Il risultato del referendum degli svizzeri ha suscitato un’ondata di inchieste e
domande su internet e sulla stampa, con reazioni talvolta molto violente,
talvolta più favorevoli.
In genere i politici hanno reagito in modo negativo, criticando questo voto.
Invece la gente in Europa è stata molto favorevole all’esito.
Alcuni siti e giornali europei hanno votato così:
I sondaggi in Europa
In Francia, il giornale Le Monde ha fatto un’inchiesta: “Organizzare un
referendum come quello della Svizzera è un segno di democrazia o di
irresponsabilità? Il 61,5% ha detto che è democrazia; 33,2% ha detto che è
irresponsabilità; il 5,3% senza opinione.
L’Express ha fatto un’altra domanda: Se si facesse lo stesso referendum
in Francia che cosa rispondeste? L’86% risponde sì, è contro i minareti; 11% no;
2% non risponde
Le Figaro, che è di destra: 77% sì al divieto; 23% no.
BFM, una tivu, ha avuto questi risultati: 75% di sì; 25% di no.
Radio Montecarlo 83% sì; 17% no;
Euronews, piuttosto di sinistra, 70% sì; 29% no; 1% non sa.
Le Soir in Belgio 63,2% si; 34% no; 2,8 senza parere.
In Spagna “Venti minutos” dà 94% di sì; 6% di no. El Mundo 79% sì; 21% no
(con 25 mila intervenuti)
In Germania, Die Welt online: 87% sì; 12% no; 2% non so.
In Austria, Die Presse : 54% sì; 46% no. È la più bassa di tutte le
inchieste.
In Italia ho visto solo “Leggo” che dà 84,4% sì; 13,6 no; 2% non so.
Nando Pagnoncelli, direttore dell’IPSOS, afferma però che “in generale il tema
dell'Islam e dell'immigrazione suscita preoccupazione e in alcuni casi anche
allarme sociale, in quanto c'è una percezione di fanatismo”. Se ci fosse un
referendum simile a quello svizzero, le voci favorevoli sarebbero largamente
vincenti.
In Olanda Elzevier ha dato 86% sì; 16% no.
Questo dà un’immagine – forse non perfetta ma interessante: in tutta l’Europa
c’è una reazione di paura di fronte a un pericolo che proviene dall’islam. E c’è
anche un atto di coraggio per osare dire “basta” malgrado la propaganda dei
politici e le minacce di ritaglio che lasciavano intravedere. Nel suo commento
al voto, il Dr. Issam Mujahid, portavoce della comunità musulmana di Brescia,
dice: “È un voto di paura”, ma aggiungeva “e tutti noi siamo responsabili”.
Alcune riflessioni su questi dati
Questo referendum può diventare un’occasione positiva per riflettere insieme.
“Perché ora, dice Issam Mujahid, c’è la necessità e la possibilità di assumerci
le nostre responsabilità per lavorare a favore del dialogo tra le civiltà e
bocciare la tesi dello scontro”.
- La gente in Europa non rigetta il minareto per difendere la cristianità.
Non è un problema religioso: è un problema culturale e di visibilità.
- La gente sente che se dice sì al minareto, domani si diffonderà anche
l’appello alla preghiera, poi i microfoni; poi ci saranno le richieste per
avere la carne halal negli ospedali o nelle mense scolastiche, poi
verranno le interruzioni al lavoro per fare le cinque preghiere prescritte
(come hanno cercato di fare con me all’università di Birmingham nel 1991
quando ci insegnavo) … Ogni tanto i musulmani fanno qua e là nuove
richieste, che crescono sempre di più in luoghi e Paesi, portando nuove
richieste. E una volta ottenuta una licenza non si ritorna mai indietro. Non
si è mai visto che i gruppi musulmani si siano fermati a un certo punto. E
questo fa riflettere gli europei.
- Se guardiamo la situazione degli immigrati, solo un po’ più di un terzo
provengono da regioni musulmane. Due terzi da altre zone (Asia, Europa
orientale; Africa, America latina). Eppure quel terzo fa sempre parlare di
sé, perché fa di continuo richieste di tipo religioso-culturale: I
vietnamiti, i cinesi, gli indiani, gli africani non islamici, i latinos
non hanno queste rivendicazioni culturali e di visibilità.
Qual è dunque il problema?
- L’Europa sta scoprendo, con la presenza di altre culture che anche se
stessa ha una propria cultura. La reazione italiana contro la decisione di
Strasburgo di abolire il crocifisso nei luoghi pubblici, sottolinea la
difesa di un elemento della cultura (oltre che della religione di molti).
Questa riscoperta della cultura è essenziale per il dialogo.
I musulmani arrivano con un sentimento forte di identità culturale religiosa
perché nel mondo islamico questi due campi non sono divisi. Gli europei invece,
che sono però la maggioranza, faticano a dire qual è la loro identità. Ora, non
c’è vero dialogo se un partner ha un identità forte e l’altro debole, e neppure
se i due partner sono deboli. Il dialogo è più duro quando ambedue hanno una
forte identità, ma è più ricco e valido!- D’altra parte, come dice Issam Mujahid, “in Europa manca la cultura della
società civile musulmana organizzata. In Europa, l’islam è rappresentato solo
dalle moschee. E questo è sbagliato”. I musulmani integrati in Europa non
aiutano la comunità islamica immigrata in tempi più recenti ad integrare i
valori della cultura europea. Da parte loro, gli imam spesso non sono in grado
di trasmettere questi valori, perché loro stessi non li hanno percepiti.
- Il senso del voto svizzero potrebbe essere riassunto cosi’: “Noi non vogliamo
più proteggere la diversità culturale e garantire la libertà religiosa
sottomettendoci all’intolleranza degli islamisti ... che a loro volta non
tollerano la diversità culturale e la libertà religiosa”.
