angolo
   

Settimana Santa neocatecumenale: comunione ecclesiale zero. Perché?

È appena iniziata la Settimana Santa e DEVO inserire queste righe: per amore della Verità e, soprattutto per quei fratelli NC che dovessero seguirci per cercare una risposta alle loro perplessità.

Mi rivolgo, in particolare, a quelli che si accingono a vivere le celebrazioni della Settimana Santa, che in molti casi si svolgeranno in luogo non consacrato e senza la presenza di un sacerdote. È noto che 'pro forma' i responsabili delle comunità invitano tutti a partecipare anche alle celebrazioni in parrocchia, ma nel caso in cui si rendesse necessaria una scelta danno la chiara indicazione di preferire le celebrazioni in comunità. A questo riguardo mi limito ad osservare che chi lavora e/o ha famiglia difficilmente riesce ad essere presente a due celebrazioni nello stesso giorno e poi non si vede il perché si debba essere costretti a scegliere tra due celebrazioni diverse... dov'è la comunione ecclesiale richiamata dal Papa il fatidico 10 gennaio? Perché, soprattutto questi giorni definiti "Santi" devono essere occasione dell'ennesima lacerazione del tessuto ecclesiale?

Una ragione c'è e risiede nel fatto che nel cammino NC si consumano riti che hanno caratteristiche e significati esclusivamente comunitari, senza nessun legame con i riti della Chiesa: giovedì e venerdì santo, mentre ancora i fedeli sono in chiesa e defluiscono lentamente da essa e mentre molti altri sostano per l'adorazione del santissimo sacramento o per l'adorazione della croce, gli aderenti al cammino NC si mobilitano per preparare le loro sale per fare delle celebrazioni parallele della lavanda dei piedi e del venerdì santo. Cose simili accadono anche il giorno delle ceneri: mai partecipano all'imposizione delle ceneri fatta in chiesa, ma nel corso di una penitenziale, inseriscono questo rito. Per non parlare delle comunità che si riuniscono a celebrare per tutto il tempo di pasqua in veste bianca, alla sera, di nascosto...

La lavanda dei piedi neocatecumenale

Nelle comunità la lavanda dei piedi è eseguita dal responsabile assieme all'ostiario che li asciuga.. Ogni comunità la celebra per conto suo (una delle tante cose de facto e non de iure rispetto allo statuto). Dopo che il responsabile ha lavato i piedi a tutti i fratelli della sua comunità, chiunque abbia un giudizio verso un fratello gli lava i piedi per chiedere perdono!

Essa non è inserita in una celebrazione eucaristica, perciò il sacerdote non c'è, o comunque non è strettamente necessario. Deve essere il capo responsabile a lavare i piedi ai fratelli, proprio per il servizio che svolge in comunità, che lo porta ad essere servo degli altri. È un segno che in apparenza è simile a quanto fatto da Gesù, in realtà è una scimmiottatura grottesca, a cui viene anche dato il significato di riconciliazione tra i fratelli. Dopo che il responsabile ha lavato i piedi a tutti, i fratelli liberamente lavano i piedi prima al coniuge e poi alle persone con cui c'è stato qualche contrasto. Così una testimonianza: "E qui inizia il grottesco: quando qualcuno ti viene a lavare i piedi cominci a chiederti 'ma che cosa gli avrò fatto, o forse avrò detto qualcosa che l'ha offeso'; oppure succedeva che si andava a lavare i piedi e si diceva: 'scusa sai, non ce l'ho con te, ma non so a chi lavare i piedi."

E poi c'è l'aspetto, anche questo tenuto un po' nascosto e quindi pericoloso, della riconciliazione tra le persone che non è solo semplicemente un segno simbolico (come nella messa lo scambio della pace col vicino), ma diventa quasi un sacramentale, perchè il gesto viene ripetuto nella sua completezza (ci si lava veramente i piedi), e quindi si tende a ritenere che sia quello il gesto che mi riconcilia veramente con il fratello, rendendo quindi la confessione personale, e l'eventuale penitenza, qualcosa di secondario rispetto al 'segno forte' celebrato in comunità.

