Monsignor Guido Marini illustra la nuova insegna che Benedetto XVI
indosserà dal prossimo 29 giugno - Il pallio papale
di Gianluca Biccini
Dal 29 giugno cambia il pallio indossato da Benedetto XVI per le solenni
celebrazioni liturgiche. Quello che il Papa adopererà per la messa dei santi
Pietro e Paolo sarà a forma circolare chiusa, con i due capi che pendono nel
mezzo del petto e del dorso. La foggia risulterà più larga e più lunga,
mentre sarà conservato il colore rosso delle croci che lo adornano. “Si
tratta dello sviluppo della forma del pallio latino utilizzato fino a
Giovanni Paolo ii” spiega il maestro delle Celebrazioni Liturgiche
Pontificie, monsignor Guido Marini, che illustra motivazioni storiche e
liturgiche della nuova insegna in questa intervista a “L’Osservatore
Romano”.
Quali sono gli elementi di continuità e quelli di innovazione rispetto
al passato?
Alla luce di attenti studi, in merito allo sviluppo del pallio nel corso
dei secoli, sembra che si possa affermare che il pallio lungo e incrociato
sulla spalla sinistra non è stato più portato in Occidente a partire dal ix
secolo. Infatti, il dipinto presente nel Sacro Speco di Subiaco, risalente
al 1219 circa e raffigurante Papa Innocenzo iii con questo tipo di pallio,
pare un “arcaismo” consapevole. In questo senso l’uso del nuovo pallio
intende venire incontro a due esigenze: anzitutto quella di sottolineare
maggiormente il continuo sviluppo che nell’arco di oltre dodici secoli
questa veste liturgica ha continuato ad avere; in secondo luogo quella di
carattere pratico, in quanto il pallio usato da Benedetto XVI dall’inizio
del pontificato ha comportato diversi e fastidiosi problemi da questo punto
di vista.
Restano le differenze tra il pallio papale e quello che il Pontefice
impone agli arcivescovi?
La differenza rimane anche nel pallio attuale. Quello che sarà indossato
da Benedetto XVI a partire dalla solennità dei santi Pietro e Paolo riprende
la forma del pallio usato fino a Giovanni Paolo ii, sebbene con foggia più
larga e più lunga, e con il colore rosso delle croci. La differente forma
del pallio papale rispetto a quello dei metropoliti mette in risalto la
diversità di giurisdizione che dal pallio è significata.
Da alcuni mesi è cambiato anche il pastorale che il Papa adopera nelle
celebrazioni. Quali sono le motivazioni di questa scelta?
Il pastorale dorato a forma di croce greca - appartenuto al beato Pio ix
e usato per la prima volta da Benedetto XVI nella celebrazione della
Domenica delle Palme di quest’anno - è ormai utilizzato costantemente dal
Pontefice, che ha così ritenuto di sostituire quello argenteo sormontato dal
crocifisso, introdotto da Paolo vi e utilizzato anche da Giovanni Paolo i,
Giovanni Paolo ii e da lui stesso. Tale scelta non significa semplicemente
un ritorno all’antico, ma testimonia uno sviluppo nella continuità, un
radicamento nella tradizione che consente di procedere ordinatamente nel
cammino della storia. Questo pastorale, denominato “ferula”, risponde
infatti in modo più fedele alla forma del pastorale papale tipico della
tradizione romana, che è sempre stato a forma di croce e senza crocifisso,
perlomeno da quando il pastorale è entrato nell’uso dei Romani Pontefici.
Non bisogna poi dimenticare un elemento di praticità: la ferula di Pio ix
risulta più leggera e maneggevole del pastorale introdotto da Paolo vi.
E il pastorale realizzato da Lello Scorzelli per Papa Montini a metà
degli anni Sessanta?
Resta a disposizione della sagrestia pontificia, insieme a tanti oggetti
appartenuti ai predecessori di Benedetto XVI.
Lo stesso discorso vale per la scelta dei paramenti indossati dal Papa
nelle varie celebrazioni?
