GLOSSE
di Enrico Maria Radaelli
(linkabili anche una per una dai numeri inseriti tra parentesi tonde)
Definizioni pag. 456
Il teologo coglie il senso primario della formula eucaristica: questo
è il Corpo di Cristo, ma circa il modo dell'essere questo il Corpo di
Cristo viene meno la certezza (vedi § 266). Così S. Tommaso insegna che il
Corpo di Cristo è nel sacramento per transustanziazione e permanenza degli
accidenti anteriori, Giovanni Pico della Mirandola per una sorta di unione
ipostatica, lo Scoto per moltiplicazione della presenza, il Campanella per
l'assunzione del pane al quinto mondo metafisico trascendente, il Rosmini
per vivificazione trasformatrice della sostanza del pane ad opera del
Cristo. In queste discrepanti teoriche può cadere errore, se le modalità
escogitate non salvano il senso primario del dogma, facendo della presenza
sacramentale un atto immaginario anziché reale, figurale e di puro segno
anziché di realtà e di esistenza. Al di là dell'asserto di fede: questo è
il Corpo di Cristo la teologia contrae la dubbiezza inerente all'inadeguanza
della facoltà conoscitiva tanto nei veri soprannaturali quanto in quelli
naturali.
Cap. XXXVII
265. L’eucaristia nel dogma cattolico. – L’eucaristia è il
fastigio della religione e la consumazione del sacro.(1)
Verso di essa tutti gli altri sacramenti sono quasi soltanto
sacramentali, cioè cerimonie preparatorie. Il mistero della presenza
reale dell’individuo Cristo storico nel seno della Chiesa non disdice,
anzi si addice sommamente alla struttura dell’ente increato e di quello
creato. È infatti la consumazione di tutti i valori della Monotriade
riflessi nella struttura creaturale.
È la consumazione della potenza divina(2), contenendo il prodigio
sommo della transustanziazione, della persistenza degli accidenti, della
simultanea presenza del corpo in più luoghi. È anche la consumazione della
potenza nella creatura la quale divien capace di operare la prodigiosa
transustanziazione, riceve un pegno della sua glorificazione escatologica,
fortifica tutte le proprie energie morali.
L’eucaristia è similmente la consumazione della sapienza, perché,
oltre alla comunicazione che Dio fa di sé nella creazione, nell’unione
teandrica e nella grazia, egli trovò modo mirabilissimo di comunicarsi
sacramentalmente a guisa di cibo.(3) E come nell’Incarnazione la natura
umana stette senza persona umana, essendo assunta dalla persona divina, così
nell’eucaristia gli accidenti stanno senza la loro sostanza, essendo
sostentati prodigiosamente dalla sostanza del corpo teandrico. E anche alla
sapienza dell’uomo si addice l’eucaristia, perché la nostra ragione,
riflettendo sopra il mistero, si alza sopra le repugnanze della natura
sensibile e attinge nozioni puramente spirituali.
L’eucaristia è infine la consumazione dell’amore divino perché,
bramando comunicarsi alla creatura in tutti i modi possibili, l’infinito
amore, già comunicatosi con la creazione, nell’unione teandrica e nella
grazia, si comunica ora nuovamente, perché l’uomo cibatosi del corpo di
Cristo assume in misterioso modo la divinità.(4) E anche all’amore dell’uomo
si addice l’eucaristia, perché all’amore infinito di Dio l’uomo è fatto
capace di rispondere con un amore che corre per spazi infiniti fondendosi e
collegandosi con l’amante.1
(5)
266. Teologia dell’eucaristia. – Ogni interpretazione del dogma
eucaristico deve salvare la presenza reale del corpo di Cristo nel
sacramento, e cade o regge secondo che un tale realismo risulti o no
salvato. Non spetta a un libro come questo entrare nei teologumeni vari,
arditi e difficili su questo soggetto.
Il fondo del mistero è però che il corpo di Cristo, anzi tutto
l’individuo teandrico si trova realmente presente dopo la
consacrazione, tutta la sostanza del pane essendo convertita in esso corpo.
E l’offesa fatta al senso che dove è il corpo di Cristo non percepisce che
le qualità sensibili e la quantità del pane, non è propriamente un’offesa,
giacché il sensorio continua ad essere in atto verso il suo oggetto proprio,
le qualità o accidenti o specie, benché all’oggetto del senso non sottostia
più la sostanza del pane, bensì la sostanza del corpo. Il corpo non è
presente con la sua quantità propria e fenomenica, bensì con la quantità
fenomenica che aveva la sostanza del pane prima della consacrazione.2 Tale è
la dottrina dell’enciclica Mysterium fidei di Paolo VI che ripropone ad
litteram la dottrina del Tridentino.
Menzionerò il tentativo moderno del Rosmini di concepire la
transustanziazione come un succedere del corpo teandrico al corpo del pane
in séguito alle parole consacratorie. Il principio sostanziale
dell’individuo teandrico, che è in cielo, avviva e fa diventare sostanza con
un processo analogo a quello della vitale nutrizione, onde il cibo diventa
uomo.3 Il Rosmini mantiene la verità dogmatica che la sostanza del pane si
cangia intrisecamente nella sostanza del corpo teandrico.
