile piuttosto che un’altra. Ma
per milioni di persone, la figura femminile e le immagini attraenti si mescolano “automaticamente”, avvolte da una
frase piena di allusioni sentimentali. In questo modo, l’immagine dell’automobile acquisisce una luce di prestigio.
Quando poi andrai dal concessionario, ti sentirai indotto a scegliere quella vettura, grazie ad una sorta di “automatismo”
(livello 1).Ti venderanno l’auto, ma non ti daranno certamente quella giovane donna. In realtà, nessuno ti aveva
promesso che acquistando la macchina ti sarebbe stata data la possibilità di instaurare una relazione con la giovane.
Per questo sarebbe stato necessario parlare direttamente alla tua intelligenza e alla tua libertà per proporti una specie
di baratto. Tale proposta sarebbe stata moralmente discutibile, ma non avrebbe costituito una manipolazione. I
responsabili dell’annuncio pubblicitario si sono invece limitati ad influire sulla tua volontà in forma tendenziosa e
astuta. Non ti hanno ingannato; ti hanno “manipolato”, cosa che però è una sottile forma di inganno.
Hanno fatto leva sul tuo desiderio di sensazioni gratificanti al fine di orientare la tua volontà verso l’acquisto
irriflessivo di questo prodotto, non per aiutarti a sviluppare la tua personalità ed essere felice. “Ti hanno ridotto a
mero cliente”. Questa forma di “riduttivismo” è la quintessenza della manipolazione, arte del sedurre che opera
attraverso automatismi e non ragionamenti.
Oltre alla manipolazione commerciale, ve ne saranno di più pericolose...
Alfonso López Quintás: Purtroppo. Alla manipolazione “commerciale” solitamente è abbinata una manipolazione “ideologica”,
che impone idee e comportamenti in forma velata, grazie alla forza trascinante propria di alcune strategie.
La pubblicità commerciale promuove spesso tra la gente un atteggiamento consumistico, dicendo che l’uso di un
determinato prodotto è segno di un’elevata posizione sociale e di progresso. Quando si vogliono imporre comportamenti e
idee riferiti a questioni basilari della politica, dell’economia, dell’etica, della religione..., la manipolazione
ideologica assume un alto livello di pericolosità.
Per “ideologia” si suole intendere un sistema di idee sclerotizzato, rigido, che non suscita adesione per mancanza di
condivisione e di forza persuasiva. Se un gruppo sociale la assume come programma d’azione e vuole imporla in modo
risoluto, ha solo due opzioni: 1) la violenza, avvicinandosi così alla tirannia, 2) l’astuzia, praticando la
manipolazione. Le forme di manipolazione portate avanti con motivazioni “ideologiche” mostrano di solito una notevole
sottigliezza, essendo elaborate da professionisti della strategia.
Da ciò che ci dice possiamo dedurre quella che può essere la meta del manipolatore. Potrebbe approfondire
maggiormente questo aspetto?
Alfonso López Quintás: Il manipolatore non ha lo scopo di rendere più felici le persone, ma di dominarle in determinati
aspetti della vita e di dirigerne il comportamento. La manipolazione commerciale vuole convertirci in “clienti” con il
semplice obiettivo di farci acquistare determinati prodotti. Il manipolatore ideologico tenta invece di modellare lo
spirito delle persone e delle popolazioni, al fine di acquisire dominio su di esse in modo rapido, schiacciante, massiccio
e facile.
Per dominare una popolazione in questo modo, basta ridurla da “comunità” a “massa”, concetto più qualitativo che
quantitativo. Le persone, quando hanno ideali validi, convinzioni etiche solide, volontà di mettere a frutto tutte le
possibilità del proprio essere, tendono ad unirsi tra sé in modo solidale e a strutturarsi in “comunità”.
Grazie alla propria coesione interna, una struttura comunitaria risulta inespugnabile. Può essere distrutta dall’esterno
con mezzi violenti (livello 1), ma non dominata dall’interno attraverso un assedio spirituale (livello 2).
Se le persone che compongono una comunità perdono la capacità creativa e non si uniscono più tra loro con vincoli fermi
e fecondi, fanno venir meno quell’integrazione propria di un’autentica comunità (livello 2) e si massificano, si
riducono ad un insieme amorfo di meri individui (livello 1).
Con una tale carenza di coesione interna, la massa è facilmente dominabile e manipolabile dai desideri del potere. Ciò
spiega perché la prima preoccupazione di ogni tiranno - sia nelle dittature che nelle democrazie, posto che in entrambi i
sistemi politici esistano persone desiderose di vincere senza sforzarsi di convincere - è quella di privare il più
possibile la gente della capacità creativa.
Questa privazione viene perpetrata mediante le tattiche di persuasione dolosa utilizzate dalla “manipolazione”. Il
tiranno che esercita la manipolazione per aumentare il proprio potere, assume la condizione di “demagogo”.
