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Aspetti dell'ecclesiologia cattolica nella recezione del
Vaticano II
Conferenza di mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia
Commissione Ecclesia Dei, Wigratzbad (sede del seminario europeo della
F.S.S.P.), 2 luglio 2010
Premessa
Se si considera la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano
II, si rendono subito visibili la grandezza e l’ampiezza
dell’approfondimento del mistero della Chiesa e del suo rinnovamento
interiore, ad opera dei Padri conciliari.
Se però si legge o si ascolta molto di ciò che è stato detto da certi
teologi, alcuni famosi, altri che inseguono una teologia dilettantistica, o
da una diffusa pubblicistica cattolica post conciliare, non si può non
essere assaliti da una profonda tristezza e non si possono non nutrire serie
preoccupazioni.
È davvero difficile concepire un contrasto maggiore di quello esistente tra i
documenti ufficiali del Concilio Vaticano II, del Magistero pontificio
posteriore, degli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede
da un parte, e, dall’altra parte, le tante idee o le affermazioni ambigue,
discutibili e spesso contrarie alla retta dottrina cattolica, che si sono
moltiplicate negli ambienti cattolici e in genere nell’opinione pubblica.
Quando si parla del Concilio Vaticano II e della sua recezione, il punto
chiave di riferimento ormai deve essere uno solo, quello che lo stesso
Magistero pontificio ha formulato in modo chiarissimo e inequivocabile. Nel
Discorso del 22 dicembre alla Curia Romana Papa Benedetto XVI si è così
espresso: “Emerge la domanda: perché la recezione del Concilio, in grandi
parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile ? Ebbene,
tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio – come diremmo oggi
– dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di
applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due
ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra
loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente, ma sempre più
visibilmente, ha portato e porta frutti. Da una parte esiste
un’interpretazione che vorrei chiamare – aggiunge il Santo Padre
–‘ermeneutica della discontinuità e della rottura’; essa non di rado si è
potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della
teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’ ‘ermeneutica della riforma, del
rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci
ha donato; è un soggetto che cresce e si sviluppa, rimanendo però sempre lo
stesso, unico soggetto del popolo di Dio in cammino” (cf. Benedetto XVI,
Insegnamenti, vol. I, 2005, Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 1023
sg.).
Evidentemente, se il Santo Padre parla di due interpretazioni o chiavi di
lettura divergenti, una della discontinuità o rottura con la Tradizione
cattolica, e una del rinnovamento nella continuità, ciò significa che la
questione cruciale o il punto veramente determinante all’origine del
travaglio, del disorientamento e della confusione che hanno caratterizzato e
ancora caratterizzano in parte i nostri tempi non è il Concilio Vaticano II
come tale, non è l’insegnamento oggettivo contenuto nei suoi Documenti, ma è
l’interpretazione di tale insegnamento.
In questa esposizione mi propongo di sviluppare brevemente due aspetti
particolari, allo scopo di mettere in luce i punti fermi per una
interpretazione corretta della dottrina conciliare, a confronto con le
deviazioni e gli equivoci provocati dall’ermeneutica della discontinuità:
I. L’unità e l’unicità della Chiesa cattolica.
II. La Chiesa cattolica e le religioni in rapporto alla salvezza.
Nella conclusione infine vorrei fare alcune considerazioni sulle cause
dell’ermeneutica della discontinuità con la Tradizione, mettendo in risalto
soprattutto la forma mentis che ne sta alla base.
I. L’unità e l’unicità della Chiesa cattolica.
1. Contro l’opinione, sostenuta da numerosi teologi, che il Vaticano II
abbia introdotto cambiamenti radicali riguardo la comprensione della Chiesa,
si deve constatare anzitutto che il Concilio rimane sul terreno della
Tradizione per ciò che concerne la dottrina sulla Chiesa. Ciò tuttavia non
esclude che il Concilio abbia prodotto nuovi orientamenti ed esplicitato
alcuni determinati aspetti. La novità rispetto alle dichiarazioni precedenti
il Concilio è già nel fatto che il rapporto della Chiesa cattolica verso le
chiese ortodosse e le comunità evangeliche nate dalla Riforma luterana è
trattato come tema a se stante e in modo formalmente positivo, mentre
nell’Enciclica Mortalium animos di Pio XI (1928), ad esempio, lo scopo era
quello di delimitare e distinguere nettamente la Chiesa cattolica dalle
confessioni cristiane non cattoliche.