I NC obietteranno che si legge il vangelo di Giovanni, il che è vero, e che ci si attiene a quanto sta scritto lì. Ma in realtà è una autocelebrazione della comunità (quasi sempre senza sacerdote, e quando possibile nelle case private), per mettere in evidenza il peccato e il fango dell'uomo, e poi autoassolversi l'un l'altro con un gesto di apparente umiltà. Si fa quello che ha fatto Gesù per dire che in fondo non abbiamo più bisogno di Lui, che possiamo perdonarci da soli. Vuoi mettere l'ebbrezza di ripetere, da laici, quello che ha fatto Gesù e che nella Chiesa lo può fare solo il sacerdote durante la celebrazione eucaristica, che oltretutto rievoca l'istituzione dell'Eucaristia?

Che senso ha fare una celebrazione privata del genere, senza il sacerdote, e con significati propri che abbiamo analizzato, proprio mentre tutti gli altri cristiani sono in Chiesa a celebrare l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio? Vogliamo rispolverare per chi non l'avesse ancora letta una nostra riflessione, riportata di seguito.

Dietro la Lavanda dei piedi neocatecumenale, c'è l' interpretazione letterale, ma non ecclesiale, di Giovanni 13. È con tale interpretazione che si "giustifica" il rito della Lavanda ripetuto in celebrazione assolutamente privata da ogni comunità dopo un paio di anni di cammino.

Ma, a prescindere dalla celebrazione privata (un'altra ritualità anomala dei NC, perché la Chiesa la fa il giovedì Santo, nelle Chiese consacrate, ricordando l'istituzione dell'Eucaristia), è evidente che nel "venne a servirli" citato da Kiko Arguello anche nella lettera al Papa c'è il senso della "lavanda dei piedi" che lui enfatizza nell'Eucaristia e se ne può intuire il perché: perché è l'unico accenno ad un'azione di Gesù nella Cena del Vangelo di Giovanni, mentre la formula della Consacrazione del Pane e del vino [a cui peraltro Kiko dà una diversa interpretazione: "Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa" (!?)] è contenuta solo nei sinottici e nella lettera ai Corinzi (in Giustino ecc.)... Eccoci dunque ancora una volta al malinteso ritorno alle origini e sempre nell'interpretazione letterale di una parte di un vangelo trascurandone altre nonché altri elementi essenziali della stessa:

