LETTERA ENCICLICA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE
«SULLA SACRA LITURGIA»
PIO PP. XII
SERVO DEI SERVI DI DIO
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Introduzione
«Il Mediatore tra Dio e gli uomini»
(1 Tim. 2, 5), il grande Pontefice che penetrò i cieli, Gesù Figlio
di Dio (Heb. 4, 14), assumendosi l'opera di misericordia con la quale
arricchì il genere umano di benefici soprannaturali, mirò senza dubbio a
ristabilire tra gli uomini e il loro Creatore quell'ordine che il peccato
aveva turbato ed a ricondurre al Padre Celeste, primo principio ed ultimo
fine, la misera stirpe di Adamo infetta dal peccato d'origine. E perciò,
durante la sua dimora terrena, non solo annunziò l'inizio della redenzione e
dichiarò inaugurato il Regno di Dio, ma attese a procurare la salute delle
anime con il continuo esercizio della preghiera e del sacrificio, finché,
sulla Croce, si offrì vittima immacolata a Dio per mondare la nostra
coscienza dalle opere morte onde servire al Dio vivo (Heb. 9, 14).
Così tutti gli uomini, felicemente richiamati dalla via che li trascinava
alla rovina e alla perdizione, furono ordinati di nuovo a Dio, affinché, con
la personale collaborazione al conseguimento della propria santificazione,
frutto del sangue immacolato dell'Agnello, dessero a Dio la gloria che Gli è
dovuta.
Il Divino Redentore volle, poi, che la vita sacerdotale da Lui iniziata
nel suo corpo mortale con le sue preghiere ed il suo sacrificio, non
cessasse nel corso dei secoli nel suo Corpo Mistico che è la Chiesa; e
perciò istituì un sacerdozio visibile per offrire dovunque la oblazione
monda (Matth, 1, 11), affinché tutti gli uomini, dall'Oriente
all'Occidente, liberati dal peccato, per dovere di coscienza servissero
spontaneamente e volentieri a Dio.
La Chiesa dunque, fedele al mandato ricevuto dal Suo Fondatore, continua
l'ufficio sacerdotale di Gesù Cristo soprattutto con la Sacra Liturgia. Ciò
fa in primo luogo all'altare, dove il sacrificio della Croce è perpetuamente
rappresentato (Conc. Trid., Sess. 22, c. 1) e, con la sola differenza del
modo di offrire, rinnovato (Conc. Trid., Sess. 22, c. 2); poi con i
Sacramenti, che sono particolari strumenti per mezzo dei quali gli uomini
partecipano alla vita soprannaturale; in fine col quotidiano tributo di lodi
offerto a Dio Ottimo Massimo. «Quale giocondo spettacolo - così il Nostro
Predecessore di felice memoria Pio XI - offre al Cielo e alla terra la
Chiesa che prega, quando, continuamente, durante tutti i giorni e tutte le
notti, vengono in terra cantati i Salmi scritti per divina ispirazione:
nessuna ora del giorno è priva della consacrazione di una propria liturgia;
ogni età della vita ha il suo posto nel rendimento di grazie, nelle lodi,
nelle preci, nelle aspirazioni di questa comune preghiera del mistico Corpo
di Cristo, che è la Chiesa» (Enc. Caritate Christi, 3.V.1932).
Certamente vi è noto, Venerabili Fratelli, che, verso la fine del secolo
scorso ed agli inizi del presente, si ebbe un singolare fervore di studi
liturgici, sia per lodevole iniziativa di alcuni privati, sia soprattutto
per la zelante ed assidua diligenza di vari monasteri dell'inclito Ordine
Benedettino; cosicché non soltanto in molte regioni di Europa, ma anche
nelle terre al di là dell'Oceano, si sviluppò a questo proposito una
encomiabile ed utile gara, le cui benefiche conseguenze furono visibili sia
nel campo delle sacre discipline, dove i riti liturgici della Chiesa
Orientale ed Occidentale furono più ampiamente e profondamente studiati e
conosciuti, sia nella vita spirituale e privata di molti cristiani. Le
auguste cerimonie del Sacrificio dell'altare furono meglio conosciute,
comprese e stimate; la partecipazione ai Sacramenti più larga e frequente,
le preghiere liturgiche più soavemente gustate, e il culto eucaristico
considerato come veramente è il centro e la fonte della vera pietà
cristiana. Fu, inoltre, messo più chiaramente in evidenza il fatto che tutti
i fedeli costituiscono un solo, compattissimo corpo, di cui Cristo è il
capo, dal che ne viene il dovere per il popolo cristiano di partecipare
secondo la propria condizione ai riti liturgici. Voi, senza dubbio, sapete
benissimo che questa Sede Apostolica ha sempre avuto premura che il popolo
ad essa affidato fosse educato ad un vero ed operoso senso liturgico, e che,
con non minore zelo, si è preoccupata che i sacri riti splendessero anche
all'esterno di una confacente dignità. Nello stesso ordine di idee, Noi,
parlando, secondo la consuetudine, ai predicatori quaresimali di questa
nostra alma Città nel 341, li abbiamo calorosamente esortati ad ammonire i
loro ascoltatori perché partecipassero con sempre maggiore impegno al
Sacrificio Eucaristico; e recentemente abbiamo fatto tradurre di nuovo in
latino dal testo originale il libro dei Salmi perché le preghiere
liturgiche, di cui esso è così grande parte nella Chiesa Cattolica, fossero
più esattamente intese e la loro verità e soavità più agevolmente percepite
(Motu proprio In cotidianis precibus, 24.III.1945).
Tuttavia, mentre, per i salutari frutti che ne derivano, l'apostolato
liturgico Ci è di non poco conforto, il Nostro dovere Ci impone di seguire
con attenzione questo «rinnovamento», nella maniera nella quale è da alcuni
concepito, e di curare diligentemente che le iniziative non diventino né
eccessive né difettose.
Ora, se da una parte constatiamo con dolore che in alcune regioni il
senso, la conoscenza, e lo studio della Liturgia sono talvolta scarsi o
quasi nulli, dall'alto notiamo con molta apprensione che alcuni sono troppo
avidi di novità e si allontanano dalla via della sana dottrina e della
prudenza. Giacché all'intenzione e al desiderio di un rinnovamento
liturgico, essi frappongono spesso principi che, o in teoria o in pratica,
compromettono questa santissima causa, e spesso anche la contaminano di
errori che toccano la fede cattolica e la dottrina ascetica. La purezza
della fede e della morale deve essere la norma caratteristica di questa
sacra disciplina, che deve assolutamente conformarsi al sapientissimo
insegnamento della Chiesa e dunque Nostro dovere lodare e approvare tutto
ciò che è ben fatto, contenere o riprovare tutto ciò che devia dal vero e
giusto cammino.
Non credano, però, gl'inerti e i tiepidi di avere il Nostro consenso
perché riprendiamo gli erranti e poniamo freno agli audaci; né gli
imprudenti si ritengano lodati quando correggiamo i negligenti ed i pigri.
Quantunque in questa Nostra Lettera Enciclica trattiamo soprattutto della
Liturgia latina, ciò non è dovuto a minore stima delle venerande Liturgie
della Chiesa Orientale, i cui riti, trasmessi da nobili e antichi documenti,
Ci sono egualmente carissimi; ma dipende piuttosto dalle condizioni
particolari della Chiesa Occidentale, che sono tali da richiedere
l'intervento della Nostra autorità. Ascoltino, perciò, tutti i cristiani,
con docilità, la voce del Padre comune, il quale desidera ardentemente che
tutti a Lui intimamente uniti, si accostino all'altare di Dio, professando
la stessa fede, obbedendo alla stessa legge, partecipando allo stesso
sacrificio con un solo intendimento e una sola volontà. Lo richiede l'onore
a Dio dovuto; lo esigono i bisogni dei tempi presenti. Infatti, dopo che una
lunga e crudele guerra ha diviso i popoli con le rivalità e le stragi, gli
uomini di buona volontà si sforzano nel miglior modo possibile di ricondurre
tutti alla concordia. Crediamo tuttavia che nessun disegno e nessuna
iniziativa sia, in questo caso, più efficace di un fervido spirito e zelo
religioso, da cui è necessario siano animati e guidati i cristiani, in modo
che, accettando con animo schietto le stesse verità e obbedendo docilmente
ai legittimi Pastori, nell'esercizio del culto a Dio dovuto, costituiscano
una fraterna comunità: «benché molti, siamo un sol corpo, partecipando tutti
di quell'unico pane» (1 Cor. 10, 17).
I caratteri della Liturgia
Il dovere fondamentale dell'uomo è certamente quello di orientare verso
Dio se stesso e la propria vita. «A Lui, difatti, dobbiamo principalmente
unirci, e indefettibile principio, al quale deve anche costantemente
rivolgersi la nostra scelta come ad ultimo fine, che perdiamo peccando anche
per negligenza e che dobbiamo riconquistare per la fede credendo in Lui»
(San Tommaso, Summa Theol., 2.a 2.æ, q. 81, a. 1). Ora, l'uomo si
volge ordinatamente a Dio quando ne riconosce la suprema maestà e il supremo
magistero, quando accetta con sottomissione le verità divinamente rivelate,
quando ne osserva religiosamente le leggi, quando fa convergere verso di Lui
tutta la sua attività, quando per dirla in breve presta, mediante le virtù
della religione, il debito culto all'unico e vero Dio.
Questo è un dovere che obbliga prima di tutto gli uomini singolarmente,
ma è anche un dovere collettivo di tutta la comunità umana ordinata con
reciproci vincoli sociali, perché anch'essa dipende dalla somma autorità di
Dio. Si noti, poi, che questo è un particolare dovere degli uomini, in
quanto Dio li ha elevati all'ordine soprannaturale. Così se consideriamo Dio
come autore dell'antica Legge, lo vediamo proclamare anche precetti rituali
e determinare accuratamente le norme che il popolo deve osservare nel
rendergli il legittimo culto. Stabilì, quindi, vari sacrifici e designò
varie cerimonie con le quali dovevano compiersi; e determinò chiaramente ciò
che si riferiva all'Arca dell'Alleanza, al Tempio ed ai giorni festivi;
designò la tribù sacerdotale e il sommo sacerdote, indicò e descrisse le
vesti da usarsi dai sacri ministri e quanto altro mai aveva relazione col
culto divino (cfr. Levitico). Questo culto, del resto, non era altro
che l'ombra (Heb. 10, 1) di quello che il Sommo Sacerdote del Nuovo
Testamento avrebbe reso al Padre Celeste.
Difatti, appena «il Verbo si è fatto carne» (Joh. 1, 14), si
manifesta al mondo nel suo ufficio sacerdotale facendo all'Eterno Padre un
atto di sottomissione che durerà per tutto il tempo della sua vita:
«entrando nel mondo dice: . . . Ecco, io vengo . . . per fare, o Dio, la tua
volontà . . .» (Heb. 10, 5-7), un atto che sarà portato a compimento
in modo mirabile nel sacrificio cruento della Croce: «In virtù di questa
volontà noi siamo stati santificati per mezzo dell’oblazione del Corpo di
Gesù Cristo fatta una volta sola per sempre» (Heb. 10, 10). Tutta la
sua attività tra gli uomini non ha altro scopo. Fanciullo, è presentato nel
Tempio al Signore; adolescente vi ritorna ancora; in seguito vi si reca
spesso per istruire il popolo e per pregare. Prima d'iniziare il ministero
pubblico digiuna durante quaranta giorni, e con il suo consiglio ed il suo
esempio esorta tutti a pregare sia di giorno che di notte. Come maestro di
verità, «illumina ogni uomo» (Joh. 1, 9) perché i mortali riconoscano
convenientemente il Dio immortale, e non «si sottraggano per perdersi, ma
siano fedeli per la salvezza dell'anima» (Heb. 10, 39). Come Pastore,
poi, Egli governa il suo gregge, lo conduce ai pascoli di vita, e dà una
legge da osservare perché nessuno si discosti da Lui e dalla retta via che
Egli ha tracciata, ma tutti vivano santamente sotto il suo influsso e la sua
azione. Nell'ultima Cena, con rito e apparato solenne, celebra la nuova
Pasqua e provvede alla continuazione di essa mediante l'istituzione divina
dell'Eucaristia; l'indomani, sollevato tra cielo e terra, offre il salutare
sacrificio della sua vita, e dal suo petto squarciato fa in certo modo
sgorgare i Sacramenti che impartiscono alle anime i tesori della Redenzione.
Facendo questo, Egli ha per unico scopo la gloria del Padre e la sempre
maggiore santificazione dell'uomo.
Entrando, poi, nella sede della beatitudine celeste, vuole che il culto
da Lui istituito e prestato durante la sua vita terrena continui
ininterrottamente. Giacché Egli non lasciò orfano il genere umano, ma come
lo assiste sempre col suo continuo e valido patrocinio facendosi nostro
avvocato in cielo presso il Padre (1 Joh. 2, 1), così l'aiuta
mediante la sua Chiesa, nella quale è indefettibilmente presente nel corso
dei secoli. Chiesa che Egli ha costituito colonna di verità (1 Tim.
3, 15) e dispensatrice di grazia, e che col sacrificio della Croce fondò,
consacrò e confermò, in eterno.
La Chiesa, dunque, ha in comune col Verbo incarnato lo scopo, l'impegno e
la funzione d'insegnare a tutti la verità, reggere e governare gli uomini,
offrire a Dio il sacrificio accettabile e grato, e così ristabilire tra il
Creatore e le creature quell'unione ed armonia che l'Apostolo delle genti
chiaramente indica con queste parole: «Voi non siete più stranieri e ospiti,
ma siete concittadini dei Santi e della famiglia di Dio, sovraedificati sul
fondamento degli Apostoli e dei Profeti, con lo stesso Gesù Cristo come
pietra angolare, su cui tutto l'edificio insieme connesso s'innalza in
tempio santo nel Signore, e sopra di lui anche voi siete insieme edificati
in dimora di Dio nello Spirito» (Eph. 2, 19-22) Perciò la società
fondata dal Divino Redentore non ha altro fine, sia con la sua dottrina e il
suo governo, sia col Sacrificio ed i Sacramenti da Lui istituiti, sia infine
col ministero da Lui affidatole, con le sue preghiere e il suo sangue, che
crescere e dilatarsi sempre più: il che avviene quando Cristo è edificato e
dilatato nelle anime dei mortali, e quando, vicendevolmente, le anime dei
mortali sono edificate e dilatate a Cristo; di maniera che in questo esilio
terreno prosperi il tempio nel quale la Divina Maestà riceve il culto grato
e legittimo. In ogni azione liturgica, quindi, insieme con la Chiesa è
presente il suo Divino Fondatore: Cristo è presente nell'augusto Sacrificio
dell'altare sia nella persona del suo ministro, sia, massimamente, sotto le
specie eucaristiche; è presente nei Sacramenti con la virtù che in essi
trasfonde perché siano strumenti efficaci di santità; è presente infine
nelle lodi e nelle suppliche a Dio rivolte, come sta scritto: «Dove sono due
o tre adunati in nome mio, ivi io sono in mezzo ad essi» (Matth. 18,
20).
Definizione della Liturgia
La sacra Liturgia è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore
rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei
fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all'Eterno Padre: è, per dirla
in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo
e delle sue membra. L'azione liturgica ha inizio con la fondazione stessa
della Chiesa. I primi cristiani, difatti, «erano assidui agli insegnamenti
degli Apostoli e alla comune frazione del pane e alla preghiera» (Act.
2, 42). Dovunque i Pastori possono radunare un nucleo di fedeli, erigono un
altare sul quale offrono il Sacrificio, e intorno ad esso vengono disposti
altri riti adatti alla santificazione degli uomini e alla glorificazione di
Dio. Tra questi riti sono, in primo luogo, i Sacramenti, cioè le sette
principali fonti di salvezza; poi la celebrazione della lode divina, con la
quale i fedeli anche insieme riuniti obbediscono alla esortazione
dell'Apostolo: «Istruendovi ed esortandovi tra voi con ogni sapienza,
cantando a Dio nei vostri cuori, ispirati dalla grazia, salmi, inni e
cantici spirituali» (Col. 3, 16); poi la lettura della Legge, dei
Profeti, del Vangelo e delle Lettere Apostoliche, e infine l'omelia con la
quale il Presidente dell'assemblea ricorda e commenta utilmente i precetti
del Divino Maestro, gli avvenimenti principali della sua vita, e ammonisce
tutti gli astanti con opportune esortazioni ed esempi.
Il culto si organizza e si sviluppa secondo le circostanze ed bisogni dei
cristiani, si arricchisce di nuovi riti, cerimonie e formole, sempre con il
medesimo intento: «affinché cioè da quei segni noi siamo stimolati . . . ci
sia noto il progresso compiuto e ci sentiamo sollecitati ad accrescerlo con
maggior vigore: l'effetto, difatti, è più degno se più ardente è l'affetto
che lo precede» (Sant'Agostino, Epist. CXXX ad Probam, 18). Così
l'anima più e meglio si eleva verso Dio; così il sacerdozio di Gesù Cristo è
sempre in atto nella successione dei tempi, non essendo altro la Liturgia
che l'esercizio di questo sacerdozio. Come il suo Capo divino, così la
Chiesa assiste continuamente i suoi figli, li aiuta e li esorta alla
santità, perché, ornati di questa soprannaturale dignità, possano un giorno
far ritorno al Padre che è nei cieli. Essa rigenera alla vita celeste i nati
alla vita terrena, li corrobora di Spirito Santo per la lotta contro il
nemico implacabile; chiama i cristiani intorno agli altari e, con insistenti
inviti, li esorta a celebrare e prender parte al Sacrificio Eucaristico, e
li nutre col pane degli Angeli perché siano sempre più saldi; purifica e
consola coloro che il peccato ferì e macchiò; consacra con legittimo rito
coloro che per divina vocazione sono chiamati al ministero sacerdotale;
rinvigorisce con grazie e doni divini il casto connubio di quelli che sono
destinati a fondare e costituire la famiglia cristiana; dopo averne
confortato e ristorato col Viatico Eucaristico e la Sacra Unzione le ultime
ore della vita terrena, accompagna al sepolcro con somma pietà le spoglie
dei suoi figli, le compone religiosamente, le protegge al riparo della
Croce, perché possano un giorno risorgere trionfando sulla morte; benedice
con particolare solennità quanti dedicano la loro vita al servizio divino
nel conseguimento della perfezione religiosa; stende la sua mano
soccorrevole alle anime che nelle fiamme della purificazione implorano
preghiere e suffragi, per condurle finalmente alla eterna beatitudine.