2. E tuttavia, in primo luogo, il Vaticano II insiste sulla posizione di
unità e unicità della vera Chiesa, riferendosi alla Chiesa cattolica
esistente: “E’ questa l’unica Chiesa di Cristo che nel simbolo professiamo
una, santa, cattolica e apostolica” (LG, 8). In secondo luogo, il Concilio
risponde alla domanda su dove sia possibile trovare la vera Chiesa: “Questa
Chiesa, costituita ed organizzata in questo mondo come società, sussiste
nella Chiesa cattolica” (LG, 8). E per evitare ogni equivoco riguardo
all’identificazione tra la vera Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica, si
aggiunge che si tratta della Chiesa “governata dal Successore di Pietro e
dai Vescovi in comunione con lui” (LG, 8). L’unica Chiesa di Cristo ha
dunque nella Chiesa cattolica la sua realizzazione, la sua esistenza, la sua
stabilità. Non c’è nessuna altra Chiesa di Cristo accanto alla Chiesa
cattolica. Con ciò si afferma – almeno implicitamente - che la Chiesa di
Gesù Cristo non è divisa in se stessa, neanche nella sua sostanza e che la
sua unità indivisa non viene annullata dalle tante separazioni dei
cristiani.
Tale dottrina sull’indivisibilità della Chiesa di Cristo, della sua
identificazione sostanziale con la Chiesa cattolica, è ribadita nei
Documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mysterium
Ecclesiae (1973), Dominus Iesus, 16 e 17 (2000) e nei Responsa ad dubia su
alcune questioni ecclesiologiche (2007).
L'espressione subsistit in di Lumen gentium 8 significa che la Chiesa di
Cristo non si è smarrita nelle vicende della storia, ma continua ad esistere
come un unico e indiviso soggetto nella Chiesa cattolica. La Chiesa di
Cristo sussiste, si ritrova e si riconosce nella Chiesa cattolica. In questo
senso, vi è piena continuità con la dottrina insegnata precedentemente dal
Magistero (Leone XIII, Pio XI e Pio XII).
3. Con la formula “subsistit in” la dottrina del Concilio – conformemente
alla Tradizione cattolica – voleva esattamente escludere qualsiasi forma di
relativismo ecclesiologico. Nello stesso tempo la sostituzione del
“subsistit in” con l’ “est” adoperato dall’Enciclica Mystici Corporis di Pio
XII, intende affrontare il problema ecumenico in modo più diretto ed
esplicito di quanto si era fatto in passato. Sebbene la Chiesa sia soltanto
una e si trovi in un unico soggetto, esistono però al di fuori di questo
soggetto elementi ecclesiali veri e reali, che, tuttavia, essendo propri
della Chiesa cattolica, spingono all’unità cattolica.
Il merito del Concilio è d’una parte di aver espresso l’unicità,
l’indivisibilità e la non moltiplicabilità della Chiesa cattolica, e d’altra
parte aver riconosciuto che anche nelle confessioni cristiane non cattoliche
esistono doni ed elementi che hanno carattere ecclesiale, che giustificano e
spingono ad operare per la restaurazione dell’unità di tutti i discepoli di
Cristo. La pretesa di essere l’unica Chiesa di Cristo non può essere infatti
interpretata al punto da non riconoscere la differenza essenziale tra i
fedeli cristiani non cattolici e i non battezzati. Non è possibile infatti
mettere sullo stesso piano quanto all’appartenenza alla Chiesa i cristiani
non cattolici e coloro che non hanno ricevuto il battesimo. Il rapporto con
la Chiesa cattolica da parte delle Chiese e Comunità ecclesiali cristiane
non cattoliche non è tra il nulla e il tutto, ma è tra la parzialità della
comunione e la pienezza della comunione.
4. Nel paradosso, per così dire, della differenza tra unicità della Chiesa
cattolica ed esistenza di elementi realmente ecclesiali al di fuori di
questo unico soggetto, si riflette la contradditorietà della divisione e del
peccato. Ma tale divisione è qualcosa di totalmente diverso da quella
visione relativistica che considera la divisione fra i cristiani non come
una frattura dolorosa, ma come la manifestazione delle molteplici variazioni
dottrinali di uno stesso tema, nel quale tutte le variazioni o divergenze
sarebbero in qualche modo giustificate e dovrebbero fra loro riconoscersi e
accettarsi come differenze o divergenze. L’idea che ne deriva è che
l’ecumenismo dovrebbe consistere nel reciproco e rispettoso riconoscimento
delle diversità, e il cristianesimo sarebbe alla fine l’insieme dei
frammenti della realtà cristiana. Tale interpretazione del pensiero
conciliare è espressione per l’appunto di quella discontinuità o rottura con
la Tradizione cattolica e rappresenta una profonda falsificazione del
Concilio.