267. Teologia neoterica dell’eucaristia. – Il fondo del dogma è
racchiuso nel senso ovvio del verbo estin dei Sinottici e di I Cor., 11, 24,
a cui si arrendeva Lutero dicendo: « Il testo è troppo forte ».4 Vi sono
nella Bibbia certo luoghi in cui il predicato essere ha manifestamente senso
metaforico e non ontologico. Per esempio nella spiegazione del sogno del
Faraone in Gen., 41, 27: « septem spicæ… septem anni SUNT » le spighe non
possono certo essere sostanzialmente una durata di tempo. E similmente in
altri luoghi il verbo essere vale, in forza del contesto, del senso e
dell’intenzione, simboleggiare. Qui invece il senso ontologico, che ripugna
alla percezione sensitiva e che in Ioan., 6 aliena per tale ripugnanza gran
parte degli uditori, è proprio quello affermato dal Cristo, è il senso
inteso dalla comunità cristiana primitiva, è la fede della Chiesa lungo i
secoli.5
La teologia neoterica, espressa nel Catechismo olandese divenuto
testo nelle scuole cattoliche, ha trasposto il cangiamento del pane
eucaristico dall’ordine ontologico all’ordine ideologico,
insegnando che la mutazione operata in forza delle parole consacratorie
riguarda i fini e i significati: quel pane, che significa
naturalmente il cibo sostentante la corporale vita ed è a ciò destinato,
trapassa a significare il corpo di Cristo e assume per fine la spirituale
nutrizione del cristiano. Che transignificazione e
transfinalizzazione corrispondano meglio al carattere personalistico
degli atti religiosi, come vogliono gli autori di questa sentenza, non si
può dire: anche nella transustanziazione è il Cristo individuo teandrico che
si offre, vittima e cibo, in oblazione d’amore. D’altronde offrire la
propria sostanza è atto assai più oblativo e sublime che offrire un altro
significato alla medesima sostanza.(6)
Tralasciamo che questo cangiamento non sostanziale non risponde né al
testo sacro né alla definizione del Tridentino. Ma è da dire che nel sistema
neoterico la profondità del mistero dilegua. I neoterici insistono
sulla inerenza profonda del fine all’essere della cosa, ma non possono fare
che la finalità e il significato siano ulteriori e superadditi [=
aggiuntivi, con terminologia campanelliana.] all’entità del pane. Certo il
pane naturale ha il fine nutritivo, ma non è costituito di un tal fine,
perché un’idea (e tale è il fine) non può identificarsi con la sostanza. Un
pane che non avesse per fine la nutrizione non sarebbe pane, ma di avere per
fine la nutrizione il pane lo riceve dalla sua interna costituzione di
sostanza atta alla nutrizione. Una pura transfinalizzazione è dunque
cangiamento di relazione e implica sempre la sussistenza di cosa che è in
sé prima di essere in relazione.(7)
(8)
268. Il dileguo dell’adorazione. – La conseguenza impellente e
maggiore di prendere il mistero eucaristico come un puro cangiamento di
significazione e di finalità di un pane che rimane nella sua identità
sostanziale è il venir meno dell’oggetto latreutico e il dileguo
dell’adorazione. Se il significato di una cosa è puramente metaforico e
puramente intenzionale e se il fine, prescisso dalla causa efficiente, non
ha altra base che la mente che concepisce e vuole, non è più possibile
trovare nel pane eucaristico transignificato e transfinalizzato alcun
aspetto per cui diventi adorabile: prima e dopo la consacrazione si ha, in
ordine reale, esattamente il medesimo. Nel pane realmente
transustanziato nel corpo di Cristo l’atto adorante trova invece una realtà
su cui appoggiarsi, perché si adorano gli enti e non si adorano le
relazioni, anzi più propriamente si adora soltanto un ente personale.(9) Se dunque l’eucaristia è un nuovo rispetto anziché un nuovo oggetto
reale, l’adorazione non ha più una realtà a cui appigliarsi. Non si adorano
metafore, ma enti. Quando nel politeismo pagano diventarono oggetto di culto
idealità e astratti come bontà, bellezza, giustizia, essi divennero subito
persone e il culto non andava a quelle astratte significazioni, ma provava
il bisogno di prendersi come termine un essere personale. Le Grazie, le
Furie, la Memoria sono tutte ipostatizzate.
Al dileguo della sostanza che toglie l’oggetto dell’adorazione si
accompagna il dileguo della durata, perché la durata è un’affezione
della sostanza e le affezioni durano solo nel durare delle sostanze. Un
corpo simbolico che è dato in cibo simbolico consuma interamente il suo
valore con la manducazione. Ridotto il valore del pane eucaristico a simbolo
di nutrimento non resta più cosa alcuna di valore nel sacramento non
manducato. Di qui l’opinione ormai divulgata nel popolo cristiano che,
levata la mensa del convivio eucaristico, non resti più nulla di divino nel
tabernacolo. Se al contrario il pane non è puro simbolo, ma sostanza reale,
il sacramento permane oltre la finalizzazione e la manducazione.