Stabilire un vero dialogo inter-culturale
Da parte dei musulmani questa è un’occasione per dire cosa è davvero importante
nella loro fede e nella loro cultura e cosa manca qui in Europa. Sicuramente, il
musulmano non può riproporre tutto quello che aveva in patria, perché vive in
un’altra nazione che ha le sue leggi, norme, usanze, ecc. Facendo così, si vedrà
se è possibile stabilire qualche direttiva a livello nazionale, o privato o da
soli.
Da parte europea è tempo di domandarsi cosa ci definisce e ci costituisce
davvero.
L’Islam deve rinnovarsi, cercando di distinguere fra l’essenziale e
l’occasionale; e l’occidente deve anch’esso approfondire e vedere cosa è
essenziale nella propria identità.
Prendiamo ad esempio il velo
È un precetto, ma non vuol dire che sia essenziale. Molti grandi autori
musulmani hanno scritto su questo. Gamal al-Banna, il fratello minore di Hassan
al-Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani, ha scritto un libro e diversi
articoli per dire che il velo non è un obbligo. É un consiglio dato anzitutto
alle mogli di Maometto; poi non si capisce se è detto per tutte le donne. In
ogni modo, non si capisce se questo è detto solo per una determinata situazione
o per sempre.
Lo sforzo dell’esegesi e dell’ermeneutica sta proprio nel discernere se qualcosa
è fondamentale o se è qualcosa di particolare, valida solo per quella volta.
Molti musulmani cercano di fare questa esegesi, ma i problemi sono tanti: non vi
è una dottrina costituita; manca un magistero, un’autorità che decida e dirima
le questioni controverse…
Per questo nel mondo islamico, fino a 50 anni fa, il velo era quasi scomparso da
Paesi come l’Egitto, la Siria, il Libano, ecc. e nessun imam ha mai gridato allo
scandalo. Da 30 anni è ricominciato a venir fuori ancora ed oggi è divenuto
quasi un obbligo.
I musulmani, nel corso della storia fanno questa distinzione tra ciò che è
fondamentale, e ciò che è secondario. Anche sulla preghiera: pochi musulmani
fanno davvero, 5 volte al giorno, le preghiere. Sempre di più vediamo che la
comunità musulmana rigetta la religione imposta e rispetta chi, credente, non
vuol praticare. La libertà religiosa è il fondamento di tutte le libertà, e se i
musulmani la richiamano per loro, a giusto titolo, in Europa, è ovvio che devono
lottare per darla ai non musulmani nei paesi musulmani.
© Copyright AsiaNews 4 agosto 2009
Il commento del cardinale Tauran sulla questione dei minareti in
Svizzera
Continua a far discutere il ‘no’ degli svizzeri, nel referendum di
domenica scorsa, alla costruzione di nuovi minareti nella Confederazione
elvetica. Al termine della loro assemblea ordinaria, i vescovi della Svizzera
hanno pubblicato un comunicato in cui riaffermano che questa decisione
rappresenta un ostacolo sulla via dell’integrazione. “Il divieto dei minareti –
rilevano - è il segno di una crisi dell’identità cristiana nella nostra
società”: inoltre questo divieto “non risolve alcun problema di convivenza con
l'Islam”. Anzi: “il divieto dei minareti non faciliterà la situazione dei
cristiani nei Paesi musulmani, ma l’aggraverà”. I vescovi svizzeri sottolineano
poi il fatto che “il ‘no’ ai minareti significa anche il ‘no’ alla visibilità
pubblica delle religioni e colpisce tutte le comunità religiose. La recente
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo contro il Crocifisso nelle
aule delle scuole pubbliche in Italia – concludono - è un altro esempio di
pressione esercitata contro la visibilità della religione”. Sulla questione
esprime un parere il card Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso:
“La questione dei minareti pone,
secondo me, prima di tutto il problema della libertà di religione, e la
libertà di religione suppone la libertà di culto e quindi la libertà di
praticare la propria fede in privato e in pubblico e quindi di avere anche i
propri luoghi di culto. Ma, ovviamente, quando si costruisce una chiesa in
un Paese a maggioranza islamica o una moschea in un Paese a maggioranza
cristiana, la preoccupazione di chi costruisce l’edificio di culto deve
essere di armonizzare la costruzione nel paesaggio urbanistico e nel
contesto culturale della società. Ma al di là di questi aspetti, penso che
il problema pone, in realtà, la questione dello statuto giuridico dell’islam
in Europa, oggi: quindi, va molto al di là dei fatti di cui parliamo”.
© Copyright Radio Vaticana
Nota:
Commento criptico, chiaro solo in apparenza, ma che si guarda bene
dall'affrontare in maniera chiara, comprensibile, non equivoca l'atteggiamento
"sconcertante" della Chiesa, di resa incondizionata all'Islam. E
aggiungiamo:
"Perché, se si oltraggia l’Islam tutti si indignano, si accettano come
fondate le critiche di islamofobia e ci autocolpevolizziamo di razzismo
confessionale, mentre se si oltraggia il Cristianesimo lo si ascrive alla
libertà d’espressione? Perché proprio coloro che sono in prima linea contro il
Cristianesimo, la Chiesa e il Papa, li ritroviamo in prima linea a favore
dell’Islam, delle moschee, delle scuole coraniche e persino dell’introduzione
della sharia nel nostro stato di diritto?
La risposta è perché siamo succubi dell’islamicamente corretto, ovvero di un
approccio ideologico che ci impone di non dire e di non fare nulla che possa
urtare la suscettibilità degli islamici, a prescindere da qualsiasi altra
considerazione razionale e sensata che corrisponda al bene comune e
all’interesse generale."Magdi Cristiano Allam