5. Per recuperare una autentica interpretazione del Concilio nella linea di
un’evoluzione nella continuità sostanziale con la dottrina tradizionale
della Chiesa, occorre sottolineare che gli elementi di «santificazione e di
verità» che le altre Chiese e Comunità cristiane hanno in comune con la
Chiesa cattolica, costituiscono insieme la base per la reciproca comunione
ecclesiale e il fondamento che le caratterizza in modo vero, autentico e
reale. Sarebbe però necessario aggiungere, per completezza, che quanto esse
hanno di proprio, non condiviso dalla Chiesa cattolica e che separa da essa
queste comunità, le connota come non-Chiesa. Esse quindi sono «strumento di
salvezza» (UR 3) per quella parte che hanno in comune con la Chiesa
cattolica e i loro fedeli seguendo questa parte comune possono raggiungere
la salvezza; per quella parte invece che è estranea o opposta alla Chiesa
cattolica, esse non sono strumenti di salvezza (salvo che si tratti di
coscienza invincibilmente erronea; in tal caso il loro errore non è
imputabile, sebbene si debba qualificare la coscienza comunque come erronea)
[cf. ad es. il fatto delle ordinazioni di donne al sacerdozio e
all’episcopato, o l’ordinazioni di persone omosessuali in certe comunità
anglicane o vetero-cattoliche].
6. Il Vaticano II insegna che tutti i battezzati in quanto tali sono
incorporati a Cristo (UR 3), ma nello stesso tempo dichiara che si può
parlare soltanto di una aliqua communio, etsi non perfecta, tra i credenti
in Cristo e battezzati non cattolici da una parte e la Chiesa cattolica
dall'altra (UR 3).
Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell'unità dei credenti in
Cristo. Tuttavia esso di per sé è soltanto l'inizio e l'esordio, per così
dire, perché il battesimo tende intrinsecamente all'acquisto della intera
vita in Cristo. Pertanto il battesimo è ordinato all'integra professione di
fede, all'integrale comunione nell'istituzione della salvezza voluta da
Cristo, che è la Chiesa, e infine all'integrale inserzione nella comunione
eucaristica (UR 22). È evidente quindi che l'appartenenza ecclesiale non
si può mantenere piena, se la vita battesimale ha poi un seguito
sacramentale e dottrinale oggettivamente difettoso e alterato. Una Chiesa è
pienamente identificabile soltanto laddove si trovano riuniti gli elementi
«sacri» necessari e irrinunciabili che la costituiscono come Chiesa: la
successione apostolica (che implica la comunione con il Successore di
Pietro), i sacramenti, la sacra Scrittura. Quando qualcuno di questi
elementi manca o è difettosamente presente, la realtà ecclesiale risulta
alterata in proporzione della manchevolezza riscontrata. In particolare, il
termine «Chiesa» può essere legittimamente riferito alle Chiese orientali
separate, mentre non lo può essere alle Comunità nate dalla Riforma, poiché
in queste ultime l'assenza della successione apostolica, la perdita della
maggior parte dei sacramenti, e specialmente dell'eucaristia, feriscono e
indeboliscono una parte sostanziale della loro ecclesialità (cf. Dominus
Iesus, 16 e 17).
7. La Chiesa cattolica ha in sé tutta la verità, poiché è il Corpo e la
Sposa di Cristo. Tuttavia non la comprende tutta pienamente. Perciò ha
bisogno di essere guidata dallo Spirito «alla verità tutta intera» (Gv
16,13). Altro è l'essere, altra la conoscenza piena dell'essere. Perciò la
ricerca e la conoscenza progredisce e si sviluppa. Anche i membri della
Chiesa cattolica non sempre vivono all'altezza della sua verità e dignità.
Perciò la Chiesa cattolica può crescere nella comprensione della verità, nel
senso di appropriarsi consapevolmente e riflessamente di ciò che
ontologicamente ed esistenzialmente essa è già. In questo contesto si
capisce l'utilità e la necessità del dialogo ecumenico, per recuperare ciò
che eventualmente sia stato emarginato o trascurato in determinate epoche
storiche e integrare nella sintesi dell'esistenza cristiana nozioni in parte
dimenticate. Il dialogo con i non cattolici non è mai sterile né formale,
nel presupposto però che la Chiesa è consapevole di avere nel suo Signore la
pienezza della verità e dei mezzi salvifici.