269. Culto eucaristico extraliturgico. – La declinazione del culto
latreutico dell’eucaristia avviene e nel corso della celebrazione liturgica,
perché si manduca il sacramento senza espressamente adorarlo, e fuori della
celebrazione perché il culto del Santissimo, le visite, le esposizioni
solenni, le Quarantore, le devozioni riparatrici sono cadute oggi in disuso
e quasi evitate come deviazioni. Benché Mysterium fidei del 1965, e
la Istruzione Eucharisticum mysterium del 1967 raccomandassero
vivamente la devozione del Sacramento sia pubblica che privata fuori della
Messa, come estensione della pietà cristiana che ha il centro nella Messa,
la disaffezione per tale culto si propagò rapidamente, fomentata dalle
deviazioni teologiche e tollerata, per la consueta accomodazione,
dall’episcopato. Giovanni Paolo II nella lettera indirizzata nel 1980 a
tutti i vescovi Dominicæ cenæ credette di dover chiedere perdono «
per tutto ciò che in seguito all’applicazione talora parziale, unilaterale,
erronea delle prescrizioni del Vaticano II possa aver eccitato scandalo e
disagio circa l’interpretazione della dottrina e la VENERAZIONE DOVUTA A
QUESTO GRANDE SACRAMENTO ». È per raddrizzare la deviazione deplorata
anche nel simposio preparatorio di Tolosa che il Papa donò al Congresso
eucaristico internazionale di Lourdes del 1981 non già un calice con patena,
ma un ostensorio, cioè una suppellettile che si adopera nel culto del
Santissimo Sacramento soltanto fuori della messa.6
Questo abbandono dell’adorazione nella Messa e fuori è certo l’effetto
della desostanzializzazione dell’eucaristia, decaduta da atto sacrificale,
che richiama direttamente il Dio Redentore, ad atto conviviale, che celebra
l’agape fraterna. Esso costituisce però anche un passo retrogrado, perché si
tenta di raffigurare tale abbandono come un ritorno alla tradizione più
antica. Ora è appurato che fino al secolo XI l’eucaristia veniva conservata
(come oggi d’altronde) con il fine primario di comunicare i malati e i
moribondi, ma questo fine primario non può alterare la natura del mistero
che è per essenza l’Adorabile. E non si può tirare indietro la Chiesa7 a un
grado meno sviluppato della sua cognizione di fede e della conseguente
pratica del popolo di Dio. Come abbiamo asserito, lo sviluppo storico delle
credenze e della pietà produce una più profonda cognizione della
Rivelazione, e se si ripudia il principio dello sviluppo canonizzando non i principii,
che sono immutabili, ma uno stadio dello sviluppo e in quello fermando il
moto vivo della Chiesa, si annienta gran parte della teoretica e della
pratica dei dogmi cristiani, molto più spiegati oggi che non fossero nei
primordi o nei tempi di mezzo della religione
270. La degradazione del sacro. – Se il pane eucaristico non è che
il pane a cui si aggiunge una nuova finalità, il Santissimo, cioè il Sacro
sussistente, dilegua del tutto.
La disposizione morale con cui il popolo cristiano guardava al Sacramento
variò nei secoli, ma sempre dentro un’invariabile di riverenza, di tremore,
di profonda tenerezza religiosa del tutto aliena dalla tendenza neoterica
che ravvisa nell’eucaristia un pasto d’agape, in cui si celebra
l’unione d’amore della comunità.8
(10) Si avanza sino a sostenere la
presenza di Cristo nella comunità stretta dalla carità fraterna.9
Il tentativo di rappresentare la Cena del Signore come una celebrazione
di amicizia e di allegrezza dà luogo oggi a sacrileghi convegni
conviviali in cui promiscuità di materie, arbitrio di gesti, illegittimità
di consacratori, profanità di luoghi e di modi costituiscono uno scandalo e
una tristizia nella Chiesa. In realtà l’ultima cena fu un atto supremo di
amore divino, ma fu evento tragico. Si svolgeva infatti nel
presentimento del deicidio, nell’ombra del tradimento, nello spavento dei
discepoli incerti della loro propria fedeltà al Maestro,10 nello sgomento prelusivo al sudore di sangue del Getsemani. L’arte cristiana ha d’altronde
figurato sempre l’Ultima Cena come un evento tragico e non come un convivio
giocondo.11
(11)
La desostanziazione dell’eucaristia ha per forza scemato la riverenza al
sacramento e la riforma liturgica vi si informa e la produce, forse per
mimetica di ecumenismo.12 Abrogato quasi del tutto il digiuno previo alla sunzione; scemate le lumiere; divenuti rari inchini, baci e genuflessioni13
destituito il Santissimo dal luogo più degno del tempio; calato il
tabernacolo dall’eccelsa all’ima e dalla centrale alla laterale posizione;
disusate le private e le pubbliche devozioni latreutiche paraliturgiche;
cancellata dai calendari la solennità del Corpus Domini e divenuta la
processione teoforica di diurna in notturna come di lucifuga natio;
tollerato l’uso di qualunque materia, sin di bodino dolce;14 minuscolizzate
le iniziali delle parole sacre; disusati il preparamento e il ringraziamento
per la Santa Comunione;15 decaduto il precetto pasquale; sostituite le sedie
ai banchi con genuflessorio; obsolescente l’obbligo di confessarsi delle
colpe gravi prima di accedere al corpus Christi; trattate le sacre
specie da tutte le mani e data la Comunione da persone non consacrate;
famigliarità inaudite con le ostie consacrate che i preti inviano in busta
per posta ai fedeli che desiderano comunicarsi;16 abolita nel Messale
l’istruzione de defectibus in celebrazione missarum occorrentibus.17
Insomma vi sono della degradazione eucaristica mille e mille segni qui
crèvent les yeux.18
(12)
E se l’eucaristia è, come è, il fastigio del sacro e la riduzione di
tutto il regno delle anime alla Monade essenziale, è da dire che la crisi
della Chiesa è crisi dell’eucaristia, crisi della fede nell’eucaristia,
includendo questa crisi tutto lo sreligionamento e il dissacramento che le
molteplici variazioni partoriscono poi visibilmente.(13)
(14)
271. Il venerandum e il tremendum dell’eucaristia nella storia della
Chiesa. – Tralasciando di trattare degli usi giudiziali e
taumaturgici,19 spesso abusivi, che si facevano delle specie eucaristiche, è
assodato che il sacramento, più adorato che preso come cibo, destava nei
fedeli profondi sentimenti di tremore, di fede e di amore. Il diacono
cantava infatti il monito: Accedite cum fide, tremore et dilectione.
Questi sentimenti durarono sino al Vaticano II nella pratica comune che nel
ricevere il sacramento voleva si rinnovassero gli atti di fede, adorazione,
umiltà, contrizione, ringraziamento, speranza e carità, come risulta da ogni
libretto di devozione.
E il tremendum del sacramento, oggi quasi del tutto dileguato,
giacché si va alla mensa eucaristica così disinvoltamente come si prende
all’acquasantiera l’acqua benedetta, risulta storicamente dalla commozione
del popolo cristiano al diffondersi dell’eresia di Berengario nel secolo XI.
