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VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA
L’opposizione al Magistero petrino impedisce l’unità dei cristiani
a cura di
don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello
In non poche Lettere pastorali non si
cita più il Papa quale termine di paragone dell’autenticità e garante della
cattolicità dell’insegnamento episcopale, ma il Cardinale o il teologo, il
laico, magari non credente, o il monaco di grido del momento, ritenendoli
interpreti autorizzati dell’insegnamento ufficiale della Chiesa.
Inoltre talora si dà l’impressione di pensare che una loro dichiarazione,
anche se difforme dalla verità cattolica, abbia uguale peso di un intervento
pontificio. Si procede analogamente in campo ecumenico ed interreligioso,
ritenendo che la voce di un rabbino o di un imam possa esprimere il pensiero
di tutto il popolo ebraico o il mondo islamico, quando questi non hanno una
“gerarchia”, ma sono solo periti o dottori “privati” non essendo né
sacerdoti né “Vescovi”.
Cosa è successo? Dimenticando che Lumen gentium ha riaffermato che la Chiesa
è il popolo di Dio gerarchicamente ordinato, si pratica una rimozione e una
sorda opposizione al Magistero della Chiesa, costituito dall’inscindibile e
necessario legame tra il Vescovo di una Chiesa particolare e il Supremo
Pastore della Chiesa universale.
Quasi possa essere concepibile una “responsabilità locale” non in stretta
dipendenza e relazione teologica, e perciò giuridica, con il Supremo
Pastore. Gli storici ritengono che tutto ciò sia incominciato nel 1968 con
la contestazione all’enciclica di Paolo VI Humanae vitae.
Sebbene, grazie ai mass media, qualche spezzone – senza capo né coda – della
parola del Papa arrivi a domicilio, i fedeli comuni hanno, tuttavia, il
diritto di riceverla nella sua interezza da parte dei Pastori delle Chiese
particolari e dei sacerdoti e laici loro collaboratori.
Dagli Apostoli in poi, quel che ha fatto “funzionare” la Chiesa è stato
l’assiduità all’insegnamento, una delle condizioni per diventare un cuor
solo e un’anima sola.
È la traditio o trasmissione della fede che avviene massimamente nella
catechesi e nella liturgia, in specie nelle omelie. Senza tradizione della
fede non c’è ricezione da parte dei fedeli.
Il paradosso a cui si è giunti è che si parla tanto di ricezione dei
documenti ecumenici, ma nello stesso tempo si mette il silenziatore o peggio
si censura il magistero petrino.
Giova sempre ricordare che il magistero del Vescovo è autentico solo se è in
comunione effettiva (ed affettiva) con quello del Papa.
A cinque anni dal Concilio, l’8 dicembre 1970, Paolo VI mise in guardia da
“una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un
Cristianesimo avulso dalla tradizione ininterrotta che lo ricollega alla
fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi
religiosi”.
Un tale fenomeno produce divisioni e contrapposizioni nella Chiesa. Forse i
cattolici sono stati contagiati dall’autocefalia ortodossa e dal libero
arbitrio protestante? Si è dato a credere che esista, come in politica, una
diarchia o triarchia tra Roma, Costantinopoli e Mosca? Ma questo non ha
nulla a che fare con i principi cattolici dell’ecumenismo enunciati dal
Vaticano II.
Che dal mondo si debba attaccare la Chiesa, è fisiologico, ma che debba
avvenire dall’interno, è preoccupante.
Ciò infatti condiziona, almeno da un punto di vista umano, l’efficacia
dell’evangelizzazione. Non di rado i fedeli quando ascoltano un sacerdote o
un Vescovo predicare in modo difforme dal Papa, avvertono la confusione che
ciò genera e domandano l’uniformità dell’insegnamento! E’ una opposizione e
talora un disprezzo per la Chiesa odierna in nome di quella futura, una
ermeneutica che va sempre un Papa indietro: si esalta oggi Giovanni Paolo II
da parte di chi lo ha bollato come reazionario e conservatore mente era in
vita.
La disobbedienza è un peccato da confessare, anche perché finisce per
causare nei fedeli l’indifferenza verso il Magistero, oltre alla confusione
e al disorientamento. Solo il Magistero vivente, del Papa e dei Vescovi in
comunione con Lui – sottolineiamo “in comunione con Lui”– costituisce
l’orientamento sicuro della barca della Chiesa anche nel nostro tempo, al
fine di aiutare a formare il giudizio di fede e di morale, per scegliere il
bene e rifiutare il male alla luce della verità di Cristo. Lui ha affidato a
Pietro “le mie pecore”, cioè tutte. Questa è l’ermeneutica cattolica.
(Agenzia Fides 22/1/2009)
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