Le suddette puntualizzazioni dottrinali consentono di sviluppare una
teologia in piena continuità con la Tradizione e nello stesso tempo in linea
con l’orientamento e l’approfondimento voluto dal Concilio Vaticano II e dal
Magistero successivo fino ad oggi.
II. La Chiesa cattolica e le religioni in rapporto alla salvezza.
È normale che, in un mondo che cresce sempre più assieme fino a produrre un
villaggio globale, anche le religioni si incontrino. Così oggi la
coesistenza di religioni diverse caratterizza sempre più la quotidianità
degli uomini. Ciò conduce non solo ad un avvicinamento esteriore di seguaci
di religioni diverse, ma contribuisce ad uno sviluppo di interessi verso
sistemi di religioni fino ad oggi sconosciute. Nell’Occidente prevale sempre
più nella coscienza collettiva la tendenza dell’uomo moderno a coltivare la
tolleranza e la liberalità, abbandonando sempre più la pretesa del
Cristianesimo ad essere la “vera” religione. La cosiddetta pretesa di
assolutezza del cristianesimo, tradotta nella formula tradizionale
dell’unica Chiesa in cui soltanto vi è la salvezza, incontra oggi tra i
cattolici e gli evangelici incomprensione e rifiuto. Alla formula classica
“extra Ecclesiam nulla salus”, oggi si sostituisce spesso la formula “extra Ecclesiam multa salus”.
Le conseguenze di questo relativismo religioso non sono soltanto di ordine
teoretico, ma hanno riflessi devastanti di ordine pastorale. È sempre più
diffusa l’idea che la missione cristiana non deve più perseguire il fine
della conversione delle genti al Cristianesimo, ma la missione si limita ad
essere o pura testimonianza della propria fede o impegno nella solidarietà e
nell’amore fraterno per la realizzazione della pace tra i popoli e della
giustizia sociale.
In tale contesto si può osservare una deficienza fondamentale, cioè la
perdita della questione della verità. Venendo a mancare la domanda sulla
verità, cioè sulla vera religione, l’essenza della religione non si
differenzia più dalla sua mistificazione, cioè la fede non riesce a
distinguersi più dalla superstizione, l’esperienza autentica religiosa non
si distingue più dall’illusione, la mistica non si distingue più dal falso
misticismo. Infine, senza la pretesa di verità, anche l’apprezzamento per
ciò che è giusto e valido nelle diverse religioni, diventa contraddittorio,
perché manca il criterio di verità per constatare ciò che di vero e di buono
c’è nelle religioni.
È quindi necessario e urgente oggi richiamare i punti fermi della dottrina
cattolica sul rapporto tra Chiesa e religioni in ordine alla questione della
verità e della salvezza, salvaguardando l’identità profonda della missione
cristiana di evangelizzazione. Presentiamo una sintesi ordinata
dell’insegnamento del Magistero al riguardo, che mette in luce come anche su
questo aspetto esiste una continuità sostanziale del pensiero cattolico, pur
nella ricchezza delle sottolineature e delle prospettive emergenti nel
Concilio Vaticano II e nel più recente Magistero pontificio.
1. Il mandato missionario. Cristo ha inviato i suoi Apostoli perché “nel suo
Nome” “siano predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei
peccati” (Lc 24, 47). “Ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). La missione di
battezzare, dunque la missione sacramentale, è implicita nella missione di
evangelizzare, poiché il sacramento è preparato dalla Parola di Dio e dalla
fede, la quale è consenso a questa Parola (cf. Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1122).
2. Origine e scopo della missione cristiana. Il mandato missionario del
Signore ha la sua ultima origine nell’amore eterno della Santissima Trinità
e il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli
uomini della comunione che esiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo
(cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 850).
3. Salvezza e Verità. “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino
alla conoscenza della verità” (1 Tim 2,4). Ciò significa che “Dio vuole la
salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si
trova nella verità” (Dich. Dominus Iesus, 22). “La certezza della volontà
salvifica universale di Dio non allenta, ma aumenta il dovere e l’urgenza
dell’annuncio della salvezza e della conversione al Signore Gesù Cristo” (Ibid).
4. La vera religione. Il Concilio Vaticano II “professa che lo stesso Dio ha
fatto conoscere al genere umano la via, attraverso la quale gli uomini,
servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e divenire beati. Questa
unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e
apostolica, alla quale il Signore ha affidato la missione di comunicarla a
tutti gli uomini” ( Dich.Dignitatis humanae, 1).