Si vide allora quale potenza avesse sull’animo degli uomini la fede nella
presenza reale e come lo scuotere tale fede facesse nelle moltitudini
smuoversi sin la coscienza morale. Quando dunque Berengario negò la
transustanziazione togliendo il tremendum del sacramento, un enorme
contraccolpo se ne ebbe nel popolo. Ne dà notizia in termini impressionanti
il suo contemporaneo Guitmondo di Aversa: « Homines scelestos ad Berengarium
cuncurrere solitos fuisse, qui lætabantur se magno metu liberatos, cum
intelligerent EUCHARISTIAM NON ESSE REM TAM DIVINAM, ut propter eius
perceptionem a sceleribus et flagitiis se continere deberent ».20
L’eucaristia, essendo realmente il corpo di Cristo, era un impedimento al
peccato, perché il peccato era un impedimento alla percezione del
sacramento. L’aspetto del tremendum, legato alla transustanziazione,
non pregiudicava ma prevaleva all’adorazione amorosa.
Questa peraltro, poiché v’è nella pietà ortodossa l’intero arpeggio dei
sentimenti, prevalse in altri momenti producendo la fondazione di monasteri,
massime femminili, il cui fine primario è l’adorazione perpetua
dell’eucaristia. Ma il carattere di tenerezza lo ebbe anche la devozione
popolare. Lo attesta, per esempio, un libretto di pratiche di pietà del
Quattrocento pubblicato da mons. Carlo Marcora in Memorie storiche della
diocesi di Milano, 1960, pp. 185 sgg. Al momento dell’elevazione
dell’ostia all’anima ingenua e fervorosa del credente par di vedere non
l’ostia consacrata, bensì il corpo medesimo di Cristo: allora mancano
all’anima le parole sufficienti per riconoscere il beneficio ineffabile «
che il Signore si è lasciato vedere da ti ». Allora essa versa il suo
traboccante senso venerabondo in un’effusione commovente di umiltà
adorante.(15)
Il dileguo della pietà eucaristica è confessato da Paolo VI
nell’enciclica Mysterium fidei e nell’Istruzione Memoriale Domini
del 20 maggio 1969. Esso viene fatto esplicitamente risalire al calo di fede
perché « dove la verità e l’efficacia del ministero eucaristico e la
presenza di Cristo in esso sono state più approfondite, si è anche meglio
sentito il rispetto del sacramento ».
272. Sacerdozio e sinassi eucaristica. – La centralità
dell’eucaristia nel mistero cattolico fa che la sua degradazione si
ripercuota nella degradazione di tutti i sentimenti che ne sono preparazione
e partecipazione. La degradazione è più che mai palese nel sacramento dell’ordine
sacro, perché questo mette nell’uomo la capacità ontologica di operare
la transustanziazione. E qui, come in ogni altro punto della religione, anzi
come in ogni altro punto dell’organismo del reale, le cose e i fenomeni sono
concatenati tra loro con vincoli, rompere i quali è « ne le fata andar di
cozzo » (Inf., IX, 97).
Abbiamo già lumeggiato nei §§ 80-2 la critica con cui i neoterici
investono il sacerdozio cattolico tentando di ragguagliare il sacerdozio
comune dei fedeli, onde per il carattere battesimale sono consacrati al
culto divino, e il sacerdozio sacramentale onde alcuni individui
vengono, con l’impressione di un ricalcato carattere, avvalorati
ontologicamente e abilitati a transostanziare il pane eucaristico.
L’elemento ontologico del sacerdozio risponde esattamente all’elemento
ontologico dell’eucaristia ed è palese che se nel sacramento non si opera
una ontologica trasmutazione di sostanza, ma solo una trasposizione di
significati non esorbitante dall’ordine intenzionale, non sarà necessaria
alcuna peculiarità ontologica per operare una non ontologica trasmutazione.
Se la presenza eucaristica è la presenza spirituale del Cristo nella
comunità adunata per far memoria della Cena, atti specificamente sacerdotali
sono superflui e la sinassi del popolo fedele realizza la presenza
eucaristica del Cristo. Non è il sacerdote in quanto ordinato che attua la
transustanziazione. Il sacerdote in quanto pari a tutti gli altri membri
della Chiesa nell’esercizio del sacerdozio comune presiede alla simbolica
trasmutazione attuata dalla comunità.(16)
La riduzione dell’eucaristia a sinassi anamnestica è il fatto
dell’articolo 7 della Institutio generalis Missalis Romani promulgata
da Paolo VI il 3 aprile 1969.(17) Essa definisce la Messa in questi termini:
« La Cena del Signore o Messa È LA SANTA ASSEMBLEA o riunione del popolo di
Dio che si raduna sotto la presidenza del sacerdote per CELEBRARE IL
MEMORIALE del Signore ». Si appoggia la definizione su Matth., 18, 20: «
Dove si trovano due o tre radunati nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro
». La definizione della Institutio, che indubbiamente ha contenuto
dogmatico, secondo dichiarazioni del card. Charles Journet, Paolo VI avrebbe
confessato di averla sottoscritta senza leggerla.21 Come si sa ed è
necessario, la massima parte dei documenti papali sono redatti dai
collaboratori suoi 22 e riveduti e talvolta anche fiduciariamente approvati
dal Papa. La cosa non è incredibile, benché le circostanze e la natura del
documento la facciano essere un hapax nella storia della Chiesa. La
cognizione personale dell’atto che si sottoscrive è un dovere crescente o
decrescente a seconda della natura del documento, che qui era un annesso di
Costituzione Apostolica.