Culto interno ed esterno
Tutto il complesso del culto che la Chiesa rende a Dio deve essere
interno ed esterno. È esterno perché lo richiede la natura dell'uomo
composto di anima e di corpo; perché Dio ha disposto che «conoscendoLo per
mezzo delle cose visibili, siamo attratti all'amore delle cose invisibili»
(cfr. Missale Romanum, Prefazio della Natività); perché tutto ciò che
viene dall'anima è naturalmente espresso dai sensi; di più perché il culto
divino appartiene non soltanto al singolo ma anche alla collettività umana,
e quindi è necessario che sia sociale, il che è impossibile, nell'ambito
religioso, senza vincoli e manifestazioni esteriori; e, infine, perché è un
mezzo che mette particolarmente in evidenza l'unità del Corpo Mistico, ne
accresce i santi entusiasmi, ne rinsalda le forze e ne intensifica l'azione:
«sebbene, infatti, le cerimonie, in se stesse, non contengano nessuna
perfezione e santità, tuttavia sono atti esterni di religione, che, come
segni, stimolano l'anima alla venerazione delle cose sacre, elevano la mente
alle realtà soprannaturali, nutrono la pietà, fomentano la carità,
accrescono la fede, irrobustiscono la devozione, istruiscono i semplici,
ornano il culto di Dio, conservano la religione e distinguono i veri dai
falsi cristiani e dagli eterodossi» (Card. Bona, De divina psalmodia,
cap. 19, § 3.1).
Ma l'elemento essenziale del culto deve essere quello interno: è
necessario, difatti, vivere sempre in Cristo, tutto a Lui dedicarsi,
affinché in Lui, con Lui e per Lui si dia gloria al Padre. La sacra Liturgia
richiede che questi due elementi siano intimamente congiunti; ciò che essa
non si stanca mai di ripetere ogni qualvolta prescrive un atto esterno di
culto. Così, per esempio, a proposito del digiuno ci esorta: «Affinché ciò
che la nostra osservanza professa esternamente, si operi di fatto nel nostro
interno» (cfr. Missale Romanum, Segreta della feria quinta dopo la II
Domenica di Quaresima). Diversamente, la religione diventa un formalismo
senza fondamento e senza contenuto. Voi sapete, Venerabili Fratelli, che il
Divino Maestro stima indegni del sacro tempio ed espelle coloro i quali
credono di onorare Dio soltanto col suono di ben costruite parole e con pose
teatrali, e son persuasi di poter benissimo provvedere alla loro eterna
salute senza sradicare dall'anima i vizi inveterati (Mc. 7, 6; Is.
29, 13). La Chiesa, pertanto, vuole che tutti fedeli si prostrino ai piedi
del Redentore per professarGli il loro amore e la loro venerazione; vuole
che le folle, come i fanciulli che andarono incontro a Cristo mentre entrava
a Gerusalemme con gioiose acclamazioni, inneggino ed accompagnino il Re dei
re e il Sommo Autore di ogni beneficio con il canto di gloria e di
ringraziamento; vuole che sul loro labbro siano preghiere, ora supplici ora
liete e grate, con le quali come gli apostoli presso il lago di Tiberiade,
possano sperimentare l'aiuto della sua misericordia e della sua potenza; o,
come Pietro sul monte Tabor, abbandonino se stessi ed ogni lor cosa a Dio
nei mistici trasporti della contemplazione.
Non hanno, perciò, una esatta nozione della sacra Liturgia coloro i quali
la ritengono come una parte soltanto esterna e sensibile del culto divino o
come un cerimoniale decorativo; né sbagliano meno coloro, i quali la
considerano come una mera somma di leggi e di precetti con i quali la
Gerarchia ecclesiastica ordina il compimento dei riti.
Deve, quindi, essere ben noto a tutti che non si può degnamente onorare
Dio se l'anima non si rivolge al conseguimento della perfezione della vita,
e che il culto reso a Dio dalla Chiesa in unione col suo Capo divino ha la
massima efficacia di santificazione.
Questa efficacia se si tratta del Sacrificio Eucaristico e dei
Sacramenti, proviene prima di tutto dal valore dell'azione in se stessa (ex
opere operato); se poi si considera anche l'attività propria della
immacolata Sposa di Gesù Cristo con la quale essa orna di preghiere e di
sacre cerimonie il Sacrificio Eucaristico ed i Sacramenti, o, se si tratta
dei Sacramentali e di altri riti istituiti dalla Gerarchia ecclesiastica,
allora l'efficacia deriva piuttosto dall'azione della Chiesa (ex opere
operantis Ecclesiæ) in quanto essa è santa ed opera sempre in intima
unione con il suo Capo.
A questo proposito, Venerabili Fratelli, desideriamo che voi rivolgiate
la vostra attenzione alle nuove teorie sulla «pietà oggettiva», le quali,
sforzandosi di mettere in evidenza il mistero del Corpo Mistico, la realtà
effettiva della grazia santificante e l'azione divina dei Sacramenti e del
Sacrificio eucaristico, vorrebbero trascurare o attenuare la «pietà
soggettiva» o personale.
Nelle celebrazioni liturgiche, e in particolare nell'augusto Sacrificio
dell'altare, si continua senza dubbio l'opera della nostra Redenzione e se
ne applicano i frutti. Cristo opera la nostra salvezza ogni giorno nei
Sacramenti e nel suo Sacrificio, e, per loro mezzo, continuamente purifica e
consacra a Dio il genere umano. Essi, dunque, hanno una virtù oggettiva con
la quale, di fatto, fanno partecipi le nostre anime della vita divina di
Gesù Cristo. Essi, dunque, hanno, non per nostra ma per divina virtù,
l’efficacia di collegare la pietà delle membra con la pietà del Capo, e di
renderla, in certo modo, un'azione di tutta la comunità. Da questi profondi
argomenti alcuni concludono che tutta la pietà cristiana deve incentrarsi
nel mistero del Corpo Mistico di Cristo, senza nessun riguardo personale e
soggettivo, e perciò ritengono che si debbano trascurare le altre pratiche
religiose non strettamente liturgiche e compiute al di fuori del culto
pubblico.
Tutti, però, possono rendersi conto che queste conclusioni circa le due
specie di pietà, sebbene i suesposti principî siano ottimi, sono del tutto
false, insidiose e dannosissime.
È vero che i Sacramenti e il Sacrificio dell'altare hanno una intrinseca
virtù in quanto sono azioni di Cristo stesso che comunica e diffonde la
grazia del Capo divino nelle membra del Corpo Mistico, ma, per aver la
debita efficacia, essi esigono le buone disposizioni dell'anima nostra.
Pertanto, a proposito della Eucaristia, S. Paolo ammonisce: «Ciascuno
esamini se stesso e così mangi di quel pane e beva del calice» (1
Cor. 11, 28). Perciò la Chiesa definisce brevemente e chiaramente tutti
gli esercizi con i quali l'anima nostra si purifica, specialmente durante la
Quaresima: «i presidi della milizia cristiana» (cfr. Missale Romanum,
Feria quarta delle Ceneri, Preghiera dopo l'imposizione delle Ceneri); sono
infatti l'azione delle membra che, con l'aiuto della grazia, vogliono
aderire al loro Capo perché «ci sia manifesta -per ripetere le parole di S.
Agostino - nel nostro Capo la fonte stessa della grazia» (De
prædestinatione Sanctorum, 31). Ma è da notarsi che queste membra sono
vive, fornite di ragione e volontà proprie, perciò è necessario che esse,
accostando le labbra alla fonte, prendano e assimilino l'alimento vitale e
rimuovano tutto ciò che può impedirne l'efficacia. Si deve dunque affermare
che l'opera della redenzione, in sé indipendente dalla nostra volontà,
richiede l'intimo sforzo dell'anima nostra perché possiamo conseguire
l'eterna salvezza.
Se la pietà privata e interna dei singoli trascurasse l'augusto
Sacrificio dell'altare e i Sacramenti e si sottraesse all'influsso salvifico
che emana dal Capo nelle membra, sarebbe senza dubbio riprovevole e sterile;
ma quando tutte le disposizioni interne e gli esercizi di pietà non
strettamente liturgici fissano lo sguardo dell'animo sugli atti umani
unicamente per indirizzarli al Padre che è nei cieli, per stimolare
salutarmente gli uomini alla penitenza e al timor di Dio e, strappatili
all'attrattiva del mondo e dei vizi, condurli felicemente per arduo cammino
al vertice della santità, allora sono non soltanto sommamente lodevoli, ma
necessari, perché scoprono i pericoli della vita spirituale, ci spronano
all'acquisto delle virtù e aumentano il fervore col quale dobbiamo dedicarci
tutti al servizio di Gesù Cristo.
L’azione divina e la cooperazione umana
La genuina pietà, che l'Angelico chiama «devozione» e che è l’atto
principale della virtù della religione col quale gli uomini si ordinano
rettamente, si orientano opportunamente verso Dio, e liberamente si dedicano
al culto (San Tommaso, Summa Theol., 2.a 2.æ, q. 82, a. 1), ha
bisogno della meditazione delle realtà soprannaturali e delle pratiche
spirituali perché si alimenti, stimoli e vigoreggi, e ci animi alla
perfezione. Poiché la religione cristiana debitamente praticata richiede
soprattutto che la volontà si consacri a Dio e influisca sulle altre facoltà
dell'anima. Ma ogni atto di volontà presuppone l'esercizio della
intelligenza, e, prima che si concepisca il desiderio e il proposito di
darsi a Dio per mezzo del sacrificio, è assolutamente necessaria la
conoscenza degli argomenti e dei motivi che impongono la religione, come,
per esempio, il fine ultimo dell'uomo e la grandezza della divina maestà, il
dovere della soggezione al Creatore, i tesori inesauribili dell'amore col
quale Egli ci vuole arricchire, la necessità della grazia per giungere alla
meta assegnataci, e la via particolare che la divina Provvidenza ci ha
preparata unendoci tutti come membra di un Corpo a Gesù Cristo Capo. E
poiché non sempre i motivi dell'amore fanno presa sull'anima agitata dalle
passioni, è molto opportuno che ci impressioni anche la salutare
considerazione della divina giustizia per ridurci alla cristiana umiltà,
alla penitenza ed alla emendazione.
Tutte queste considerazioni non devono essere una vuota ed astratta
reminiscenza, ma devono mirare effettivamente a sottomettere i nostri sensi
e le loro facoltà alla ragione illuminata dalla fede, a purificare l'anima
che si unisca ogni giorno più intimamente a Cristo e sempre più si conformi
a Lui e da Lui attinga l'ispirazione e la forza divina di cui ha bisogno, e
ad essere agli uomini stimolo sempre più efficace al bene, alla fedeltà al
proprio dovere, alla pratica della religione, al fervente esercizio della
virtù secondo l'insegnamento: «voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1
Cor. 3, 23). Tutto, dunque, sia organico e teocentrico, se vogliamo
davvero che tutto sia indirizzato alla gloria di Dio per la vita e la virtù
che ci viene dal nostro Capo divino: «avendo, dunque, fiducia di entrare nel
Santo dei Santi, per il Sangue di Cristo, per la via nuova e vivente che
Egli inaugurò per noi attraverso il velo, cioè attraverso la sua carne, e
avendo un gran sacerdote preposto alla casa di Dio, accostiamoci con cuore
sincero, con pienezza di fede, purgato il cuore da coscienza di colpa e
lavato il corpo con acqua monda, attacchiamoci incrollabilmente alla
professione della nostra speranza . . . e stiamo attenti gli uni agli altri
per stimolarci alla carità e alle opere buone» (Heb. 10, 19-24).
Da ciò deriva l'armonioso equilibrio delle membra del Corpo Mistico di
Gesù Cristo. Con l'insegnamento della fede cattolica, con l’esortazione alla
osservanza dei cristiani precetti, la Chiesa prepara la via alla sua azione
propriamente sacerdotale e santificatrice; ci dispone ad una più intima
contemplazione della vita del Divino Redentore e ci conduce ad una più
profonda conoscenza dei misteri della fede, perché ne ricaviamo
soprannaturale alimento e forza per un sicuro progresso nella vita perfetta,
per mezzo di Gesù Cristo. Non soltanto per opera dei suoi ministri, ma anche
per quella dei singoli fedeli in tal modo imbevuti dello Spirito di Gesù
Cristo, la Chiesa si sforza di compenetrare di questo stesso spirito la vita
e l’attività privata, coniugale, sociale e perfino economica e politica
degli uomini perché tutti coloro che si chiamano figli di Dio possano più
facilmente conseguire il loro fine.
In questa maniera l'azione privata e lo sforzo ascetico diretto alla
purificazione dell'anima stimolano le energie dei fedeli, e li dispongono a
partecipare con migliori disposizioni all'augusto Sacrificio dell’altare, a
ricevere i Sacramenti con frutto maggiore, ed a celebrare i sacri riti in
modo da uscirne più animati e formati alla preghiera ed alla cristiana
abnegazione, a cooperare attivamente alle ispirazioni ed agli inviti della
grazia e ad imitare ogni giorno di più le virtù del Redentore, non soltanto
per il loro proprio vantaggio, ma anche per quello di tutto il corpo della
Chiesa, nel quale tutto il bene che si compie proviene dalla virtù del Capo
e ridonda a beneficio delle membra.
Perciò nella vita spirituale nessuna opposizione o ripugnanza può esservi
tra l'azione divina, che infonde la grazia nelle anime per continuare la
nostra redenzione, e l'operosa collaborazione dell'uomo, che non deve render
vano il dono di Dio (2 Cor. 6, 1); tra l’efficacia del rito
esterno dei Sacramenti che proviene dall’intrinseco valore di esso (ex opere
operato) e il merito di chi li amministra o li riceve (opus operantis);
tra le orazioni private e le preghiere pubbliche; fra l'etica e la
contemplazione; fra la vita ascetica e la pietà liturgica; fra il potere di
giurisdizione e di legittimo magistero, e la potestà eminentemente
sacerdotale che si esercita nello stesso sacro ministero (cfr. CJC, cann.
125, 126, 565, 571, 595, 1367).
Per gravi motivi la Chiesa prescrive ai ministri dell'altare e ai
religiosi che, nei tempi stabiliti, attendano alla pia meditazione, al
diligente esame ed emendamento della coscienza, e agli altri spirituali
esercizi, poiché essi sono in modo particolare destinati a compiere le
funzioni liturgiche del Sacrificio e della lode divina. Senza dubbio la
preghiera liturgica, essendo pubblica supplica della inclita Sposa di Gesù
Cristo, ha una dignità maggiore di quella delle preghiere private; ma questa
superiorità non vuol dire che fra questi due generi di preghiera ci sia
contrasto od opposizione. Tutt'e due si fondono e si armonizzano perché
animate da un unico spirito: «tutto e in tutti Cristo» (Col. 3, 11),
e tendono allo stesso scopo: finché il Cristo non sia formato in noi (Gal.
4, 19).
Culto e Gerarchia
Per meglio comprendere, poi, la sacra Liturgia, è necessario considerare
un altro suo importante carattere. La Chiesa è una società, ed esige,
perciò, una sua propria autorità e gerarchia. Se tutte le membra del Corpo
Mistico partecipano ai medesimi beni e tendono ai medesimi fini, non tutte
godono dello stesso potere e sono abilitate a compiere le medesime azioni.
Il Divin Redentore ha, difatti, stabilito il suo Regno sulle fondamenta
dell'Ordine sacro, che è un riflesso della celeste Gerarchia. Ai soli
Apostoli ed a coloro che, dopo di essi, hanno ricevuto dai loro successori
l'imposizione delle mani, è conferita la potestà sacerdotale, in virtù della
quale, come rappresentano davanti al popolo loro affidato la persona di Gesù
Cristo, così rappresentano il popolo davanti a Dio. Questo sacerdozio non
viene trasmesso né per eredità né per discendenza carnale, né risulta per
emanazione della comunità cristiana o per deputazione popolare. Prima di
rappresentare il popolo presso Dio, il sacerdote rappresenta il divin
Redentore, e perché Gesù Cristo è il Capo di quel corpo di cui i cristiani
sono membra, egli rappresenta Dio presso il suo popolo. La potestà
conferitagli, dunque, non ha nulla di umano nella sua natura; è
soprannaturale e viene da Dio: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando
voi . . . (Joh. 20, 21), chi ascolta voi, ascolta me . . . (Luc.
10, 16), andando in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura;
chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo» (Marc. 16, 15-16). Perciò
il sacerdozio esterno e visibile di Gesù Cristo si trasmette nella Chiesa
non in modo universale, generico e indeterminato, ma è conferito a individui
eletti, con la generazione spirituale dell'Ordine, uno dei sette Sacramenti,
il quale non solo conferisce una grazia particolare, propria di questo stato
e di questo ufficio, ma anche un carattere indelebile, che configura i sacri
ministri a Gesù Cristo sacerdote, dimostrandoli adatti a compiere quei
legittimi atti di religione con i quali gli uomini sono santificati e Dio è
glorificato, secondo le esigenze dell'economia soprannaturale.
