È
valida la Messa celebrata dai sacerdoti
del Cammino Neocatecumenale ?
Esprimiamo in questa nota alcune nostre
considerazioni circa la validità delle Messe celebrate dai sacerdoti
neocatecumenali, senza per questo voler minimamente imporre la nostra
opinione, e sempre pronti ad accettare il giudizio della autorità della
Chiesa in materia.
La Chiesa insegna che il Ministro del Sacramento, oltre ad essere un uomo a
ciò deputato dalla Chiesa, anche se non deve essere necessariamente in stato
di grazia ed avere fede (contro i Donatisti, i Valdesi, Wiclec, gli
Anabattisti, ) deve porre, però, gli elementi costitutivi del sacramento,
cioè: la materia, la forma ed agire secondo le intenzioni della Chiesa. E
questo perché i ministri del culto devono dare ciò che hanno ricevuto dal
Cristo ed essi stessi sono stati ordinati non per se stessi, ma per gli
altri, cioè per tutti.
Questa intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, non può essere:
- solo quella esterna, limitata al solo e puro rito esterno.
- ma deve essere fatta da una persona che sa di operare secondo le
intenzioni della Chiesa; per cui questa intenzione certamente manca quando
egli celebra per insegnare il rito ad altri; o per una ripresa
cinematografica, o per un atto di vilipendio al culto della Chiesa, ecc.
- non è necessario che la sua intenzione sia attuale, perché basta solo
quella virtuale, cioè un’intenzione già avuta ma che persevera, anche se in
quel momento che si opera si è distratti.
Per chiarire meglio il problema è necessario comprendere che cosa comporta,
in particolare, la frase: “intenzione di fare ciò che fa la Chiesa”.
L’intenzione in generale è un atto della volontà con cui uno persona
determina di fare qualche cosa; nel caso del Ministro: “la volontà di
amministrare il Sacramento”.
Il Ministro, essendo un uomo libero, può scegliere di costituirsi - nel
compiere una certa azione - ministerialmente, cioè, di essere ministro nelle
mani di Cristo e di agire come suo rappresentante.
Così, nell'amministrare un sacramento egli sceglie di agire come
rappresentante di Cristo, avendo, nel caso specifico, la sua stessa
intenzione e finalità.
Solo così il suo atto acquista un valore sacramentale e lo rende capace di
conferire la grazia santificante.
La necessità che nel Ministro ci sia questa intenzione sacramentale,
definita dal Concilio di Trento - contro Lutero e Calvino ( D.B. 854), si
suole esprimere dicendo che “il ministro del sacramento deve avere
l'intenzione di fare quello che fa la Chiesa”.
Questa espressione, dicono i teologi, riepiloga e sancisce il rapporto di
dipendenza del ministro dalla Chiesa. L'attività del ministro di cui Cristo
si serve per attuare il suo piano salvifico, deve essere in rapporto diretto
di dipendenza dalla società visibile, la Chiesa, che è la perenne
manifestazione di Cristo.
Infatti solo nella dipendenza del potere ministeriale dalla Chiesa, gli
uomini troveranno la garanzia di avere i mezzi necessari per la salvezza
stabiliti dal Redentore.
Da ricordare, inoltre, che la Chiesa è un corpo ben organizzato che dipende
in ogni atto dal suo capo visibile. Da qui ogni sacramento deve dipendere
dal Capo visibile della Chiesa e dalla Sacra Gerarchia che coadiuva il Papa
a ministrare il Sangue di Cristo per la redenzione del mondo (S. Caterina da
Siena).
Questa unione con la Chiesa visibile e quindi “l'intenzione di agire come
rappresentante di Gesù Cristo”, si ha sufficientemente tutte le volte che il
ministro compie l'azione sacramentale ordinando tale azione al fine per cui
Gesù Cristo l'ha istituita, e al fine voluto dalla Chiesa, perchè questa non
vuole se non quello che vuole Gesù Cristo.
In altri termini, il “ministro” deve agire volendo compiere il rito
istituito da Gesù Cristo e come lo ha istituito Gesù Cristo.In tutti questi casi il “ministro” del sacramento tende coscientemente e
liberamente ad un risultato che supera le sue possibilità di uomo e può
ottenere solo usando i poteri ricevuti da Gesù Cristo.
