|
|
|
|
|
Lettera già inviata al Santo Padre, che diventa lettera
aperta...
Un nostro lettore ci invia la sua sofferta
testimonianza, corredata di questa lettera, che rendiamo pubblica, su sua
stessa richiesta, omettendo solo i riferimenti personali
......., 08 febbraio 2008
Santità,
desidero innanzitutto ringraziarLa per l’amore con cui
sta provvedendo alla “sete spirituale” dei nostri tempi, illuminato dallo
Spirito Santo nel ruolo di guida della Chiesa di Cristo, a cui io mi glorio
di appartenere. Ed è proprio constatando l’amorevole cura pastorale che,
finalmente, trovo il coraggio di interpellare il Suo discernimento a
proposito di un problema che turba, nell’intimo, la mia esperienza di membro
del Cammino Neocatecumenale. Sono realmente preoccupato, mi capita di
versare lacrime, e non solamente perché coinvolto in prima persona. So che
la suddetta realtà è al sapiente vaglio di Santa Madre Chiesa, ma so anche
che una cosa è la lettera sottoposta all’attenzione delle Congregazioni per
la Dottrina e per il Culto, altra lo “spirito”, il clima che si vive e
l’effettiva dottrina che, in pratica, viene inculcata quotidianamente in un
contesto chiuso alla compartecipazione del restante popolo di Dio. Il Suo
magistero mi insegna che diversità è ricchezza, non divisione, in nome dei
carismi che derivano dallo Spirito Santo e che fanno della Sposa di Cristo
una sublime realtà, la quale accompagna l’uomo nel suo corso mondano.
Non cerco la perfezione nell’uomo: sarebbe cosa stolta.
Come non concordare, infatti, con quanto affermato da S. Paolo a proposito
della Legge e del peccato? Ma sono altrettanto consapevole che il Signore,
illuminandoci tramite l’antropologia paolina, non vuole affatto fornirci il
pretesto per commettere errori. Soprattutto, come ho avuto modo di ascoltare
dalla Sua voce, l’impegno a non scandalizzare i fratelli è tanto maggiore,
quanto grave è l’assunzione di responsabilità di chi, nelle parrocchie e nei
movimenti, svolge un ufficio pastorale. So che il Cammino parla attraverso
coloro che lo conducono, attraverso quanti, a loro dire, proferiscono verbo
ex cathedra, dettando la linea e conferendo contenuto a quel che è
insegnamento comune, rivolto a tutti i suoi appartenenti. Non intendo
meschinamente denunciare gli abusi ideologici di qualche persona in
particolare: sia per non commettere peccato, sia perché ritengo che quanto
sto per scrivere non comporti la mia condanna nei confronti di uomini, ma
riguardi l’impostazione neocatecumenale in quanto tale, insieme con formule,
opinioni, frasari che il Signore mi ha dato modo di riscontrare in questi
anni. Prima di scrivere, ho cercato lumi presso diversi sacerdoti. Alcuni di
loro, già titubanti circa il Cammino, mi hanno suggerito il presente passo.
Inoltre, i catechisti stessi, sospettando della mia condotta “ondivaga”, mi
hanno diffidato dall’interpellare il vescovo della mia diocesi (di .....): a loro modo di vedere, ogni mia mossa sarebbe conosciuta, essendo
anch’egli un sostenitore dei neocatecumenali, mercé le ingenti offerte che
le comunità devolverebbero, con cadenza mensile, a favore del “suo clero”.
Desidero ardentemente che tale mio scritto non venga ritenuto di marca
delatoria, perché – prego di essere creduto – il mio intento è sincero,
almeno quanto il tormento e la preoccupazione di figlio che, la domenica,
confessa di credere in una Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica». Per
questo, per quanto possibile, mi atterrò ai “fatti”, a ciò che ho
direttamente vissuto, per non giudicare sul sentito dire, né animato dal
risentimento: sine ira et studio.
Un primo problema è il cruccio che mi
provocano gli episodi in cui, con una certa trascuratezza, passando tra
i banchi, vengono maneggiati il Corpo e il Sangue di Cristo i quali,
spesso, caduti in terra, vengono raccolti in maniera estemporanea.