Difatti, come il lavacro del Battesimo distingue i cristiani e li separa
dagli altri che non sono stati lavati nell'onda purificatrice e non sono
membra di Cristo, così il Sacramento dell'Ordine distingue i sacerdoti da
tutti gli altri cristiani non consacrati, perché essi soltanto, per
vocazione soprannaturale, sono stati introdotti all'augusto ministero che li
destina ai sacri altari e li costituisce divini strumenti per mezzo dei
quali si partecipa alla vita soprannaturale col Mistico Corpo di Gesù
Cristo. Inoltre, come abbiamo già detto, essi soltanto sono segnati col
carattere indelebile che li configura al sacerdozio di Cristo, e le loro
mani soltanto sono consacrate «perché sia benedetto tutto ciò che
benedicono, e tutto ciò che consacrano sia consacrato e santificato in nome
del Signor Nostro Gesù Cristo». Ai sacerdoti, dunque, deve ricorrere
chiunque vuol vivere in Cristo, perché da essi riceva il conforto e
l'alimento della vita spirituale, il farmaco salutare che lo sanerà e lo
rinvigorirà, perché possa felicemente risorgere dalla perdizione e dalla
rovina dei vizi; da essi, infine, riceverà la benedizione che consacra la
famiglia, e da essi l'ultimo anelito della vita mortale sarà diretto
all'ingresso nella beatitudine eterna.
Poiché, dunque, la sacra Liturgia è compiuta soprattutto dai sacerdoti in
nome della Chiesa, la sua organizzazione, il suo regolamento e la sua forma
non possono che dipendere dall'autorità della Chiesa. Questa è non soltanto
una conseguenza della natura stessa del culto cristiano, ma è anche
confermata dalle testimonianze della storia.
Liturgia e dogma
Questo inconcusso diritto della Gerarchia Ecclesiastica è provato anche
dal fatto che la sacra Liturgia ha strette attinenze con quei principi
dottrinali che la Chiesa propone come facenti parte di certissime verità, e
perciò deve conformarsi ai dettami della fede cattolica proclamati
dall'autorità del supremo Magistero per tutelare la integrità della
religione rivelata da Dio.
A questo proposito, Venerabili Fratelli, riteniamo di porre nella sua
giusta luce una cosa che pensiamo non esservi ignota: l'errore, cioè, di
coloro i quali pretesero che la sacra Liturgia fosse quasi un esperimento
del dogma, in quanto che se una di queste verità avesse, attraverso i riti
della sacra Liturgia, portato frutti di pietà e di santità, la Chiesa
avrebbe dovuto approvarla, diversamente l'avrebbe ripudiata. Donde quel
principio: La legge della preghiera è legge della fede (Lex orandi, lex
credendi).
Non è, però, così che insegna e comanda la Chiesa. Il culto che essa
rende a Dio è, come brevemente e chiaramente dice S. Agostino, una continua
professione di fede cattolica e un esercizio della speranza e della carità:
«Dio si deve onorare con la fede, la speranza e la carità». Nella sacra
Liturgia facciamo esplicita professione di fede non soltanto con la
celebrazione dei divini misteri, con il compimento del Sacrificio e
l'amministrazione dei Sacramenti, ma anche recitando e cantando il Simbolo
della fede, che è come il distintivo e la tessera dei cristiani, con la
lettura di altri documenti e delle Sacre Lettere scritte per ispirazione
dello Spirito Santo. Tutta la Liturgia ha, dunque, un contenuto di fede
cattolica, in quanto attesta pubblicamente la fede della Chiesa.
Per questo motivo, sempre che si è trattato di definire un dogma, i Sommi
Pontefici e i Concili, attingendo ai cosiddetti «Fonti teologici», non di
rado hanno desunto argomenti anche da questa sacra disciplina; come fece,
per esempio, il Nostro Predecessore di immortale memoria Pio IX quando
definì l’Immacolata Concezione di Maria Vergine. Allo stesso modo, anche la
Chiesa e i Santi Padri, quando si discuteva di una verità controversa o
messa in dubbio, non hanno mancato di chiedere luce anche ai riti venerabili
trasmessi dall'antichità. Così si ha la nota e veneranda sentenza: «La legge
della preghiera stabilisca la legge della fede» (Legem credendi lex
statuat supplicandi). La Liturgia, dunque, non determina né costituisce
il senso assoluto e per virtù propria la fede cattolica, ma piuttosto,
essendo anche una professione delle celesti verità, professione sottoposta
al Supremo Magistero della Chiesa, può fornire argomenti e testimonianze di
non poco valore per chiarire un punto particolare della dottrina cristiana.
Che se vogliamo distinguere e determinare in modo generale ed assoluto le
relazioni che intercorrono tra fede e Liturgia, si può affermare con ragione
che «la legge della fede deve stabilire la legge della preghiera». Lo stesso
deve dirsi anche quando si tratta delle altre virtù teologiche: «Nella . . .
fede, nella speranza e nella carità preghiamo sempre con desiderio
continuo».
Progresso e sviluppo della Liturgia
La Gerarchia Ecclesiastica ha sempre usato di questo suo diritto in
materia liturgica allestendo e ordinando il culto divino e arricchendolo di
sempre nuovo splendore e decoro a gloria di Dio e per il vantaggio dei
fedeli. Non dubitò, inoltre - salva la sostanza del Sacrificio Eucaristico e
dei Sacramenti - mutare ciò che non riteneva adatto, aggiungere ciò che
meglio sembrava contribuire all'onore di Gesù Cristo e della Trinità augusta
alla istruzione e a stimolo salutare del popolo cristiano.
La sacra Liturgia, difatti, consta di elementi umani e di elementi
divini: questi, essendo stati istituiti dal Divin Redentore, non possono,
evidentemente, esser mutati dagli uomini; quelli, invece, possono subire
varie modifiche, approvate dalla sacra Gerarchia assistita dallo Spirito
Santo, secondo le esigenze dei tempi, delle cose e delle anime. Da qui nasce
la stupenda varietà dei riti orientali ed occidentali; da qui lo sviluppo
progressivo di particolari consuetudini religiose e pratiche di pietà
inizialmente appena accennate; di qui viene che talvolta sono richiamate
nell'uso e rinnovate pie istituzioni obliterate dal tempo. Tutto ciò
testimonia la vita della intemerata Sposa di Gesù Cristo durante tanti
secoli; esprime il linguaggio da essa usato per manifestare al suo Sposo
divino la fede e l'amore inesausto suo e delle genti ad essa affidate;
dimostra la sua sapiente pedagogia per stimolare e incrementare nei credenti
il «senso di Cristo».
Non poche, in verità, sono le cause per le quali si spiega e si evolve il
progresso della sacra Liturgia durante la lunga e gloriosa storia della
Chiesa. Così, per esempio, una più certa ed ampia formulazione della
dottrina cattolica sulla incarnazione del Verbo di Dio, sul Sacramento e sul
Sacrificio Eucaristico, sulla Vergine Maria Madre di Dio, ha contribuito
all'adozione di nuovi riti per mezzo dei quali la luce più splendidamente
brillata nella dichiarazione del magistero ecclesiastico, si rifletteva
meglio e più chiaramente nelle azioni liturgiche, per giungere con maggiore
facilità alla mente e al cuore del popolo cristiano.
L'ulteriore sviluppo della disciplina ecclesiastica nell'amministrazione
dei Sacramenti, per esempio del Sacramento della Penitenza, l'istituzione e
poi la scomparsa del catecumenato, la Comunione Eucaristica sotto una sola
specie nella Chiesa Latina, ha contribuito non poco alla modificazione degli
antichi riti ed alla graduale adozione di nuovi e più confacenti alle mutate
disposizioni disciplinari.
A questa evoluzione e a questi mutamenti contribuirono notevolmente le
iniziative e le pratiche pie non strettamente connesse con la sacra
Liturgia, nate nelle epoche successive per mirabile disposizione di Dio e
così diffuse nel popolo: come, per esempio, il culto più esteso e più
fervido della divina Eucaristia, della passione acerbissima del nostro
Redentore, del sacratissimo Cuore di Gesù, della Vergine Madre di Dio e del
suo purissimo Sposo.
Tra le circostanze esteriori ebbero la loro parte i pubblici
pellegrinaggi di devozione ai sepolcri dei martiri, l'osservanza di
particolari digiuni istituiti allo stesso fine, le processioni stazionali di
penitenza che si celebravano in questa alma Città e alle quali non di rado
interveniva anche il Sommo Pontefice.
È pure facilmente comprensibile come il progresso delle belle arti, in
special modo dell'architettura, della pittura e della musica, abbiano
influito non poco sul determinarsi e il vario conformarsi degli elementi
esteriori della sacra Liturgia.
La sola autorità competente
Del medesimo suo diritto in materia liturgica si è servita la Chiesa per
tutelare la santità del culto contro gli abusi temerariamente introdotti dai
privati e dalle chiese particolari. Così accadde che, moltiplicandosi usi e
consuetudini di questo genere durante il secolo XVI, e mettendo le
iniziative private in pericolo l'integrità della fede e della pietà con
grande vantaggio degli eretici e a propaganda del loro errore, il Nostro
Predecessore di immortale memoria Sisto V, per difendere i legittimi riti
della Chiesa e impedire le infiltrazioni spurie, istituì nel 1588 la
Congregazione dei riti, organo cui tuttora compete di ordinare e prescrivere
con vigile cura tutto ciò che riguarda la sacra Liturgia.
Perciò il solo Sommo Pontefice ha il diritto di riconoscere e stabilire
qualsiasi prassi di culto, di introdurre e approvare nuovi riti e di mutare
quelli che giudica doversi mutare; i Vescovi, poi, hanno il diritto e il
dovere di vigilare diligentemente perché le prescrizioni dei sacri canoni
relative al culto divino siano puntualmente osservate. Non è possibile
lasciare all'arbitrio dei privati, siano pure essi membri del Clero, le cose
sante e venerande che riguardano la vita religiosa della comunità cristiana,
l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo e il culto divino, l'onore che si
deve alla SS. Trinità, al Verbo Incarnato, alla sua augusta Madre c agli
altri Santi, e la salvezza degli uomini; per lo stesso motivo a nessuno è
permesso di regolare in questo campo azioni esterne che hanno un intimo
nesso con la disciplina ecclesiastica, con l'ordine, l’unità e la concordia
del Corpo Mistico, e non di rado con la stessa integrità della fede
cattolica.
Innovazioni temerarie
Certo, la Chiesa è un organismo vivente, e perciò, anche per quel che
riguarda la sacra Liturgia, ferma restando l'integrità del suo insegnamento,
cresce e si sviluppa, adattandosi e conformandosi alle circostanze ed alle
esigenze che si verificano nel corso del tempo; tuttavia è severamente da
riprovarsi il temerario ardimento di coloro che di proposito introducono
nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere riti già caduti in disuso e
che non concordano con le leggi e le rubriche vigenti. Così, non senza
grande dolore, sappiamo che accade non soltanto in cose di poca, ma anche di
gravissima importanza; non manca,difatti, chi usa la lingua volgare nella
celebrazione del Sacrificio Eucaristico, chi trasferisce ad altri tempi
feste fissate già per ponderate ragioni; chi esclude dai legittimi libri
della preghiera pubblica gli scritti del Vecchio Testamento, reputandoli
poco adatti ed opportuni per i nostri tempi.
L'uso della lingua latina come vige nella gran parte della Chiesa, è un
chiaro e nobile segno di unità e un efficace antidoto ad ogni corruttela
della pura dottrina. In molti riti, peraltro, l'uso della lingua volgare può
essere assai utile per il popolo, ma soltanto la Sede Apostolica ha il
potere di concederlo, e perciò in questo campo nulla è lecito fare senza il
suo giudizio e la sua approvazione, perché, come abbiamo detto,
l'ordinamento della sacra Liturgia è di sua esclusiva competenza.
Allo stesso modo si devono giudicare gli sforzi di alcuni per
ripristinare certi antichi riti e Cerimonie. La Liturgia dell'epoca antica è
senza dubbio degna di venerazione, ma un antico uso non è, a motivo soltanto
della sua antichità, il migliore sia in se stesso sia in relazione ai tempi
posteriori ed alle nuove condizioni verificatesi. Anche i riti liturgici più
recenti sono rispettabili, poiché sono sorti per influsso dello Spirito
Santo che è con la Chiesa fino alla consumazione dei secoli, e sono mezzi
dei quali l'inclita Sposa di Gesù Cristo si serve per stimolare e procurare
la santità degli uomini.
È certamente cosa saggia e lodevolissima risalire con la mente e con
l'anima alle fonti della sacra Liturgia, perché il suo studio, riportandosi
alle origini, aiuta non poco a comprendere il significato delle feste e a
indagare con maggiore profondità e accuratezza il senso delle cerimonie; ma
non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni
modo all'antico. Così, per fare un esempio, è fuori strada chi vuole
restituire all'altare l'antica forma di mensa; chi vuole eliminare dai
paramenti liturgici il colore nero; chi vuole escludere dai templi le
immagini e le statue sacre; chi vuole cancellare nella raffigurazione del
Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti; chi ripudia e
riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla
Santa Sede.
Come, difatti, nessun cattolico di senso può rifiutare le formulazioni
della dottrina cristiana composte e decretate con grande vantaggio in epoca
più recente dalla Chiesa, ispirata e retta dallo Spirito Santo, per
ritornare alle antiche formule dei primi Concili, o può ripudiare le leggi
vigenti per ritornare alle prescrizioni delle antiche fonti del Diritto
Canonico, così, quando si tratta della sacra Liturgia, non sarebbe animato
da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi
riti ed usi ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della
Divina Provvidenza e per le mutate circostanze. Questo modo di pensare e di
agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato
dall’illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i
molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono
con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del
«deposito della fede» affidatole dal suo Divino Fondatore, a buon diritto
condannò. Siffatti deplorevoli propositi ed iniziative tendono a paralizzare
l'azione santificatrice con la quale la sacra Liturgia indirizza
salutarmente al Padre celeste i figli di adozione.
Tutto, dunque, sia fatto nella necessaria unione con la Gerarchia
ecclesiastica. Nessuno si arroghi il diritto di essere legge a se stesso e
di imporla agli altri di sua volontà. Soltanto il Sommo Pontefice, in
qualità di successore di Pietro al quale il Divin Redentore affidò il gregge
universale, ed insieme i Vescovi che, sotto la dipendenza della Sede
Apostolica, «lo Spirito Santo pose . . . a reggere la Chiesa di Dio», hanno
il diritto e il dovere di governare il popolo cristiano. Perciò, Venerabili
Fratelli, ogni qual volta voi tutelate la vostra autorità all'occorrenza
anche con severità salutare, non soltanto adempite il vostro dovere, ma
difendete la volontà stessa del Fondatore della Chiesa.
Parte II.
Il Culto Eucaristico
Il mistero della Santissima Eucaristia, istituita dal Sommo Sacerdote
Gesù Cristo e rinnovata in perpetuo per sua volontà dai suoi ministri, è
come la somma e il centro della religione cristiana. Trattandosi del culmine
della sacra Liturgia, riteniamo opportuno, Venerabili Fratelli, indugiare
alquanto e richiamare la vostra attenzione su questo gravissimo argomento.
Il Sacrifizio Eucaristico
Cristo Signore, «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec»
che, «avendo amato i suoi che erano nel mondo», «nell'ultima cena, nella
notte in cui veniva tradito, per lasciare alla Chiesa sua sposa diletta un
sacrificio visibile - come lo esige la natura degli uomini - che
rappresentasse il sacrificio cruento, che una volta tanto doveva compiersi
sulla Croce, e perché il suo ricordo restasse fino alla fine dei secoli, e
ne venisse applicata la salutare virtù in remissione dei nostri quotidiani
peccati, . . . offrì a Dio Padre il suo Corpo e il suo Sangue sotto le
specie del pane e del vino e ne diede agli Apostoli allora costituiti
sacerdoti del Nuovo Testamento, perché sotto le stesse specie lo
ricevessero, mentre ordinò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio, di
offrirlo».
L'augusto Sacrificio dell'altare non è, dunque, una pura e semplice
commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio
sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò
che fece una volta sulla Croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima
graditissima. «Una . . . e identica è la vittima; egli medesimo, che adesso
offre per ministero dei sacerdoti, si offrì allora sulla Croce; è diverso
soltanto il modo di fare l'offerta».
Identico, quindi, è il sacerdote, Gesù Cristo, la cui sacra persona è
rappresentata dal suo ministro. Questi, per la consacrazione sacerdotale
ricevuta, assomiglia al Sommo Sacerdote, ed ha il potere di agire in virtù e
nella persona di Cristo stesso; perciò, con la sua azione sacerdotale, in
certo modo «presta a Cristo la sua lingua, gli offre la sua mano».
Parimenti identica è la vittima, cioè il Divin Redentore, secondo la sua
umana natura e nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue. Differente,
però, è il modo col quale Cristo è offerto. Sulla Croce, difatti, Egli offrì
a Dio tutto se stesso e le sue sofferenze, e l'immolazione della vittima fu
compiuta per mezzo di una morte cruenta liberamente subita; sull'altare,
invece, a causa dello stato glorioso della sua umana natura, «la morte non
ha più dominio su di Lui» e quindi non è possibile l'effusione del sangue;
ma la divina sapienza ha trovato il modo mirabile di rendere manifesto il
sacrificio del nostro Redentore con segni esteriori che sono simboli di
morte. Giacché, per mezzo della transustanziazione del pane in corpo e del
vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il suo corpo, così
si ha il suo sangue; le specie eucaristiche poi, sotto le quali è presente,
simboleggiano la cruenta separazione del corpo e del sangue. Così il
memoriale della sua morte reale sul Calvario si ripete in ogni sacrificio
dell'altare, perché per mezzo di simboli distinti si significa e dimostra
che Gesù Cristo è in stato di vittima.
