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A proposito della preghiera islamica in Piazza Duomo

[Intervista a Fouad Allam sul Corriere]
 

Tante polemiche sta suscitando la preghiera che sabato 4 gennaio un gruppo di islamici ha svolto in piazza Duomo a Milano, al termine di una manifestazione sulla guerra a Gaza.

Le cronache parlano di un corteo che doveva interrompersi in piazza san Babila, ma che - violando le indicazioni delle forze dell'ordine - ha invece raggiunto piazza Duomo, dove insieme ad altre manifestazioni (deplorevole il gesto di bruciare le bandiere) - essendo giunto l'orario prescritto - si è tenuta la preghiera.

La preghiera è un bisogno e diritto fondamentale, inalienabile per l'uomo: ogni uomo, appartenente a qualsiasi religione, dovunque, anche a Milano. La preghiera aiuta l'uomo a considerare gli altri uomini come fratelli. Per questo la preghiera - per essere autentica - non può mai essere usata "contro" qualcuno e deve essere praticata - se pubblica - nei luoghi, nei tempi e nelle modalità opportune.

Nella manifestazione di sabato scorso alla preghiera si sono uniti elementi estranei alla religione e alla spiritualità.

Molti hanno interpretato questa preghiera come un affronto alla fede cattolica nel suo luogo più simbolico ed alto in città: la piazza del Duomo.

Per questo l'arch. Asfa Mahmoud, Presidente della Casa della cultura islamica di viale Padova è disponibile anche a coinvolgere il dott. Abdel Hamid Shaari del Centro Islamico di viale Jenner - ha chiesto all'Arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi un incontro per chiarire quanto è successo sabato scorso e portare le scuse.

Afferma con chiarezza il Concilio Vaticano II nella dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae: "Si fa ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli uomini, se si nega all'uomo il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato il giusto ordine pubblico"



Fouad Allam: quella piazza preoccupa, c'è il rischio di scontro
 

Piazza Duomo a Milano: migliaia di musulmani inginocchiati verso la Mecca, gli striscioni con la Stella di David equiparata alla svastica nazista, roghi di bandiere. Le comunità islamiche in Italia alzano la voce. C’è da preoccuparsi?
«Un rischio esiste — risponde Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste e di islamistica all’Università di Urbino —. Perché l’Italia, ma anche l’Europa nel suo complesso, si trova oggi lungo quella che io chiamo la "linea di frattura". L’eco della guerra in Medio Oriente si amplifica e diffonde nelle comunità arabo-musulmane, man mano che aumenta il loro peso specifico nella società. Il pericolo? È facile scivolare in tematiche che non hanno nulla a che vedere con il conflitto. Il rischio, che vale per tutta l’Europa, si chiama scontro di civiltà».

Cosa intende per «linea di frattura »?
«L’Europa, per vocazione, cerca la pace. L’Unione mediterranea nasce per questo. Ma, nei momenti di crisi, per esempio l’invasione di Gaza, il Vecchio continente si trova su questa linea di frattura che vanifica tutti gli sforzi precedenti ».

Perché le preghiere collettive nelle piazze italiane?
«Perché la religione ha preso il sopravvento anche nel conflitto israelo-palestinese che, venti anni fa, esprimeva invece istanze nazionalistiche. Ecco dunque il prevalere di Hamas che rifiuta di accettare l’esistenza di Israele e alimenta un nuovo antisemitismo che punta a fare dello Stato ebraico un paria tra le nazioni. Le comunità islamiche a Milano come a Parigi sono facilmente influenzabili dagli imperativi della fede. Nell’immaginario collettivo dell’immigrato c’è, se non lo scontro di civiltà, l’impossibilità di comunicazione tra Islam e Occidente». Cosa fare per arginare questa deriva? «La politica, in questo momento, credo possa fare poco. Ci vuole un nuovo "patto educativo". Perché solo l’istruzione, la conoscenza, la memoria condivisa possono formare, per il futuro, cittadini di una società eterogenea, preservandola dalla barbarie».
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[Fonte: Corriere della Sera 5 gennaio 2009]

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