Correlati a ciò, sono gli accadimenti che mi provocano turbamento,
giacché, a volte, dubito di appartenere a un movimento cattolico, fedele
e obbediente al Magistero della Chiesa. Mi riferisco, in particolare,
all’interpretazione delle disposizioni della Congregazione per il Culto
Divino, inviate con lettera prot. 2520/03/L del 01/12/2005 dal Cardinale
Arinze. A oggi, infatti, restano disattesi: il punto 1 («Almeno una
domenica al mese le comunità del Cammino Neocatecumenale devono perciò
partecipare alla Santa Messa della comunità parrocchiale»); il punto
3, con relativo rinvio all’Istruzione Interdicasteriale Ecclesiae de
mysterio art. 3 §§ 2 e 3, circa l’eccezionalità delle testimonianze
dei fedeli durante la celebrazione eucaristica (le cosiddette
“risonanze”): esse vengono incoraggiate e svolte indifferentemente, in
ogni occasione e in numero superiore ai quattro-cinque interventi; il
punto 6. Infine, in un proclama tenuto a tutte le comunità di Nettuno,
Anzio e Cecchina (diverse centinaia di persone) dal catechista maggiore
in carica, il punto 5 è stato descritto come una concessione che il Papa
ha voluto fare a proposito della modalità di ricevere la Santa
Comunione: Sua Santità avrebbe concesso, ad experimentum (sic!),
la possibilità di rimanere seduti per ricevere le due specie,
riservandosi di riesaminare la questione tra due anni: purtroppo,
leggendo il testo della Congregazione, ho avuto modo di riscontrare il
vero contenuto, nonché il termine perentorio fissato nel punto in
questione: «… si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di
transizione (non più di due anni) per passare […] al modo normale
per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il
Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri
liturgici per la distribuzione del Corpo e Sangue di Cristo». Il che
ha notevole significanza, come illustrato da Sua Santità nell’enciclica
Deus caritas est al § 13. E comunque, quel che mi ha sconcertato,
è stata la chiosa del suddetto capo-catechista a proposito dell’intera
lettera: «D’altronde, chi verrà mai controllarci. Infatti, celebriamo
a porte chiuse e con nostri presbiteri». Nel frattempo, laici e
sacerdoti neocatecumenali (a loro dire) impiegati presso Radio Vaticana
(il cui S.I.C. ci si vanta di controllare) e Propaganda Fide spacciano
notizie di corridoio come verità assolute, sostenendo di aver udito
dalla Sua bocca l’intenzione di richiamare all’ordine le intemperanze
del Cardinale Arinze, per poi disporre, il prossimo novembre, la revoca
delle disposizioni in questione. Cosicché, al di fuori di ogni logica,
la totalità dei fratelli dà per certe notizie ufficiose, imputando
l’onere della prova (contraria) in capo a quanti rammentano i contenuti
di un documento ufficiale!
E disattesi restano altresì gli Statuti. All’art. 10
§ 3 è stabilito che: «La comunità neocatecumenale è affidata alla
cura pastorale del Parroco e del presbitero da lui incaricato (cfr. art.
27). Inoltre la comunità indica, mediante votazione, un responsabile
laico e alcuni corresponsabili, che vengono confermati dal parroco e
dall’equipe di catechisti. Essi collaborano con il presbitero per
assicurare che la comunità percorra l’itinerario del Cammino
Neocatecumenale, secondo quanto stabilito nello Statuto e nel
Direttorio, e per curare gli aspetti organizzativi». Ora, in diversi
casi (comprese le vicende della mia comunità), nulla di tutto ciò
accade: il parroco è totalmente tenuto all’oscuro di quanto dovrebbe
pastoralmente guidare (cfr. art. 28 § 3) e, per giunta, la delicata
carica di responsabile, chiamato a organizzare convivenze, a prelevare
le dovute quote di danaro mensili (decime e altro) e a comunicare ai
catechisti le attività (lavorative e non) intraprese da ciascun membro,
è nominato d’imperio dai catechisti, senza la libera e spontanea
elezione da parte dei fratelli. Questo accade specialmente in comunità
che non devolvono sufficienti somme di denaro. Quanto alla possibilità
di chiedere spiegazioni in merito, la risposta è stata: «Sono deroghe
che non ti competono, le nostre decisioni sono ispirate dallo Spirito
Santo, perciò le tue domande sono insidiose e provengono da Satana.
