La riconciliazione comincerà dopo l'ultimo sorriso d'ironia, dopo
l'ultima smorfia di disprezzo.
"C'è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga
spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse un oggetto della
nostra abilità manipolatoria. Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici
imbastiscono da sé stessi la liturgia domenicale. Il risultato è certamente
il frutto dell'inventiva di un pugno di persone abili e capaci.
Ma in questo modo viene meno il luogo in cui mi si fa incontro il totalmente
Altro, in cui il sacro ci offre se stesso in dono; ciò in cui mi imbatto è
solo l'abilità di un pugno di persone. E allora ci si accorge che non è
quello che si sta cercando. È troppo poco, e insieme di qualcosa di diverso.
La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della liturgia e la
consapevolezza della sua non manipolabilità. Reimparare a riconoscerla nel
suo essere una creatura vivente che cresce e che ci è stata donata, per il
cui tramite noi prendiamo parte alla liturgia celeste.
Rinunciare a cercare in essa al propria autorealizzazione, per vedervi
invece un dono. Questa, credo, è la prima cosa: sconfiggere la tentazione di
un fare dispotico, che concepisce la liturgia come oggetto di proprietà
dell'uomo, e risvegliare il senso interiore del sacro. Il secondo passo
consisterà nel valutare dove sono stati apportati tagli troppo drastici, per
ripristinare in modo chiaro e organico le connessioni con la storia passata.
Io stesso ho parlato in questo senso di "riforma della riforma". Ma, a mio
avviso, tutto ciò deve essere preceduto da un processo educativo che argini
la tendenza a mortificare la liturgia con invenzioni personali.
Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga
meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al
1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa
direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all'indice; ogni
tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto
niente di questo genere; così è l'intero passato della Chiesa a essere
disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così?
Non capisco nemmeno, a essere franco, perché tanta soggezione, da parte di
molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare
essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare,
senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione
all'interno della Chiesa.
Oggi il latino nella Messa ci pare quasi un peccato. Ma così ci si preclude
anche la possibilità di comunicare tra parlanti di lingue diverse, che è
così preziosa in territori misti. Ad Avignone, ad esempio, il parroco del
Duomo mi ha raccontato che una domenica si sono improvvisamente presentati
tre diversi gruppi, ognuno dei quali parlava una lingua diversa, e tutti e
tre desiderosi di celebrare la Messa. Propose quindi di recitare il Canone
tutti insieme in latino, così avrebbero potuto concelebrare tutti quanti. Ma
tutti hanno respinto bruscamente questa proposta: no, ognuno doveva trovarci
qualcosa di proprio. O pensiamo anche a località turistiche: dove sarebbe
bello potersi riconoscere tutti in qualcosa di comune.
Dovremmo quindi tenere presente anche questo. Se nemmeno nelle grandi
liturgie romane si può cantare il "Kyrie" o il "Sanctus", se nessuno sa più
nemmeno cosa significhi il "Gloria", allora si è verificato un
depauperamento culturale e il venire meno di elementi comuni. Da questo
punto di vista direi che il servizio della parola dovrebbe essere tenuto in
ogni caso nella lingua madre, ma ci dovrebbe anche essere una parte recitata
in latino che garantisca la possibilità di ritrovarci in qualcosa che ci
unisce".
Joseph Ratzinger
(Tratto da Joseph Ratzinger, "Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo
millennio", Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo 2001, pp. 379-381)
[Fonte: Rinascimento Sacro 15 novembre 2008]