L'incredulità o l'ignoranza può impedire all'incredulo o all'infedele di
conoscere la natura dell'azione che compie; ma poiché anch’essi:
- sono autorizzati da Gesù Cristo ad amministrare il Battesimo, poiché Gesù
Cristo volle che il ministro valido di questo sacramento necessario per la
salute eterna sia ogni persona umana. (come definito dal IV Conc.
Lateranense del 1215, e dal decreto per gli Armeni del 1439).
- vogliono fare quel rito che compiono i cristiani, come lo compiono i
cristiani, risulta che ciò che essi compiono è perfettamente individuato ed
è il sacramento cristiano.
Volendo ulteriormente precisare l'oggetto della intenzione del ministro del
sacramento, si osservi che altra cosa è l'effetto del sacramento, cioè la
“Grazia” e il carattere (nel Battesimo, Cresima e Ordine); altra cosa e “il
rito sacramentale” che costituisce il sacramento.
Ha certamente intenzione sacramentale chi, compiendo il rito istituito da
Gesù Cristo, vuole ottenere il fine per il quale Gesù Cristo l'ha istituito
o per il quale la Chiesa amministra il sacramento. Può invece sorgere il
dubbio sulla presenza della intenzione sacramentale nel ministro, quando
egli voglia compiere unicamente il rito sacramentale. Il rito, infatti, può
essere compiuto nelle circostanze di luogo e di tempo prescritte dalla
Chiesa per l'amministrazione dei sacramenti; ma può essere anche compiuto in
altre circostanze, ad es. in una scuola di liturgia; dinanzi ad un gruppo di
medici o di infermiere per insegnare a battezzare, o anche da profanatori,
per derisione, ecc.
La Chiesa ha condannato la dottrina dei Riformatori che asserivano esserci
il sacramento ogni volta che viene compiuto il rito sacramentale, anche non
seriamente, ma per scherzo: (D. 752 del Conc. di Trento: Sess 14, cap 6).
Come anche ha condannato chi afferma valido il Battesimo dato da un ministro
che osserva il rito e la forma battesimale, ma nel suo cuore dice: “non
voglio fare quello che fa la Chiesa” (Alessandro VIII: D. 1318).
Nel ministro del sacramento si esige l'intenzione interna, che vuole cioè
che quel rito sia sacramento, agendo egli come vicario di Cristo.
Se il ministro, celebrando il sacramento, deve avere la sua intenzione
identica al fine per cui Gesù Cristo lo ha istituito e la Chiesa lo vuole,
egli, allora, deve agire volendo compiere il rito come Cristo l'ha istituito
e con le formule che la Chiesa gli dice di ripetere.
Il sacerdote è il ministro di Gesù Cristo e compie quei riti con senso di
obbedienza a Lui. Quando egli agisce, agisce come vicario di Gesù Cristo; ma
rimane capace di agire a nome proprio e, con fini propri; per cui quel rito
è sacramento, non perchè è fatto osservando tutti gli atti prescritti, ma
perché viene posto da chi può e vuole agire come rappresentante di Gesù
Cristo.
Dopo questi principi possiamo trarre le conclusioni circa il caso proposto:
- il sacerdote che celebra secondo il rito proposto da Kiko, mai approvato
dalla Chiesa, si sta proponendo non come vicario di Cristo, ma di.... Kiko!
- il rito proposto da Kiko, anche se apparentemente identico a quello della
Chiesa, non è un sacramento della Chiesa, poiché i sacerdoti del Cammino
neocatecumenale ritengono che l'Eucaristia che celebrano non è la
ripresentazione sacramentale del sacrificio della croce, ma un pasto di
fraternità a cui possono partecipare credenti e non credenti.
- i sacerdoti neo-catecumenali agendo in questo modo nella celebrazione
della Messa, non parlano né agiscono più a nome di Cristo e con la sua
autorità. I loro gesti e le loro parole non producono più alcun effetto
soprannaturale.
- manca infatti una delle condizioni essenziali richieste dal Concilio di
Trento per trasformare quel rito in un “ rito sacramentale”, capace di
produrre la grazia santificante in colui che lo riceve nei modi dovuti.
- conseguentemente in quelle Messe non c'è più neanche la Presenza Reale
del Corpo e del Sangue di Cristo nelle specie del pane e del vino, per cui
non c’è nemmeno una vera Comunione con il Corpo e Sangue di Cristo.