Dovresti aver capito che gli Statuti sono stati fatti approvare per
zittire i vescovi». Per giunta, conformemente a tali
opinioni, i prelati che nutrono riserve sul Cammino sarebbero ingannati
dal demonio: «Eppure, Yahweh misericordioso fa della loro debolezza
nei confronti del denaro la nostra forza. E allora, partecipiamo tutti
alle collette che, ogni tanto, devolveremo a parrocchie e diocesi. Così
si ammorbidiranno e ci lasceranno fare le catechesi per i nuovi».
Non posso accettare simili frasi, anche perché, paradossalmente, a rigor
di logica, dovrebbe dirsi ingannata anche Sua Santità, visto che si è
“permessa” di avallare determinate correzioni?
Non posso rimanere imperturbato se, durante certe
omelie, i presbiteri del Cammino, con tono apodittico, decretano che
tsunami e altri disastri sono procurati da Dio per punire chi
pratica turismo sessuale e altri consimili abominii; che l’attacco di
Israele sui civili libanesi – comprese le comunità cristiane di Beirut –
si giustificano alla luce della forza concessa da Dio al popolo eletto,
il quale dimostra, oggi come nella storia dell’Antico Testamento, di
mobilitarsi in modo compatto; che i cristiani, analogamente, hanno
dimostrato in passato di potere abbattere gli Stati, come l’Impero
Romano: perciò i neocatecumeni devono prepararsi per il futuro.
Insistendo, poi, sulla considerazione per cui gli Ebrei sono fratelli
maggiori nella fede, i catechisti descrivono il Cammino come diramazione
dell’Ebraismo. Il che si rende evidente nell’oggettistica ebraica nelle
case (comprese le bandiere con la stella di Davide) e sull’altare
(durante la consacrazione, a pochi centimetri dal pane, è d’obbligo
utilizzare le nove luci della Cannukkiàh), nell’invito ad alzarci in
piedi quando si canta lo Shemà e nell’interpretazione sionista
del dialogo tra cattolici ed ebrei (questi ultimi definiti
letteralmente, dai catechisti, “popolo superiore”), nei sentimenti
anti-palestinesi e, infine, nelle critiche alle inique politiche
vaticane e francescane in Terra Santa (specie in occasione della recente
crisi libanese, durante la quale, a loro dire, Sua Santità avrebbe fatto
meglio a “schierarsi” a favore dei legittimi attacchi israeliani) etc.
Mi spaventa il modo in cui viene ignorata la
vocazione ecumenica della Chiesa. Avanzando riserve a proposito delle
spaccature che certi atteggiamenti settari potrebbero provocare, ho
ricevuto risposta dai catechisti: il problema esposto dalla lezione
paolina (per esempio, nell’Epistola ai Corinti I, 10 ss.) non si
pone. Infatti, non si tratterebbe di essere seguaci di Cefa, di Apollo o
di Paolo, poiché il Cammino è l’unica realtà che ricapitola ogni
carisma. Chi non accetta questo, offende Yahweh (sic!). E ancora:
che il nostro parlare debba essere sì sì, no no, e che il superfluo
proviene dal maligno, significa dire sì o no al Cammino, mentre
qualsiasi altra opzione è un compromesso che annacqua il messaggio di
salvezza. Mi si ripete continuamente, durante le cosiddette
“convivenze”, che colui il quale abbandona il Cammino Neocatecumenale è
destinato a perdere la fede, giacché la Messa domenicale sarebbe un
insufficiente palliativo per i cristiani tiepidi, così come omelie
pressappochiste dei parroci i quali, servi della dottrina sociale della
Chiesa, imbonirebbero i cultori di una “religiosità naturale”: «La
messa della domenica lasciatela ai cristiani della domenica, fatevelo
dire da persone che, per anni, prima di essere illuminati dal Cammino,
hanno errato nelle parrocchie non incontrando mai Yahweh». E ciò
produce i suoi effetti, dato che mi capita di ascoltare, durante le
risonanze, persone che ringraziano Dio di aver donato loro sacerdoti
neocatecumenali, pentendosi di aver partecipato, talvolta, alla Messa
domenicale, da cui non hanno ricevuto null’altro che una sensazione di