Questo dominio della popolazione non è facile in una democrazia, perché in essa è richiesta trasparenza e
sincerità...
Alfonso López Quintás: Il tiranno certamente non ha vita facile in una democrazia. Vuole dominare la popolazione e deve
farlo in una forma dolosa in modo tale che questa non lo avverta. Ciò che infatti i governanti di una democrazia
promettono è anzitutto la libertà - “libertà di manovra”, non “libertà creativa” -, anche a costo di
compromettere l’efficacia. Nelle dittature si promette efficacia, anche se a detrimento, ove necessario, delle libertà
(libertà anche in questo caso di manovra).
I mezzi a disposizione del tiranno per “sottomettere” la popolazione, mentre la convince di essere più “libera”
che mai, sono il “linguaggio” e la “immagine”, che è altamente eloquente ed è una forma particolare di
linguaggio.
Il linguaggio è il dono più grande che possiede l’uomo, ma anche il più rischioso per il fatto di essere ambivalente:
tenero o crudele, amabile o spiacevole, diffusore della verità o propagatore della menzogna. Il linguaggio offre
possibilità per scoprire insieme la verità e al contempo può essere usato per tergiversare sulle cose e seminare
confusione.
Basta anche solo conoscere quest’ultima strumentalizzazione del linguaggio e saperla maneggiare bene, che una persona anche
poco preparata ma astuta può dominare facilmente le persone e intere popolazioni qualora queste non mantengano alta la
guardia.
Per comprendere il potere seduttore del linguaggio manipolatore dovremmo prendere in esame quattro punti: i “termini”,
gli “schemi”, gli “approcci” e i “procedimenti”. Affrontiamo solamente qualcosa sull’abuso manipolatore dei
termini.
Il linguaggio crea parole e in ogni epoca della storia, talune parole si caricano di un’autorevolezza tale che nessuno
osa criticarle. Sono parole “talismano” che sembrano condensare in sé ogni pregevolezza della vita umana. La parola
talismano per eccellenza, della nostra epoca, è “libertà”. Una parola talismano che ha il potere di dare luce alle
parole che le vengono affiancate e sminuire quelle che le si oppongono o sembrano opporvisi.
Oggi si dà per scontato - il manipolatore non dimostra mai alcunché, dà per scontato ciò che gli conviene - che la “censura”,
ogni tipo di censura, si oppone sempre alla “libertà”, intesa superficialmente come “libertà di manovra”. Di
conseguenza, la parola censura è oggigiorno disprezzata. Al contrario, le parole “indipendenza, “autonomia”, “democrazia”,
“cambiamento”, “gestione congiunta”..., unite alla parola “libertà” diventano una sorta di “termini
talismano per adesione”.
Il manipolatore trae ampio vantaggio da questo potere dei termini talismano. Sa che introducendoli in un discorso, gli
ascoltatori rimangono intimiditi, non esercitano la loro facoltà critica, accettano ingenuamente ciò che viene loro
proposto.
Quando, in un determinato Paese, è stata portata avanti una campagna a favore dell’introduzione di una legge
pro-aborto, lo stesso responsabile di tale legge tentò di giustificarla con questo ragionamento: “La donna ha un corpo
e bisogna darle la libertà di disporre di questo corpo e di ciò che in esso avviene”.
L’affermazione secondo cui “la donna ha un corpo” è smentita dalla migliore antropologia filosofica già da quasi
un secolo. Né la donna, né l’uomo “hanno” un corpo; “sono” corporei. C’è un abisso tra le due espressioni.
Il verbo “avere” è adeguato se si riferisce a realtà “possedibili”, ovvero agli oggetti (livello1). Ma il corpo
umano - quello della donna e quello dell’uomo - non è un qualcosa di possedibile né disponibile; è un aspetto del
nostro essere personale, così come lo spirito (livello 2).
Quando ti do la mano per salutarti, senti in essa la vibrazione del mio affetto personale. È “la mia persona tutta”
che ti viene incontro. Il fatto che il palmo della mano vibri tutto il mio essere personale, rende evidente il fatto che
il corpo non è un oggetto. Non esiste oggetto alcuno, per quanto eccezionale possa essere, che abbia questo potere.
Il ministro di quello Stato intuiva senza dubbio che la frase “la donna ha un corpo” non è sostenibile nello stato
attuale degli studi di filosofia, e per rafforzare la sua argomentazione ha immediatamente introdotto il termine talismano
“libertà”: “Bisogna dare alla donna la libertà di disporre del suo corpo...”. Sapeva che con la semplice
utilizzazione di questo termine attualmente sovrastimato, milioni di persone si sarebbero ritirate timidamente e avrebbero
detto: “Non ci si può opporre a questo proponimento perché è in gioco la libertà e sarebbe considerato come
antidemocratico, fascista, ultra...”. E in effetti questo è ciò che è avvenuto.
