LA CRONACA, cioè il racconto e la testimonianza
dei fatti accaduti, riguarda tutti. Così pure la valutazione dei fatti nel
loro rapporto e nei loro effetti sul resto del mondo. Ecco perché l'elezione
di un Papa interessa in varia misura non solo la Chiesa cattolica e i suoi
fedeli, ma anche i credenti in altre religioni e i non credenti. Ma a me
sembra un vacuo e anche arrogante esercizio quello di alcuni laici non
credenti che pretendono di giudicare la Chiesa per ciò che fa o non fa nel
campo che è esclusivamente suo e discute con i suoi rappresentanti se
l'afflato della grazia e la testimonianza della fede abbiano irrorato a
sufficienza le anime cristiane oppure siano arrivate su di esse con imperfetta
avarizia. E se, nel caso specifico, Benedetto XVI sia un Papa più o meno
adatto a guidare la barca di San Pietro tra le onde agitate e a volte
tempestose della modernità. Che cosa ne sappiamo, noi laici non credenti,
della grazia? Nelle sue prime parole pronunciate dal balcone del palazzo
vaticano subito dopo la proclamazione dinanzi al popolo di Roma e dell'orbe
cattolica, Papa Ratzinger ha detto che "il Signore saprà adoperare con
vantaggio della Chiesa e della fede anche uno strumento così umile e
imperfetto come me".
È un atto d'umiltà che corrisponde a una sua profonda convinzione di fede.
Su questo vaticinio noi, laici non credenti, non abbiamo nulla da dire.
Noi possiamo soltanto cercar di comprendere quali siano i fondamenti del
pensiero di Ratzinger sulla base dei suoi atti e dei suoi innumerevoli scritti
durante i ventiquattro anni da lui passati come Prefetto della congregazione
per la dottrina della fede.
A differenza di Giovanni Paolo
II, del quale nel momento della sua elezione quasi nulla si conosceva, di Papa
Ratzinger si conosce infatti molto di più. Ha scritto e operato sotto gli
occhi di tutti, ha rivestito una carica della massima importanza, ha
intimamente collaborato con il suo predecessore.
Direi che i fondamenti del suo pensiero sono principalmente affidati a due
testi: il primo è la dichiarazione "Dominus Jesus" da lui diffusa
il 6 agosto del 2000, nel giorno della Trasfigurazione del Signore; il secondo
è l'omelia pronunciata nel momento stesso dell'inizio del
Conclave, dopo la
quale si sono chiuse le porte della Sistina e i Cardinali hanno cominciato il
loro lavoro de eligendo pontifice.
Da quei due documenti emerge una personalità univoca, un pensiero netto,
un'argomentazione che non lascia interstizi né dubbi né incertezze. Tedesco,
da questo punto di vista. I fondamenti sono la Tradizione e il Magistero della
Chiesa ("Dominus Jesus", pag. 2). Chi non si attiene alla Tradizione
e al Magistero è fuori dalla Chiesa. E poiché la Chiesa altro non è che il
Corpo di Cristo e Cristo è l'unico Signore del cielo e della terra e l'unico
tramite attraverso il quale il Padre si rivela al mondo e lo Spirito Santo può
abitare il Secolo, chi è fuori dalla Chiesa è fuori dalla cattolicità. Si
leggano le tredici pagine della "Dominus Jesus". Non c'è frase né
riga in cui questa consecuzione serratissima non sia ribadita: Dio, il Figlio
Unigenito e consustanziale al Padre, la Chiesa da lui fondata, i Vescovi
successori degli Apostoli ai quali Gesù affidò il potere di "sciogliere
e legare", il Papa successore di san Pietro che in sé riassume il
Magistero e la Primazia.
Le altre chiese cristiane che hanno mantenuto gli episcopati e quindi la
funzione del magistero, non sono così perfette come quella di Roma, ma pur
nella loro imperfezione sono in grado di avviare i fedeli sulla via della
salvezza.
Diversa è la posizione delle comunità protestanti nelle quali l'episcopato
non c'è e il prete è stato sostituito dal pastore; esse non sono neppure
considerate chiese nel pensiero di Ratzinger e la loro
"imperfezione" è molto più elevata. Non fosse che per il fatto che
è venuta meno la funzione del sacerdote come tramite esclusivo tra i fedeli e
la rivelazione, insieme con il potere di "sciogliere e legare".
Quanto alle altre religioni monoteiste (ebraismo, Islam) c'è una parte di
buono in esse: la fede in Dio, la rivelazione, una morale che ne discende. Ma
manca il mistero essenziale del Figlio incarnato, manca la Chiesa come tramite
unico e gerarchizzato, mancano i sacramenti e segnatamente il battesimo e l'eucarestia.
Anche se il Dio d'Israele, il Dio di Abramo, il Dio dei profeti, è il
medesimo della tradizione biblica ma profondamente trasformato nell'essenza
del messaggio evangelico.
Infine i non credenti. Qui, dove si addensa la modernità, si concentra il
male del mondo: libertinismo, sincretismo, scetticismo, marxismo, relativismo.
Quest'ultimo soprattutto, che dilaga in tutto l'Occidente e in Europa in
particolare, ridiventata terra di missione.
Il relativismo, come lo definisce Ratzinger nell'omelia pre Conclave,
consiste nel "lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento" e sta
instaurando "una dittatura che non riconosce nulla come definitivo
lasciando come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Ad esso deve
contrapporsi una fede adulta, radicata nell'amicizia con Cristo, la quale ci
dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. In
Cristo coincidono verità e carità. Voi siete amici se fate ciò che io vi
comando (Giovanni, 14, 15)".