vuoto interiore (sic!). E, in queste occasioni, mai s’è levato un
presidente (ovviamente lusingato da tali paragoni) a correggere simili
affermazioni. Già, perché, a loro dire, la vita parrocchiale sarebbe
ormai agli sgoccioli, pronta a essere sostituita dalla novità del
Cammino, per mezzo dei suoi sacerdoti, formati nei seminari “Redemptoris
Mater”. Per questo, oggi, trasmettere la fede ai figli significherebbe
fare in modo che essi, come i genitori (e così per via genealogica)
aderiscano solo e soltanto al Cammino Neocatecumenale. L’obiettivo
dichiaratamente perseguito sarebbe una sorta di autarchia: “figli del
Cammino” che, formatisi nei suddetti seminari, assumano la guida di più
parrocchie possibili, impiantandovi la realtà neocatecumenale e tentando
di renderla esclusiva per tutti i parrocchiani. Purtroppo, qualche anno
addietro, a ...., l’ex parroco ...., aderendo al Cammino aveva
assunto – a detta degli altri parrocchiani – un atteggiamento talmente
parziale e discriminatorio da suscitare spaccature e gelosie nel popolo,
sino a disporre che i banchi fossero sistemati perpetuamente in modo
circolare, pronti all’uso del Cammino, e a far costruire, al centro, un
vasto battistero per le immersioni. Purtroppo, una simile
chiusura si ripercuote anche nel considerare fratello e prossimo solo
chi è neocatecumeno, poiché, con estenuanti giochi verbali e sinonimi,
si insinua la perfetta riduzione della Chiesa al Cammino: chi non è
neocatecumeno è “figlio del mondo”. Tale identificazione produce
effetti, specie su chi, da sempre lontano dalla partecipazione alla vita
sacramentale, inizia ad ascoltare le catechesi. D’accordo l’orgoglio
identitario (puntualmente celebrato anche a margine degli incontri con i
giovani), lo spirito di corpo, ma ciò che mi turba è quando un organo si
distacca dal resto delle membra, rivendicando superiorità. Il che mi si
rende evidente, addirittura, quando ascolto dai ragazzi slogan da
stadio, altamente offensivi nei riguardi dell’Opus Dei, di Comunione e
Liberazione e dei (a loro dire) “madonnari” di Lourdes e Medjugorie.
Nella mia comunità, per evitare “contaminazioni”, fratelli che si sono
parallelamente avvicinati al Rinnovamento dello Spirito sono state
richiamate all’obbedienza, invitati a non comportarsi come “serpi in
seno” e, con ciò, a sedersi agli ultimi banchi durante le celebrazioni
eucaristiche. Quale pena provo, Padre! quale pena! Del resto, sono
veementemente scoraggiati i matrimoni con chi non è neocatecumeno.
L’imperativo di riferimento è la frase di S. Paolo: «Non unitevi al
giogo diseguale dei pagani». Stessa cosa è capitata a me quando ebbi
la sventurata idea di dichiarare il mio desiderio di abbracciare
l’Ordine Francescano Secolare: in molti, a cominciare dai catechisti, mi
negarono il saluto. Tuttavia, quel che mi ha procurato maggior
sofferenza è stato l’abbandono della mia fidanzata, figlia di
catechisti, costretta a lasciarmi perché avevo mostrato l’intenzione
“pagana” (sic!) di abbandonare il Cammino. Ci amavamo, ma è stata
convinta che, con me, le sarebbe stato impossibile formare una famiglia
cristiana. Io, tra l’altro, ero colpevole di avere avanzato sommesse
perplessità sul fatto che se ogni movimento (i catechisti rifiutano tale
denominazione, poiché il Cammino incarnerebbe l’autentica conversione
cristiana) funzionasse secondo un’obbligatoria appartenenza genealogica,
ascrittiva, potrebbe insinuarsi il tarlo della frammentazione, a
dispetto del carattere cattolico (:universale) della Chiesa di Roma. La
ragazza, tra i tormenti, mi diede l’addio, edotta sul fatto che Dio la
chiamasse a tale sacrificio come fece con Abramo, chiamato a sacrificare
Isacco (salvo, poi, ravvedersi dinanzi il mio formale ripensamento). E
ciò non è accaduto soltanto a me, ma anche ad altri ragazzi.
