Intervista al Settimanale Cattolico di Genova sulla Moschea di Cornigliano 8 giugno 2004. Il pensiero del Cardinal Bertone.

Quattro parroci hanno pubblicamente espresso la loro opinione sull'opportunità della costruzione di una moschea a Genova Cornigliano. Che cosa ne pensa il loro Arcivescovo?

"La lettera dei quattro parroci di Cornigliano, che rappresentano le comunità localizzate sul territorio, è - a mio parere - un intervento stimolante, in grado di suscitare un dibattito opportuno, perché non si può trascurare, in queste decisioni, l'opinione pubblica, della comunità civile ed ecclesiale, anche se ripeto l'osservazione fatta subito dopo la pubblicazione della lettera: avrei preferito un dialogo previo con i sacerdoti interessati, pur avendo pieno rispetto delle loro opinioni e della loro iniziativa. Ho preso atto anche delle dichiarazioni degli esponenti della comunità islamica con cui intendo mantenere aperto il dialogo. Quindi io spero che continueremo la riflessione e non credo che sia necessario prendere decisioni affrettate o urgenti, perché dobbiamo considerare tutti gli aspetti della questione. Ribadisco che non si tratta solo di una questione tecnico-urbanistica, ma di una questione politica, sociale e religiosa".

Che cosa intende quindi dire il Pastore alla propria comunità cristiana?

"Dal punto di vista intraecclesiale, parlando alla comunità dei credenti della Chiesa Cattolica che è in Genova chiedo, anzitutto, di approfondire e di affermare la propria identità cristiana, pur nell'attenzione verso tutte le espressioni religiose presenti sul nostro territorio e, in generale, nel doveroso dialogo con le altre religioni. Giova ricordare qui il documento guida del Concilio Vaticano II "Nostra Aetate", sul dialogo con le altre religioni: va ristudiato. E' essenziale che i cristiani confermino anzitutto la loro fede profonda e la loro appartenenza alla Chiesa una, santa cattolica ed apostolica. Raccomanderei a questo scopo una ripresa e una rivisitazione della Dichiarazione "Dominus Jesus" che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto pubblicare nell'Anno Santo. Il confronto con le altre religioni è un postulato imprescindibile sia per la concezione stessa del fatto religioso e quindi come esigenza di conoscenza, di rispetto, di dialogo con i credenti delle altre religioni, e sia per l'esperienza concreta e quotidiana della convivenza in una società diventata ormai multietnica, multiculturale e multireligiosa. Ma occorre essere culturalmente e teologicamente preparati. In realtà non ci può essere vero dialogo senza una consapevole conoscenza e stima della propria identità, e parimenti senza un'approfondita conoscenza degli interlocutori e della loro fede. Ai tempi dei miei studi in Germania ho avuto alcuni compagni islamici con i quali era possibile un dialogo interculturale relativamente facile e proficuo. Credo, pertanto, che sia necessario coltivare un dialogo soprattutto con le èlite islamiche che siano aperte al confronto e al rinnovamento. Constato oggi, purtroppo, l'influenza predominante di chi non coltiva il dialogo: è questo un vero problema, perché senza la relazionalità costruttiva si rischia di fomentare lo scontro. Si veda a questo proposito il servizio apparso su "L'Espresso" del 3 giugno scorso, che riporta la testimonianza di un Vescovo cattolico (ben conosciuto a Genova, dove è stato varie volte) su un "Islam fatto di crocifissioni, di schiavitù, di conversioni forzate, di inganni" (si riferisce esattamente al Sudan). Nonostante questa realtà, che va denunciata e corretta, è necessario accettare la società multietnica e multiculturale per poter costruire una convivenza pacifica. Ricordo però alle comunità credenti e ai singoli battezzati che il dialogo non deve mai essere disgiunto dall'annuncio e dalla testimonianza. Questo aspetto lo ricorda molto bene il documento "Dialogo e Annuncio", pubblicato nel maggio del 1991, dai due organismi vaticani che ci aiutano a riflettere su questa problematica, la Congregazione per l'Evangelizzazione di Popoli ed il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Raccomando di seguire anche, per una robusta formazione al dialogo, le indicazioni del citato Pontificio Consiglio. In questo campo non dobbiamo essere degli improvvisatori ma dobbiamo prepararci adeguatamente: le esperienze di altri gruppi e Chiese locali possono aiutarci in proposito".

Esiste un diritto delle comunità religiose ad avere propri luoghi di culto?