Identici, finalmente, sono i fini, di cui il primo è la glorificazione di
Dio. Dalla nascita alla morte, Gesù Cristo fu divorato dallo zelo della
gloria divina, e, dalla Croce, l'offerta del sangue arrivò al cielo in odore
di soavità. E perché questo inno non abbia mai a cessare, nel Sacrificio
Eucaristico le membra si uniscono al loro Capo divino e con Lui, con gli
Angeli e gli Arcangeli, cantano a Dio lodi perenni, dando al Padre
onnipotente ogni onore e gloria.
Il secondo fine è il ringraziamento a Dio. Il Divino Redentore soltanto,
come Figlio di predilezione dell'Eterno Padre di cui conosceva l'immenso
amore, poté innalzarGli un degno inno di ringraziamento. A questo mirò e
questo volle «rendendo grazie», nell'ultima cena, e non cessò di farlo sulla
Croce, non cessa di farlo nell'augusto Sacrificio dell'altare, il cui
significato è appunto l'azione di grazie o eucaristica, e ciò perché è «cosa
veramente degna e giusta, equa e salutare».
Il terzo fine è l'espiazione e la propiziazione. Certamente nessuno al di
fuori di Cristo poteva dare a Dio Onnipotente adeguata soddisfazione per le
colpe del genere umano; Egli, quindi, volle immolarsi in Croce
«propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche
per quelli di tutto il mondo». Sugli altari si offre egualmente ogni giorno
per la nostra redenzione, affinché, liberati dalla eterna dannazione, siamo
accolti nel gregge degli eletti. E questo non soltanto per noi che siamo in
questa vita mortale, ma anche «per tutti coloro che riposano in Cristo, che
ci hanno preceduto col segno della fede e dormono il sonno della pace»;
poiché sia che viviamo, sia che moriamo, «non ci separiamo dall'unico
Cristo».
Il quarto fine è l'impetrazione. Figlio prodigo, l'uomo ha male speso e
dissipato tutti i beni ricevuti dal Padre celeste, perciò è ridotto in somma
miseria e squallore; dalla Croce, però, Cristo «avendo a gran voce e con
lacrime offerto preghiere e suppliche . . . è stato esaudito per la sua
pietà», e sui sacri altari esercita la stessa efficace mediazione affinché
siamo colmati d'ogni benedizione e grazia. Si comprende pertanto facilmente
perché il sacrosanto Concilio di Trento affermi che col Sacrificio
Eucaristico ci viene applicata la salutare virtù della Croce per la
remissione dei nostri quotidiani peccati.
L'Apostolo delle genti, poi, proclamando la sovrabbondante pienezza e
perfezione del Sacrificio della Croce, ha dichiarato che Cristo con una sola
oblazione rese perfetti in perpetuo i santificati. I meriti di questo
Sacrificio, difatti, infiniti ed immensi, non hanno confini: si estendono
alla universalità degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, perché, in
esso, sacerdote e vittima è il Dio Uomo; perché la sua immolazione come la
sua obbedienza alla volontà dell'Eterno Padre fu perfettissima, e perché
Egli ha voluto morire come Capo del genere umano: «Considera come fu
trattato il nostro riscatto: Cristo pende dal legno: vedi a qual prezzo
comprò . . .; versò il suo sangue, comprò col suo sangue, col sangue
dell'Agnello immacolato, col sangue dell'unico Figlio di Dio . . . Chi
compra è Cristo, il prezzo è il sangue, il possesso è tutto il mondo».
L'efficacia del Sacrifizio
Questo riscatto, però, non ebbe subito il suo pieno effetto: è necessario
che Cristo, dopo aver riscattato il mondo col carissimo prezzo di se stesso,
entri nel reale ed effettivo possesso delle anime. Quindi, affinché, col
gradimento di Dio, si compia per tutti gli individui e per tutte le
generazioni fino alla fine dei secoli, la loro redenzione e salvezza, è
assolutamente necessario che ognuno venga a contatto vitale col Sacrificio
della Croce, e così i meriti che da esso derivano siano loro trasmessi ed
applicati. Si può dire che Cristo ha costruito sul Calvario una piscina di
purificazione e di salvezza che riempì col sangue da Lui versato; ma se gli
uomini non si immergono nelle sue onde e non vi lavano le macchie delle loro
iniquità, non possono certamente essere purificati e salvati.
Affinché, quindi, i singoli peccatori si mondino nel sangue dell'Agnello,
è necessaria la collaborazione dei fedeli. Sebbene Cristo, parlando in
generale, abbia riconciliato col Padre per mezzo della sua morte cruenta
tutto il genere umano, volle tuttavia che tutti si accostassero e fossero
condotti alla Croce per mezzo dei Sacramenti e per mezzo del Sacrificio
dell’Eucaristia, per poter conseguire i frutti salutari da Lui guadagnati
sulla Croce. Con questa attuale e personale partecipazione, siccome le
membra si configurano ogni giorno più al loro Capo divino, così anche la
salute che viene dal Capo fluisce nelle membra, in modo che ognuno di noi
può ripetere le parole di San Paolo: «Sono confitto con Cristo in Croce e
vivo non già io, ma vive in me Cristo». Come, difatti, in altra occasione
abbiamo di proposito e concisamente detto, Gesù Cristo «mentre moriva sulla
Croce, donò, alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione da parte di essa,
l'immenso tesoro della redenzione; quando invece si tratta di distribuire
tale tesoro, egli non solo partecipa con la sua Sposa incontaminata
quest'opera di santificazione, ma vuole che tale attività scaturisca in
qualche modo anche dall'azione di lei».
L'augusto Sacrificio dell'altare è un insigne strumento per la
distribuzione ai credenti dei meriti derivati dalla Croce del Divin
Redentore: «ogni volta che viene offerto questo Sacrificio, si compie
l'opera della nostra Redenzione». Esso, però, anziché diminuire la dignità
del Sacrificio cruento, ne fa risaltare, come afferma il Concilio di Trento,
la grandezza, proclama la necessità. Rinnovato ogni giorno, ci ammonisce che
non c'è salvezza al di fuori della Croce del Signore nostro Gesù Cristo (e);
che Dio vuole la continuazione di questo Sacrificio «dal sorgere al
tramontare del sole» (f) perché non cessi mai l'inno di glorificazione e di
ringraziamento che gli uomini debbono al Creatore dal momento che hanno
bisogno del suo continuo aiuto e del sangue del Redentore per cancellare i
peccati che offendono la sua giustizia.
La partecipazione dei fedeli
È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino
loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico
non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e
fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice
l'Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
offrendo con Lui e per Lui, santificandosi con Lui».
È ben vero che Gesù Cristo è sacerdote, ma non per se stesso, bensì per
noi, presentando all'Eterno Padre i voti e i religiosi sensi di tutto il
genere umano; Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all'uomo peccatore;
ora il detto dell'Apostolo: «abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono
in Cristo Gesù» esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è
in potere dell'uomo, lo stesso stato d'animo che aveva il Divin Redentore
quando faceva il Sacrificio di sé: l'umile sottomissione dello spirito,
cioè, l'adorazione, l'onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà
di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della
vittima: l'abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e
spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l'espiazione dei propri
peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo,
in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce».
È necessario, Venerabili Fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge
come il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non
significa tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali.
Vi sono difatti, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori
già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un
sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù
agli Apostoli nell'ultima cena di fare ciò che Egli aveva fatto, si
riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani, e, soltanto in
seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico. Sostengono, perciò, che
solo il popolo gode di una vera potestà sacerdotale, mentre il sacerdote
agisce unicamente per ufficio concessogli dalla comunità. Essi ritengono, in
conseguenza, che il Sacrificio Eucaristico è una vera e propria
«concelebrazione» e che è meglio che i sacerdoti «concelebrino» insieme col
popolo presente piuttosto che, nell'assenza di esso, offrano privatamente il
Sacrificio.
È inutile spiegare quanto questi capziosi errori siano in contrasto con
le verità più sopra dimostrate, quando abbiamo parlato del posto che compete
al sacerdote nel Corpo Mistico di Gesù. Ricordiamo solamente che il
sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di Nostro
Signore Gesù Cristo in quanto Egli è Capo di tutte le membra ed offrì se
stesso per esse: perciò va all'altare come ministro di Cristo, a Lui
inferiore, ma superiore al popolo. Il popolo invece, non rappresentando per
nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e
Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali.
La partecipazione all'oblazione
Tutto ciò consta di fede certa; ma si deve inoltre affermare che anche i
fedeli offrono la vittima divina, sotto un diverso aspetto.
Lo dichiararono apertamente già alcuni Nostri Predecessori e Dottori
della Chiesa. «Non soltanto - così Innocenzo III di immortale memoria -
offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli: poiché ciò che in particolare
si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei
fedeli». E Ci piace citare almeno uno dei molti testi di San Roberto
Bellarmino a questo proposito: «il Sacrificio - egli dice - è offerto
principalmente in persona di Cristo. Perciò l'oblazione che segue alla
consacrazione attesta che tutta la Chiesa consente nella oblazione fatta da
Cristo e offre insieme con Lui».
Con non minore chiarezza i riti e le preghiere del Sacrificio Eucaristico
significano e dimostrano che l'oblazione della vittima è fatta dai sacerdoti
in unione con il popolo. Infatti, non soltanto il sacro ministro, dopo
l'offerta del pane e del vino, rivolto al popolo, dice esplicitamente:
«Pregate, o fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia accetto
presso Dio Padre Onnipotente», ma le preghiere con le quali viene offerta la
vittima divina vengono, per lo più, dette al plurale, e in esse spesso si
indica che anche il popolo prende parte come offerente a questo augusto
Sacrificio. Si dice, per esempio: «per i quali noi ti offriamo e ti offrono
anch'essi […] perciò ti preghiamo, o Signore, di accettare placato questa
offerta dei tuoi servi di tutta la tua famiglia. […] Noi tuoi servi, come
anche il tuo popolo santo, offriamo alla eccelsa tua Maestà le cose che Tu
stesso ci hai donato e date, l'Ostia pura, l'Ostia santa, l'Ostia
immacolata».
Né fa meraviglia che i fedeli siano elevati a una simile dignità. Col
lavacro del Battesimo, difatti, i cristiani diventano, a titolo comune,
membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del «carattere»
che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando,
così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo.
Nella Chiesa cattolica, la ragione umana illuminata dalla fede si è
sempre sforzata di avere una maggiore conoscenza possibile delle cose
divine; perciò è naturale che anche il popolo cristiano domandi piamente in
che senso venga detto nel Canone del Sacrificio Eucaristico che lo offre
anch'esso. Per soddisfare a questo pio desiderio, Ci piace trattare qui
l'argomento con concisione e chiarezza.
Ci sono, innanzi tutto, ragioni piuttosto remote: spesso, cioè, avviene
che i fedeli, assistendo ai sacri riti, uniscono alternativamente le loro
preghiere alle preghiere del sacerdote; qualche volta, poi, accade parimenti
- in antico ciò si verificava con maggiore frequenza - che offrano al
ministro dell’altare il pane e il vino perché divengano corpo e sangue di
Cristo; e, infine, perché, con le elemosine, fanno in modo che il sacerdote
offra per essi la vittima divina.
Ma c'è anche una ragione più profonda perché si possa dire che tutti i
cristiani, e specialmente quelli che assistono all'altare, compiono
l'offerta.
Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo
argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine
«offerta». L'immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono
state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente
sull'altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto
rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei
fedeli. Ponendo però, sull'altare la vittima divina, il sacerdote la
presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per
il bene di tutte le anime. A quest’oblazione propriamente detta i fedeli
partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo; perché, cioè,
essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in
certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche
l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico.
Che i fedeli offrano il Sacrificio per mezzo del sacerdote è chiaro dal
fatto che il ministro dell'altare agisce in persona di Cristo in quanto
Capo, che offre a nome di tutte le membra; per cui a buon diritto si dice
che tutta la Chiesa, per mezzo di Cristo, compie l'oblazione della vittima.
Quando, poi, si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si
afferma che le membra della Chiesa, non altrimenti che il sacerdote stesso,
compiono il rito liturgico visibile - il che appartiene al solo ministro da
Dio a ciò deputato - ma che unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di
espiazione e il suo ringraziamento alla intenzione del sacerdote, anzi dello
stesso Sommo Sacerdote, acciocché vengano presentate a Dio Padre nella
stessa oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote. È
necessario, difatti, che il rito esterno del Sacrificio manifesti per natura
sua il culto interno: ora, il Sacrificio della Nuova Legge significa
quell'ossequio sapremo col quale lo stesso principale offerente, che è
Cristo, e con Lui e per Lui tutte le sue mistiche membra, onorano
debitamente Dio.
Con grande gioia dell'anima siamo stati informati che questa dottrina,
specialmente negli ultimi tempi, per l'intenso studio della disciplina
liturgica da parte di molti, è stata posta nella sua luce: ma non possiamo
fare a meno di deplorare vivamente le esagerazioni e i travisamenti della
verità che non concordano con i genuini precetti della Chiesa.
Alcuni, difatti, riprovano del tutto le Messe che si celebrano in privato
e senza l'assistenza del popolo, quasi che deviino dalla forma primitiva del
sacrificio; né manca chi afferma che i sacerdoti non possono offrire la
vittima divina nello stesso tempo su parecchi altari, perché in questo modo
dissociano la comunità e ne mettono in pericolo l'unità: così non mancano di
quelli che arrivano fino al punto di credere necessaria la conferma e la
ratifica del Sacrificio da parte del popolo perché possa avere la sua forza
ed efficacia.
Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del
Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che
fece il Divin Redentore nell'ultima cena, il sacrificio è realmente
consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua
intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l'offerente
agisce a nome di Cristo e dei cristiani, dei quali il Divin Redentore è
Capo, e l'offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i
defunti. E ciò si verifica certamente sia che vi assistano i fedeli - che
Noi desideriamo e raccomandiamo che siano presenti numerosissimi e
ferventissimi - sia che non vi assistano, non essendo in nessun modo
richiesto che il popolo ratifichi ciò che fa il sacro ministro.
Sebbene, dunque, da quel che è stato detto risulti chiaramente che il
santo Sacrificio della Messa è offerto validamente a nome di Cristo e della
Chiesa, né è privo dei suoi frutti sociali, anche se è celebrato senza
l'assistenza di alcun inserviente, tuttavia, per la dignità di questo
mistero, vogliamo e insistiamo - come sempre volle la Madre Chiesa - che
nessun sacerdote si accosti all'altare se non c'è chi gli serva e gli
risponda, come prescrive il can. 813.
La partecipazione dell’immolazione
Perché poi l'oblazione, con la quale in questo Sacrificio i fedeli
offrono la vittima divina al Padre Celeste, abbia il suo pieno effetto, ci
vuole ancora un'altra cosa; è necessario, cioè, che essi immolino se stessi
come vittima.
Questa immolazione non si limita al sacrificio liturgico soltanto. Vuole,
difatti, il Principe degli Apostoli che per il fatto stesso che siamo
edificati come pietre vive su Cristo, possiamo come «sacerdozio santo,
offrire vittime spirituali gradite a Dio per Gesù Cristo»; e Paolo Apostolo,
poi, senza nessuna distinzione di tempo, esorta i cristiani con le seguenti
parole: «Io vi scongiuro, adunque, o fratelli […] che offriate i vostri
corpi come vittima viva, santa, a Dio gradita, come razionale vostro culto».
Ma quando soprattutto i fedeli partecipano all'azione liturgica con tanta
pietà ed attenzione da potersi veramente dire di essi: «dei quali ti è
conosciuta la fede e nota la devozione», non possono fare a meno che la fede
di ognuno di essi operi più alacremente per mezzo della carità, si
rinvigorisca e fiammeggi la pietà, e si consacrino tutti quanti alla ricerca
della gloria divina, desiderando con ardore di divenire intimamente simili a
Gesù Cristo che patì acerbi dolori, offrendosi col Sommo Sacerdote e per
mezzo di Lui come ostia spirituale.
Ciò insegnano anche le esortazioni che il Vescovo rivolge a nome della
Chiesa ai sacri ministri nel giorno della loro Consacrazione: «Rendetevi
conto di quello che fate, imitate ciò che trattate, in quanto, celebrando il
mistero della morte del Signore, procuriate sotto ogni rispetto di
mortificare le vostre membra dai vizi e dalle concupiscenze». E quasi allo
stesso modo nei Libri liturgici vengono esortati i cristiani che si
accostano all'altare, perché partecipino ai sacri misteri: «Sia su […]
questo altare il culto dell'innocenza, vi si immoli la superbia, si annienti
l'ira, si ferisca la lussuria ed ogni libidine, si offra, invece delle
tortore, il sacrificio della castità, e invece dei piccioni il sacrificio
dell'innocenza». Assistendo dunque all’altare, dobbiamo trasformare la
nostra anima in modo che si estingua radicalmente ogni peccato che è in
essa, sia, con ogni diligenza, ristorato e rafforzato tutto ciò che per
Cristo dà la vita soprannaturale: e così diventiamo, insieme con l'Ostia
immacolata, una vittima a Dio Padre gradita.
La Chiesa si sforza, con i precetti della sacra Liturgia, di portare ad
effetto nella maniera più adatta questo santissimo proposito. A questo
mirano non soltanto le letture, le omelie e le altre esortazioni dei
ministri sacri e tutto il ciclo dei misteri che ci vengono ricordati durante
l'anno, ma anche le vesti, i riti sacri e il loro esteriore apparato, che
hanno il compito di «far pensare alla maestà di tanto Sacrificio, eccitare
le menti dei fedeli, per mezzo dei segni visibili di pietà e di religione,
alla contemplazione delle altissime cose nascoste in questo Sacrificio».