La molteplice censurabilità e l’incerta ortodossia23 di quella
definizione, appariscenti all’analisi intrinseca, sono poi confermate a
posteriori dalla ritrattazione fattane qualche mese dopo la
promulgazione e della sua sostituzione con una formula dogmaticamente
corretta. Il fatto di una tale quasi immediata ritrattazione non ha
precedenti nei pronunciamenti dogmatici della Chiesa e se vi sono non pochi
disdicimenti ed abiure di errori pratici e politici, come quelli di Pasquale
II e di Pio VII, non vi sono esempi di una ritrattazione così nuova, sia
perché concernente materia dogmatica, sia perché venuta così presto a
eliminare la prima sentenza.24
273. Analisi dell’articolo 7. – L’analisi della definizione rivela
tosto la variazione dottrinale. Sino al Vaticano II tutte le teologie e
tutti i catechismi definivano la Messa come il vero e proprio sacrificio con
cui, per il ministero del sacerdote, il Cristo offre il suo corpo e il suo
sangue al Padre in remissione dei nostri peccati.25 Nella Institutio
invece la Messa cessa di essere atto sacrificale compiuto dal prete in
persona Christi e viene identificata in un’assemblea: « Cena
Domini vel Missa est synaxis ».(18) Ometto di rilevare la novità del
termine, frequentato dai protestanti, ma affatto ignoto al popolo cattolico.
Rileverò l’incongruo logico emergente dal predicato. La Messa, che è un
seguito di operazioni sacre, non può identificarsi in un’assemblea, adunata
o da adunare, la quale è un’entità morale. Né si riduce a far memoria
del Signore, perché la memoria è un fatto dell’ordine intenzionale. È vero
che il Cristo comandò: « hoc facite in meam commemorationem » (Luc., 22, 19
e I Cor., 11, 24), ma il ricordare è conseguente al fare.
Non si comanda di ricordare quel che Cristo ha fatto, bensì di fare
quel medesimo che il Cristo ha fatto (hoc facite) e di farlo per
ricordare. L’imperativo ha per termine il fare e non già il ricordare. È
d’altronde significativo che nel Messale antico tutte le parole
commemorative e operative del canone stiano sotto la rubrica infra
actionem. La Messa è un’azione reale e la memoria è un fatto ideale a
cui è finalizzata l’azione reale. Eppure il valore puramente anamnestico
della Messa è proclamato dall’episcopato di intere nazioni e per esempio il
Missel des dimanches edito dall’episcopato di Francia nel 1969 e
riedito nel 1973 pronuncia espressamente che nella Messa « il n’est
question que de faire mémoire de l’unique sacrifice déjà accompli ». È
ad litteram la formula nudam commemorationem condannata dal
Tridentino, sess. XXII, can. 3.
La concezione neoterica di cui risente l’articolo 7 della Institutio
importa in fondo una soggettivazione del sacramento, giacché tacendo
della transustanziazione ne tace la base extrasoggettiva.(19)
Tutto si scioglie nel sentimento che l’assemblea ha della propria fede.
La rinnovazione del sacrificio, che nella dottrina tradizionale si realizza
in senso vero e proprio, qui diviene rinnovazione metaforica e puramente
mnemonica di esso. Tale soggettivismo eucaristico ha però carattere sociale:
non è il singolo ma la comunità in corpore che attualizza la presenza
del Cristo. Superfluo osservare che Matth., 18, 20 richiamato
nell’articolo 7 si riferisce alla presenza morale del Cristo nella Chiesa, e
non alla presenza reale nel sacramento.(20)
274. La degradazione del sacerdozio nell’eucaristia. Card. Poletti.
– La vanificazione del realismo sacramentale produce due effetti principali.
Primo: se non vi ha nell’eucaristia mutazione ontologica
soprannaturale, neppure occorrerà una potenza ontologica soprannaturale per
operare la presenza eucaristica: di qui la degradazione dell’officio del
prete che da sacerdote (= datore del sacro) si abbassa a primus inter
pares nella celebrazione assembleare. E in secondo luogo la
presenza del Cristo essendo la presenza di lui nel seno della comunità che
puramente memorizzando la avvera, il fatto istantaneo della consacrazione ad
opera del sacerdote indietreggia di importanza rispetto al fatto della
sinassi e del conseguimento dei fedeli in unum, con o senza base ontologica
del sacramento.
Non illustreremo le celebrazioni anomale, arbitrarie e sacrileghe in cui
i laici presumono di consacrare l’eucaristia; abbondano, massime in Olanda,
e vi sono testimonianze anche fotografiche. Non le illustreremo, perché
nessun vescovo (pare) le approvò mai, pur non riprovandole solennemente, e
anche perché la loro enormità (nel senso etimologico nonché usuale) è
irrefragabile. Ma non possiamo tacere che in molte diocesi, massime
dell’area germanica, il popolo si associa durante la celebrazione agli atti
consacratorii del prete, profferendo con lui le formule e ragguagliando,
come dissi, il sacerdozio laicale al sacerdozio ministeriale. E non tanto la
relativa frequenza del fatto, quanto la connivenza o il silenzio dei vescovi
arguiscono l’erosione avvenuta nella Chiesa circa la fede nell’eucaristia.
Ecco un fatto.
Martedì 24 aprile 1980 in Roma nella Chiesa del Gesù, tra le romane la
più centrale e frequentata e quella in cui si svolgono le solennità in
omaggio delle autorità civili dell’Urbe verso la Chiesa, assistetti io a una
Messa durante la quale tutto il popolo conconsacrò col sacerdote,
profferendo ad alta voce le parole della duplice transustanziazione. Per
impulso del card. Francesco Seper, prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede, cui narrai l’accaduto, scrissi tosto al card. Ugo
Poletti, Vicario di Roma, denunciando il fatto come « abolitio sacerdotii,
deiectio sacramenti, irrisio rubricarum, humanarum divinarumque rerum
confusio ac permixtio » e tanto più altamente stupefacendo « quia in urbe
Roma, quod fuit orbis catholici caput, sacrorumque exemplum et speculum
orthodoxiæ et orthopraxeos, tam monstrosa denormatio apparuit ».26 Ma ebbi
risposta a tale doglianza solo in luglio dopo che, non intendendo restare
inculcato nel mio diritto di membro della Chiesa ad avere i riti secondo le
norme della Chiesa e ad ottenere soddisfazione di una giusta rimostranza, la
ebbi sollecitata con nuova missiva. Il cardinale mi notificava allora di
avere omesso di rispondermi ritenendo la mia « una semplice segnalazione di
un episodio occasionale e non già la denuncia di un fatto di cui fosse
tenuto a rendere conto ». Egli comunque confermava la realtà dell’« assurdo
abuso », ne assicurava l’eccezionalità e rivendicava la regolarità della
liturgia celebrata a Roma « che è forse migliore che altrove ».