- i fedeli sanno che l'unico sacerdote è Cristo Gesù, e solo essendo uniti
a Lui, i suoi ministri possono agire in suo nome e con la sua autorità.
Questa autorità Gesù, prima di salire al cielo l'ha conferita agli Apostoli,
da Lui scelti per continuare nel tempo la sua missione redentrice.
- il Vescovo successore degli Apostoli, è perciò il suo unico e legittimo
rappresentante. I sacerdoti da lui ordinati sono dei Suoi collaboratori che
rimangono tali soltanto se essi rimangono uniti al Vescovo per mezzo
dell'unione della loro volontà a quella del Vescovo, pastore della diocesi,
voluto da Gesù per unire, per mezzo della sua mediazione, le anime a Lui,
santificatore e salvatore di tutti. L'azione singola di un collaboratore del
Vescovo non ha senso e motivo di esistere al di fuori della volontà di colui
del quale è (il sacerdote) collaboratore.
- conseguentemente non è concepibile che esista questa identificazione
della volontà del ministro di fare ciò che fa la Chiesa quando amministra un
sacramento, se egli agisce senza il mandato del suo Vescovo. Soltanto quando
il ministro amministra un sacramento osservando le norme emanate dal suo
Vescovo, egli può dire di agire “secondo le intenzioni della Chiesa”.
- quindi, perché un sacramento veramente si realizzi, oltre l'osservanza
delle norme circa la materia e la forma, è necessario ed indispensabile che
nel celebrante sia visibile anche la sua intenzione di “fare ciò che fa la
Chiesa”: ripetendo così quello che Cristo stesso ha voluto istituendo quel
sacramento.
- anche se l'intenzione (atto della volontà), è per natura sua invisibile,
essa diventa visibile nel fatto della unione del ministro al suo Vescovo, di
cui egli è solo il collaboratore, per cui i suoi atti diventano validi
solamente quando corrispondono ai suoi desideri o alla sua volontà.
- da qui la necessità che il ministro, nel celebrare il sacramento, oltre
all'osservanza delle norme del rito, lo faccia nel modo e nelle circostanze
previste dal suo Vescovo. Solo quando agisce a nome del suo Vescovo e,
secondo il suo mandato, egli sta in unione con lui e celebra secondo le
intenzioni della Chiesa.
- in caso contrario il rito celebrato dal ministro non autorizzato dal
Vescovo, diventa una vetrina della realtà e non la realtà. Il suo rito non è
più un rito sacramentale, strumento efficace della grazia santificante.
- questa autorizzazione a celebrare concessa dal Vescovo diventa la prova
visibile che il ministro sta agendo secondo le intenzioni della Chiesa e
quindi con la stessa intenzione di Cristo.
- l’esistenza dell'autorizzazione del Vescovo rassicurerebbe i fedeli
sulla validità della celebrazione a cui assistono, specie oggi quando anche
le norme del rito spesso sono cambiate a seconda dei gusti del celebrante.
Quello che a nostro giudizio importante è il riconoscere che il sacerdote è
solo il ministro del sacramento che celebra, e non il suo Padrone. Egli lo
amministra a nome della Chiesa, alla quale deve essere profondamente unito
con la sua “intenzione” e non soltanto con l'osservanza di norme rituali o
di certe rubriche.
L'ultima decisione del S. Padre, Benedetto XVI relativa al caso di Mons.
Milingo, e per la quale le ordinazioni compiute da questo Arcivescovo, senza
l'autorizzazione della superiore autorità della Chiesa “non sono né saranno
ritenute valide” anche se fatte osservando le norme contenute nel
cerimoniale dei Vescovi.
Sappiamo ormai che certe celebrazioni sacramentali non sono ritenute valide,
perché (anche se sono state osservate perfettamente le norme e il rito della
celebrazione, né il ministro, o Vescovo o prete che sia) manca l’intenzione
di fondo, di fare “quello che fa la Chiesa”.
E con queste affermazioni, possiamo ritenere conclusa anche la nostra
discussione sulla validità o meno delle celebrazioni sacramentali dei
sacerdoti neocatecumenali.