Anche in questo caso va detto che le vesti liturgiche adottate, come
anche alcuni particolari del rito, intendono sottolineare la continuità
della celebrazione liturgica attuale con quella che ha caratterizzato nel
passato la vita della Chiesa. L’ermeneutica della continuità è sempre il
criterio esatto per leggere il cammino della Chiesa nel tempo. Ciò vale
anche per la liturgia. Come un Papa cita nei suoi documenti i Pontefici che
lo hanno preceduto, in modo da indicare la continuità del magistero della
Chiesa, così nell’ambito liturgico un Papa usa anche vesti liturgiche e
suppellettili sacre dei Pontefici che lo hanno preceduto per indicare la
stessa continuità anche nella lex orandi. Vorrei però far notare che
il Papa non usa sempre abiti liturgici antichi. Ne indossa spesso di
moderni. L’importante non è tanto l’antichità o la modernità, quanto la
bellezza e la dignità, componenti importanti di ogni celebrazione liturgica.
Un esempio lo si ha nei viaggi in Italia e fuori Italia, dove i
paramenti papali sono predisposti dalle Chiese locali.
Certamente. Basti pensare a quello negli Stati Uniti o a quello in
Italia, prima a Genova e poi nel Salento. In entrambi i casi sono state le
diocesi a predisporre le vesti liturgiche del Papa, in accordo con l’Ufficio
delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Nella varietà degli stili
e con attenzione a elementi caratteristici locali, il criterio adottato è
stato quello della bellezza e della dignità, dimensioni tipiche dell’azione
sacra che si compie nella celebrazione eucaristica.
A questo punto potrebbe anticiparci qualche particolare aspetto
liturgico del prossimo viaggio internazionale?
Posso dire che il tempo della preparazione è stato molto fruttuoso e la
collaborazione trovata in Australia molto cordiale e disponibile. Papa
Benedetto XVI incontrerà ancora una volta i giovani di tutto il mondo e
tutti preghiamo perché di nuovo questo incontro possa essere motivo di
grande grazia per tutti, occasione per conoscere con più intensità il volto
di Gesù e il volto della Chiesa, stimolo per una risposta pronta e generosa
alla chiamata del Signore. L’augurio è che anche le celebrazioni liturgiche,
preparate con cura e davvero partecipate perché vissute a partire dal cuore,
siano occasioni privilegiate per l’accoglienza di questa grazia.
Che cosa ci può dire dell’alto trono papale, utilizzato in occasioni
come il concistoro, e della croce ritornata al centro dell’altare?
Il cosiddetto trono, usato in particolari circostanze, vuole
semplicemente mettere in risalto la presidenza liturgica del Papa,
successore di Pietro e vicario di Cristo. Quanto alla posizione della croce
al centro dell’altare, essa indica la centralità del crocifisso nella
celebrazione eucaristica e l’orientamento esatto che tutta l’assemblea è
chiamata ad avere durante la liturgia eucaristica: non ci si guarda, ma si
guarda a Colui che è nato, morto e risorto per noi, il Salvatore. Dal
Signore viene la salvezza, Lui è l’Oriente, il Sole che sorge a cui tutti
dobbiamo rivolgere lo sguardo, da cui tutti dobbiamo accogliere il dono
della grazia. La questione dell’orientamento liturgico nella celebrazione
eucaristica, e il modo anche pratico in cui questo prende forma, ha grande
importanza, perché con esso viene veicolato un fondamentale dato insieme
teologico e antropologico, ecclesiologico e inerente la spiritualità
personale.
È questo il criterio per capire anche la decisione di celebrare
all’altare antico della Cappella Sistina, in occasione della festa del
Battesimo del Signore?
Esattamente. Nelle circostanze in cui la celebrazione avviene secondo
questa modalità, non si tratta tanto di volgere le spalle ai fedeli, quanto
piuttosto di orientarsi insieme ai fedeli verso il Signore. Da questo punto
di vista “non si chiude la porta all’assemblea”, ma “si apre la porta
all’assemblea” conducendola al Signore. Si possono verificare particolari
circostanze nelle quali, a motivo delle condizioni artistiche del luogo
sacro e della sua singolare bellezza e armonia, divenga auspicabile
celebrare all’altare antico, dove tra l’altro si conserva l’esatto
orientamento della celebrazione liturgica. Non ci si dovrebbe sorprendere:
basta andare in San Pietro al mattino e vedere quanti sacerdoti celebrano
secondo il rito ordinario scaturito dalla riforma liturgica, ma su altari
tradizionali e dunque orientati come quello della Sistina.