5. Missione ad gentes e dialogo inter-religioso. Il dialogo inter-religioso
fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. “Inteso come metodo e
come mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non
soltanto non si contrappone alla missio ad gentes, anzi ha speciali legami
con essa e ne è un’espressione” (Lett. Enc. Redemptoris missio, 55). “Il
dialogo non dispensa dall’evangelizzazione”(ibid.) né può sostituirla, ma
accompagna la missio ad gentes (cf.Congregatio pro Doctrina Fidei, Dich.
Dominus Iesus, 2 e Nota sull’evangelizzazione). “I credenti possono trarre
profitto per se stessi da questo dialogo, imparando a conoscere meglio
“tutto ciò che di verità e di grazia era già riscontrabile, per una presenza
nascosta di Dio, in mezzo alle genti” (Dich. Ad gentes, 9). Se infatti essi
annunciano la Buona Novella a coloro che la ignorano, è per consolidare,
completare ed elevare la verità e il bene che Dio ha diffuso tra gli uomini
e i popoli, e per purificarli dall’errore e dal male “per la gloria di Dio,
la confusione del demonio e la felicità dell’uomo” (Ibid.)” (Catechismo
della Chiesa Cattolica, 856).
6. Quanto al rapporto tra Cristianesimo, ebraismo e islam, il Concilio non
afferma affatto la teoria, che purtroppo si sta diffondendo nella coscienza
dei fedeli, secondo la quale le tre religioni monoteiste (ebraismo,
islamismo e cristianesimo) siano come dei rami di una stessa rivelazione
divina. La stima verso le religioni monoteiste non diminuisce e non limita
in alcun modo il compito missionario della Chiesa: “la Chiesa annuncia ed è
tenuta ad annunciare incessantemente che Cristo è la via, la verità e la
vita (Gv 14,6) in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa”
(Nostra aetate, 2).
7. Il legame della Chiesa con le altre religioni non cristiane. “La Chiesa
riconosce nelle altre religioni la ricerca, ancora “nelle ombre e nelle
immagini” (Cost. Dogm. Lumen gentium, 16) di “un Dio ignoto”, ma vicino,
“poiché è Lui che dà a tutti la vita e respiro ad ogni cosa”. Pertanto la
Chiesa considera “tutto ciò che di buono e di vero” si trova nelle religioni
“come una preparazione al Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni
uomo affinché abbia finalmente la vita” (Ibid.)” (Catechismo della Chiesa
Cattolica, 843).
“Ma nel loro comportamento religioso, gli uomini mostrano anche limiti ed
errori che sfigurano l’immagine di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica,
844): “molto spesso gli uomini, ingannati dal Maligno, hanno vaneggiato nei
loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna,
servendo la creatura piuttosto che il Creatore, oppure vivendo e morendo
senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale “ (Cost.
Dogm. Lumen gentium, 16).
8. La Chiesa sacramento universale della salvezza. La salvezza viene da
Cristo per mezzo della Chiesa che è il suo Corpo (cf. Catechismo della
Chiesa Cattolica, 846). “Deve essere fermamente creduto che “la Chiesa
pellegrina è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo è mediatore e la
via della salvezza; egli si rende presente a noi nel suo Corpo che è la
Chiesa”(Cost. Dogm. Lumen gentium, 14)” (Dominus Iesus, 20). La Chiesa è
“sacramento universale di salvezza” (Cost. Dogm. Lumen gentium, 48) perché,
sempre unita in modo misterioso e subordinata a Gesù Cristo Salvatore, suo
Capo, nel disegno di Dio ha un’imprescindibile relazione con la salvezza di
ogni uomo.
9. Valore e funzione delle religioni in ordine alla salvezza. “Secondo la
dottrina cattolica si deve ritenere che “quanto lo Spirito opera nel cuore
degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un
ruolo di preparazione evangelica (Lett. Enc. Redemptoris missio, 29)”. E’
dunque legittimo sostenere che lo Spirito Santo opera la salvezza nei non
cristiani anche mediante quegli elementi di verità e di bontà presenti nelle
varie religioni; ma è del tutto erroneo e contrario alla dottrina cattolica
“ritenere queste religioni, considerate come tali, vie di salvezza, anche
perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano
le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo” (Congregazione per la
Dottrina della Fede, Notificazione a proposito del libro di J. Dupuis:
“Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”, 8).
Riassumendo, risulta chiaro che l’autentico annuncio della Chiesa in
relazione alla sua pretesa di assolutezza non è sostanzialmente cambiato
dopo l’insegnamento del Vaticano II. Esso esplicita alcuni motivi che
completano tale insegnamento, evitando un contesto polemico e bellicoso, e
riportando in equilibrio gli elementi dottrinali considerati nella loro
integrità e totalità.