È facile rilevare che il vescovo è nella sua diocesi responsabile
dell’ortoprassi liturgica e deve renderne conto a chi lo chieda; che
l’eccezionalità dell’abuso in Roma non celava la frequenza sua nell’orbe
cattolico, e infine che la gravità dell’eccesso avrebbe dovuto provocare
un’inquietudine pastorale, un sollecito riscontro alla rimostranza e pronte
misure di rimedio al disordine.27
275. Preponderanza della sinassi al sacramento. – Abbiamo visto
come il richiamo a Matth., 18 nell’articolo 7 mettesse in ispicco la
presenza spirituale di Cristo nella sinassi e non la distinguesse bene dalla
presenza reale nel sacramento. Il termine classico di transustanziazione
non vi compare neppure. La prima conseguenza del rilievo dato alla sinassi
disgiuntamente dalla transustanziazione è la partecipazione del popolo
alla consacrazione, insinuata anche dall’anfibologia del nuovo canone dove
tutta l’assemblea è detta ammessa « al servizio sacerdotale ».28 Ma se
Cristo è presente nell’assemblea dei commensali e l’agape è il primario
elemento della celebrazione, la sinassi preponderà all’individuo atto del
sacerdote transustanziante: perciò si dovrà concludere che
nell’impossibilità di avere nel proprio sito prete consacrante non lo si
dovrà ricercare in altri siti con trasferimenti disagevoli, consueti nei
secoli passati a generazioni più religiose e riflessive, ma converrà
identificare il culto domenicale col puro raduno del popolo di Dio.
Questa è infatti la dottrina che i vescovi di Francia hanno promulgato in
documenti espressi, approvando e incoraggiando la pratica invalsa di
radunare il popolo in assemblea domenicale senza il prete.(21) I vescovi
incoraggiano i fedeli a non spostarsi dalla loro parrocchia, dove non c’è
prete che celebri, a parrocchia dove il prete celebra, e li esortano a
rimanere nella comunità locale per due ragioni: primo, perché
(dicono) il più importante è la comunità ecclesiale cioè la socialità, come
avrebbe riscoperto il Concilio.29 Secondo perché « on ne se met pas
en règle avec Dieu en se soumettant à une obligation ». Così il vescovo di
Evreu in « Documentation catholique », 6 aprile 1975, col. 348 e così cento
e cento bollettini parrocchiali e pubblicazioni officiose e officiali. Il
vescovo sembra ignorare che la religione non è essenzialmente che
obbligazione dell’uomo a Dio e che nell’osservanza di tale obbligazione si
stringe (anche secondo il Vangelo, che è una legge nuova, ma una legge) la
totalità della religione cristiana. Né si tratta di piegarsi a una dura
necessità, ove la parrocchia sia sprovvista di curato. Si tratta di una vera
e propria superiorità accordata alla sinassi eucaristica, alla
comunità dei fedeli sul presbitero consacrante, al sacerdozio comune sul
sacerdozio ordinario. E tale superiorità è riguardata come una riscoperta
della vera natura della Chiesa, di cui saremmo debitori al Vaticano II. Lo
dichiara apertis verbis il vicario generale del vescovo di Ain in
un’intervista di aprile 1976 al periodico « Contact », n. 42 : la pratica è
raccomandata « par l’ensemble des évêques de France » e dando alla pratica
una base dottrinale: « le Concile » dice « nous a aidés à redécouvrir CE
QUI EST PREMIER, c’est le peuple de baptisés… Dans cette nouvelle
per-spective l’importance c’est que le peuple de Dieu se rassemble ».
E mentre questo viene riguardato come una speranza della Chiesa, si
preannuncia l’oltrepassamento dell’eucaristia ad opera della sinassi: « La
prise en charge par les chrétiens de leurs assemblées, MENE A ALLER PLUS
LOIN QUE LA MESSE du dimanche ». Così la Messa, che è l’apice del sacro,
il mistero attorno a cui gira la Chiesa, l’operazione sacra per compiere la
quale sono ordinati i presbiteri, entra in una prospettiva di evoluzione e
di oltrepassamento. Si scopre la mira ultima e ultimissima della metabola
catastrofale di cui trattammo al § 37: il deprezzamento della Messa con la
conseguente abolizione o decadenza del precetto festivo.30
La degradazione dell’eucaristia che è il fenomeno più imponente della
Chiesa contemporanea è in ultima analisi un effetto della
desostanzializzazione e conseguente soggettivazione del mistero. Se
l’eucaristia è una celebrazione di memoria, di amore tra i fedeli e di
speranza in un mondo migliore, essa discende dal suo grado eccelso e si
allinea ai riti noti all’etnografia religiosa del pasto sacro di
identificazione col dio. Nei riti di Dioniso i partecipanti divengono capri
e in quelli di Era le sacerdotesse sono orse, per memoria, si intende, per
assimilazione intenzionale. (22)
Non c’è il proprium del mistero cristiano in cui è realmente
presente e realmente si prende Dio.31
(23)
Note di Romano Amerio
1. [Per tutto questo sviluppo mi sono ispirato a Campanella, Theologia,
lib. XXIV, cap.12 , 1rt7, pp.46 sgg., Roma 1966)]
2. [Si noti che non essendo l’estensione l’essenza del corpo, bensì un suo
accidente, la mutazione della sostanza non implica quella dell’estensione,
come sarebbe nel sistema cartesiano in cui l’estensione è l’essenza del
corpo.]