In effetti oggi si percepisce una sorta di “timore reverenziale” di fronte a questo tipo di termini manipolatori...
Alfonso López Quintás: Se vogliamo essere veramente liberi interiormente, dobbiamo abbandonare la paura nei confronti di
questo tipo di linguaggio, e la migliore forma per farlo è di qualificare il senso delle parole. Quel ministro non aveva
indicato a quale tipo di libertà si riferiva, proprio perché “la prima legge del demagogo è di non qualificare il
linguaggio”, utilizzandolo in forma fumosa per cambiare il senso delle parole a seconda dei propri interessi.
Infatti egli alludeva alla “libertà di manovra”, la libertà - in questo caso - di manovrare ciascuno a suo
piacimento, rispetto alla vita nascente: rispettarla o eliminarla. Ma questa forma di libertà non è l’unica, né la
migliore. Si inizia ad essere pienamente liberi - liberi non solo dagli ostacoli che si frappongono all’agire, ma liberi
per essere creativi - quando, posti di fronte alla scelta tra diverse possibilità, si opta per quella che ci permette di
sviluppare la propria personalità “in modo pieno”.
Poniamoci adesso questa domanda: chi utilizza la “libertà di manovra” contro una persona in gestazione, si orienta
verso la pienezza del proprio essere personale? Vivere personalmente significa vivere intessendo relazioni di carattere
comunitario, creando vincoli. Colui che rompe i vincoli fecondissimi con la vita nascente, distrugge dalla radice il suo
potere creativo e pertanto blocca il suo sviluppo come persona.
Ma questa considerazione non è alla portata di chiunque?
Alfonso López Quintás: Questo lo vediamo chiaramente quando riflettiamo. Ma il demagogo, il tiranno che desidera
conquistare il potere percorrendo la scorciatoia della manipolazione, opera con estrema rapidità per non dare tempo agli
altri di pensare e di sottoporre a riflessione ciascuno dei temi. Per questo non si sofferma a qualificare i concetti e a
giustificare quanto afferma; dà per scontato ciò che gli interessa e lo espone con termini ambigui, con carenze di
precisione.
Quando sottolinea un aspetto, lo fa come se fosse l’unico, come se tutta la portata di un concetto si limitasse a quella
questione. In questo modo evita che la gente alla quale si rivolge abbia elementi di giudizio sufficienti per chiarire le
questioni e farsi serenamente un’idea propria e ben depurata.
Non potendo approfondire una questione, la persona disorientata tende a lasciarsi trascinare. È come un albero senza
radici che si lascia portare da qualsiasi vento, soprattutto se tale vento soffia a favore delle proprie tendenze
elementari. Per rendere ancora più facile la sua opera di trascinamento e di seduzione, il manipolatore fa leva sulle
tendenze innate (livello 1) della gente e si sforza di accecarne il senso critico (livello 2).
Questo spiega perché certe parole ed espressioni legate al termine “libertà” vengono gestite in modo astuto...
Alfonso López Quintás: Viene edulcorata una pratica così violenta e ingiusta come quella dell’aborto denominandola
“interruzione volontaria di gravidanza”. Interrompere qualcosa che sta avvenendo, normalmente viene riferito ad un’azione
temporanea che può essere successivamente ristabilita volontariamente e liberamente.
Già si scorge in modo velato la parola talismano “libertà”. Ma qualora non venisse avvertita questa presenza, si
aggiunge l’aggettivo “volontaria”, che implica chiaramente l’esercizio della libertà di manovra. Si avvolge così
l’aborto di una certa aria di bontà e di normalità.
Per neutralizzare la forza di questa impostazione manipolatrice, basta qualificare il termine e chiedere al manipolatore a
quale tipo di libertà si riferisce quando parla, in questo contesto, di libertà. Esercita una “libertà creativa”
colui che si arroga il diritto di annullare una vita in gestazione? Chi risponderà positivamente ignora cosa significa
“creatività” e “libertà”. Un approccio simile può applicarsi al frequente uso manipolatore dei termini e delle
espressioni come “morte degna”, “aborto etico”, “clonazione terapeutica”, “pre-embrione”...
In queste forme di manipolazione, i mezzi di comunicazione possono giocare un ruolo decisivo.
Alfonso López Quintás: Senza alcun dubbio. Il grande teorico della comunicazione, M. MacLuhan, ha coniato l’espressione
secondo cui “il mezzo è il messaggio”: non si dice qualcosa perché sia vera; la si prende per vera perché si dice.