Tutti gli elementi della Liturgia mirano dunque a riprodurre nell'anima
nostra l'immagine del Divin Redentore attraverso il mistero della Croce,
secondo il detto dell'Apostolo delle Genti: «Sono confitto con Cristo in
Croce, e vivo non già più io, ma è Cristo che vive in me». Per la qual cosa
diventiamo ostia insieme con Cristo per la maggior gloria del Padre.
In questo dunque devono volgere ed elevare la loro anima i fedeli che
offrono la vittima divina nel Sacrificio Eucaristico. Se, difatti, come
scrive S. Agostino, sulla mensa del Signore è posto il nostro mistero, cioè
lo stesso Cristo Signore, in quanto è Capo e simbolo di quella unione in
virtù della quale noi siamo il corpo di Cristo e membra del suo Corpo; se
San Roberto Bellarmino insegna, secondo il pensiero del Dottore di Ippona,
che nel Sacrificio dell'altare è significato il generale sacrificio col
quale tutto il Corpo Mistico di Cristo, cioè tutta la città redenta, viene
offerta a Dio per mezzo di Cristo Gran Sacerdote (e), nulla si può trovare
di più retto e di più giusto, che immolarci noi tutti, col nostro Capo che
ha sofferto per noi, all'Eterno Padre. Nel Sacramento dell'altare, secondo
lo stesso Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel sacrificio che offre è
offerta anch'essa (f).
Considerino, dunque, i fedeli a quale dignità li innalza il sacro lavacro
del Battesimo; né si contentino di partecipare al Sacrificio Eucaristico con
l'intenzione generale che conviene alle membra di Cristo e ai figli della
Chiesa, ma liberamente e intimamente uniti al Sommo Sacerdote e al suo
ministro in terra secondo lo spirito della sacra Liturgia, si uniscano a lui
in modo particolare al momento della consacrazione dell'Ostia divina, e la
offrano insieme con lui quando vengono pronunziate quelle solenni parole:
«Per Lui, con Lui, in Lui, è a te, Dio Padre Onnipotente, nell'unità dello
Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli»; alle
quali parole il popolo risponde: «Amen». Né si dimentichino i cristiani di
offrire col divin Capo Crocifisso se stessi e le loro preoccupazioni,
dolori, angustie, miserie e necessità.
Mezzi per promuovere questa partecipazione
Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più
agevole e fruttuosa al popolo cristiano la partecipazione al Sacrificio
Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del popolo il
«Messale Romano», di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote,
preghino con lui con le sue stesse parole e con gli stessi sentimenti della
Chiesa; e quelli che mirano a fare della Liturgia, anche esternamente, una
azione sacra, alla quale comunichino di fatto tutti gli astanti. Ciò può
avvenire in vari modi: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le norme
rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del sacerdote, o esegue
canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l'una e l'altra
cosa: o infine, quando, nella Messa solenne, risponde alternativamente alle
preghiere dei ministri di Gesù Cristo e insieme si associa al canto
liturgico.
Tuttavia, queste maniere di partecipare al Sacrificio sono da lodare e da
consigliare quando obbediscono scrupolosamente ai precetti della Chiesa e
alle norme dei sacri riti. Esse sono ordinate soprattutto ad alimentare e
fomentare la pietà dei cristiani e la loro intima unione con Cristo e col
suo ministro visibile, ed a stimolare quei sentimenti e quelle disposizioni
interiori con le quali è necessario che la nostra anima si configuri al
Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento. Nondimeno, sebbene esse dimostrino in
modo esteriore che il Sacrificio, per natura sua, in quanto è compiuto dal
Mediatore di Dio e degli uomini, è da ritenersi opera di tutto il Corpo
Mistico di Cristo; non sono però necessarie per costituirne il carattere
pubblico e comune. Inoltre, la Messa «dialogata» non può sostituirsi alla
Messa solenne, la quale, anche se è celebrata alla presenza dei soli
ministri, gode di una particolare dignità per la maestà dei riti e
l'apparato delle cerimonie; benché il suo splendore e la sua solennità si
accresca massimamente se, come la Chiesa desidera, vi assiste un popolo
numeroso e devoto.
Si deve osservare ancora che sono fuori della verità e del cammino della
retta ragione coloro i quali, tratti da false opinioni, attribuiscono a
tutte queste circostanze tale valore da non dubitare di asserire che,
omettendole, l'azione sacra non può raggiungere lo scopo prefissosi.
Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il «Messale Romano»
anche se è scritto in lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere
rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L'ingegno, il
carattere e l'indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti
possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o
da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni
delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei
singoli. Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti
cristiani non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i
benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni
riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù
Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur
differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la
loro natura.
Per la qual cosa vi esortiamo, Venerabili Fratelli, perché, nella vostra
Diocesi o giurisdizione ecclesiastica, regoliate e ordiniate la maniera più
adatta con la quale il popolo possa partecipare all'azione liturgica secondo
le norme stabilite dal «Messale Romano» e secondo i precetti della Sacra
Congregazione dei Riti e del Codice di Diritto Canonico; così che tutto si
compia col necessario ordine e decoro, né sia consentito ad alcuno, sia pur
sacerdote, di usare i sacri edifici per arbitrari esperimenti. A tale
proposito desideriamo anche che nelle singole Diocesi, come già esiste una
Commissione per l’arte e la musica sacra, così si costituisca una
Commissione per promuovere l'apostolato liturgico, perché, sotto la vostra
vigilante cura, tutto si compia diligentemente secondo le prescrizioni della
Sede Apostolica.
Nelle comunità religiose, poi, si osservi accuratamente tutto ciò che le
proprie Costituzioni hanno stabilito in questa materia, e non si introducano
novità che non siano state prima approvate dai Superiori.
In realtà, per quanto varie possano essere le forme e le circostanze
esteriori della partecipazione del popolo al Sacrificio Eucaristico e alle
altre azioni liturgiche, si deve sempre mirare con ogni cura a che le anime
degli astanti si uniscano al Divino Redentore con i vincoli più stretti
possibili, e a che la loro vita si arricchisca di una santità sempre
maggiore e cresca ogni giorno più la gloria del Padre celeste.
La Comunione
L'augusto Sacrificio dell'altare si conclude con la Comunione del divino
convito. Ma, come tutti sanno, per avere l'integrità dello stesso
Sacrificio, si richiede soltanto che il sacerdote si nutra del cibo celeste,
non che anche il popolo - cosa, del resto, sommamente desiderabile - acceda
alla santa Comunione.
Ci piace, a questo proposito, ripetere le considerazioni del Nostro
Predecessore Benedetto XIV sulle definizioni del Concilio di Trento: «In
primo luogo […] dobbiamo dire che a nessun fedele può venire in mente che le
Messe private, nelle quali il solo sacerdote prende l'Eucaristia, perdano
perciò il valore del vero, perfetto ed integro Sacrificio istituito da
Cristo Signore e siano, quindi, da considerarsi illecite. Né i fedeli
ignorano - almeno possono facilmente essere istruiti - che il Sacrosanto
Concilio di Trento, fondandosi sulla dottrina custodita nella ininterrotta
Tradizione della Chiesa, condannò la nuova e falsa dottrina di Lutero ad
essa contraria». «Chi dice che le Messe nelle quali il solo sacerdote
comunica sacramentalmente sono illecite e perciò da abrogarsi, sia anatema».
Si allontanano dunque dal cammino della verità coloro i quali si
rifiutano di celebrare se il popolo cristiano non si accosta alla mensa
divina; e ancora di più si allontanano quelli che, per sostenere l'assoluta
necessità che i fedeli si nutrano del convito Eucaristico insieme col
sacerdote, asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un
Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza, e
fanno della santa Comunione compiuta in comune quasi il culmine di tutta la
celebrazione.
Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico
consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina,
immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre
specie e dalla loro oblazione fatta all'Eterno Padre. La santa Comunione
appartiene alla integrità del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per
mezzo della comunione dell'Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente
necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi
vivamente.
Come, però, la Chiesa, in quanto Maestra di verità, si sforza con ogni
cura di tutelare l'integrità della fede cattolica, così, in quanto Madre
sollecita dei suoi figli, vivamente li esorta a partecipare con premura e
frequenza a questo massimo beneficio della nostra religione.
Desidera innanzi tutto che cristiani - specialmente quando non possono
facilmente ricevere di fatto il cibo Eucaristico - lo ricevano almeno col
desiderio; in modo che con viva fede, con animo riverentemente umile e
confidente nella volontà del Redentore Divino, con l'amore più ardente, si
uniscano a Lui.
Ma ciò non le basta. Poiché, difatti, come abbiamo sopra detto, noi
possiamo partecipare al Sacrificio anche con la Comunione sacramentale per
mezzo del convito del Pane degli Angeli, la Madre Chiesa, perché più
efficacemente «possiamo sentire in noi di continuo il frutto della
Redenzione», ripete a tutti i suoi figli l'invito di Cristo Signore:
«Prendete e mangiate […] Fate questo in mia memoria». Al qual proposito, il
Concilio di Trento, facendo eco al desiderio di Gesù Cristo e della sua
Sposa immacolata, esorta ardentemente «perché in tutte le Messe i fedeli
presenti partecipino non soltanto spiritualmente, ma anche ricevendo
sacramentalmente l'Eucaristia, perché venga ad essi più abbondante il frutto
di questo Sacrificio». Anzi il nostro immortale Predecessore Benedetto XIV,
perché sia meglio e più chiaramente manifesta la partecipazione dei fedeli
allo stesso Sacrificio divino per mezzo della Comunione Eucaristica, loda la
devozione di coloro i quali non solo desiderano nutrirsi del cibo celeste
durante l'assistenza al Sacrificio, ma amano meglio cibarsi delle ostie
consacrate nel medesimo Sacrificio, sebbene, come egli dichiara, si
partecipi veramente e realmente al Sacrificio anche se si tratta di pane
Eucaristico prima regolarmente consacrato. Così, difatti, scrive: «E benché
partecipino allo stesso Sacrificio, oltre quelli ai quali il sacerdote
celebrante dà parte della Vittima da lui offerta nella stessa Messa, anche
quelli ai quali il sacerdote dà l'Eucaristia che si suol conservare; non per
questo la Chiesa ha proibito in passato o adesso proibisce che il sacerdote
soddisfi alla devozione e alla giusta richiesta di coloro che assistono alla
Messa e chiedono di partecipare allo stesso Sacrificio che anch'essi offrono
nella maniera loro confacente: anzi approva e desidera che ciò sia fatto, e
rimprovererebbe quei sacerdoti per la cui colpa o negligenza fosse negata ai
fedeli quella partecipazione».
Voglia, poi, Dio, che tutti, spontaneamente e liberamente, corrispondano
a questi solleciti inviti della Chiesa; voglia Dio che fedeli, anche ogni
giorno se lo possono, partecipino non soltanto spiritualmente al Sacrificio
Divino, ma anche con la Comunione dell'Augusto Sacramento, ricevendo il
Corpo di Gesù Cristo, offerto per tutti all’Eterno Padre. Stimolate,
Venerabili Fratelli, nelle anime affidate alle vostre cure, l'appassionata e
insaziabile fame di Gesù Cristo; il vostro insegnamento affolli gli altari
di fanciulli e di giovani che offrano al Redentore Divino la loro innocenza
e il loro entusiasmo; vi si accostino spesso i coniugi perché, nutriti alla
sacra mensa e grazie ad essa, possano educare la prole loro affidata al
senso e alla carità di Gesù Cristo; siano invitati gli operai, perché
possano ricevere il cibo efficace e indefettibile che ristora le loro forze
e prepara alle loro fatiche la mercede eterna nel cielo; radunate, infine,
gli uomini di tutte le classi e «costringete a entrare»; perché questo è il
pane della vita del quale hanno tutti bisogno. La Chiesa di Gesù Cristo ha a
disposizione solo questo pane per saziare le aspirazioni e i desideri delle
anime nostre, per unirle intimamente a Gesù Cristo, perché, infine, per esso
diventino «un solo corpo» e si affratellino quanti siedono alla stessa mensa
per prendere il farmaco della immortalità con la frazione di un unico pane.
È assai opportuno, poi - il che, del resto, è stabilito dalla Liturgia -
che il popolo acceda alla santa Comunione dopo che il Sacerdote ha preso
dall'altare il cibo divino; e, come abbiamo scritto sopra, sono da lodarsi
coloro i quali, assistendo alla Messa, ricevono le ostie consacrate nel
medesimo Sacrificio, in modo che si verifichi «che tutti quelli che,
partecipando a questo altare, abbiamo ricevuto il sacrosanto Corpo e Sangue
del Figlio tuo, siamo colmati d'ogni grazia e benedizione celeste».
Tuttavia, non mancano talvolta le cause, né sono rare, per cui venga
distribuito il pane Eucaristico o prima o dopo lo stesso Sacrificio, e anche
che si comunichi - sebbene si distribuisca la Comunione subito dopo quella
del sacerdote - con ostie consacrate in un tempo antecedente. Anche in
questi casi come, del resto, abbiamo ammonito prima il popolo partecipa
regolarmente al Sacrificio Eucaristico e può spesso con maggiore facilità
accostarsi alla mensa di vita eterna. Che se la Chiesa, con materna
accondiscendenza, si sforza di venire incontro ai bisogni spirituali dei
suoi figli, questi nondimeno, da parte loro, non devono facilmente sdegnare
tutto ciò che la sacra Liturgia consiglia, e, sempre che non vi sia un
motivo plausibile in contrario, devono fare tutto ciò che più chiaramente
manifesta all'altare la vivente unità del Corpo.
Il ringraziamento
L'azione sacra, che è regolata da particolari norme liturgiche, dopo che
è stata compiuta, non dispensa dal ringraziamento colui che ha gustato il
nutrimento celeste; è cosa, anzi, molto conveniente che egli, dopo aver
ricevuto il cibo Eucaristico e dopo la fine dei riti pubblici, si raccolga,
e, intimamente unito al Divino Maestro, si trattenga con Lui, per quanto
gliene diano opportunità le circostanze, in dolcissimo e salutare colloquio.
Si allontanano, quindi, dal retto sentiero della verità coloro i quali,
fermandosi alle parole più che al pensiero, affermano e insegnano che,
finita la Messa, non si deve prolungare il ringraziamento, non soltanto
perché il Sacrificio dell'altare è per natura sua un'azione di grazie, ma
anche perché ciò appartiene alla pietà privata, personale, e non al bene
della comunità.
Ma, al contrario, la natura stessa del Sacramento richiede che il
cristiano che lo riceve ne ricavi abbondanti frutti di santità. Certo, la
pubblica adunanza della comunità è sciolta, ma è necessario che i singoli,
uniti con Cristo, non interrompano nella loro anima il canto di lode
«ringraziando sempre di tutto, nel nome del Signor Nostro Gesù Cristo, il
Dio e il Padre». A ciò ci esorta anche la stessa sacra Liturgia del
Sacrificio Eucaristico, quando ci comanda di pregare con queste parole:
«Concedici, ti preghiamo, di renderti continue grazie . . . e non cessiamo
mai di lodarti». Per cui, se si deve sempre ringraziare Dio e non si deve
mai cessare dal lodarlo, chi oserebbe riprendere e disapprovare la Chiesa
che consiglia ai suoi sacerdoti e ai fedeli di trattenersi almeno per un po'
di tempo, dopo la Comunione, in colloquio col Divin Redentore, e che ha
inserito nei libri liturgici opportune preghiere, arricchite di indulgenze,
con le quali i sacri ministri si possono convenientemente preparare prima di
celebrare e di comunicarsi, e, compiuta la santa Messa, manifestare a Dio il
loro ringraziamento? La sacra Liturgia, lungi dal soffocare gli intimi
sentimenti dei singoli cristiani, li agevola e li stimola, perché essi siano
assimilati a Gesù Cristo e per mezzo di lui indirizzati al Padre; quindi
essa stessa esige che chi si è accostato alla mensa Eucaristica ringrazi
debitamente Dio. Al Divin Redentore piace ascoltare le nostre preghiere,
parlare a cuore aperto con noi, e offrirci rifugio nel suo Cuore
fiammeggiante.
Anzi, questi atti, propri dei singoli, sono assolutamente necessari per
godere più abbondantemente di tutti i soprannaturali tesori di cui è ricca
la Eucaristia e per trasmetterli agli altri secondo le nostre possibilità
affinché Cristo Signore consegua in tutte le anime la pienezza della sua
virtù.
Perché, dunque, Venerabili Fratelli, non loderemmo coloro i quali,
ricevuto il cibo Eucaristico, anche dopo che è stata sciolta ufficialmente
l'assemblea cristiana, si indugiano in intima familiarità col Divin
Redentore, non solo per trattenersi dolcemente con Lui, ma anche per
ringraziarlo e lodarlo, e specialmente per domandargli aiuto, affinché
tolgano dalla loro anima tutto ciò che può diminuire l'efficacia del
Sacramento, e facciano da parte loro tutto ciò che può favorire la
presentissima azione di Gesù? Li esortiamo, anzi, a farlo in modo
particolare, sia traducendo in pratica i propositi concepiti ed esercitando
le cristiane virtù, sia adattando ai propri bisogni quanto hanno ricevuto
con regale liberalità. Veramente parlava secondo precetti e lo spirito della
Liturgia l'autore dell'aureo libretto della Imitazione di Cristo, quando
consigliava a chi si era comunicato: «Raccogliti in segreto e goditi il tuo
Dio, perché possiedi colui che il mondo intero non potrà toglierti».