Conclusione
Che cosa sta all’origine dell’interpretazione della discontinuità o della
rottura con la Tradizione ?
Sta ciò che possiamo chiamare l’ideologia conciliare, o più esattamente
para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio,
sovrapponendosi a esso. Con questa espressione, non si intende qualcosa che
riguarda i testi del Concilio, né tanto meno l’intenzione dei soggetti, ma
il quadro di interpretazione globale in cui il Concilio fu collocato e che
agì come una specie di condizionamento interiore nella lettura successiva
dei fatti e dei documenti. Il Concilio non è affatto l’ideologia
paraconciliare, ma nella storia della vicenda ecclesiale e dei mezzi di
comunicazione di massa ha operato in larga parte la mistificazione del
Concilio, cioè appunto l’ideologia paraconciliare. Perché tutte le
conseguenze dell’ideologia paraconciliare venissero manifestate come evento
storico, si dovette verificare la rivoluzione del ’68, che assume come
principio la rottura con il passato e il mutamento radicale della storia.
Nell’ideologia paraconciliare il ’68 significa una nuova figura di Chiesa in
rottura con il passato, anche se le radici di questa rottura erano già da
qualche tempo presenti in certi ambienti cattolici.
Tale quadro di interpretazione globale, che si sovrappone in modo estrinseco
al Concilio, si può caratterizzare principalmente da questi tre fattori:
1) Il primo fattore è la rinuncia all’anathema, cioè alla netta
contrapposizione tra ortodossia ed eresia.
In nome della cosiddetta “pastoralità” del Concilio, si fa passare l’idea
che la Chiesa rinuncia alla condanna dell’errore, alla definizione
dell’ortodossia in contrapposizione all’eresia. Si contrappone la condanna
degli errori e l’anatema pronunciato dalla Chiesa in passato su tutto ciò
che è incompatibile con la verità cristiana al carattere pastorale
dell’insegnamento del Concilio, che ormai non intenderebbe più condannare o
censurare, ma soltanto esortare, illustrare o testimoniare.
In realtà non c’è nessuna contraddizione tra la ferma condanna e
confutazione degli errori in campo dottrinale e morale e l’atteggiamento di
amore verso chi cade nell’errore e di rispetto della sua dignità personale.
Anzi, proprio perché il cristiano ha un grande rispetto per la persona
umana, si impegna oltre ogni limite per liberarla dall’errore e dalle false
interpretazioni della realtà religiosa e morale.
L’adesione alla persona di Gesù Figlio di Dio, alla sua Parola e al suo
mistero di salvezza, esige una risposta di fede semplice e chiara, quale è
quella che si trova nei simboli della fede e nella regula fidei. La
proclamazione della verità della fede implica sempre anche la confutazione
dell’errore e la censura delle posizioni ambigue e pericolose che diffondono
incertezza e confusione nei fedeli.
Sarebbe quindi sbagliato e infondato ritenere che dopo il Concilio Vaticano
II il pronunciamento dogmatico e censorio del Magistero debba essere
abbandonato o escluso, così come sarebbe altrettanto sbagliato ritenere che
l’indole espositiva e pastorale dei Documenti del Concilio Vaticano II non
implichi anche una dottrina che esige il livello di assenso da parte dei
fedeli secondo il diverso grado di autorità delle dottrine proposte.
2) Il secondo fattore è la traduzione del pensiero cattolico nelle categorie
della modernità.
L’apertura della Chiesa alle istanze e alle esigenze poste
dalla modernità (vedi Gaudium et Spes) viene interpretata dall’ideologia
para-conciliare come necessità di una conciliazione tra Cristianesimo e
pensiero filosofico e ideologico culturale moderno. Si tratta di
un’operazione teologica e intellettuale che ripropone nella sostanza l’idea
del modernismo, condannato all’inizio del Novecento da S. Pio X.
La teologia neo-modernistica e secolaristica ha cercato l’incontro con il
mondo moderno proprio alla vigilia della dissoluzione del “moderno”. Con il
crollo del cosiddetto “socialismo reale” nel 1989 sono crollati quei miti
della modernità e della irreversibilità dell’emancipazione della storia che
rappresentavano i postulati del sociologismo e del secolarismo. Al paradigma
della modernità succede infatti oggi quello post-moderno del “caos” o della
“complessità pluralistica”, il cui fondamento è il relativismo radicale.