Chi mette in dubbio questa rivelazione alimenta e attinge al deposito del
Male: ecco il nocciolo dell'omelia sulla base della quale il cardinal
Ratzinger ha raccolto la maggioranza del Sacro Collegio ed è diventato
Benedetto XVI.
Il nome assunto può aver voluto riallacciarsi alla memoria di Benedetto XV,
il Papa che definì la guerra un'inutile strage; ma probabilmente anche e di
più a San Benedetto che fondò l'Ordine e avviò il grande movimento del
monachesimo destinato all'evangelizzazione dell'Europa.
Va aggiunto - e non è questione di poco conto - che Papa Ratzinger ha escluso
la compatibilità della Chiesa con i cosiddetti "atei devoti" o
teo-con, quelli cioè che vorrebbero usare la Chiesa come strumento politico
senza aderire ai valori della fede. Il suo modello non è una Chiesa
necessariamente di massa che, come si è detto per molti dei seguaci di
Wojtyla, ha amato il cantante ma non la canzone. Il modello di Benedetto XVI
sembra piuttosto essere una Chiesa missionaria, animata da un'incrollabile
fede e destinata a riprendere l'evangelizzazione dell'Europa, dell'Occidente
scristianizzato e del mondo. Un ritorno forte al patrimonio identitario della
cattolicità apostolico-romana che mantenga il dialogo ma da fermissime
posizioni di forza.
Non spetta ai laici - lo ripeto - valutare se un Papa eletto su queste
posizioni sia ciò di cui la Chiesa aveva bisogno oppure se non sarebbe stato
più saggio affrontare il confronto con il mondo partendo piuttosto dal
messaggio di Giovanni XXIII e dalla posizione del cardinal Martini in questo
Conclave. La Chiesa ha scelto l'anima combattente.
Ne avrà valutato le indicazioni e le controindicazioni.
Due aspetti del pensiero di Ratzinger mi hanno profondamente colpito. Li
ricavo dall'intervista che rilasciò a Marco Politi, pubblicata su Repubblica
del 19 gennaio 2004.
Il primo aspetto riguarda il rapporto tra il diritto e la morale. Da un uomo
di Chiesa e di elevata spiritualità mi sarei aspettato la tesi che la morale
crea il diritto.
Invece no, è vero il contrario. "Il diritto crea la morale o una forma
di morale, perché la gente normale comunemente ritiene che quanto afferma il
diritto sia anche moralmente lecito".
Quest'affermazione è molto importante. È anche molto grave. "La gente
normale", nel pensiero del nuovo Papa, è dunque talmente debole,
sprovveduta, irresponsabile, che costruisce la propria morale sulla base d'una
legge e dunque di quanto statuisce il potere politico.
La tesi è ancor meglio spiegata da un altro passaggio di quell'intervista:
"L'uomo d'oggi è manipolabile dal mercato, dai media, dalle mode. Il
problema è che oggi la religione e la morale sembrano appartenere solo alla
sfera del soggetto. Di conseguenza la religione perde peso nella formazione
della coscienza comune".
Che cosa si ricava da un pensiero così pessimistico nella natura umana, che
fa dipendere l'etica dal diritto e dalla manipolazione dei media? Si ricava
che la Chiesa, per opporsi a questa deriva, deve utilizzare a sostegno della
fede e della sua morale il diritto e gli strumenti che servono a manipolare le
coscienze e a guadagnarne l'adesione.
È stupefacente che sia questa la convinzione del nuovo capo della Chiesa.
Qui però non è più questione interna alla Chiesa, ma chiama in causa
credenti e non credenti nella stessa misura.
Osservo a tale proposito che gran parte del precedente pontificato ha usato a
piene mani il mondo mediatico; in questi ultimi mesi poi lo strumento
mediatico si è messo al servizio della Chiesa senza eccezioni di sorta e
senza usare il minimo distacco. Abbiamo più volte ascoltato conduttori
televisivi e cronisti asserire che lo Spirito Santo stava guidando le scelte
del Sacro Collegio come se si trattasse d'una oggettiva notizia. Ecco perché
la Chiesa reclama uno "spazio pubblico" per le sue esternazioni. Non
soltanto la diffusione - che nessuno ha mai ostacolato, al contrario - della
sua dottrina e della sua morale, ma la garanzia che ciò avvenga in uno spazio
pubblico, nella scuola pubblica, nelle leggi dello Stato, nella gestione
dettagliata delle consultazioni referendarie quando esse vertano su
controverse questioni di bioetica.
Che altro significa affermare che il diritto crea la morale e non viceversa,
se non prefiggersi l'obiettivo di controllare la formazione delle norme e
degli strumenti che le trasformano in manipolazione delle coscienze? Che altro
significa diffondere l'idea che il relativismo altro non sia che abbandonare
la coscienza individuale al vento delle mode? Papa Wojtyla sarà pure stato un
prete contadino con un concetto arcaico della religione, ma lo riscattava agli
occhi dei non credenti l'autenticità e la spontaneità delle sue movenze, così
poco teologiche e così radicate invece nel vissuto della sua esperienza. Dopo
di lui, si è detto, ci voleva un Papa dottrinario, teologico, capace di
confrontarsi con la miscredenza moderna. Non credo che per portare avanti un
simile confronto giovi usare consapevolmente le tecniche della manipolazione.
Usare cioè gli strumenti della modernità contro la modernità.
Per quanti rivendicano l'autonomia responsabile della coscienza individuale
questa potrà essere una bella sfida.
Potrebbe averla suscitata lo spirito santo dei laici. Ma questo sì, sarebbe
presumer troppo.