Non ci si può limitare a pubblicare il testo, senza
farlo precedere da un breve commento, a sottolinearne
la profondità e la forza dirompente dei contenuti. Il Papa ha davvero
ritenuto i giovani capaci - e lo sono realmente - di avere "orecchie
per intendere" e anche di essere in grado di ricevere, anziché 'latte',
del buon 'cibo solido' (Lettera agli Ebrei 5, 14), realizzando anche
quanto dice Mc 4, 10: "A
voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori
invece tutto viene esposto in parabole"
L’omelia della
Santa Messa conclusiva della XX GMG assume la veste di una intensa
catechesi sull’Eucaristia. Il papa di fronte ad un uditorio
composito, formato in gran parte da giovanissimi alla prima
esperienza, vuole comunicare il significato della presenza viva di
Cristo tra gli uomini, «un atto di un amore che si dona totalmente»
e che vince la violenza e la morte. |
|
«È questa, per
usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel
più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la
vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del
bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che
poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono
superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che
dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in
questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente
dona se stesso.» Una trasformazione radicale che comporta «che noi
stessi veniamo trasformati a nostra volta». «Dio è dentro di noi, e noi
siamo in Lui – dice Benedetto XVI - la sua dinamica ci penetra e da noi
vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo
amore diventi realmente la misura dominante del mondo». Per favorire la
comprensione, il papa ricorre all’origine etimologica dell’Adorazione,
dal greco proskynesis che significa sottomissione a Dio, ma anche
dal latino ad-oratio: «contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e
quindi in fondo amore». Un amore totale, attraverso cui il cristiano non
compie una semplice memoria, ma entra nell’«ora» del suo creatore.
In questo quadro, l’Eucaristia diventa un sacramento da approfondire e
da amare, attraverso la partecipazione alla messa domenicale e da mettere
in pratica. Un sacramento che «deve manifestarsi nella sensibilità per
le necessità dell’altro», «nella disponibilità a condividere»,
«nell’impegno per il prossimo, per quello vicino come per quello
esternamente lontano, che però ci riguarda sempre da vicino». «Se
pensiamo e viviamo in virtù della comunione con Cristo, allora ci si
aprono gli occhi – continua il pontefice - allora non ci adatteremo più
a vivacchiare preoccupati solo di noi stessi, ma vedremo dove e come siamo
necessari». Infine, una frase che è quasi una sfida: «Io so che voi
come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo
migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta
proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che,
soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella che noi
seguiamo».
Testo
integrale dell' omelia
Cari giovani!
Davanti all’Ostia sacra, nella quale Gesù per noi si è fatto pane che
dall’interno sostiene e nutre la nostra vita (cfr Gv 6,35),
abbiamo ieri sera cominciato il cammino interiore dell’adorazione.
Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione. Con la
Celebrazione eucaristica ci troviamo in quell’“ora” di Gesù di cui
parla il Vangelo di Giovanni. Mediante l’Eucaristia questa sua “ora”
diventa la nostra ora, presenza sua in mezzo a noi. Insieme con i
discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il memoriale
dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù
alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la
preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli
ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia
per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la
Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la
somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in
sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”.
E così distribuisce il pane e il calice, e insieme dà loro il compito di
ridire e rifare sempre di nuovo in sua memoria quello che sta dicendo e
facendo in quel momento.
Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo
Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli
anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in
un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale,
dall’interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È
questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che
era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine
ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio
sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28). Già da sempre tutti gli
uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una
trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di
trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la
violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo
atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno
superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così
dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l’ultima
parola. È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la
fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria
dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto
questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la
catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli
altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo
parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è
avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può
distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso.
Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della
morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino
diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione
non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il
Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati
a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo,
consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa
che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto,
diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il
Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci
penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il
mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del
mondo. Io trovo un’allusione molto bella a questo nuovo passo che
l’Ultima Cena ci ha donato nella differente accezione che la parola
“adorazione” ha in greco e in latino. La parola greca suona proskynesis.
Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come
nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. Significa che
libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi,
ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in
tal modo noi stessi veri e buoni. Questo gesto è necessario, anche se la
nostra brama di libertà in un primo momento resiste a questa prospettiva.
Il farla completamente nostra sarà possibile soltanto nel secondo passo
che l’Ultima Cena ci dischiude. La parola latina per adorazione è ad-oratio
– contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La
sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è
Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose
estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro
essere.
Torniamo ancora all’Ultima Cena. La novità che lì si verificò, stava
nella nuova profondità dell’antica preghiera di benedizione
d’Israele, che da allora diventa la parola della trasformazione e dona a
noi la partecipazione all’“ora” di Cristo. Gesù non ci ha dato il
compito di ripetere la Cena pasquale che, del resto, in quanto
anniversario, non è ripetibile a piacimento. Ci ha dato il compito di
entrare nella sua “ora”. Entriamo in essa mediante la parola del
potere sacro della consacrazione – una trasformazione che si realizza
mediante la preghiera di lode, che ci pone in continuità con Israele e
con tutta la storia della salvezza, e al contempo ci dona la novità verso
cui quella preghiera per sua intima natura tendeva. Questa preghiera –
chiamata dalla Chiesa “preghiera eucaristica” – pone in essere
l’Eucaristia. Essa è parola di potere, che trasforma i doni della terra
in modo del tutto nuovo nel dono di sé di Dio e ci coinvolge in questo
processo di trasformazione. Per questo chiamiamo questo avvenimento
Eucaristia, che è la traduzione della parola ebraica beracha –
ringraziamento, lode, benedizione, e così trasformazione a partire dal
Signore: presenza della sua “ora”. L’ora di Gesù è l’ora in cui
vince l’amore. In altri termini: è Dio che ha vinto, perché Egli è
l’Amore. L’ora di Gesù vuole diventare la nostra ora e lo diventerà,
se noi, mediante la celebrazione dell’Eucaristia, ci lasciamo tirare
dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira.