Evidentemente, non basta il requisito dell’amore, insieme col bonum
prolis, bonum fidei e bonum sacramenti. A nulla vale
far presente che un matrimonio fondato su Cristo è edificato sulla
roccia. Lo stesso Cristo che unisce («ut unum sint»), a
differenza del diavolo, che divide (diaballein). Anzi, mi viene
insegnato che il Cammino deve impegnare ogni aspetto della vita, perciò
è d’uopo coltivare amicizie solo all’interno di esso, dato che solo lì
v’è salvezza, avendo qualcosa in più rispetto a tutte le altre realtà
del mondo cattolico. Infatti, la fede si acquisterebbe coi cosiddetti
“passaggi”, trasmessa dai catechisti, secondo un percorso iniziatico,
concepito in tappe i cui contenuti, rituali e simbologie non devono
essere assolutamente svelati né agli “esterni” (che continuano a essere
esclusi dalle celebrazioni a porte chiuse), né ai “fratelli inferiori”:
perché tanta segretezza e oscurità se, in virtù dell’unico (!)
battesimo, il cristiano diviene figlio della luce? La verità dovrebbe
temere il sole, dovrebbe celarsi nelle tenebre4?
· Le opere sarebbero totalmente inutili:
il Cammino non prevede uffici caritatevoli verso il prossimo, perché
non si tratta di fare “beneficenza”, essendo la presenza dei
fratelli uno strumento di mortificazione che non prevede risalita,
bensì la discesa sino a comprendere la nostra natura meschina, per
mezzo delle celebrazioni della Parola: tutto ex sola fide,
soprattutto, ex sola scriptura. Immagini quali conflitti io
possa vivere, leggendo le parole di Sua Santità sulla qualità
edificante dell’amore al prossimo5. Desidererei sapere se può
ritenersi corretta oppure gnosticheggiante l’idea per cui, se non si
riscopre il Battesimo, tramite il percorso neocatecumenale, il
sacramento rimane inoperante. Inoltre, posso non essere considerato
cristiano se manco una “convivenza”, se non mi reco all’incontro
ufficiale coi catechisti oppure se non chiedo loro udienza per
esporre ogni mio problema? A questo punto, non so più come leggere
le affermazioni di S. Paolo a proposito della Legge e della metanoia
operata da Cristo per mezzo della Sua carne6.
· In questo percorso in discesa, ci viene
detto che bisogna spogliarsi della propria personalità, tramite la
totale obbedienza ai catechisti su ogni aspetto della vita: il
Cammino conferirà nuova veste. Con ciò, sono esasperanti le
pressioni per rivendicare continuamente tale soggezione a laici che,
ribadendo la loro ispirazione divina, dettano il da farsi sin nei
più piccoli aspetti del quotidiano, anche ai sacerdoti
neocatecumenali, da essi richiamati all’obbedienza! Ogni decisione
inerente a interessi, lavoro e acquisti va comunicata, affinché
riceva approvazione dal loro discernimento. A me, in particolare,
che non verso in buone acque a livello occupazionale, era stato
promesso un lavoro, a condizione di dimostrare fedeltà al Cammino.
Tutto ciò ha presa sulle persone semplici, che attendono una Parola
di salvezza, alle quali viene insegnato e dimostrato che senza il
Cammino (non senza la Chiesa!) sarebbero persone sole e derelitte,
in balìa del mondo e del demonio. E alle spiegazioni che talvolta ho
il coraggio di chiedere, loro rispondono che bisogna chinare il
capo: «Non fare domande. Il dubbio sulle nostre scelte ti è
insinuato dal demonio». Non dovrei neppure “fare filosofia”,
perché la ragione umana è strumento di superbia di chi si crede
dottore: anche nella Chiesa questo male intellettualistico sarebbe
presente. Per quanto concerne la mia personale esperienza, a tal
proposito, posso ancora testimoniare che, compiuti gli studi
universitari in Scienze Politiche, ho intrapreso un percorso che mi
ha condotto al corso di dottorato di ricerca in Filosofia Politica,
collaborando all’ambiente di studio sorto dall’iniziativa del
compianto Prof. Augusto Del Noce. Ebbene, anche queste mie attività
hanno subìto condanna: non so per quale ragione ma, a detta dei
catechisti, la filosofia, cristiana o meno, potrebbe egualmente
portarmi sulla via dell’apostasia e della dannazione. A guidarmi,
invece, dovrebbero essere le sole parole di Kiko, il fondatore, il