  1. lo stesso Giovanni non fa altro che parlare del "pane vivo disceso dal cielo" e "chi non mangia di questo pane e non beve di questo sangue...", mentre il Signore ci ha consegnato la formula Consacratoria: "questo è il mio corpo...", "questo è il mio sangue..." con la quale ci ha consegnato Sé stesso, Vivo e Vero, fino alla fine dei tempi...
  2. Il vangelo di Giovanni è stato l'ultimo vangelo redatto, quando nelle comunità la fractio panis era già consolidata e non c'era bisogno di parlarne esplicitamente, tanto più che del Corpo del Signore come pane e del Sangue come bevanda della nuova alleanza (formula della Consacrazione) ne parla a iosa... “Perciò Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi.” (Gv 6)
  3. La Chiesa la celebra il Giovedì Santo, giorno del Triduo Pasquale dedicato all'istituzione dell'Eucaristia e, per la Chiesa, la "lavanda dei piedi" oltre ad introdurre al discepolato, simboleggia il 'lavacro' operato dal Sacramento della Riconciliazione, ma soprattutto l’istituzione del Sacerdozio Ministeriale. Cos'è che "giustifica " il rito della Lavanda ripetuto in celebrazione assolutamente privata da ogni comunità neocatecumenale dopo un paio di anni di cammino e per di più celebrato DA LAICI? Soltanto la rivalutazione tutta protestante del sacerdozio battesimale rispetto a quello ordinato, la celebrazione di un rito di “iniziazione” al discepolato, un rito di assoluzione intracomunitaria!
  4. La verità non detta esplicitamente ma da noi più volte ribadita è che Kiko e Carmen si sono fermati alla "lavanda dei piedi", che è appunto un rito di iniziazione, detto "di inversione" che introduce al discepolato. Questo è il vero significato della ritualità anomala operata a due anni d'inizio del cammino ed è anche il vero senso dello "stare seduti" a mensa durante l'Eucaristia - detto anche nella lettera al Papa - mentre Cristo passa a "servirli"!!!! Attualmente, dopo lunghe 'trattative' precedenti l'approvazione degli statuti (come se la liturgia potesse essere oggetto di trattative), si alzano in piedi al momento della comunione; ma non è cambiata l'interpretazione di quelle che per il cattolicesimo sono le Sacre Specie.. Abbiamo tuttavia appreso da una recentissima testimonianza che, durante la recente Veglia Pasquale, nella Chiesa di S. Petronio a Bologna, la comunione è stata fatta da seduti! Ed il fenomeno è ben più diffuso: le ragioni possono attendibilmente spiegarsi con la conclusione della seguente testimonianza:
  5. Kiko sostiene che nel Cammino l’Eucarestia sia il punto fondamentale, tanto da porlo come primo elemento del tripode del cristiano. Inoltre viene fatta all’inizio del Cammino una monumentale catechesi (creduta cattolica da chi la ascolta) sull’Eucarestia e sulla storia dell’evoluzione liturgica (o forse sarebbe meglio dire che secondo Kiko trattasi di “involuzione della Messa cattolica”). Ma quello a cui non si fa sovente caso è che la prima parte di questa catechesi, trattata da Carmen, è tutta rivolta a tentare di identificare il Santo Sacrificio eucaristico con il Seder pasquale ebraico: se la si legge con pazienza si vede come Carmen ripercorra tutte le fasi del Seder pasquale ebraico, tentando di metterle in parallelo con le varie parti della Messa Cattolica, pretendendo di concludere affermando che Cristo non fece niente altro che la cena ebraica, nella quale inserì il Suo Corpo e il Suo Sangue. Semplifico molto per ragioni di lunghezza.
    Le recenti parole di Kiko: "Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa" (!?) – confermano quanto appena detto.
    E qui si spiega una cosa incredibile: come mai proprio nella sera dell’istituzione dell’Eucarestia, il Cammino Neocatecumenale NON FA MEMORIALE dell’istituzione eucaristica, che Kiko considera una parte irrinunciabile per una “iniziazione cristiana”?
    Come mai, più che in ogni altro giorno dell’anno, il Cammino non celebra nel Giovedì Santo una grande Eucarestia, in pompa magna, come fanno loro, piena di luci, di canti, di balli, per rendere grazie al Signore per la liturgia che ha donato alla Chiesa? Non certamente per non intaccare la comunione ecclesiale (inesistente) con i riti pasquali della parrocchia! Non certamente per farsi scrupolo di distaccarsi dalla pastorale universale!
    Tutti i sabati che ha fatto Dio i neocatecumenali non si fanno scrupolo di celebrare la loro Eucarestia separatamente dal resto della parrocchia, men che meno fa eccezione la Veglia pasquale! Perché allora il Giovedì Santo no? La risposta la da Kiko: "portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea…"
    A Kiko non interessa nulla della Santa Eucarestia cattolica, istituita da nostro Signore, né di celebrarne l’istituzione, perché lui predica e fa celebrare niente altro che il Seder ebraico! L’eucarestia del Cammino Neocatecumenale non è la Santa Messa della Chiesa, ma solo la caricatura di una Pasqua ebrea (un Novus Ordo ulteriormente rivisitato), in cui le sacre specie vengono cabalisticamente sfruttate per intraprendere il viaggio “divinizzante” che si fa lasciandosi trasportare dal “Carro di fuoco” (non è così che Kiko definisce l’Eucarestia? Il “Carro di fuoco”?)
    Inoltre: il fatto di rimanere seduti, senza andare in processione per ricevere l’Eucarestia, non si riferisce solo alla parola escatologica in cui “il Signore li farà sedere e passerà a servirli”, ma riguarda appunto l’atteggiamento cabalista di vivere l’evento pasquale: chi conosce l’opera del cabalista Nadav Crivelli sa che costui scrive che per sperimentare il Mà Ase’Merkavà, cioè per intraprendere il viaggio sul “Carro di fuoco” occorre farlo DA SEDUTI. Inquietante, no?
  6. Resta assodato che il fatto che le comunità celebrano la ritualità separatamente dalla parrocchia e ognuna per proprio conto è strumentale per cementare la comunità, Ricordiamo ancora una volta come anche in questo caso si tratta di un cemento solo orizzontale, che non è vera comunione (che si fonda nel Signore ed è fatta unicamente da Lui) ma risponde a leggi psicologiche e non spirituali. Se c'è però qualcosa che affonda le sue radici nell'ordine spirituale, ricordo che non si tratta di una spiritualità cattolica e questo basterebbe per mettere in allarme non solo teologi e liturgisti, ma anche persone credenti che hanno assimilato e vivono la Rivelazione Apostolica che è di natura Soprannaturale e non è "fatta da mano d'uomo"...