La televisione, la radio, la stampa, gli spettacoli di diverso tipo, hanno un grandissimo influsso su coloro che li vedono
come una realtà autorevole che proviene da un luogo inaccessibile. Colui che si tiene al corrente di quanto avviene
dietro le quinte, ha un qualche potere di discernimento. Ma il grande pubblico rimane al di fuori dei centri che irradiano
i messaggi. È incredibile il potere insito nella possibilità di rendersi presente negli angoli più dispersi e penetrare
nelle case e parlare all’orecchio di migliaia di persone, in modo suadente, senza alzare la voce.
Quindi la manipolazione, quando diventa di massa, può pregiudicare notevolmente la libertà di pensare, sentire e
desiderare in forma adeguata rispetto alle esigenze della realtà. Esiste un qualche “antidoto” contro questo rischio?
Alfonso López Quintás: La pratica della manipolazione altera la salute spirituale delle persone e dei gruppi. Queste
persone possiedono le difese naturali contro questo virus invadente? Attualmente è molto difficile ridurre la portata dei
mezzi di comunicazione o sottoporli ad un controllo efficace sulla qualità. Occorre invece una preparazione adeguata da
parte di ciascun cittadino.
Tale preparazione deve coprire tre punti fondamentali: 1) “Stare all’erta”, conoscere i trucchi della manipolazione.
2) “Pensare con rigore”, saper utilizzare il linguaggio con precisione, fondare bene le questioni, svilupparle con
logica, non fare salti nel buio. Pensare con rigore è un’arte che dobbiamo coltivare.
Colui che pensa con rigore difficilmente si rende manipolabile. Una popolazione che non coltivi l’arte del pensare con
la dovuta precisione si consegna ai manipolatori. 3) “Vivere in modo creativo”. Ciò che c’è di più valido nella
vita lo apprendiamo veramente solo quando ne facciamo l’esperienza. Se prometti di creare una famiglia con un’altra
persona e di essere fedele a quella promessa, impari giorno per giorno che “essere fedele” non si riduce a “saper
sopportare”.
Sopportare è compito dei muri e delle colonne. Gli esseri umani sono invece chiamati a qualcosa di più elevato: essere
creativi, ovvero creare in ogni momento ciò che abbiamo promesso di creare. La fedeltà ha un carattere “creativo”.
Quando il manipolatore di turno ci dice all’orecchio: “Non sopportare ancora, cercati soddisfazioni al di fuori del
matrimonio, perché questo è inventivo e creativo”, saprai rispondere a tono: “Io non intendo sopportare, ma essere
fedele, che è ben diverso”. Lo dirai perché saprai dentro di te cosa implica la virtù della fedeltà.
Di questa preparazione contro la manipolazione si occupa il progetto formativo che lei promuove in Spagna e in diversi
Paesi iberoamericani, con il titolo “Escuela de Pensamiento y Creatividad” (Scuola di pensiero e di creatività)?
Alfonso López Quintás: È uno dei principali impegni. Oggi abbiamo tutti bisogno, ma in modo particolare i bambini e i
giovani, di imparare a pensare con rigore e di vivere in modo creativo. A mio avviso, la caratteristica più preoccupante
nella società attuale è che non si pensa, non si parla in modo adeguato rispetto alle esigenze della realtà, alle quali
si fa riferimento.
Se qualcuno dice, ad esempio - come ho spiegato prima -, che “la donna ha un corpo e deve godere della libertà di
disporne”, pensa e si esprime in modo totalmente inadeguato, falso e contrario rispetto alla realtà dell’essere
umano. In secondo luogo, si continua a pensare che la creatività sia esclusiva dei geni. Si ignora invece che tutti
possiamo e dobbiamo essere principalmente creativi nella nostra vita quotidiana.
Con quale metodo persegue questo obiettivo?
Alfonso López Quintás: Sono convinto, dopo una lunga esperienza, che nel momento attuale, ciò che serve non è tanto
“insegnare” ai bambini e ai giovani ciò che devono diventare, ma aiutarli a “scoprire” per proprio conto le leggi
che governano la propria crescita personale, la funzione che svolgono nella propria vita i valori, e quale sia l’autentico
ideale della propria vita.
Questa scoperta si realizza in dodici fasi. I bambini e i giovani che ci riusciranno, otterranno un grande potere di
discernimento per distinguere ciò che contribuisce a costruire la propria personalità da ciò che la distrugge. La
distruggono i processi illusori o vertiginosi; la costruiscono i processi creativi o di estasi. Sono sempre più convinto
che nessun bambino e nessun giovane dovrebbero uscire dalle aule senza una cognizione di ciò che sia la manipolazione e i
rischi ai quali si espongono non conoscendone i trucchi.
Inoltre dovrebbero conoscere a fondo questo tema delle istituzioni, che sono oggetto frequente di insidie e attacchi, al
fine di prevenire e adottare tutte le misure adeguate. Già il legionari romani dicevano che “feriscono di meno le
frecce che si vedono arrivare”.
_________________
[Fonte: Zenit.org 12 gennaio 2005
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