3. [Vedi l’ampio trattato sull’eucaristia in Antropologia naturale, ed.
naz., vol. XXVIII, p. 275. Ma la dottrina del Rosmini fu censurata dal
decreto del 1888 sulle 40 proposizioni] (Radaelli: A questa censura ha fatto
però seguito recentemente - I luglio 2001 - una Nota della Congregazione per
la Dottrina della Fede, firmata dall’allora card. Ratzinger, che indica la
prospettiva teologica con la quale i testi dell’Abate Rosmini, spesso
apprezzati da Amerio per la loro profondità dottrinale, permangono
nell’ortodossia)
4. [Nella formula « Hoc est enim corpus meum » la particella enim non vale
infatti ma realmente, come è provato anche dalla sua posizione. Tale fu
l’avviso di una commissione di latinisti presieduta da G. B. PIGHI
dell’Università di Bologna.]
5. [Le anfibologie in materia eucaristica spesseggiano in scritti
rivestiti di carattere ufficiale. Nel n. 2 dei Documenti di lavoro editi dal
Centro direttivo del XX Congresso eucaristico tenutosi a Milano nel 1983 si
asserisce che « il pane e il vino in sé stessi, né come realtà né come
segno, neppure dopo la consacrazione, hanno titolo alcuno per sostenere e
rivelare l’equazione posta da Cristo [questo è il mio corpo] ».
6. [Vedi Congrès eucharistique Lourdes 1981, Paris 1981, p. 100.
Si veda anche la deplorazione che il card. G. Siri nella sua
rivista « Renovatio », 1982, n. 1, p. 5, fa della « notevole decadenza del
culto eucaristico ».]
7. [Dal secolo XIII in qua l’adorazione dell’eucaristia fuori della messa
è ricercata dal popolo, praticata e propagandata da Santi, dall’Assisiate a
Charles de Foucauld, presa come fine da fondazioni religiose, diffusa nelle
Compagnie del SS. Sacramento, rappresentata nell’arte, penetrata nella pietà
popolare. Nel secolo XVIII l’opuscolo del LIGUORI Visite al SS. Sacramento
ebbe vivente l’autore ventiquattro edizioni e dopo la sua morte nel secolo
XIX altre novantacinque. Vedi in « Esprit et Vie », 1982, pp. 273 sgg., lo
studio di J. ROCHE, Le culte du Saint Sacrement hors messe.]
8. [F. BIFFI, rettore dell’Università lateranense, in « Giornale del
popolo » del 27 marzo 1980 scrive che « la Messa è frazione del pane, cioè
spartizione di amicizia, di affetto, di aiuto ». Niente della
transustanziazione e del sacrificio.] Si avanza sino a sostenere la presenza
di Cristo nel sacramento essere la presenza spirituale del Cristo nella
comunità stretta dalla carità fraterna. 9 [L’orientamento antilatreutico è
manifesto nella grande inchiesta di ICI, n. 564, p. 26 (15 luglio 1981) dove
si deplorano « les excès de la Contreréforme » e prevale l’interpretazione
non realistica del sacramento.]
9. [ L’orientamento antilatreutico è manifesto nella grande inchiesta di
ICI, n.564, p.26 (15 luglio 1981) dove si deplorano «les excès della
Contreréforme» e prevale l’interpretazione non realistica del sacramento.
10 [Nessuno dei discepoli è certo di non tradire e domanda al Maestro «
Son forse io? ». Questa tragica incertezza del proprio volere morale è colta
stupendamente nella Cena leonardesca in S. Maria delle Grazie a Milano.]
11 [Nel discorso del 9 giugno 1983 Giovanni Paolo II afferma che, essendo
l’eucaristia memoria della morte, ma anche della risurrezione di Cristo,
essa ci fa partecipare alla vita trionfante del Risorto e quindi importa un
clima di gioia. Ma è chiaro che la memoria si volge primariamente e
immediatamente alla Cena e alla Passione di cui l’eucaristia è un momento.]
12 [L’irriverenza giunse a tanto che i vescovi austriaci si videro
costretti a farne un uso speciale. Mons. Graber, vescovo di Regensburg, Die
fünf Wunden der Kirche, Regensburg 1977, p. 10
13 [Non solo non è più comandata la riverenza, ma è addirittura proibita.
Il vescovo di Antigonish nel Canada ha infatti proibito formalmente di
ricevere la Comunione stando genuflessi, « The Globe and Mail », giornale di
New Glasgow, 19 agosto 1982.]
14 [Il giornale dell’arcivescovo di Seattle negli Stati Uniti « North-west Catholic Progress » in marzo 1971 dava la ricetta per
confezionare l’eucaristia: « milk, Crisco, eggs, baking powder and honey »,
cioè latte, crisco (che è una sorta di margarina), uova, lievito e miele.]
15 [La madre di don Bosco, quando Giovannino doveva andare alla
Comunione, lo segregava per tre giorni dai trastulli, e quell’alto spirito
che fu Antonio Fogazzaro si preparava sin dai primi di novembre alla
Comunione dell’Immacolata (Epistolario, p. 328) e sosteneva che
l’insufficienza del frutto di una Comunione dipende dal non prepararsi da
lontano.]
16 [Vedi nel giornale « L’Est républicain », 8 febbraio 1977, la
dichiarazione del vescovo di Verdun, che non trova niente di reprensibile in
tale pratica.]
17 [Questi difetti erano contemplati con somma cura nel Messale antico.