La conclusione di tutto ciò è quella di fondo, già richiamata nel titolo: al di là delle ineludibili implicazioni teologiche e spirituali, che fine fa in tutto questo la comunione ecclesiale?

Infine, i riti del Giovedì e del Venerdì Santo, nel cammino vengono giudicati (ed ecco il prevalere della sensazione personale, sul significato serio e profondo della solenne liturgia cattolica) "più suggestivi ed intimi": ovvio, sono fatti separatamente per ogni comunità, proprio per cementare lo spirito comunitario e stringere sempre più i vincoli e gli afflati comunitari, ma non corrispondono ai significati della liturgia cattolica e soprattutto mancano totalmente di cattolicesimo, proprio nel senso di 'universalità', a prescindere appunto dalle altre considerazione teologiche e liturgiche che non non sono certo elementi secondari... e rappresentano comunque momenti di vita ecclesiale rigorosamente 'separati' e quindi fuori dalla comunione ecclesiale, anche durante un tempo liturgico 'forte' come quello della Settimana Santa...

L'Ultima Cena

Nell'Ultima Cena, della quale nel cammino neocatecumenale si enfatizzano i connotati ebraici insieme all’orizzontalità del banchetto fraterno, riporta all'istituzione dell'Eucaristia e alla prefigurazione del Calvario e della Resurrezione: per che cosa dunque si chiama Eucaristia, cioè rendimento di grazie, lode, se non per tutti i doni ricevuti, soprattutto per quelli, escatologici, che non scaturiscono se non dal Sacrificio del Signore? È questo il vero significato cattolico, non solo l'iniziazione al discepolato o la cena fraterna o l’attesa dell’”allegria”! E il Signore non viene “a servire i commensali”, ma ri-presenta al Padre il Suo Sacrificio a beneficio di tutti i partecipanti ai quali è strettamente unita tutta la Chiesa terrestre e celeste, di ogni luogo e di ogni tempo. E TUTTA la celebrazione – opera di Cristo: il Sacerdote agisce “in persona Christi” – è un rendimento di grazie (non solo il momento del ringraziamento finale come subdolamente predica Kiko criticando la Chiesa nelle sue catechesi (OR, p. 330). Essa è la riattualizzazione del 'mistero pasquale', ma non per vivere solo il momento della 'Risurrezione' - come insegna Arguello con altri distinguo addirittura giudaici -, ma il mistero nella sua interezza: 'Passione, Morte e Risurrezione' del Signore Gesù... il suo Sacrificio di espiazione per i nostri peccati ri-presentato al Padre per inserirci nella Sua offerta e riceverne i beni escatologici che è Lui a donarci, non l’Assemblea, la Comunità che celebra... È solo per il Sacrificio di Cristo, poi Risorto che la Santa e Divina Liturgia è fonte di riconciliazione e rigenerazione e che ci introduce sempre più, in Gesù Risorto, nel Mondo della Resurrezione, nella Creazione Nuova!

È solo di una delle molte prassi avulse dal loro significato ecclesiale, presenti nel cammino neocatecumenale e che hanno valenza esclusiva in esso, strumentale all’edificazione progressiva di una entità comunitaria che non è integrata nella vita della Chiesa, anche se ne fa parte nominalmente e tende piuttosto a sostituirsi ad essa. Dovremo successivamente parlare della veglia...
 

| home |

| inizio pagina |

   
angolo