Noi tutti, dunque, così intimamente stretti a Cristo, cerchiamo quasi di
immergerci nella sua santissima anima, e ci uniamo con Lui per partecipare
agli atti di adorazione con i quali Egli offre alla Trinità Augusta
l'omaggio più grato ed accetto; agli atti di lode e di ringraziamento che
Egli offre all'Eterno Padre, e a cui fa eco concorde il cantico del cielo e
della terra, come è detto: «Benedite il Signore, tutte le opere sue»: agli
atti, infine, partecipando ai quali imploriamo l'aiuto celeste nel momento
più opportuno per chiedere ed ottenere soccorso in nome di Cristo: ma
soprattutto ci offriamo e immoliamo vittime, con le parole: «Fa che noi ti
siamo eterna offerta».
Il Divin Redentore ripete incessantemente il suo premuroso invito:
«Restate in me». Per mezzo del Sacramento della Eucaristia, Cristo dimora in
noie noi dimoriamo in Cristo; e come Cristo, rimanendo in noi, vive ed
opera, così è necessario che noi, rimanendo in Cristo, per Lui viviamo e
operiamo.
L’adorazione dell’Eucaristia
Il nutrimento Eucaristico contiene, come tutti sanno, «veramente,
realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue insieme con l’Anima e la
Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo»; non fa quindi meraviglia se la
Chiesa, fin dalle origini, ha adorato il Corpo di Cristo sotto le specie
Eucaristiche, come appare dai riti stessi dell'Augusto Sacrificio, con i
quali si prescrive ai sacri ministri di adorare il santissimo Sacramento con
genuflessioni o con inclinazioni profonde.
I Sacri Concili insegnano che, fin dall'inizio della sua vita, è stato
trasmesso alla Chiesa che si deve onorare «con una unica adorazione il Verbo
Dio incarnato e la sua propria carne»; e Sant’Agostino afferma: «Nessuno
mangia quella carne, senza averla prima adorata», aggiungendo che non solo
non pecchiamo adorando, ma pecchiamo non adorando.
Da questi principi dottrinali è nato e si è venuto poco a poco
sviluppando il culto Eucaristico dell’adorazione distinto dal santo
Sacrificio. La conservazione delle Sacre Specie per gli infermi, e per tutti
quelli che venivano a trovarsi in pericolo di morte, introdusse il lodevole
uso di adorare questo cibo celeste conservato nelle chiese. Questo culto di
adorazione ha un valido e solido motivo. L'Eucaristia, difatti, è un
sacrificio ed è anche un Sacramento; e differisce dagli altri Sacramenti in
quanto non solo produce la grazia, ma contiene in modo permanente l'Autore
stesso della grazia. Quando, perciò, la Chiesa ci comanda di adorare Cristo
nascosto sotto i veli Eucaristici, e di chiedere a Lui doni soprannaturali e
terreni di cui abbiamo sempre bisogno, manifesta la fede viva, con la quale
crede presente sotto quei veli suo Sposo divino, gli manifesta la sua
riconoscenza e gode della sua intima familiarità.
Di questo culto la Chiesa, nel decorso dei tempi, ha introdotto varie
forme, ogni giorno certamente più belle e salutari: come, per esempio,
devote ed anche quotidiane visite ai divini tabernacoli; benedizioni col
santissimo Sacramento; solenni processioni per paesi e città, specialmente
in occasione dei Congressi Eucaristici, e adorazioni dell'augusto Sacramento
pubblicamente esposto. Le quali pubbliche adorazioni talvolta durano per un
tempo limitato, talvolta, invece, sono prolungate per intere ore e anche per
quaranta ore; in qualche luogo sono protratte per la durata di tutto l'anno,
a turno, nelle singole chiese; altrove, poi, si continuano anche di giorno e
di notte, a cura di Comunità religiose; e ad esse spesso prendono parte
anche i fedeli.
Questi esercizi di devozione contribuirono in modo mirabile alla fede ed
alla vita soprannaturale della Chiesa militante in terra la quale, così
facendo, fa eco, in certo modo, alla Chiesa trionfante che innalza in eterno
l'inno di lode a Dio e all'Agnello «che è stato ucciso». Perciò la Chiesa
non solo ha approvato, ma ha fatto suoi e ha confermato con la sua autorità
questi devoti esercizi, propagati dovunque nel corso dei secoli. Essi
sgorgano dallo spirito della sacra Liturgia; e perciò, qualora siano
compiuti col decoro, la fede e la devozione richiesti dai sacri riti e dalle
prescrizioni della Chiesa, certamente aiutano moltissimo a vivere la vita
liturgica.
Né si deve dire che questo culto Eucaristico provoca una erronea
confusione tra il Cristo storico, come dicono, che è vissuto in terra e il
Cristo presente nell'Augusto Sacramento dell'altare, e il Cristo trionfante
in cielo e dispensatore di grazie; si deve, anzi, affermare che, in tal
modo, i fedeli testimoniano e manifestano solennemente la fede della Chiesa,
con la quale si crede che uno e identico è il Verbo di Dio e il Figlio di
Maria Vergine, che soffrì in Croce, che è presente nascosto nella
Eucaristia, che regna nel cielo. Così S. Giovanni Crisostomo: «Quando te lo
vedi presentare (il Corpo di Cristo), di’ a te stesso: Per questo Corpo non
sono più terra e cenere, non più schiavo, ma libero: perciò spero di avere
il cielo e i beni che vi si trovano, la vita immortale, l’eredità degli
Angeli, la compagnia di Cristo: questo Corpo, trafitto dai chiodi, dilaniato
dai flagelli, non fu preda della morte . . . Questo è quel corpo che fu
insanguinato, trapassato dalla lancia, dal quale scaturirono due fonti
salutari: l'una di sangue, l'altra di acqua . . . Questo Corpo, ci diede e
da tenere e da mangiare, il che fu conseguenza di intenso amore».
In modo particolare, poi, è molto da lodarsi la consuetudine secondo la
quale molti esercizi di pietà entrati nell'uso del popolo cristiano si
concludono col rito della benedizione Eucaristica. Nulla di meglio e di più
vantaggioso del gesto col quale il sacerdote, levando al cielo il Pane degli
Angeli, al cospetto della folla cristiana prostrata, e volgendolo intorno in
forma di croce, invoca il Padre celeste perché voglia volgere benignamente
gli occhi a suo Figlio, crocifisso per amor nostro, e a causa di Lui che
volle essere nostro Redentore e fratello, e per suo mezzo, effonda i suoi
doni celesti sui redenti dal sangue immacolato dell'Agnello.
Procurate, dunque, Venerabili Fratelli, con la vostra abituale, somma
diligenza, che templi edificati dalla fede e dalla pietà delle generazioni
cristiane nel decorso dei secoli come un perenne inno di gloria a Dio
Onnipotente e come degna dimora del nostro Redentore nascosto sotto le
specie Eucaristiche, siano il più possibile aperti ai sempre più numerosi
fedeli, perché essi, raccolti ai piedi del nostro Salvatore, ascoltino il
suo dolcissimo invito: «Venite a me voi tutti che siete tribolati ed
oppressi, ed io vi ristorerò». Siano davvero i templi la casa di Dio, nella
quale chi entra per domandare favori, si allieti di tutto conseguire e
ottenga la celeste consolazione.
Soltanto così potrà avvenire che tutta l'umana famiglia si pacificherà
nell'ordine, e con mente e cuore concordi canterà l'inno della speranza e
dell'amore: «Buon Pastore, pane verace - o Gesù, di noi pietà: - tu ci
pasci, tu difendici; facci tu vedere la felicità - nella terra dei viventi».
La divina Lode
L'ideale della vita cristiana consiste in ciò che ognuno si unisca
intimamente a Dio. Perciò il culto che la Chiesa rende all'Eterno, e che è
imperniato nel Sacrificio Eucaristico e nell'uso dei Sacramenti, è ordinato
e disposto in modo che, con l'ufficio divino, si estenda a tutte le ore del
giorno alle settimane, a tutto il corso dell'anno, a tutti i tempi e a tutte
le condizioni della vita umana.
Avendo il Divino Maestro comandato: «È necessario pregare sempre, senza
stancarsi», la Chiesa, obbedendo fedelmente a questo ammonimento, non cessa
mai di pregare, e ci esorta con l'Apostolo delle Genti: «Per suo mezzo [di
Gesù] offriamo sempre a Dio il sacrificio di lode».
Le Ore canoniche
La preghiera pubblica e collettiva, rivolta a Dio da tutti insieme,
nell'antichità aveva luogo soltanto in certi giorni e in certe ore.
Tuttavia, si pregava non solo nelle pubbliche riunioni, ma anche nelle case
private e talvolta coi vicini e gli amici. Ben presto, però, nelle varie
parti della cristianità, invalse l'uso di destinare alla preghiera
particolari tempi, per esempio l'ultima ora del giorno, quando il sole
tramonta e si accende la lucerna; o la prima, quando termina la notte, dopo,
cioè, il canto del gallo e al sorger del sole. Altri momenti del giorno sono
indicati come più adatti alla preghiera dalla Sacra Scrittura, dal costume
tradizionale ebraico e dagli usi quotidiani. Secondo gli Atti degli Apostoli
i discepoli di Gesù Cristo si riunivano per pregare all'ora terza, quando
«furono tutti riempiti di Spirito Santo»; il Principe degli Apostoli, poi,
prima di prender cibo, «salì sul tetto per pregare circa la sesta ora»;
Pietro e Giovanni «salivano al Tempio per la preghiera all'ora nona»; e
Paolo e Sila «lodavano Dio a mezzanotte».
Queste varie preghiere, specialmente per iniziativa ed opera dei monaci e
degli asceti, si perfezionano ogni giorno più, e a poco a poco sono
introdotte nell'uso della sacra Liturgia per autorità della Chiesa.
L'Ufficio Divino è, dunque, la preghiera del Corpo Mistico di Cristo,
rivolta a Dio a nome di tutti i cristiani e a loro beneficio, essendo fatta
dai sacerdoti, dagli altri ministri della Chiesa e dai religiosi, a questo
dalla Chiesa stessa delegati.
Quali debbano essere il carattere e il valore di questa lode divina si
ricava dalle parole che la Chiesa suggerisce di dire prima di iniziare le
preghiere dell'Ufficio, prescrivendo che siano recitate «degnamente,
attentamente e devotamente».
Il Verbo di Dio, assumendo l'umana natura, ha introdotto nell'esilio
terreno l'inno che si canta in cielo per tutta l’eternità. Egli unisce a sé
tutta la comunità umana e se la associa nel canto di questo inno di lode.
Dobbiamo con umiltà riconoscere che noi «non sappiamo quel che dobbiamo
convenientemente domandare, ma lo Spirito stesso prega per noi con gemiti
inesprimibili». Ed anche Cristo, per mezzo del suo Spirito, prega in noi il
Padre. «Dio non potrebbe fare agli uomini un dono più grande . . . Prega
[Gesù] per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è
pregato da noi come nostro Dio . . . Riconosciamo dunque e le nostre voci in
Lui e la sua voce in noi . . . Lo si prega come Dio, prega come servo: là il
Creatore, qui un essere creato in quanto assume la natura da mutare senza
mutarsi, facendo di noi un sol uomo con Lui: Capo e Corpo».
Alla eccelsa dignità di questa preghiera della Chiesa deve corrispondere
la intenta devozione dell'anima nostra. E poiché la voce dell'orante ripete
i carmi scritti per ispirazione dello Spirito Santo, che proclamano ed
esaltano la perfettissima grandezza di Dio, è anche necessario che a questa
voce si accompagni il movimento interiore del nostro spirito, per fare
nostri quei medesimi sentimenti con i quali ci eleviamo al cielo, adoriamo
la Santa Trinità e le rendiamole lodi e i ringraziamenti dovuti: «Dobbiamo
salmeggiare in modo che la nostra mente concordi con la nostra voce». Non si
tratta, dunque di una recitazione soltanto, o di un canto, che, pur
perfettissimo secondo le leggi dell'arte musicale e le norme dei sacri riti,
arrivi soltanto all'orecchio, ma soprattutto di una elevazione della nostra
mente e della nostra anima a Dio, perché ci consacriamo, noi e tutte le
nostre azioni, a Lui, uniti con Gesù Cristo.
Da qui dipende certamente in non piccola parte l'efficacia delle
preghiere. Le quali, se non sono rivolte allo stesso Verbo fatto Uomo, si
concludono con queste parole: «per il Signor Nostro Gesù Cristo»; che, come
mediatore tra noi e Dio, mostra al Padre celeste le sue stimmate gloriose,
«sempre vivente per intercedere per noi».
I Salmi, come tutti sanno, costituiscono parte principale dell'Ufficio
Divino. Essi abbracciano tutto il corso del giorno e gli danno un contatto e
un ornamento di santità. Cassiodoro dice bellamente a proposito dei Salmi
distribuiti nell'Ufficio Divino del suo tempo: «Essi . . . col giubilo
mattutino ci rendono favorevole il giorno che sta per cominciare, ci
santificano la prima ora del giorno, ci consacrano la terza ora, ci
allietano la sesta nella frazione del pane, ci segnano, a nona, la fine del
digiuno, concludono la fine della giornata, impediscono al nostro spirito di
ottenebrarsi all'avvicinarsi della notte».
Essi richiamano le verità da Dio rivelate al popolo eletto, talvolta
terribili, talvolta soffuse di soavissima dolcezza; ripetono e accendono la
speranza nel Liberatore promesso che un tempo veniva animata col canto
intorno al focolare domestico e nella stessa maestà del Tempio; pongono in
meravigliosa luce la profetizzata gloria di Gesù Cristo e la somma ed eterna
sua potenza, la sua venuta e il suo annientamento in questo terreno esilio,
la sua regia dignità e sacerdotale potestà, le sue benefiche fatiche e il
suo sangue versato per la nostra redenzione. Esprimono egualmente la gioia
delle nostre anime, la tristezza, la speranza, il timore, il ricambio
d'amore e l'abbandono in Dio, come la mistica ascesa verso i divini
tabernacoli. «Il Salmo . . . è la benedizione del popolo, la lode di Dio,
l'elogio del popolo, l'applauso di tutti, il linguaggio generale, la voce
della Chiesa, la canora confessione di fede, la piena devozione
all'autorità, la gioia della libertà, il grido di giocondità, l'eco della
letizia».
Nel tempo antico l'assistenza dei fedeli a queste preghiere dell'Ufficio
era maggiore; ma gradatamente diminuì, e, come ora abbiam detto, la loro
recita attualmente è riservata al Clero ed ai Religiosi. A rigore di
diritto, dunque, nulla è prescritto ai laici in questa materia; ma è
sommamente da desiderare che essi prendano parte attiva al canto o alla
recita della ufficiatura del Vespro, nei giorni festivi, nella propria
parrocchia. Raccomandiamo vivamente, Venerabili Fratelli, a voi ed ai vostri
fedeli, che non cessi questa pia consuetudine e che si richiami
possibilmente in vigore ove fosse scomparsa. Ciò avverrà certamente con
frutti salutari se il Vespro sarà cantato non solo degnamente e
decorosamente, ma anche in maniera da allettare soavemente in vari modi la
pietà dei fedeli.
Sia inviolata l'osservanza dei giorni festivi, che devono esser dedicati
e consacrati a Dio in modo particolare; e soprattutto della domenica, che
gli Apostoli, istruiti dallo Spirito Santo, sostituirono al sabato. Se fu
comandato ai Giudei: «Lavorerete durante sei giorni: nel settimo giorno è
Sabato, riposo santo al Signore; chiunque lavorerà in questo giorno, sarà
condannato a morte»; come non temeranno la morte spirituale quei cristiani
che fanno opere servili nei giorni festivi, e per la durata del riposo
festivo non si dedicano alla pietà, non alla religione, ma si abbandonano
smodatamente alle attrattive di questo secolo?. La domenica e i giorni
festivi devono essere consacrati, dunque, al culto divino con il quale si
adora Dio e l'anima si nutre del cibo celeste; e sebbene la Chiesa prescriva
soltanto che i fedeli si devono astenere dal lavoro servile e devono
assistere al Sacrificio Eucaristico, e non dia nessun precetto per il culto
vespertino, però, oltre i precetti, ci sono anche le sue insistenti
raccomandazioni e desideri; ciò più ancora è richiesto dal bisogno che tutti
hanno di rendersi propizio il Signore per impetrarne i benefici.
L'animo Nostro si rattrista profondamente, nel vedere come nei nostri
tempi il popolo cristiano trascorre il pomeriggio del giorno festivo: i
luoghi dei pubblici spettacoli e dei giochi sono pieni, mentre le chiese
sono meno frequentate di quel che converrebbe. Ma è necessario, senza
dubbio, che tutti si rechino nei nostri templi, per essere istruiti nella
verità della fede cattolica, per cantare le lodi di Dio, per essere
arricchiti dal sacerdote con la benedizione Eucaristica e muniti dell'aiuto
celeste contro le avversità della vita presente. Procurino tutti di imparare
le formule che vengono cantate nei Vespri, e cerchino di penetrarne l'intimo
significato; sotto l'influsso di queste preghiere, difatti, sperimenteranno
quel che Sant’Agostino affermava di sé: «Quanto piansi tra inni e cantici,
vivamente commosso dal soave canto della tua Chiesa. Quelle voci si
riversavano nelle mie orecchie, stillavano la verità nel mio cuore, e mi
ardevano sentimenti di devozione e le lacrime scorrevano, e mi facevano
bene».
I misteri del Signore
Durante tutto il corso dell'anno la celebrazione del Sacrificio
Eucaristico e l'Ufficio Divino si svolgono soprattutto intorno alla persona
di Gesù Cristo; e si organizzano in modo così consono e congruo, da farvi
dominare il nostro Salvatore nei suoi misteri di umiliazione, di redenzione
e di trionfo.