Ma è chiaro che quando il Sacramento perde la sua essenza di sacro i difetti
che occorrono nella celebrazione divengono irrilevanti.]
18 [Oltre a queste degradazioni vedi in « Esprit et Vie », 1971, p. 11,
un sommario delle indegnità che occorrono comunemente nella celebrazione
della messa, nonché la serie di abusi spesso sacrileghi denunciati dal card.
RENARD in « Documentation Catholique », 1972, col. 933.]
19 [Celebre è il giuramento di Gregorio VII al cospetto di Enrico IV a
Canossa. Nella’abbazia di Münster nei Grigioni dipinti di età carolingia
raffigurano san Pietro nell’atto di gettare ai cani il sacramento per
placarli.]
20 [« Gli scellerati eran soliti accorrere da Berengario e si
congratulavano con lui per essere stati liberati da un gran timore, giacché
capivano che l’eucaristia non era quella cosa così divina da dover astenersi
per riceverla dai delitti e dalle infamie » (P. L. 149, 1447).]
21 [Così padre Joseph Boxler in « Mysterium fidei », febbraio 1982, p.
3.]
22 [Sul rapporto tra i Papi e i loro collaboratori nella redazione dei
documenti, vedi le notizie su Leone XIII di N. VIAN, Il leone nello
scrittoio, Reggio Emilia 1980, pp. 169 sg. Quel Papa si faceva fare persino
i carmi latini, che poi limava.]
23 [L’incerta ortodossia della prima redazione dell’articolo 7 è
l’effetto di una contaminazione tra le esigenze della dottrina tradizionale
e l’influsso degli osservatori acattolici che assistettero ai lavori della
Commissione conciliare non solo come osservatori (così portava il loro
titolo), ma come consultori e partecipi alla redazione dei testi. Mons. BAUM, allora presidente della commissione dell’episcopato americano per
l’ecumenismo, in « Detroit News » del 27 giugno 1967 dichiarò: « Ils ne sont
pas là (gli osservatori acattolici) simplement comme observateurs, mais
aussi bien comme experts consultants et ils participent pleinement aux
discussions sur le renouveau liturgique catholique. S’ils s’étaient
contentés d’écouter, la chose n’aurait pas eu beaucoup de sens, mais ils
contribuaient ».]
24 [La correzione dell’articolo 7 fu portata nel numero di maggio 1970 di
« Notitiæ », organo della Sacra Congregazione per il culto divino. La
precede un proemio da cui si apprende che « i membri e gli esperti del
Consiglio, avendo esaminato l’articolo 7 prima e dopo la sua promulgazione,
non vi trovarono alcun errore dottrinale NÉ ALCUNA RAGIONE DI MODIFICARLO.
Tuttavia per evitare difficoltà e rendere più chiare certe espressioni, si
era deciso che il documento sarebbe ritoccato qua e là ». L’articolo 7 fu
non ritoccato ma rifuso interamente facendovi apparire i tratti essenziali
della dottrina della Chiesa, sebbene si continui a tacere della
transustanziazione, che Paolo VI doveva poi restaurare pienamente
nell’enciclica Mysterium fidei. Ecco il testo rifuso: « Nella Messa o Cena
del Signore il popolo di Dio è adunato sotto la presidenza del sacerdote che
porta la persona di Cristo per celebrare il memoriale del Signore, cioè il
sacrificio eucaristico. Perciò di questa riunione locale della Santa Chiesa
vale in modo eminente la promessa di Cristo: “Dove sono due o tre radunati
nel mio nome, lì io sono in mezzo a loro”. Infatti nella celebrazione della
Messa, in cui si perpetua il sacrificio della croce, Cristo è realmente
presente nell’assemblea stessa adunata in suo nome, nella persona del
ministro, nella sua parola e sostanzialmente e continuamente sotto le specie
eucaristiche ». Ognuno vede se son ritocchi soltanto.
25 [GASPARRI, Catechismus cit., p. 205.]
26 [« Abolizione del sacerdozio, degradazione del sacramento, irrisione
delle rubriche liturgiche, confusione di sacro e profano… che una tale
mostruosa deformazione abbia luogo in Roma, che fu la capitale del mondo
cattolico, esempio dei sacri riti, specchio del retto credere e del retto
operare ».]
27 [La corrispondenza sta tra le mie carte.]
28 [Mons. RIOBÉ, vescovo di Orléan, vuole che la comunità si elegga il
ministro consacrante traendolo dal proprio grembo, cioè puramente
nominandolo (ICI, n. 451, p. 21, I marzo 1974).]
29 [Questa dottrina i vescovi di Francia l’hanno esplicitata nel Missel
des dimanches 1983: « L’eucharistie est sans doute la meilleure manière
d’animer un rassemblement de chréest pas la seule ». Qui
la differenza tra sacramento e sinassi, che è di essenza, viene sostituita
da una differenza di grado.]
30 [La cosa era già echeggiata al Concilio nelle congregazioni CIX e CX
per la bocca di mons. LA RAVOIRE, vescovo indiano, e del patriarca MAXIMOS
IV, secondo i quali « è difficile trovar ragionevole il precetto festivo
sotto pena di peccato, nessuno ci crede e gli increduli cene sbeffeggiano »
(OR, 26-7 ottobre 1974; « Le Monde », n. 20 ottobre 1964). Vedi al contrario
la mirabile apologia che della ragionevolezza, della religiosità e della
legittimità del precetto fa il MANZONI, Morale cattolica, Parte Prima, cap.
VI, nel vol. II, p. 111 ed. cit.]
31 [Paolo VI colpì la deviazione nel discorso ai vescovi della Francia di
Sud-Ovest, ricordando che « la célébration de l’Eucharistie se situe bien
au-delà d’une rencontre fraternelle et d’un partage de vie » (OR, 18-19)
aprile 1977
Glosse di Enrico Maria Radaelli