Nella recente visita a Santa Maria di Leuca e Brindisi il Papa ha
distribuito la comunione ai fedeli in bocca e in ginocchio. È una prassi
destinata a diventare abituale nelle celebrazioni papali?
Penso proprio di sì. Al riguardo non bisogna dimenticare che la
distribuzione della comunione sulla mano rimane tuttora, dal punto di vista
giuridico, un indulto alla legge universale, concesso dalla Santa Sede a
quelle conferenze episcopali che ne abbiano fatto richiesta. La modalità
adottata da Benedetto XVI tende a sottolineare la vigenza della norma valida
per tutta la Chiesa. In aggiunta si potrebbe forse vedere anche una
preferenza per l’uso di tale modalità di distribuzione che, senza nulla
togliere all’altra, meglio mette in luce la verità della presenza reale
nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli, introduce con più facilità
al senso del mistero. Aspetti che, nel nostro tempo, pastoralmente parlando,
è urgente sottolineare e recuperare.
Cosa risponde il maestro delle celebrazioni liturgiche a chi accusa
Benedetto XVI di voler imporre così modelli preconciliari?
Anzitutto mi piace sottolineare l’adesione cordiale e convinta che si
nota anche in merito al magistero liturgico del Santo Padre. Per quanto
riguarda, poi, termini come “preconciliari” e “postconciliari” utilizzati da
alcuni, mi pare che essi appartengano a un linguaggio ormai superato e, se
usati con l’intento di indicare una discontinuità nel cammino della Chiesa,
ritengo che siano errati e tipici di visioni ideologiche molto riduttive. Ci
sono “cose antiche e cose nuove” che appartengono al tesoro della Chiesa di
sempre e che come tali vanno considerate. Il saggio sa ritrovare nel suo
tesoro le une e le altre, senza appellarsi ad altri criteri che non siano
quelli evangelici ed ecclesiali. Non tutto ciò che è nuovo è vero, come
d’altronde neppure lo è tutto ciò che è antico. La verità attraversa
l’antico e il nuovo ed è a essa che dobbiamo tendere senza precomprensioni.
La Chiesa vive secondo quella legge della continuità in virtù della quale
conosce uno sviluppo radicato nella tradizione. Ciò che più importa è che
tutto concorra perché la celebrazione liturgica sia davvero la celebrazione
del mistero sacro, del Signore crocifisso e risorto che si fa presente nella
sua Chiesa riattualizzando il mistero della salvezza e chiamandoci, nella
logica di un’autentica e attiva partecipazione, a condividere fino alle
estreme conseguenze la sua stessa vita, che è vita di dono di amore al Padre
e ai fratelli, vita di santità.
Ancora oggi il motu proprio
Summorum Pontificum,
sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970,
sembra dare adito a interpretazioni contrastanti. Sono ipotizzabili
celebrazioni presiedute dal Papa secondo la forma straordinaria, che è
quella antica?
Si tratta di una domanda a cui non so dare risposta. Quanto al motu
proprio citato, considerandolo con serena attenzione e senza visioni
ideologiche, insieme alla lettera indirizzata dal Papa ai vescovi di tutto
il mondo per presentarlo, risalta un duplice preciso intendimento.
Anzitutto, quello di agevolare il conseguimento di “una riconciliazione nel
seno della Chiesa”; e in questo senso, come è stato detto, il motu
proprio è un bellissimo atto di amore verso l’unità della Chiesa. In
secondo luogo - e questo è un dato da non dimenticare - il suo scopo è
quello di favorire un reciproco arricchimento tra le due forme del rito
romano: in modo tale, per esempio, che nella celebrazione secondo il messale
di Paolo VI (che è la forma ordinaria del rito romano) “potrà manifestarsi
in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che
attrae molti all’antico uso”.