Riassumendo:
- riteniamo che le Messa celebrate dai sacerdoti formati nei Seminari
neocatecumenali, non celebrano validamente, perché, oltre a non seguire le
norme stabilite dalla Chiesa per la sua celebrazione, mancano di una delle
condizioni richieste per la validità della celebrazione del sacramento:
cioè, della intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
- questa conclusione deriva dalle premesse sopra esposte.
- l'interpretazione da noi data della frase; “intenzione di fare ciò che fa
la Chiesa”, è confortata dalla decisione del Santo Padre, Benedetto XVI,
relativa al caso di Mons. Milingo, per la quale le ordinazioni compiute da
questo Arcivescovo, senza l'autorizzazione della superiore autorità della
Chiesa, non sono, né saranno ritenute valide, anche se fatte osservando le
norme contenute nel Cerimoniale dei Vescovi.
Sapevamo già che certe celebrazioni sacramentali, la Chiesa cattolica non le
ha ritenute valide perchè in esse non erano state osservate le norme
relative alla materia o alla forma. Oggi, con le decisione presa dal S.
Padre, sappiamo che tra le norme richieste per la validità del Sacramento
deve esserci nel celebrante il sacramento stesso, l'intenzione di fare ciò
che fa la Chiesa, intendendo con questa espressione l'autorizzazione
concessa, dal Vescovo al ministro, di procedere alla celebrazione di quel
sacramento.
Mancando questa autorizzazione, viene anche a mancare quella unione con il
Vescovo, per cui quel celebrante il rito agisce a nome proprio e non a nome
della Chiesa.
Mancando questa intenzione, quel ministro nella sua celebrazione, non pone
la terza condizione per la validità sacramentale del suo atto.
Ottobre 2007, Don Gino CONTI
[Fonte: http://www.geocities.com/Athens/Delphi/6919/ita_index.htm]
Osservazioni:
La questione sollevata da don Conti, peraltro già affrontata su questo
sito sul tema del ruolo del
sacerdote nel Cammino, è particolarmente seria, poiché occorre stabilire
preliminarmente se un sacerdote neocatecumenale celebra secondo l'intenzione
della Chiesa.
Stando a quanto sappiamo ciò non avviene, per il fatto che detto sacerdote
celebra secondo le intenzioni e teorizzazioni dei fondatori del Cammino, i
quali come ben sappiamo, si sono inventati una liturgia originale, difforme
e alternativa a quella della Chiesa.
Alla prima domanda si deve dunque dare risposta negativa.
Vi sono però aspetti correlati. Se il Cammino è difforme in tantissimi
aspetti dai dogmi e dal magistero della Chiesa, il Cammino non è in perfetta
comunione con la Chiesa. Qualcuno se la sente di affermare in tutta
coscienza e davanti a Dio che il Cammino è in perfetta comunione con la
Chiesa, alla luce di tutto quanto in esso si predica e si attua?
Ora, il Can. 908 del diritto canonico stabilisce che è vietato ai sacerdoti
cattolici concelebrare l'Eucaristia con i sacerdoti o i ministri delle
Chiese o delle comunità ecclesiali che non hanno la piena comunione con la
Chiesa cattolica.
Ma qui il reato assume la specie dei graviora delicta in quanto sono
gli stessi sacerdoti cattolici ad essere celebranti in un'associazione
laicale in discomunione teoretica e pratica dalla Chiesa. Ma, se un
sacerdote è consapevole di tutto questo, cioè di far parte di
un'associazione in discomunione teoretica e pratica dalla Chiesa, può
celebrare validamente il sacramento eucaristico?
Ancora la logica ci dice di no: per la consapevole celebrazione del rito in
un contesto teologicamente difforme, in cui tra l'altro viene violato il
principio della confessione sacramentale. I canoni 916 e 1379 ci richiamano
chiaramente ad una coscienza peccaminosa e alla simulazione di sacramento in
un tale contesto.
È vero che dal punto di vista soggettivo, del credente, ove vi sia la retta
intenzione di partecipare al mistero eucaristico, si attiva il principio del
"supplet Ecclesia".
Ma ci troviamo di fronte al paradosso di un sacramento oggettivamente
invalido che rimarrebbe validato limitatamente (in quanto carente della
legittimità della fonte somministrante) per la sola virtù della retta
intenzione del beneficiario.
In ogni caso, sospendiamo ogni nostra considerazione, rimettendoci a
quello che la Santa Sede non mancherà di indicare su tutte le perplessità
poste dal Cammino NC.