"Come ho già affermato in occasione dell'incontro con i rappresentanti delle Comunità islamiche della Liguria, avvenuto nella Sala dei Chierici della Biblioteca Berio di Genova il 18 aprile di quest'anno, è diritto di ogni comunità religiosa avere il suo proprio luogo di culto e questo vale per i musulmani in Italia, dove i Cristiani sono la maggioranza, ma deve valere altrettanto, e in maniera paritaria, per i cristiani nei Paesi musulmani ed arabi, dove i musulmani sono la maggioranza. Il diritto di libertà religiosa e la conseguente pratica del proprio culto è un diritto umano fondamentale e pertanto indivisibile. Ho sottolineato l'esigenza della reciprocità e vorrei che su questo punto, pur tenendo conto dei contesti socio religiosi e politici di ogni Paese, fossimo tutti lealmente d'accordo ed obiettivi nella analisi delle diverse situazioni. Non è difficile, peraltro, radiografare il livello di possibilità reale e di libertà religiosa nei distinti Paesi musulmani. Si veda il dettagliato "Rapporto 2003 sulla libertà religiosa nel mondo", curato dall'Opera "Aiuto alla Chiesa che soffre". Il principio di reciprocità non riguarda solo i politici o i diplomatici, ma riguarda tutti. In questo tempo di globalizzazione, quando serve alla propria ideologia si citano volentieri le esperienze di altri paesi (soprattutto europei), per colpire ad esempio la cosiddetta arretratezza dei principi morali della Chiesa, che al contrario intende solo salvaguardare postulati fondamentali a tutela della vita umana e della concezione naturale di matrimonio e famiglia. Nel nostro caso tutti possiamo fare opinione pubblica e spingere i paesi musulmani, intolleranti nella prassi di libertà religiosa, ad evolversi verso un diritto paritario. A quanto detto, dobbiamo aggiungere ulteriori questioni. Anzitutto, un luogo di culto religioso è principalmente finalizzato all'espressione ed alla celebrazione del culto ed alle connesse iniziative di formazione religiosa. Non è da sottovalutare, inoltre, il problema della opportunità della localizzazione della moschea in un determinato territorio e quartiere già ferito e provato in questi anni da diversi eventi. In ogni caso è bene che il dibattito ed il confronto proseguano in tutti i luoghi ed in tutte le sedi per assumere decisioni motivate e non affrettate".

Come valuta le proteste della popolazione locale?

"Occorre rispetto e comprensione. L'educazione alla convivenza religiosa è doverosa, ma va portata a compimento con la necessaria pazienza. Bisogna comprendere le preoccupazioni degli abitanti del quartiere, in particolare di quelli immediatamente vicini alla costruenda moschea: perché hanno diritto di veder salvaguardato un ambiente che è quello in cui sono nati, in cui abitano, che hanno costruito con fatica e che cercano di far crescere secondo le loro speranze e i loro progetti. Si tenga conto che la moschea in quel particolare contesto entrerebbe pesantemente a mutare una realtà che a tutt'oggi non è caratterizzata da abitanti di religione musulmana e che, per la grandissima parte, arriverebbero dunque a tale punto d'incontro da fuori quartiere, con non poche ansie per i locali. Nella nostra società i luoghi di culto sono sempre stati costruiti perché in quel determinato territorio erano sentiti necessari dalla popolazione locale o almeno da gran parte di essa. Questa moschea è prevedibile sia costruita per un'utenza che praticamente non è di quel territorio. È quindi opportuno che si tenga conto del pensiero della gente del posto, che un giorno potrebbe essere costretta, su molti versanti, a sopportare un supplemento di fatica a nome di un'intera città. Se è sacrosanto il diritto dei musulmani ad un loro luogo di culto, sarebbe pertanto auspicabile che questo fosse costruito in un ambito meno caratterizzato socialmente, tale da non suscitare la reazione della popolazione locale, in uno spazio più ampio, più aperto, più "neutrale", urbanisticamente dignitoso ma meno invasivo della vita di quel 99 ed oltre per cento di persone che non sono musulmane, come accadrebbe in quella via di Cornigliano".

Non è questo un impegno da indicare anche, e in particolare, a chi ha responsabilità della cosa pubblica? Che dire infatti della posizione dei politici su questa vicenda?

"Che dovrebbero sentirsi molto impegnati nella risposta all'interrogativo di cui sopra. Governare una comunità significa giustamente rispettare le leggi che essa si è data, e tra queste le urbanistiche. Ma significa anche operare con totale generosità per la soluzione pratica dei problemi, saper prevedere i conflitti e disinnescarli in anticipo, prima che sia tardi, ricercando con generosità la soluzione a quelle nuove esigenze che si affacciano oggi alla nostra convivenza civile caratterizzata sempre più dalla globalizzazione del fenomeno emigrazione. Sulla questione della moschea di Cornigliano abbiamo assistito infine a strumentalizzazioni di parte, che sono fuori luogo. Confido però nei politici, negli amministratori e negli esponenti religiosi che hanno senso di responsabilità e di concretezza, i quali non mancheranno di dare il loro contributo alla soluzione della questione, con tutte le varie implicanze".

+ Tarcisio Bertone, SDB
Arcivescovo di Genova
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[Fonte: Portale di cattolici: http://www.totustuus.net/]

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