cui carisma sarebbe stato in grado – secondo il racconto fornitoci
dal suddetto capo-catechista – di far recedere Sua Santità e la
Congregazione per il Culto Divino da propositi censòrii, durante un
faccia-a-faccia tenutosi nel dicembre del 2005. A tutto ciò,
ovviamente, si aggiunge il trionfalismo dei numeri, secondo loro
capaci di persuadere le più dure cervici della “burocrazia”
ecclesiastica, consentendo di cullare sogni espansionistici
esportando il metodo neocatecumenale ai melchiti come agli ortodossi
di Russia (viste le trattative riservate che sono in corso). A
questo, infine, si sommano la superiore qualità del clero kikiano
(ribadita in occasione delle penose cronache in materia di
pedofilia), l’abilità nel persuadere i vescovi con carenza di
parrocchiani e nel collocare i “fratelli” nei posti-chiave in quel
di S. Pietro, nonché i favorevoli frutti del Concilio Vaticano II
che, de-ellenizzando definitivamente la dottrina, avrebbe riportato
sulla rotta ebraica, consegnando il futuro del cristianesimo nelle
mani di questo sacerdozio laico, a riscatto dei secoli bui che
occupano il salto tra Giovanni XXIII e la Chiesa costantiniana
(espressioni usate da Kiko, Carmen e catechisti). Eppure, il mio
desiderio è essere cristiano, non idolatra del Cammino. Se sbaglio,
che Dio mi corregga, tuttavia reputo che idolo possa essere
qualsiasi cosa o persona, qualsiasi mezzo che si sostituisca al
fine, come insegnano le Scritture, insieme con S. Agostino (a
proposito dell’amor sui), Rosmini e altri ancora. Perché ogni
occasione adunativa, a Loreto lo scorso agosto, a S. Pietro nel 2006
come a Bonn nel 2005, deve essere vissuta mobilitando tutti, con il
dichiarato intento di fornire una dimostrazione di potenza (sic!)
alle “alte sfere ecclesiastiche”? Davvero si può credere di
estorcere questa o quella approvazione alla Chiesa ponendo, sul
piatto della bilancia, il proprio peso numerico? E mi domando a cosa
giovi l’autocelebrazione, ossia il vedere e rivedere, nelle
“convivenze”, le videocassette degli incontri con Kiko, col commento
audio che insiste sulla primazia del Cammino Neocatecumenale. Né
comprendo dove sia carità quando, in occasione del cosiddetto
“secondo scrutinio”, si organizza un processo in pubblica piazza.
Infatti, si è costretti, tra crisi di pianto, a confessare i propri
peccati sotto le domande incalzanti dell’equipe di catechisti:
indotto a confessare le più intime cadute, lo scrutinato è chiamato
rivelare a tutti quanto sia “schifoso” (sic!)7. Il tutto deve
corrispondere al dossier che catechisti e/o responsabili
conservano sul suo conto (purtroppo, ho avuto la possibilità di
scorgere fogli del genere). Gli altri fratelli, se, ascoltando,
reputano che la persona di turno stia mentendo o celando qualcosa,
sono tenuti a denunciare la non-conversione e la disobbedienza. In
più, al responsabile viene chiesto, sempre davanti a tutti, se il
fratello abbia mai mancato di versare il 10% del proprio guadagno
mensile e di partecipare alle raccolte per sostenere le spese dei
seminari “Redemptoris Mater” e della Domus Galilaeae. Nel caso in
cui il grado di fede del soggetto in questione venga “bocciato”,
costui viene retrocesso alla comunità inferiore, sino a successivo
riesame, ovvero estromesso definitivamente.
Se è vera l’affermazione per cui “al di fuori del Cammino
non v’è salvezza” (pronunciata sulla falsa riga dell’extra ecclesiam
nulla salus), non riesco a darmi ragione di come sia possibile
l’esistenza di sant’uomini che del Cammino non hanno mai fatto parte. Né
riesco a comprendere come si possano chiamare quanti entrino a far parte del
Cammino (sacerdoti compresi), “i convertiti”. Allora sono da revocare tutte
le canonizzazioni sinora decretate? A tali obiezioni non trovo risposta. Le
mie saranno anche “domande da pagano” (sic!), ma come posso
condividere il concetto per cui, se si sceglie di aderire ad altre realtà
ecclesiali, oppure se ci si reca alla Santa Messa domenicale, ci si dispone
sulla via della perdizione? Forse, la domenica, in parrocchia, si celebra un
sacramento “meno sacramento” di quello “notturno” dei neocatecumeni?
