|
|
|
|
|
Mons. Guido Marini: recupero delle ricchezze della Liturgia
◊ Il 6 gennaio scorso, la celebrazione dei
battesimi nella Sistina da parte di Benedetto XVI ha avuto uno svolgimento
liturgico diverso dal consueto, per via dell'utilizzo dell'antico altare
della Cappella, che ha visto il Papa in alcuni momenti del rito voltare le
spalle all'assemblea. Una nota dell'Ufficio delle celebrazioni pontificie
aveva anticipato e spiegato questa variante, prevista dall'attuale normativa
liturgica, e tuttavia - specie a livello mediatico - la scelta è stata un
po' frettolosamente definita come "pre-conciliare".
Servizio di Radio Vaticana che il 20 gennaio ha chiesto al maestro delle
Celebrazioni liturgiche pontificie, don Guido Marini, l'esatta
interpretazione di quei gesti:
R. - Credo sia importante, anzitutto, considerare l’orientamento che la
celebrazione liturgica è chiamata sempre ad avere: mi riferisco alla
centralità del Signore, il Salvatore crocifisso e risorto da morte. Tale
orientamento deve determinare la disposizione interiore di tutta l’assemblea
e, di conseguenza, anche la modalità celebrativa esteriore. La collocazione
della croce sull’altare al centro dell’assemblea ha la capacità di
trasmettere questo fondamentale contenuto di teologia liturgica. Si possono,
poi, verificare particolari circostanze nelle quali, a motivo delle
condizioni artistiche del luogo sacro e della sua singolare bellezza e
armonia, divenga auspicabile celebrare all’altare antico, dove tra l’altro
si conserva l’esatto orientamento della celebrazione liturgica. Nella
Cappella Sistina, per la celebrazione dei battesimi, è avvenuto esattamente
questo. Si tratta di una prassi consentita dalla normativa liturgica, in
sintonia con la riforma conciliare.
D. - L’opinione pubblica è molto colpita da questo gesto che, in parte, il
Papa ha compiuto in occasione della festa del Battesimo del Signore: dare le
spalle all’assemblea. C’è chi legge in questo gesto un ritorno al passato,
addirittura una chiusura del celebrante nei confronti dell’assemblea. Vuole
invece spiegarci qual è il significato vero di questo gesto liturgico?
R. - Nelle circostanze in cui la celebrazione avviene secondo questa
modalità, non si tratta tanto di volgere le spalle ai fedeli, quanto
piuttosto di orientarsi insieme ai fedeli verso il Signore. Da questo punto
di vista “non si chiude la porta all’assemblea”, ma “si apre la porta
all’assemblea” conducendola al Signore. Nella liturgia eucaristica non ci si
guarda, ma si guarda a Colui che è il nostro Oriente, il Salvatore. Penso
che sia anche importante ricordare che il tempo in cui il celebrante, in
questi casi, “volge le spalle ai fedeli” è relativamente breve: l’intera
Liturgia della Parola avviene, come di consueto, con il celebrante rivolto
verso l’assemblea, indicando così il dialogo della salvezza che Dio
intreccia con il suo popolo. Dunque, nessun ritorno al passato, ma il
recupero di una modalità celebrativa che in nulla mette in discussione gli
insegnamenti e le indicazioni del Concilio Vaticano II.
D. - Mons. Marini, c’è stato chi, sulla scia del dibattito che ha seguito la
pubblicazione del Motu
proprio Summorum pontificum, ha letto in alcuni gesti di
Benedetto XVI la volontà di abbandonare la riforma liturgica conciliare.
Cosa risponde a questo genere di illazioni?
R. - Sono sicuramente illazioni e interpretazioni non corrette, sia del
Motu proprio che di
tutto il magistero di Benedetto XVI in ambito liturgico. La liturgia della
Chiesa, come d’altronde tutta la sua vita, è fatta di continuità: parlerei
di sviluppo nella continuità. Ciò significa che la Chiesa procede nel suo
cammino storico senza perdere di vista le proprie radici e la propria viva
tradizione: questo può esigere, in alcuni casi, anche il recupero di
elementi preziosi e importanti che lungo il percorso sono stati smarriti,
dimenticati e che il trascorrere del tempo ha reso meno luminosi nel loro
significato autentico. Mi pare che il Motu proprio vada proprio in questa
direzione: riaffermando con molta chiarezza che nella vita liturgica della
Chiesa c’è continuità, senza rottura. Non si deve parlare, dunque, di un
ritorno al passato, ma di un vero arricchimento per il presente, in vista
del domani.
|
|
| |
| |