La necessaria opera di Pietro
VATICANO - Le Parole della Dottrina a cura
di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello
Clemente Romano, raccontando della morte degli apostoli Pietro e Paolo,
osserva che l’invidia di alcuni nella stessa comunità cristiana la facilitò.
Dopo duemila anni, il peccato è sempre presente negli uomini.
Ci sono coloro che gioiscono del Magistero pontificio, anche perché ha messo
un freno all’interpretazione “discontinua” del Concilio Vaticano II,
spiegando che i diffusi conflitti nei campi della dottrina, dell’educazione
e della liturgia sono il risultato di un fraintendimento e che il Concilio è
stato chiaro.
Il Papa è “Pietro”, il capo degli apostoli.
I suoi fratelli Vescovi pascolano legittimamente il gregge di Cristo solo in
unione effettiva ed affettiva con la Cattedra di Pietro.
Altrimenti si ritorna all’esperienza del IV secolo, quando quasi tutti i
Vescovi del mondo si piegarono al volere di un imperatore ariano.
Solo il Papa, e un manipolo di Vescovi fedeli a lui, preservarono la fede
cattolica. Il Papa sta lì a ricordare che la Chiesa non è una struttura
umana. Anche questo è il motivo per cui così tante culture e così tanti
popoli diversi trovano in essa la loro identità.
Come più volte ricordato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, siamo nel mezzo
di una “silenziosa apostasia”, che sta divenendo sempre meno silenziosa e
sempre più palese. Nella storia della Chiesa non c’è mai stata una mancanza
di fede così diffusa. L’avversario è sottile e conficca frecce nel profondo
del cuore degli uomini così in profondità che sono quasi invisibili. Si
pensi al profeta Daniele, il quale ammoniva che l’avversario avrebbe
ottenuto il potere su tutte le nazioni in modo pacifico e con le lusinghe.
Il Cardinale J.H.Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in
varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”,
tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della
Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che
sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe
manifestato la sua insensatezza finale e terribile. L’incapacità dei
credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche
precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe
negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto” (M.D.O’Brien,
Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).
C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria
e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi
internazionali e non da Cristo.
Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si
risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché
abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce.
Osserviamo il tradimento. Soffriamo.
Scrive ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione
nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia
distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti
proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti”
.
“Perché il Santo Padre non agisce? Non può imporre a questi prelati
l’obbedienza?”.
“Lo ha fatto ripetutamente e nel modo più cristiano.
Ma non comanda una polizia, o un esercito. Di recente è stato più fermo con
i dissidenti […] La soluzione però non è l’autoritarismo, perché quello
getterebbe solo benzina sul fuoco della rivolta.
Il Santo Padre opera finché c’è luce. Richiama noi tutti a Colui che ha
portato la croce e che è morto su di essa. Nelle sue mani porta solo questo,
una croce; parla sempre del trionfo della Croce. Quelli che non vogliono
ascoltare ne risponderanno a Dio” (Ivi,p 402-403).
© Copyright Agenzia Fides 2 luglio 2009