(©L’Osservatore Romano - 26 giugno 2008)
A proposito dell'orientamento della liturgia e della croce al centro
dell'altare Le idee di Benedetto XVI sono sempre state molto chiare:
«In antico la direzione verso oriente si
trovava in stretto rapporto con il "segno
del Figlio dell'uomo", con la croce, che
annuncia il ritorno del Signore. L'oriente
fu quindi posto molto presto in relazione
con il segno della croce. Dove non è
possibile rivolgersi tutti assieme verso
oriente in maniera evidente, la croce può
servire come l'oriente interiore della fede.
Essa dovrebbe trovarsi al centro dell'altare
ed essere il punto cui rivolgono lo sguardo
tanto il sacerdote quanto la comunità
orante. In tal modo seguiamo l'antica
esortazione pronunciata all'inizio
dell'Eucaristia: "Conversi ad Dominum",
rivolgetevi al Signore. Guardiamo insieme a
Colui la cui morte ha squarciato il velo del
tempio, a Colui che sta presso il Padre in
nostro favore e ci stringe nelle sue
braccia, a Colui che fa di noi un nuovo
tempio vivente. Tra i fenomeni veramente
assurdi del nostro tempo io annovero il
fatto che la croce venga collocata su un
lato dell'altare per lasciare libero lo
sguardo dei fedeli sul sacerdote. Ma la
croce, durante l'Eucaristia, rappresenta un
disturbo? Il sacerdote è più importante del
Signore? Questo errore dovrebbe essere
corretto il più presto possibile, e questo
può avvenire senza nuovi interventi
architettonici. Il Signore è il punto di
riferimento. È lui il sole nascente della
storia. Può trattarsi tanto della croce
della passione, che rappresenta Gesù
sofferente che lascia trafiggere il suo
fianco per noi, da cui scaturiscono sangue e
acqua – l'Eucaristia e il Battesimo –, come
pure di una croce trionfale, che esprime
l'idea del ritorno di Gesù e attira
l'attenzione su di esso. Perché è Lui,
comunque, l'unico Signore: Cristo ieri, oggi
e in eterno».
Anche il 22 marzo scorso, nella messa della veglia di Pasqua nella
basilica di San Pietro, Benedetto XVI, a conclusione dlel'Omelia ha
riproposto proprio l'esortazione "Conversi ad Dominum". Così:
«Nella Chiesa antica c’era la consuetudine, che il vescovo o il sacerdote
dopo l’omelia esortasse i credenti esclamando: "Conversi ad Dominum",
volgetevi ora verso il Signore. Ciò significava innanzitutto che essi si
volgevano verso oriente, nella direzione del sorgere del sole come segno del
Cristo che torna, al quale andiamo incontro nella celebrazione
dell’Eucaristia. Dove, per qualche ragione, ciò non era possibile, essi in
ogni caso si volgevano verso l’immagine di Cristo nell’abside o verso la
Croce, per orientarsi interiormente verso il Signore. Perché, in definitiva,
si trattava di questo fatto interiore: della "conversio", del volgersi della
nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce
vera. Era collegata con ciò poi l’altra esclamazione che ancora oggi, prima
del Canone, viene rivolta alla comunità credente: "Sursum corda" – in alto i
cuori, fuori da tutti gli intrecci delle nostre preoccupazioni, dei nostri
desideri, delle nostre angosce, della nostra distrazione – in alto i vostri
cuori, il vostro intimo! In ambedue le esclamazioni veniamo in qualche modo
esortati ad un rinnovamento del nostro Battesimo: "Conversi ad Dominum",
sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali
ci muoviamo così spesso con il nostro pensare ed agire. Sempre di nuovo
dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di
nuovo dobbiamo diventare dei "convertiti", rivolti con tutta la vita verso
il Signore. E sempre di nuovo dobbiamo lasciare che il nostro cuore sia
sottratto alla forza di gravità, che lo tira giù, e sollevarlo interiormente
in alto: nella verità e l’amore. In questa ora ringraziamo il Signore,
perché in virtù della forza della sua parola e dei santi sacramenti Egli ci
orienta nella direzione giusta e attrae verso l’alto il nostro cuore».