Rievocando questi misteri di Gesù Cristo, la sacra Liturgia mira a farvi
partecipare tutti i credenti in modo che il divin Capo del Corpo Mistico
viva nella pienezza della sua santità nelle singole membra. Siano, le anime
dei cristiani, come altari sui quali si ripetano e si ravvivano le varie
fasi del Sacrificio che immola il Sommo Sacerdote: i dolori, cioè, e le
lacrime che lavano ed espiano i peccati; la preghiera a Dio rivolta che si
eleva fino al cielo; la propria immolazione fatta con animo pronto, generoso
e sollecito e, infine, l'intima unione con la quale abbandoniamo a Dio noi e
le nostre cose e riposiamo in Lui, «essendo il succo della religione imitare
colui che adori».
Conformemente a questi modi e motivi con i quali la Liturgia propone alla
nostra meditazione in tempi fissi la vita di Gesù Cristo, la Chiesa ci
mostra gli esempi che dobbiamo imitare, e i tesori di santità che facciamo
nostri, perché è necessario credere con lo spirito a ciò che si canta con la
bocca, e tradurre nella pratica dei privati e pubblici costumi ciò che si
crede con lo spirito.
Avvento
Infatti, nel tempo dell'Avvento, eccita in noi la coscienza dei peccati
miseramente commessi; e ci esorta affinché, frenando i desideri con la
volontaria mortificazione del corpo, ci raccogliamo in pia meditazione e
siamo spinti dal desiderio di tornare a Dio, che solo può liberarci con la
sua grazia dalla macchia dei peccati e dai mali che ne conseguono.
Natale
Con la ricorrenza del Natale del Redentore, sembra quasi ricondurci alla
grotta di Betlemme, perché vi impariamo che è assolutamente necessario
nascere di nuovo e riformarci radicalmente; il che è possibile soltanto
quando ci uniamo intimamente e vitalmente al Verbo di Dio fatto uomo, e
siamo partecipi della sua divina natura, alla quale veniamo elevati.
Epifania
Con la solennità della Epifania, ricordando la vocazione delle Genti alla
fede cristiana, vuole che noi ringraziamo ogni giorno il Signore per così
grande beneficio, desideriamo con grande fede il Dio vivo, comprendiamo con
devozione e in profondità le cose soprannaturali, e prediligiamo il silenzio
e la meditazione per potere facilmente capire e conseguire i doni celesti.
Settuagesima
Nei giorni della Settuagesima e della Quaresima, la Chiesa, nostra Madre,
moltiplica le sue cure perché ognuno di noi si renda diligentemente conto
delle sue miserie, sia attivamente incitato alla emendazione dei costumi, e
detesti in modo particolare i peccati cancellandoli con la preghiera e la
penitenza; giacché l'assidua preghiera e la penitenza dei peccati commessi
ci ottengono l'aiuto divino, senza il quale è inutile e sterile ogni opera
nostra.
Passione
Nel sacro tempo, poi, nel quale la Liturgia ci propone gli atroci dolori
di Gesù Cristo, la Chiesa ci invita al Calvario, per seguire le orme
sanguinose del Divin Redentore, affinché portiamo volentieri la Croce con
Lui, abbiamo in noi gli stessi sentimenti di espiazione e di propiziazione,
e perché insieme moriamo tutti con Lui.
Pasqua
Con la solennità Pasquale, che commemora il trionfo di Cristo, l'anima
nostra è pervasa di intima gioia, e dobbiamo opportunamente pensare che
anche noi dobbiamo risorgere insieme con il Redentore da una vita fredda ed
inerte, a una vita più santa e fervente, offrendoci tutti e con generosità a
Dio, e dimenticandoci di questa misera terra per aspirare soltanto al cielo:
«Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, . . . aspirate
alle cose di lassù».
Pentecoste
Nel tempo di Pentecoste, finalmente, la Chiesa ci esorta con i suoi
precetti e la sua opera, ad offrirci docilmente all'azione dello Spirito
Santo, il quale vuole accendere i nostri cuori di divina carità, perché
progrediamo ogni giorno nella virtù con impegno maggiore, e così ci
santifichiamo, come Cristo Signore e il suo Padre celeste sono santi.
Tutto l'anno liturgico, dunque, può dirsi un magnifico inno di lode che
la famiglia cristiana indirizza al Padre celeste per mezzo di Gesù eterno
suo mediatore; ma richiede da noi anche uno studio diligente e bene ordinato
per conoscere e lodare sempre più il nostro Redentore; uno sforzo intenso ed
efficace, un indefesso addestramento per imitare i suoi misteri, per entrare
volontariamente nella via dei suoi dolori, e per partecipare finalmente alla
sua gloria ed alla sua eterna beatitudine.
Da quanto è stato esposto appare chiaramente, Venerabili Fratelli, quanto
siano lontani dal vero e genuino concetto della Liturgia quegli scrittori
moderni, i quali, ingannati da una pretesa più alta disciplina mistica,
osano affermare che non ci si deve concentrare sul Cristo storico, ma sul
Cristo «pneumatico e glorificato»; e non dubitano di asserire che nella
pietà dei fedeli si sarebbe verificato un mutamento, per cui il Cristo è
stato quasi detronizzato, con l'occultamento del Cristo glorificato che vive
e regna nei secoli dei secoli e siede alla destra del Padre, mentre al suo
posto è subentrato il Cristo della vita terrena. Alcuni, perciò, arrivano
fino al punto di voler rimuovere dalle chiese le immagini del Divin
Redentore che soffre in Croce.
Ma queste false opinioni sono del tutto contrarie alla sacra dottrina
tradizionale. «Credi nel Cristo nato in carne - così Sant'Agostino - e
arriverai al Cristo nato da Dio, Dio presso Dio». La sacra Liturgia, poi, ci
propone tutto Cristo, nei vari aspetti della sua vita: il Cristo, cioè, che
è Verbo dell'Eterno Padre, che nasce dalla Vergine Madre di Dio, che ci
insegna la verità, che sana gli infermi, che consola gli afflitti, che
soffre, che muore; che, infine, risorge trionfando sulla morte, che,
regnando nella gloria del cielo, ci invia lo Spirito Paraclito, che vive
sempre nella sua Chiesa: «Gesù Cristo ieri ed oggi: Egli è anche nei
secoli».
E inoltre non ce lo presenta soltanto come un esempio da imitare, ma
anche come un maestro da ascoltare, un pastore da seguire, come mediatore
della nostra salvezza, principio della nostra santità, e Mistico Capo di cui
siamo membra, viventi della sua stessa vita.
E siccome i suoi acerbi dolori costituiscono il mistero principale da cui
proviene la nostra salvezza, è secondo le esigenze della fede cattolica
porre ciò nella sua massima luce, poiché esso è come il centro del culto
divino, essendone il Sacrificio Eucaristico la quotidiana rappresentazione e
rinnovazione, ed essendo tutti i Sacramenti congiunti con strettissimo
vincolo alla Croce.
Perciò l'anno liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna,
non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al
passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d'altri tempi. Esso è,
piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il
cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio in
questa vita mortale, quando passò beneficando allo scopo di mettere le anime
umane al contatto dei suoi misteri, e farle vivere per essi; misteri che
sono perennemente presenti ed operanti, non nel modo incerto e nebuloso nel
quale parlano alcuni recenti scrittori, ma perché, come ci insegna la
dottrina cattolica e secondo la sentenza dei Dottori della Chiesa, sono
esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia divina per i
meriti e l'intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi col loro
effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole,
la causa della nostra salvezza.
Si aggiunge che la pia Madre Chiesa, mentre propone alla nostra
contemplazione i misteri di Cristo, con le sue preghiere invoca quei doni
soprannaturali per i quali i suoi figli si compenetrano dello spirito di
questi misteri per virtù di Cristo. Per influsso e virtù di Lui, noi
possiamo, con la collaborazione della nostra volontà, assimilare la forza
vitale come rami dall'albero, come membra dal capo, e ci possiamo
progressivamente e laboriosamente trasformare «secondo la misura dell'età
piena di Cristo».
Le feste dei Santi
Nel corso dell'anno liturgico si celebrano non soltanto i misteri di Gesù
Cristo, ma anche le feste dei Santi, nelle quali, sebbene si tratti di un
ordine inferiore e subordinato, la Chiesa ha sempre la preoccupazione di
proporre ai fedeli esempi di santità che li spingano ad adornarsi delle
stesse virtù del Divin Redentore.
È necessario, difatti, che noi imitiamo le virtù dei Santi, nelle quali
brilla in vario modo la virtù stessa di Cristo, come di Lui essi furono
imitatori. Poiché in alcuni rifulse lo zelo dell'apostolato; in altri si
dimostrò la fortezza dei nostri eroi fino all’effusione del sangue; in altri
brillò la costante vigilanza nell'attesa del Redentore; in altri rifulse il
verginale candore dell'anima e la modesta dolcezza della cristiana umiltà;
in tutti, poi, arse una fervidissima carità verso Dio e verso il prossimo.
La Liturgia pone davanti ai nostri occhi tutti questi leggiadri ornamenti
di santità perché ad essi salutarmente guardiamo, e perché «noi che godiamo
dei loro meriti siamo accesi dai loro esempi». È necessario, dunque,
conservare «l'innocenza nella semplicità, la concordia nella carità, la
modestia nell'umiltà, la diligenza nel governo, la vigilanza nell'aiutare
chi soffre, la misericordia nel curare i poveri, la costanza nel difendere
la verità, la giustizia nella severità della disciplina, perché nulla in noi
manchi di ogni virtù che ci è stata proposta ad esempio. Queste sono le
tracce che i Santi, nel loro ritorno alla patria, ci lasciarono, perché
seguendo il loro cammino, possiamo seguirli nella beatitudine». E perché
anche i nostri sensi siano salutarmente impressionati, la Chiesa vuole che
nei nostri templi siano esposte le immagini dei Santi, sempre, però, allo
stesso fine, che cioè «imitiamo le virtù di coloro dei quali veneriamo le
immagini».
Ma c'è ancora un altro motivo del culto del popolo cristiano per i Santi:
quello di implorare il loro aiuto, e di «esser sostenuti dal patrocinio di
coloro delle lodi dei quali ci dilettiamo». Da ciò facilmente si deduce il
perché delle numerose formule di preghiere che la Chiesa ci propone per
invocare il patrocinio dei Santi.
Tra i Santi, poi, ha un culto preminente Maria Vergine, Madre di Dio. La
sua vita, per la missione affidatale da Dio, è strettamente inserita nei
misteri di Gesù Cristo, e nessuno, di certo, più di lei ha calcato più da
vicino e con maggiore efficacia le orme del Verbo Incarnato, nessuno gode di
maggiore grazia e potenza presso il Cuore sacratissimo del Figlio di Dio, e,
attraverso il Figlio, presso il Padre celeste. Essa è più santa dei
Cherubini e dei Serafini, e senza alcun paragone più gloriosa di tutti gli
altri Santi, essendo «piena di grazia», Madre di Dio, e avendoci dato col
suo felice parto il Redentore. A Lei, che è «Madre di misericordia, vita,
dolcezza e speranza nostra» ricorriamo tutti noi «gementi e piangenti in
questa valle di lacrime», e affidiamo con fiducia noi e tutte le nostre cose
alla sua protezione. Essa è diventata Madre nostra mentre il Divin Redentore
compiva il sacrificio di Sé, e perciò, anche a questo titolo, noi siamo
figli suoi. Essa ci insegna tutte le virtù; ci dà suo Figlio, e, con Lui,
tutti gli aiuti che ci sono necessari, perché Dio «ha voluto che tutto noi
avessimo per mezzo di Maria».
Per questo cammino liturgico che ogni anno ci è aperto di nuovo, sotto
l'azione santificatrice della Chiesa, confortati dagli aiuti e dagli esempi
dei Santi, soprattutto della Immacolata Vergine Maria, «accostiamoci con
cuore sincero, con pienezza di fede, purgati il cuore da coscienza di colpa
e lavati il corpo con acqua pura», al «grande Sacerdote», per vivere e
sentire con Lui, e penetrare per suo mezzo «fino al di là del velo» ed ivi
onorare il Padre celeste per tutta la eternità.
Tale è l'essenza e la ragione d'essere della sacra Liturgia: essa
riguarda il Sacrificio, i Sacramenti e la lode di Dio; l'unione delle nostre
anime con Cristo e la loro santificazione per mezzo del Divin Redentore,
perché sia onorato Cristo, e per Lui ed in Lui la Santissima Trinità: Gloria
al Padre, al Figliolo e allo Spirito Santo.
Direttive pastorali
Per allontanare dalla Chiesa gli errori e le esagerazioni della verità di
cui abbiamo sopra parlato, e perché i fedeli possano, guidati dalle norme
più sicure, praticare l'apostolato liturgico con frutti abbondanti,
riteniamo opportuno, Venerabili Fratelli, aggiungere qualche cosa per
dedurre in pratica la dottrina esposta.
Trattando della genuina pietà, abbiamo affermato che tra la Liturgia e
gli altri atti di religione – purché siano rettamente ordinati e tendano al
giusto fine - non ci può essere vero contrasto; ci sono, anzi, alcuni
esercizi di pietà che la Chiesa raccomanda grandemente al Clero ed ai
Religiosi.
Ora, vogliamo che anche il popolo cristiano non sia alieno da questi
esercizi. Essi sono, per parlare soltanto dei principali, la meditazione di
argomenti spirituali, l'esame di coscienza, i ritiri spirituali, istituiti
per riflettere più intensamente sulle verità eterne, la visita al Santissimo
Sacramento e le preghiere particolari in onore della Beata Vergine Maria,
tra le quali eccelle, come tutti sanno, il Rosario.
A queste molteplici forme di pietà non può essere estranea l'ispirazione
e l'azione dello Spirito Santo; esse, difatti - sebbene in varia maniera -
tendono tutte a convertire e dirigere a Dio le anime nostre, perché le
purifichino dai peccati, le spronino al conseguimento della virtù, perché,
infine, le stimolino alla vera pietà, abituandole alla meditazione delle
verità eterne, e rendendole più adatte alla contemplazione dei misteri della
natura umana e divina di Cristo. Ed inoltre, nutrendo intensamente nei
fedeli la vita spirituale, li dispongono a partecipare alle sacre funzioni
con frutto maggiore, ed evitano il pericolo, che le preghiere liturgiche si
riducano a un vano ritualismo.
Non vi stancate, dunque, Venerabili Fratelli, nel vostro zelo pastorale,
di raccomandare ed incoraggiare questi esercizi di pietà, dai quali
scaturiranno senza dubbio al popolo a voi affidato frutti salutari.
Soprattutto, non permettete - come alcuni ritengono, o colla scusa di un
rinnovamento della Liturgia, o parlando con leggerezza di una efficacia e
dignità esclusive dei riti liturgici - che le chiese siano chiuse durante le
ore non destinate alle pubbliche funzioni, come già accade in alcune
regioni; che si trascurino l'adorazione e la visita del Santissimo
Sacramento; che si sconsigli la confessione dei peccati fatta a solo scopo
di devozione; che si trascuri, specialmente tra la gioventù, fino al punto
di illanguidire, il culto della Vergine Madre di Dio che, come dicono i
Santi, è segno di predestinazione. Questi sono frutti avvelenati, sommamente
nocivi alla pietà cristiana, che spuntano da rami infetti di un albero sano;
è necessario, perciò, reciderli, perché la linfa dell'albero possa nutrire
soltanto gradevoli ed ottimi frutti.
Poiché, poi, le opinioni da alcuni manifestate a proposito della
frequente confessione sono del tutto aliene dallo Spirito di Cristo e della
sua Sposa immacolata, e veramente funeste per la vita spirituale, ricordiamo
quello che in proposito abbiamo scritto, con dolore, nella Enciclica
Mystici Corporis,
ed insistiamo di nuovo, perché proponiate alla seria meditazione e alla
docile attuazione dei vostri greggi, e specialmente dei candidati al
sacerdozio e del giovane clero, quanto ivi abbiamo detto con gravi parole.
Adoperatevi poi, in modo particolare, perché moltissimi, non soltanto del
clero ma anche del laicato, e specialmente gli appartenenti ai sodalizi
religiosi ed alle schiere dell'Azione Cattolica, prendano parte ai ritiri
mensili e agli esercizi spirituali compiuti in giorni determinati per
incrementare la pietà. Come abbiam detto sopra, questi esercizi spirituali
sono utilissimi, anzi anche necessari, per instillare nelle anime la genuina
pietà, e per formarli alla santità in modo che possano trarre dalla sacra
Liturgia benefici più efficaci ed abbondanti.
Quanto poi ai vari modi con i quali si sogliono praticare questi
esercizi, sia ben noto e chiaro a tutti che nella Chiesa terrena, come in
quella celeste, vi sono «molte dimore»; e che l'ascetica non può essere
monopolio di alcuno. Uno è lo Spirito che, però, «spira dove vuole»; e con
diversi doni e per diverse vie dirige le anime da lui illuminate al
conseguimento della santità. La loro libertà e l'azione soprannaturale dello
Spirito Santo in esse sia cosa sacrosanta, che a nessuno è lecito, a nessun
titolo, turbare e conculcare. È noto, tuttavia, che gli Esercizi Spirituali
di Sant'Ignazio furono pienamente approvati e insistentemente raccomandati
dai Nostri Predecessori per la loro mirabile efficacia; e Noi pure per la
medesima ragione li abbiamo approvati e raccomandati, come al presente ben
volentieri li approviamo e raccomandiamo.
È assolutamente necessario, però, che l'ispirazione a seguire e praticare
determinati esercizi di pietà venga dal Padre dei lumi, dal quale proviene
ogni cosa buona ed ogni dono perfetto; e di ciò sarà indice l'efficacia con
la quale gioveranno a che il culto divino sia sempre più amato ed ampiamente
promosso, e i fedeli siano sollecitati da un più intenso desiderio alla
partecipazione dei Sacramenti e al dovuto onore e ossequio di tutte le cose
sacre. Se, invece, essi dovessero riuscire di intralcio o si rivelassero in
contrasto con i principi e le norme del culto divino, allora senza dubbio si
dovrebbero ritenere non ordinati da retti pensieri, né guidati da zelo
illuminato.