L’Eucaristia deve diventare il centro della nostra vita. Non è
positivismo o brama di potere, se la Chiesa ci dice che l’Eucaristia è
parte della domenica. Al mattino di Pasqua, prima le donne e poi i
discepoli ebbero la grazia di vedere il Signore. D’allora in poi essi
seppero che ormai il primo giorno della settimana, la domenica, sarebbe
stato il giorno di Lui, di Cristo. Il giorno dell’inizio della creazione
diventava il giorno del rinnovamento della creazione. Creazione e
redenzione vanno insieme. Per questo è così importante la domenica. È
bello che oggi, in molte culture, la domenica sia un giorno libero o,
insieme col sabato, costituisca addirittura il cosiddetto
“fine-settimana” libero. Questo tempo libero, tuttavia, rimane vuoto
se in esso non c’è Dio. Cari amici! Qualche volta, in un primo momento,
può risultare piuttosto scomodo dover programmare nella domenica anche la
Messa. Ma se vi ponete impegno, constaterete poi che è proprio questo che
dà il giusto centro al tempo libero. Non lasciatevi dissuadere dal
partecipare all’Eucaristia domenicale ed aiutate anche gli altri a
scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la gioia di cui abbiamo
bisogno, dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più nelle sue
profondità, dobbiamo imparare ad amarla. Impegniamoci in questo senso –
ne vale la pena! Scopriamo l’intima ricchezza della liturgia della
Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far festa per noi, ma è
invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con l’amore
per l’Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione,
nel quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio
alla nostra vita.
Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia
non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo
esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada
ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un
sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien
fatto di esclamare: Non è possibile che questa sia la vita! Davvero no. E
così insieme con la dimenticanza di Dio esiste come un boom del
religioso. Non voglio screditare tutto ciò che c’è in questo contesto.
Può esserci anche la gioia sincera della scoperta. Ma, per dire il vero,
non di rado la religione diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie
quello che piace, e certuni sanno anche trarne un profitto. Ma la
religione cercata alla maniera del “fai da te” alla fin fine non ci
aiuta. È comoda, ma nell’ora della crisi ci abbandona a noi stessi.
Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù
Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo
convincente guidare anche gli altri verso di Lui. Per questo è così
importante l’amore per la Sacra Scrittura e, di conseguenza, importante
conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude il senso della Scrittura.
È lo Spirito Santo che guida la Chiesa nella sua fede crescente e l’ha
fatta e la fa penetrare sempre di più nelle profondità della verità (cfr
Gv 16,13). Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un’opera
meravigliosa, nella quale la fede dei secoli è spiegata in modo
sintetico: il Catechismo
della Chiesa Cattolica. Io stesso recentemente ho potuto
presentare il Compendio di tale Catechismo, che è stato elaborato
a richiesta del defunto Papa. Sono due libri fondamentali che vorrei
raccomandare a tutti voi.
Ovviamente, i libri da soli non bastano. Formate delle comunità sulla
base della fede! Negli ultimi decenni sono nati movimenti e comunità in
cui la forza del Vangelo si fa sentire con vivacità. Cercate la comunione
nella fede come compagni di cammino che insieme continuano a seguire la
strada del grande pellegrinaggio che i Magi dell’Oriente ci hanno
indicato per primi. La spontaneità delle nuove comunità è importante,
ma è pure importante conservare la comunione col Papa e con i Vescovi.
Sono essi a garantire che non si sta cercando dei sentieri privati, ma
invece si sta vivendo in quella grande famiglia di Dio che il Signore ha
fondato con i dodici Apostoli.
Ancora una volta devo ritornare all’Eucaristia. “Poiché c’è un
solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” dice san Paolo (1
Cor 10,17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo il medesimo
Signore ed Egli ci accoglie e ci attira dentro di sé, siamo una cosa sola
anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita. Deve mostrarsi
nella capacità del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità per le
necessità dell’altro. Deve manifestarsi nella disponibilità a
condividere. Deve manifestarsi nell’impegno per il prossimo, per quello
vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda sempre
da vicino. Esistono oggi forme di volontariato, modelli di servizio
vicendevole, di cui proprio la nostra società ha urgentemente bisogno.
Non dobbiamo, ad esempio, abbandonare gli anziani alla loro solitudine,
non dobbiamo passare oltre di fronte ai sofferenti. Se pensiamo e viviamo
in virtù della comunione con Cristo, allora ci si aprono gli occhi.
Allora non ci adatteremo più a vivacchiare preoccupati solo di noi
stessi, ma vedremo dove e come siamo necessari. Vivendo ed agendo così ci
accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a
disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci
vengono offerte. Io so che voi come giovani aspirate alle cose grandi, che
volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo agli uomini,
dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai
discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore,
potrà scoprire la stella che noi seguiamo.
Andiamo avanti con Cristo e viviamo la nostra vita da veri adoratori di
Dio! Amen.