Il nostro discorso sul Cammino Neocatecumenale si inquadra anche nella constatazione della
ribellione e dell'apostasia presenti nella Chiesa.
L'articolo nella home page di oggi 25 ottobre di papanews.it, a cura di padre Gregorio, dà risposta
ad alcuni nostre affermazioni, a proposito dell'induzione in errore dei Papi
da parte dei loro stretti consiglieri. A causa di costoro, Giovanni XXIII
aveva un cattivo concetto di padre Pio, così come Giovanni Paolo II ignorava
le aberrazioni neocatecumenali.
Vi proponiamo una parte significativa dell'articolo, che riguarda il
passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo cerimoniere del Papa,
straordinariamente calzante e coerente con il discorso affrontato sul nostro
Weblog.
Considerato l'orientamento modernista di mons. Piero Marini e le sue
predilezioni spettacolistiche, molto ben descritte nell'articolo, si capisce
bene perchè Giovanni Paolo II possa aver avuto una percezione distorta del
fenomeno neocatecumenale.
(...)Monsignor Guido Marini, il successore di Piero, non ha mai fatto
mistero del proprio pensiero in questioni liturgiche. Egli è stato ordinato
dal Cardinal Giuseppe Siri, uno degli ultimi Principi di Santa Romana Chiesa
che, quando pontificava nel Duomo di San Lorenzo, usava abitualmente la
cappamagna, le scarpe rosse con fibbie d’oro, il cappello cardinalizio; è
uno dei tanti sacerdoti dell’Arcidiocesi di Genova che ama il latino, il
gregoriano, la dignità dei riti; è stato Cerimoniere degli Arcivescovi
Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco, anch’essi molto attenti al decoro nella
liturgia. Viceversa, l’omonimo Piero è noto per la sua contrarietà a tutto
ciò che ricorda anche lontanamente la tradizione rituale della Corte papale:
alla solenne romanità egli preferiva mutuare dalle “culture” africane riti
tribali, danze offertoriali davanti al Papa, liturgie inventate a tavolino
in nome dell’inculturazione; e non si può dimenticare quel suo approccio
coreografico secondo il quale la liturgia è spettacolo e come tale va ideata
e adattata: un approccio in palese opposizione al rito antico, definito
sprezzantemente come “vecchia liturgia”, frutto di “incrostazioni” e
“sedimentazioni”. In pratica, l’esatto opposto del pensiero di Benedetto XVI.
Ciò conferma le riflessioni di quanti, noi inclusi, ritengono più che mai in
atto nella Chiesa un braccio di ferro tra tradizionalisti e modernisti, tra
libertari e 'obbedienti', tra ortodossi ed eterodossi.
Lo scontro sommerso nella Cei sull'applicazione del
Motu Proprio sulla
messa tridentina ne è l'ennesima riprova. È una questione di punti di vista,
di prospettive teologiche e 'ideologiche' contrastanti. Mentre vi è chi
rimane ancorato alla concezione tradizionale della Chiesa, altri ritengono
la Casa di Dio una sorta di società per azioni, dove al potere del
presidente si oppone quello dell'amministratore delegato e del consiglio di
amministrazione, il quale rivendica il diritto a dissentire ed adottare
autarchicamente proprie determinazioni.
Diciamolo forte, allora: la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica NON è
UNA SOCIETA' PER AZIONI, né una ONLUS, né tantomeno una maxi-setta, una
superlobby, una superloggia o una confraternita esoterica.
È, sempre e semplicemente, la comunità viva dei fedeli di Gesù Cristo,
referente attuale della antica tradizione apostolica. Il resto è prodotto
della miseria morale e della vanagloria dell'umanità, anche quando veste la
tonaca o la porpora e si entusiasma per i rituali fantasiosi e sacrileghi di
una setta eretica come il Cammino neocatecumenale.
Sulla situazione della nostra Chiesa, merita di essere letto l'articolo
di Tornielli sul suo blog, che riportiamo:
Alla CEI, tre giorni di discussione sulla Messa Antica…
Da lunedì pomeriggio fino a mercoledì mattina i trenta vescovi del Consiglio
permanente della Cei hanno discusso del Motu proprio. Tutti i retroscena del
dibattito avvenuto a porte chiuse.
Ci sono stati vescovi che hanno criticato la decisione papale (tra questi
gli arcivescovi Bruno Forte, di Chieti-Vasto, Paolo Romeo, di Palermo, e
Carlo Ghidelli, di Lanciano-Ortona), chiedendo che la Cei pubblicasse un
documento interpretativo per l’Italia. Bagnasco, Ruini, Scola e Caffarra
sono intervenuti in difesa del Papa e della sua decisione.
Alla fine la proposta non è passata e dunque non ci saranno interpretazioni
ufficiali (e restrittive) del Motu proprio.