Vi sono, inoltre, altri esercizi di pietà, che sebbene non appartengano a
rigore di diritto alla sacra Liturgia, rivestono particolare dignità e
importanza, in modo da essere considerati come inseriti in qualche maniera
nell'ordinamento liturgico, e godono delle ripetute approvazioni e lodi di
questa Sede Apostolica e dei Vescovi. Tra esse si devono annoverare le
preghiere che si sogliono fare durante il mese di maggio in onore della
Vergine Madre di Dio, o durante il mese di giugno in onore del Cuore
Sacratissimo di Gesù, i tridui e le novene, la «Via Crucis» ed altri simili.
Queste pie pratiche eccitando il popolo cristiano ad una assidua
frequenza del Sacramento della Penitenza e ad una devota partecipazione al
Sacrificio Eucaristico e alla Mensa Divina, come alla meditazione dei
misteri della nostra Redenzione e alla imitazione dei grandi esempi dei
Santi, per ciò stesso contribuiscono con frutto salutare alla nostra
partecipazione al culto liturgico.
Per cui farebbe cosa perniciosa e del tutto erronea chi osasse
temerariamente assumersi la riforma di questi esercizi di pietà per
costringerli nei soli schemi liturgici. È necessario, tuttavia, che lo
spirito della sacra Liturgia e i suoi precetti influiscano beneficamente su
di essi, per evitare che vi si introduca alcunché di inetto o di indegno del
decoro della casa di Dio, o che sia a detrimento delle sacre funzioni e
contrario alla sana pietà.
Curate, dunque, Venerabili Fratelli, che questa pura e genuina pietà
prosperi sotto i vostri occhi, e fiorisca sempre di più. Non vi stancate
soprattutto di inculcare a ognuno che la vita cristiana non consiste nella
molteplicità e varietà delle preghiere e degli esercizi di pietà, ma
consiste piuttosto in ciò che essi contribuiscano realmente al progresso
spirituale dei fedeli e perciò all'incremento della Chiesa tutta. Poiché
l'Eterno Padre «ci elesse in Lui [Cristo], prima della fondazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto». Tutte le nostre preghiere,
dunque, e tutte le nostre pratiche devote devono mirare a dirigere tutte le
nostre risorse spirituali al raggiungimento di questo supremo e nobilissimo
fine.
Le arti liturgiche
Vi esortiamo, poi, instantemente, Venerabili Fratelli, affinché rimossi
gli errori e le falsità, e proibito tutto ciò che è al di fuori della verità
e dell'ordine, promoviate le iniziative che dànno al popolo una più profonda
conoscenza della sacra Liturgia; in modo che esso possa più adeguatamente e
più facilmente partecipare ai riti divini, con disposizione veramente
cristiana.
È necessario innanzi tutto adoperarsi a che tutti obbediscano con la
dovuta riverenza e fede ai decreti pubblicati dal Concilio di Trento, dai
Romani Pontefici, dalla Congregazione dei Riti, e a tutte le disposizioni
dei libri liturgici in ciò che riguarda l'azione esterna del culto pubblico.
In tutte le cose della Liturgia devono splendere soprattutto questi tre
ornamenti, dei quali parla il Nostro Predecessore Pio X: la santità, cioè,
che aborre da ogni influenza profana; la nobiltà delle immagini e delle
forme alla quale serve ogni arte genuina e migliore; l'universalità, infine,
la quale - conservando legittimi costumi e le legittime consuetudini
regionali - esprime la cattolica unità della Chiesa.
Desideriamo e raccomandiamo caldamente ancora una volta il decoro dei
sacri edifici e dei sacri altari. Ognuno si senta animato dalla parola
divina: «Lo zelo della tua casa mi ha divorato»; e si adoperi secondo le sue
forze, perché ogni cosa, sia nei sacri edifici, sia nelle vesti e nella
suppellettile liturgica, anche se non brilli per eccessiva ricchezza e
splendore, sia, tuttavia, proprio e mondo, essendo tutto consacrato alla
Divina Maestà. Che se già più sopra abbiamo riprovato il non retto modo di
agire di coloro i quali, con la scusa di ripristinare l'antico, vogliono
espellere dai templi le immagini sacre, riteniamo qui esser Nostro dovere
riprendere la pietà non bene educata di coloro i quali, nelle chiese e sugli
stessi altari propongono alla venerazione, senza giusto motivo, molteplici
simulacri ed effigi, coloro quali espongono reliquie non riconosciute dalla
legittima autorità, coloro infine, i quali insistono su cose particolari e
di poca importanza, mentre trascurano le principali e necessarie, e così
rendono ridicola la religione, e avviliscono la gravità del culto.
Richiamiamo anche il decreto «sulle nuove forme di culto e di devozione
da non introdurre»; la cui religiosa osservanza raccomandiamo alla vostra
vigilanza.
Quanto alla musica, si osservino scrupolosamente le determinate e chiare
norme emanate da questa Sede Apostolica. Il canto gregoriano, che la Chiesa
Romana considera cosa sua, perché ricevuto da antica tradizione e custodito
nel corso dei secoli sotto la sua premurosa tutela, e che essa propone ai
fedeli come cosa anche loro propria, e che prescrive in senso assoluto in
alcune parti della Liturgia, non soltanto aggiunge decoro e solennità alla
celebrazione dei divini Misteri, ma contribuisce massimamente anche ad
accrescere la fede e la pietà degli astanti. Al qual proposito i Nostri
Predecessori di immortale memoria Pio X e Pio XI stabilirono - e Noi
confermiamo volentieri con la Nostra autorità le disposizioni da essi date -
che nei Seminati e negli istituti religiosi sia coltivato con studio e
diligenza il canto Gregoriano, e che, almeno presso le chiese più
importanti, siano restaurate le antiche Scholæ cantorum, come già è
stato fatto con felice risultato in non pochi luoghi.
Inoltre, «perché i fedeli partecipino più attivamente al culto divino,
sia ripristinato il canto Gregoriano anche nell'uso del popolo, per la parte
che ad esso popolo spetta. Ed urge veramente che i fedeli assistano alle
sacre cerimonie non come spettatori muti ed estranei, ma toccati nel
profondo dalla bellezza della Liturgia […] che alternino secondo le norme
prescritte la loro voce alle voci del sacerdote e della cantoria; se ciò,
grazie a Dio, si verificherà, allora non accadrà più che il popolo risponda
appena con un lieve e sommesso mormorio alle preghiere comuni dette in
latino e in lingua volgare». La moltitudine che assiste attentamente al
Sacrificio dell'altare, nel quale il nostro Salvatore, insieme con i suoi
figli redenti dal suo Sangue, canta l'epitalamio della sua immensa carità,
certamente non potrà tacere, poiché «cantare è proprio di chi ama», e come
già in antico diceva il proverbio: «Chi bene canta, prega due volte». Così
che la Chiesa militante, Clero e popolo insieme, unisce la sua voce ai
cantici della Chiesa trionfante ed ai cori angelici, e tutti insieme cantano
un magnifico ed eterno inno di lode alla Santissima Trinità, come è scritto:
«Con i quali Ti preghiamo che vengano ascoltate anche le nostre voci».
Non si può, tuttavia, asserire che la musica e il canto moderno debbano
essere esclusi del tutto dal culto cattolico. Anzi, se nulla hanno di
profano o di sconveniente alla santità del luogo e dell'azione sacra, né
derivano da una vana ricerca di effetti straordinari ed insoliti, allora è
necessario certamente aprire ad essi le porte delle nostre chiese, potendo
ambedue contribuire non poco allo splendore dei sacri riti, alla elevazione
delle menti e, insieme, alla vera devozione.
Vi esortiamo anche, Venerabili Fratelli, ad aver cura di promuovere il
canto religioso popolare e la sua accurata esecuzione fatta con la
conveniente dignità, potendo esso stimolare ed accrescere la fede e la pietà
delle folle cristiane. Ascenda al cielo il canto unisono e possente del
popolo nostro come il fragore dei flutti del mare, espressione canora e
vibrante di un sol cuore e di un'anima sola, come conviene a fratelli e
figli di uno stesso Padre.
Quello che abbiamo detto della musica, va detto all'incirca delle altre
arti, e specialmente dell'architettura, della scultura e della pittura. Non
si devono disprezzare e ripudiare genericamente e per partito preso le forme
ed immagini recenti, più adatte ai nuovi materiali con quali esse vengono
oggi confezionate: ma evitando con saggio equilibrio l'eccessivo realismo da
una parte e l'esagerato simbolismo dall'altra, e tenendo conto delle
esigenze della comunità cristiana, piuttosto che del giudizio e del gusto
personale degli artisti, è assolutamente necessario dar libero campo anche
all'arte moderna, se serve con la dovuta riverenza e il dovuto onore, ai
sacri edifici ed ai riti sacri; in modo che anch'essa possa unire la sua
voce al mirabile cantico di gloria che geni hanno cantato nei secoli passati
alla fede cattolica. Non possiamo fare a meno, però, per Nostro dovere di
coscienza, di deplorare e riprovare quelle immagini e forme da alcuni
recentemente introdotte, che sembrano essere depravazione e deformazione
della vera arte, e che talvolta ripugnano apertamente al decoro, alla
modestia ed alla pietà cristiana, e offendono miserevolmente il genuino
sentimento religioso; esse si devono assolutamente tener lontane e metter
fuori dalle nostre chiese come «in generale, tutto ciò che non è in armonia
con la santità del luogo».
Attenendovi alle norme e ai decreti dei Pontefici, curate diligentemente,
Venerabili Fratelli, di illuminare e dirigere la mente e l'anima degli
artisti, ai quali sarà affidato oggi il compito di restaurare e ricostruire
tante chiese rovinate o distrutte dalla violenza della guerra; possano e
vogliano essi ispirandosi alla religione trovare i motivi più degni ed
adatti alle esigenze del culto; così, difatti, felicemente accadrà che le
arti umane, quasi venute dal cielo, splendano di luce serena, promuovano
sommamente l'umana civiltà, e contribuiscano alla gloria di Dio e alla
santificazione delle anime. Poiché le arti allora davvero sono conformi alla
religione, quando servono «come nobilissime ancelle al culto divino».
La formazione liturgica
Ma c'è una cosa ancora più importante, Venerabili Fratelli, che
raccomandiamo in modo speciale alla vostra sollecitudine e al vostro zelo
apostolico. Tutto ciò che riguarda il culto religioso esterno ha la sua
importanza, ma urge soprattutto che i cristiani vivano la vita liturgica, e
ne alimentino e incrementino lo spirito soprannaturale. Provvedete dunque
alacremente che il giovane clero sia formato alla intelligenza delle sacre
cerimonie, alla comprensione della loro maestà e bellezza, e impari
diligentemente le rubriche, in armonia con la sua formazione ascetica,
teologica, giuridica e pastorale. E ciò non soltanto per ragioni di cultura,
non soltanto perché il seminarista possa un giorno compiere i riti della
religione con l'ordine, il decoro e la dignità necessari, ma soprattutto
perché sia educato in intima unione con Cristo Sacerdote, e diventi un santo
ministro di santità.
Mirate anche in ogni modo a che, con i mezzi e i sussidi che la vostra
prudenza giudicherà più adatti, il clero e il popolo siano una sola mente ed
un'anima sola; e così il popolo cristiano partecipi attivamente alla
Liturgia, che diventerà davvero l'azione sacra nella quale il sacerdote che
attende alla cura delle anime nella parrocchia affidatagli, unito con
l'assemblea del popolo, renda al Signore il debito culto.
Per ottenere ciò sarà certamente utile che pii giovinetti, bene istruiti,
vengano scelti tra ogni classe di fedeli perché, con disinteresse e buona
volontà, servano devotamente e assiduamente all'altare: compito che dovrebbe
essere tenuto in grande considerazione dai genitori, anche di alta
condizione sociale e cultura.
Se questi giovinetti saranno istruiti con la necessaria cura e sotto la
vigilanza di un sacerdote perché adempiano questo loro ufficio con costanza
e riverenza e nelle ore stabilite, si renderà facile il sorgere fra loro di
nuove vocazioni sacerdotali; e il Clero non si lamenterà di non trovare -
come, purtroppo, accade talvolta anche in regioni cattolicissime - nessuno
che, nella celebrazione dell'augusto Sacrificio, gli risponda e gli serva.
Cercate soprattutto di ottenere, col vostro diligentissimo zelo, che
tutti i fedeli assistano al Sacrificio Eucaristico e ne traggano i più
abbondanti frutti di salvezza; quindi esortateli assiduamente affinché vi
partecipino con devozione, in tutti quei modi legittimi dei quali sopra
abbiamo fatto parola. L'augusto Sacrificio dell'altare è l’atto fondamentale
del culto divino; è necessario, perciò, che esso sia la fonte e il centro
anche della pietà cristiana. Ritenete di non aver mai abbastanza soddisfatto
al vostro zelo apostolico se non quando vedete vostri figli accostarsi in
gran numero al celeste convito che è «Sacramento di pietà, segno di unità,
vincolo di carità».
Perché, poi, il popolo cristiano possa conseguire questi doni
soprannaturali con sempre maggiore abbondanza, istruitelo con cura, per
mezzo di opportune predicazioni, e specialmente con discorsi e cicli di
conferenze, con settimane di studio e con altre simili manifestazioni, sui
tesori di pietà contenuti nella sacra Liturgia. A questo scopo saranno
certamente a vostra disposizione membri dell'azione Cattolica, sempre pronti
a collaborare con la Gerarchia per promuovere il Regno di Gesù Cristo.
È assolutamente necessario, però, che in tutto ciò vigilate attentamente
perché nel campo del Signore non si introduca il nemico per seminarvi la
zizzania in mezzo al grano; perché, in altre parole, non si infiltrino nel
vostro gregge perniciosi e sottili errori di un falso misticismo e di un
nocivo quietismo - errori da Noi come sapete, già condannati - e perché le
anime non siano sedotte da un pericoloso umanesimo, né si introduca una
falsa dottrina che altera la nozione stessa della fede, né, infine, un
eccessivo archeologismo in materia liturgica. Curate con egual diligenza
perché non si diffondano le false opinioni di coloro i quali a torto credono
e insegnano che la natura umana di Cristo glorificata abiti realmente e con
la sua continua presenza nei giustificati, oppure che una unica e identica
grazia congiunga Cristo con le membra del suo Corpo.
Non vi lasciate disanimare dalle difficoltà che nascono; mai si scoraggi
il vostro zelo pastorale. «Suonate la tromba in Sion, convocate l'assemblea,
riunite il popolo, santificate la Chiesa, adunate i vecchi, raccogliete i
bambini e i lattanti», e fate con ogni mezzo che si affollino dovunque le
chiese e gli altari di cristiani, i quali, come membra vive unite al loro
Capo divino, siano ristorati dalle grazie dei Sacramenti, celebrino
l'augusto Sacrificio con Lui e per Lui, e diano all'Eterno Padre le lodi
dovute.
Conclusione
Tutte queste cose, Venerabili Fratelli, avevamo in animo di scrivervi, e
lo facciamo affinché i Nostri e i vostri devoti figli meglio comprendano e
maggiormente stimino il preziosissimo tesoro contenuto nella sacra Liturgia:
cioè il Sacrificio Eucaristico, che rappresenta e rinnova il Sacrificio
della Croce, i Sacramenti, fiumi di grazia e di vita divina, e l'inno di
lode che il cielo e la terra elevano ogni giorno a Dio.
Ci sia lecito sperare che queste Nostre esortazioni sproneranno i tiepidi
e i ricalcitranti non soltanto a uno studio più intenso ed illuminato della
Liturgia, ma anche a tradurre nella pratica della vita il suo spirito
soprannaturale, come dice l'Apostolo: «non vogliate spegnere lo Spirito».
A quelli che uno zelo eccessivo spinge talvolta a dire e a fare cose che
Ci duole di non poter approvare, ripetiamo l'avvertimento di S. Paolo:
«Mettete ogni cosa a prova, ritenete ciò che è buono»; e li ammoniamo con
animo paterno perché vogliano ricavare il loro modo di pensare e di agire
dalla cristiana dottrina, conforme ai precetti della immacolata Sposa di
Gesù Cristo, e Madre dei Santi.
A tutti, poi, ricordiamo la necessità di una generosa e fedele obbedienza
ai Pastori ai quali spetta il diritto ed incombe il dovere di regolare tutta
la vita, e innanzi tutto quella spirituale, della Chiesa: «Obbedite ai
vostri superiori e siate ad essi sottomessi. Essi, difatti, vegliano sulle
anime vostre col pensiero di renderne conto, affinché lo facciano con gioia,
e non gemendo».
Il Dio che adoriamo, e che «non è Dio di discordia, ma di pace», conceda
benigno a noi tutti di partecipare in questo esilio terreno, con uno
solamente e un solo cuore, alla sacra Liturgia, che sia come una
preparazione ed un auspicio di quella celeste Liturgia, con la quale, come
confidiamo, in compagnia con la eccelsa Madre nostra, canteremo: «A Colui
che siede sul trono e all'agnello: benedizione, e onore e gloria e impero
nei secoli dei secoli».
Con questa lietissima speranza, a voi tutti e singoli, Venerabili
Fratelli, ai greggi affidati alla vostra vigilanza, come auspicio dei doni
celesti, e attestato della Nostra particolare benevolenza, impartiamo con
grandissimo affetto l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 20 Novembre 1947,
ottavo
del Nostro Pontificato.
PIO PP. XII.