Nell’Omelia dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, prima di essere eletto
Papa, in occasione della celebrazione liturgica “Pro eligendo pontifice”(18/04/2005),
viene focalizzato il centro della questione: “Quanti venti di dottrina
abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche,
quante mode del pensiero…La piccola barca del pensiero di molti cristiani è
stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro:
dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo
all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso;
dall’agnosticismo al sincretismo e così via…Avere una fede chiara, secondo
il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre
il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di
dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.
Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come
definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue
voglie”.
Di fronte a questo processo occorre innanzitutto recuperare il senso
metafisico della realtà (cf. Enciclica Fides et ratio di Papa Giovanni Paolo II) ed una visione dell’uomo e della società fondata su valori assoluti,
metastorici e permanenti. Questa visione metafisica non può prescindere da
una riflessione sul ruolo nella storia della Grazia, cioè del
Soprannaturale, di cui la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è depositaria. La
riconquista del senso metafisico con il lumen rationis deve essere parallela
a quella del senso soprannaturale con il lumen fidei.
Al contrario, l’ideologia para-conciliare ritiene che il messaggio cristiano
deve essere secolarizzato e reinterpretato secondo le categorie della
cultura moderna extra e anti ecclesiale, compromettendone l’integrità,
magari col pretesto di un “opportuno adattamento” ai tempi. Il risultato è
la secolarizzazione della religione e la mondanizzazione della fede.
Uno degli strumenti per mondanizzare la Religione è costituito dalla pretesa
di modernizzarla adeguandola allo spirito moderno. Questa pretesa ha
condotto il mondo cattolico ad impegnarsi in un “aggiornamento”, che
costituiva in realtà in una progressiva e a volte inconsapevole omologazione
della mentalità ecclesiale con il soggettivismo e il relativismo imperanti.
Questo cedimento ha portato ad un disorientamento nei fedeli privandoli
della certezza della fede e della speranza nella vita eterna, come fine
prioritario dell'esistenza umana.
3) Il terzo fattore è l’interpretazione dell’aggiornamento voluto dal
Concilio Vaticano II.
Con il termine “aggiornamento”, Papa Giovanni XXIII volle indicare il
compito prioritario del Concilio Vaticano II. Questo termine nel pensiero
del Papa e del Concilio non esprimeva però ciò che invece è accaduto in suo
nome nella recezione ideologica del dopo-Concilio. “Aggiornamento” nel
significato papale e conciliare voleva esprimere la intenzione pastorale
della Chiesa di trovare i modi più adeguati e opportuni per condurre la
coscienza civile del mondo attuale a riconoscere la verità perenne del
messaggio salvifico di Cristo e della dottrina della Chiesa. Amore per la
verità e zelo missionario per la salvezza degli uomini sono alla base i
principi dell’azione di “aggiornamento” voluto e pensato dal Concilio
Vaticano II e dal Magistero pontificio successivo.
Invece dall’ideologia para-conciliare, diffusa soprattutto dai gruppi
intellettualistici cattolici neomodernisti e dai centri massmediatici del
potere mondano secolaristico, il termine “aggiornamento” venne inteso e
proposto come il rovesciamento della Chiesa di fronte al mondo moderno:
dall’antagonismo alla recettività. La Modernità ideologica – che certamente
non deve essere confusa con la legittima e positiva autonomia della scienza,
della politica, delle arti, del progresso tecnico – si è posta come
principio il rifiuto del Dio della Rivelazione cristiana e della Grazia.
Essa non è quindi neutrale di fronte alla fede. Ciò che fece pensare ad una
conciliazione della Chiesa con il mondo moderno portò così paradossalmente a
dimenticare che lo spirito anticristiano del mondo continua ad operare nella
storia e nella cultura. La situazione postconciliare venne così descritta
già da Paolo VI nel 1972:
“Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio: c’è il
dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine. È entrato il dubbio
nelle nostre coscienze ed è entrato per finestre che invece dovevano essere
aperte alla luce. Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si
credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la
storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempeste,
di buio, di ricerca, di incertezza. Come è avvenuto questo? Vi confidiamo un
nostro pensiero: c’è stato l’intervento di un potere avverso: il suo nome è
il diavolo, questo misterioso essere a cui si fa allusione anche nella
lettera di san Pietro” (Paolo VI, Insegnamenti, Ed. Vaticana,vol. X, 1972,
p. 707).
Purtroppo gli effetti di quanto individuato da Paolo VI non sono scomparsi.