Intanto a Milano permane il divieto di celebrare col rito antico. Ma
qualcosa si muove: all’Università Cattolica l’assistente, monsignor Gianni
Ambrosio, celebrerà ogni settimana una messa in rito romano antico per
studenti e professori…
I vescovi litigano sulla Messa in latino ma non passa la linea anti
Ratzinger
di Andrea Tornielli http://blog.ilgiornale.it/tornielli
21 settembre 2007
È stato un dibattito acceso, per molti versi simile a quello avvenuto la
scorsa primavera sull’opportunità di pubblicare la famosa Nota sui Dico,
segno che si tratta di una questione scottante: da lunedì pomeriggio fino a
mercoledì mattina il Consiglio permanente della Cei ha discusso animatamente
del Motu proprio di Benedetto XVI sulla messa antica e della sua
applicazione. Alcuni dei vescovi presenti alla riunione, infatti, hanno
manifestato le loro critiche al documento chiedendo che la Cei preparasse
una Nota interpretativa delle direttive papali per l’Italia. Ma l’iniziativa
non è passata.
Il «Parlamentino» dei vescovi, al quale partecipano trenta presuli
italiani, presieduto da Angelo Bagnasco, si è riunito lunedì pomeriggio.
Dopo la prolusione del presidente, che conteneva un ampio paragrafo sul
Motu proprio, ma anche
apriva la discussione su altri argomenti, gli interventi si sono concentrati
solo sulla messa tridentina. Il dibattito è avvenuto a porte chiuse, ma
secondo le indiscrezioni raccolte dal Giornale alcuni dei prelati hanno
manifestato la loro preoccupazione per l’applicazione del documento del
Papa, entrato in vigore lo scorso 14 settembre, che liberalizza l’uso del
messale antico. Tra questi Carlo Ghidelli, vescovo di Lanciano-Ortona, che
ha preso la parola più volte. Insieme a lui e sulla stessa linea erano anche
Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto; Benvenuto Italo Castellani,
arcivescovo di Lucca; il nuovo arcivescovo (e futuro cardinale) di Palermo
Paolo Romeo [amico del Cammino!]; Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola e
presidente della Commissione episcopale per la liturgia. Quest’ultimo aveva
appoggiato, nei mesi scorsi, la lettera inviata al Pontefice da un gruppo di
liturgisti italiani per chiedergli di non procedere con la liberalizzazione
dell’antico rito. Nei loro interventi hanno sottolineato come il Motu
proprio di Benedetto XVI rischi di creare disagio perché l’ecclesiologia
presente nel vecchio messale sarebbe «incompatibile» con quella scaturita
dal Concilio Vaticano II. Proprio per questo, hanno chiesto che la Cei
preparasse un documento interpretativo del testo papale. E si può ben
supporre che sperassero in un’interpretazione restrittiva.
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Il card Ratzinger: celebrazione VO - 1990 |
Dopo i contrari, però, si sono levati i commenti a favore. Il presidente
Bagnasco e i cardinali Camillo Ruini, Carlo Caffarra e Angelo Scola sono
intervenuti difendendo il Motu proprio «Summorum Pontificum» e il gesto di
riconciliazione in favore dell’unità della Chiesa sotteso alla decisione di
Benedetto XVI. Si è riproposto, all’interno del Consiglio permanente della
Cei, qualcosa di simile a quanto avvenuto alla fine del marzo scorso,
quando, alcuni dei vescovi presenti, dubbiosi sulla Nota riguardante i Dico,
avevano cercato di ammorbidirne la portata «politica». Questa volta, invece,
c’era la volontà di pubblicare un testo per un’interpretazione «italiana»
delle parole del Papa. Allora come oggi sono stati decisivi gli interventi
di alcuni porporati, primo fra tutti l’ex presidente della Cei Ruini.
Anche senza documento della Cei, il processo «interpretativo» del Motu
proprio è in atto e le diocesi si comportano nel modo più vario [??]. Il
vescovo di Albenga Mario Oliveri, due giorni fa ha pubblicato una lettera
presentando positivamente il Motu proprio e richiamando alla necessaria cura
per la celebrazione di qualsiasi messa. Ribadisce invece la sua posizione -
vietando l’applicazione delle direttive papali al vecchio rito ambrosiano -
la diocesi di Milano guidata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Il suo
vicario, Luigi Manganini, ha ribadito nei giorni scorsi al clero la
decisione, restringendo anche l’applicazione del Motu proprio nelle zone
della diocesi dove vige il rito romano in quanto non ci sarebbero gruppi
stabili di fedeli (nonostante da 23 anni sessanta persone assistano ogni
domenica alla messa in ambrosiano antico alla chiesa del Gentilino e a
Seregno vi sia una celebrazione domenicale dei lefebvriani). Ma anche sotto
la Madonnina chi può si organizza: una messa antica (in rito romano) sarà
celebrata settimanalmente da monsignor Gianni Ambrosio all’interno
dell’Università Cattolica.