... a cura di Don Nicola Bux e con Salvatore Vitiello - Due
teorie nate dal 'biblicismo'
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Si
sostiene che il rito postconciliare della Santa Messa sia più ricco di
Letture, di Preghiere Eucaristiche, mentre il Messale detto di Pio V sarebbe
povero e poco accurato. È una tesi anacronistica perché non tiene conto
della distanza di quattro secoli; sarebbe come accusare, analogamente, i
"Sacramentari" anteriori di alcuni secoli a quello di Pio V. Inoltre si
dimentica che le pericopi di questo Messale si sono formate sulla base degli
antichi capitolari con epistole, come il "Liber comitis" di San Girolamo -
datato al 471 - o con pericopi evangeliche; una tradizione comune con
l'Oriente, come attesta ancora oggi la liturgia bizantina.
In secondo luogo, le letture brevi aiutano a
memorizzare l'essenziale ed esprimono la sobrietà del rito romano. Si arriva
poi ad affermare che, la forma straordinaria dell'unico Rito latino, non
sottolineerebbe sufficientemente la presenza di Cristo nella Parola, quando
questa si proclama nell'assemblea; in tal modo verrebbe meno l'essenza
stessa dell'azione liturgica che è costituita dalle "due mense" - in "Dei
Verbum" n. 21 sembra "una" sola - che formano un solo atto di culto!
Il Messale del Concilio di Trento si
muoverebbe in una prospettiva lontana dalla tradizione dei Padri della
Chiesa; sarebbe un Messale nato esclusivamente per il prete, e non
prevederebbe la partecipazione dell'assemblea perché il popolo è
semplicemente pleonastico. Infatti il prete celebrerebbe per conto proprio e
il popolo altrettanto; altra cosa sarebbe la Messa detta "di Paolo VI" nella
quale non celebrerebbe il sacerdote ma la Chiesa, presente sacramentalmente
nell'assemblea, di cui il sacerdote, in forza dell'ordine, è presidente
naturale.
È un discorso che, in modo piuttosto
problematico, riduce tutto a Parola e Assemblea. Ma "Gesù non è solo
maestro, ma redentore dell'uomo nella sua interezza. Il Gesù che ammaestra è
anche colui che guarisce" (J.Ratzinger-Benedetto XVI, "Gesù di Nazaret", p.
88) e questo avviene efficacemente solo con il Sacramento Eucaristico.
Un'altra teoria diffusa, a causa del consueto
fenomeno di sostituzione e di scambio di una cosa per l'altra, è
l'equiparazione della presenza di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento alla
presenza della Parola nel libro delle Scritture: questa c'è solo "quando
nella chiesa si legge la Sacra Scrittura" ("Sacrosanctum Concilium" n. 7). È
necessario ribadire che la presenza di Cristo nella Parola c'è, a due
condizioni: quando la lettura si fa "nella chiesa", non privatamente, e
quando "si legge" la Sacra Scrittura. Dunque non basta che ci sia il libro
sacro sull'ambone o sull'altare, perché ci sia la presenza. (Cf. Le parole
della dottrina: "La presenza del Signore Gesù precede e permane oltre
l’assemblea liturgica", del 10/07/08).(1)
Infine, è quanto mai urgente che la
predicazione e la catechesi tornino a ribadire la giusta distinzione tra
Rivelazione, Parola di Dio e Sacra Scrittura che, seppur intimamente
connesse, non sono equivalenti. Talora, infatti, non senza sorpresa, si
riscontra a tale riguardo, notevole confusione e non solo tra i fedeli
laici. Si è giunti a ritenere che la Bibbia si interpreti con la Bibbia, e
non, come sempre nella Chiesa Cattolica, nella Tradizione e in fedele
ascolto del Magistero.
(1) Non dimentichiamo che la Parola
contenuta nella Scrittura viene in contatto col credente attraverso il
'mezzo' del testo; nell'Eucaristia, invece, c'è un contatto diretto per la
Presenza Reale del Signore Gesù... Non si può quindi parlare, se non in
termini protestanti, di analogia della Presenza nella Scrittura e nel
Sacramento, come enfatizzato ad esempio nel contesto neocatecumenale (ndR)
(Agenzia Fides 2/10/2008)