Un pensiero estraneo è entrato nel mondo cattolico, gettando scompiglio,
seducendo molti animi e disorientando i fedeli. Vi è uno “spirito di
autodemolizione” che pervade il modernismo, che si è impadronito, tra
l’altro, di gran parte della pubblicistica cattolica. Questo pensiero
estraneo alla dottrina cattolica si può constatare ad esempio sotto due
aspetti.
Un primo aspetto è la visione sociologica della fede, cioè
un’interpretazione che assume il sociale come chiave di valutazione della
religione, e che ha comportato una falsificazione del concetto di chiesa
secondo un modello democratico. Se si osservano le discussioni attuali sulla
disciplina, sul diritto, sul modo di celebrare la liturgia, non si può
evitare di registrare che questa falsa comprensione della Chiesa è diventata
diffusa tra i laici e teologi secondo lo slogan: Noi siamo il popolo, noi
siamo Chiesa (Kirche von unten). Il Concilio in realtà non offre alcun
fondamento a questa interpretazione, poiché l’immagine del popolo di Dio
riferita alla Chiesa è sempre legata alla concezione della chiesa come
Mistero, come comunità sacramentale del corpo di Cristo, composto da un
popolo che ha un capo e da un organismo sacramentale composto da membra
gerarchicamente ordinate. La Chiesa non può quindi diventare una democrazia,
in cui il potere e la sovranità derivano dal popolo, poiché la Chiesa è una
realtà che proviene da Dio ed è fondata da Gesù Cristo. Essa è intermediaria
della vita divina, della salvezza e della verità, e dipende dalla sovranità
di Dio, che una sovranità di grazia e di amore. La Chiesa è allo stesso
tempo dono di grazia e struttura istituzionale, perché così ha voluto il suo
Fondatore: chiamando gli Apostoli, “Gesù ne istituì dodici” (Mc 3,13).
Un secondo aspetto, su cui attiro la vostra attenzione, è l’ideologia del
dialogo. Secondo il Concilio e la Lettera Enciclica di Paolo VI Ecclesiam
suam, il dialogo è un importante e irrinunciabile mezzo per il colloquio
della Chiesa con gli uomini del proprio tempo. Ma l’ideologia paraconciliare
trasforma il dialogo da strumento a scopo e fine primario dell’azione
pastorale della Chiesa, svuotando sempre più di senso e oscurando l’urgenza
e l’appello alla conversione a Cristo e all’appartenenza alla Sua Chiesa.
Contro tali deviazioni, occorre ritrovare e recuperare il fondamento
spirituale e culturale della civiltà cristiana, cioè la fede in Dio,
trascendente e creatore, provvidente e giudice, il cui Figlio Unigenito si è
incarnato, è morto e risuscitato per la redenzione del mondo e ha effuso la
grazia dello Spirito Santo per la remissione dei peccati e per rendere gli
uomini partecipi della natura divina. La Chiesa, Corpo di Cristo,
istituzione divino-umana, è il sacramento universale della salvezza e
l’unità degli uomini, di cui essa è segno e strumento, è nel senso di unire
gli uomini a Cristo mediante il suo Corpo, che è la Chiesa.
L’unità di tutto il genere umano, di cui parla LG, 1, non deve essere intesa
quindi nel senso di raggiungere la concordia o la riunificazione delle varie
idee o religioni o valori in un “regno comune o convergente”, ma essa si
ottiene riconducendo tutti all’unica Verità, di cui la Chiesa cattolica è
depositaria per affidamento di Dio stesso. Nessuna armonizzazione delle
dottrine “varie e peregrine”, ma annuncio integro del patrimonio della
verità cristiana, nel rispetto della libertà di coscienza, e valorizzando i
raggi di verità sparsi nell’universo delle tradizioni culturali e delle
religioni del mondo, opponendosi nello stesso tempo alle visioni che non
coincidono e non sono compatibili con la Verità, che è Dio rivelato in
Cristo.
Concludo ritornando alle categorie interpretative suggerite da Papa
Benedetto nel Discorso alla Curia Romana, citato all’inizio. Esse non fanno
riferimento al consueto e obsoleto schema ternario: conservatori,
progressisti, moderati, ma si appoggiano su un binario squisitamente
teologico: due ermeneutiche, quella della rottura e quella della riforma
nella continuità. Occorre imboccare quest’ultimo indirizzo nell’affrontare i
punti controversi, liberando, per così dire, il Concilio dal para-concilio
che si è mescolato ad esso, e conservando il principio dell’integrità della
dottrina cattolica e della piena fedeltà al deposito della fede trasmesso
dalla Tradizione e interpretato dal Magistero della Chiesa.
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