Inizialmente, credevo di aver compreso male, di aver equivocato il
significato di tali messaggi catechetici: mi sembrava assurdo. E invece,
quando ho avuto concreti riscontri da chi li pronunciava… sono caduto in
crisi, cercando conforto nelle parole di Paolo: «Vi esorto poi, fratelli,
a guardarvi dai fautori di discordia e intralci contro la dottrina che voi
avete imparato: evitateli! Gente come loro, infatti, non servono a Cristo
nostro Signore, ma alla loro cupidigia, e con parole carezzevoli e promesse
di benedizioni ingannano l’animo dei semplici»8. Ma non so, sono
attanagliato dal dubbio. Solo il Signore sa quante volte mi sono ritrovato a
chiedermi perché. Eppure, nel momento in cui lo faccio, mi rendo conto
dell’insufficiente fede che nutro nell’azione provvidenziale di Dio,
operante per mezzo della Sua Santa Chiesa. Per tutto questo, ardisco
confessare che per me sarebbe un dono di eccezionale importanza ottenere un
Suo consiglio di padre. Per me sarebbe un privilegio se potesse posare per
qualche istante la Sua preziosa attenzione sulla mia presente lettera:
immagino gli innumerevoli impegni da cui è oberata la Sua persona, e non
pretendo certo che si dia cura dell’ultima pecorella del gregge, ma chiedo
di ricevere la grazia di una – anche breve – risposta. Ringrazio
infinitamente per l’umanità e la comprensione con le quali avrà letto le mie
noiose parole.
Prego Sua Santità di benedirmi.
(Nome Cognome)
1 Ep. ad Rom. VII, 14-24.
2 Ibidem, VI, 15 ss.
3 «L’Eucaristica ci attira nell’atto ablativo di Gesù.
Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo
coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra
Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo
stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla
donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa
unione. La “mistica” del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di Dio
verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto
qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare […]
L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali
Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me […] La comunione
mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con
tutti i cristiani».
4 A questo proposito, devo ringraziare ancora lo Spirito
Santo per avermi preservato dall’errore, illuminandomi con il documento
datato 11/03/1985 e dedicato alla Inconciliabilità tra fede cristiana e
massoneria, con il quale la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito principi di
efficacia indubbiamente generale. Infatti, tra le altre cose, si afferma: «Innanzi
tutto si deve ricordare che la comunità dei “liberi muratori” e le sue
obbligazioni morali si presentano come un sistema progressivo di simboli dal
carattere estremamente impegnativo. La rigida disciplina dell’arcano che vi
domina rafforza ulteriormente il peso dell’interazione di segni e di
idee. Questo clima di segretezza comporta, oltre tutto, per gli iscritti il
rischio di divenire strumento di strategie ad essi ignote […] Per un
cristiano cattolico, tuttavia, non è possibile vivere la sua relazione con
Dio in una duplice modalità […] Egli non può coltivare relazioni di
due specie con Dio, né esprimere il suo rapporto con il Creatore attraverso
forme simboliche di due specie. Ciò sarebbe qualcosa di completamente
diverso da quella collaborazione, che per lui è ovvia, con tutti coloro che
sono impegnati nel compimento del bene, anche se a partire da principi
diversi. D’altronde un cristiano cattolico non può nello stesso tempo
partecipare alla piena comunione della fraternità cristiana e, d’altra
parte, guardare al suo fratello cristiano, a partire dalla prospettiva
massonica, come a un “profano” […] Questo stravolgimento nella
struttura fondamentale dell’atto di fede si compie, inoltre, per lo più, in
modo morbido e senza essere avvertito: la salda adesione alla verità di Dio,
rivelata nella Chiesa, diviene semplice appartenenza a un’istituzione,
considerata come una forma espressiva particolare […] Solo Gesù
Cristo è, infatti, il Maestro della Verità e solo in Lui i cristiani possono
trovare la luce e la forza per vivere secondo il disegno di Dio, lavorando
al vero bene dei loro fratelli».
5 «Se però nella mia vita tralascio completamente
l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei
“doveri religiosi”, allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora
questo rapporto è soltanto “corretto”, ma senza amore […] Amore di
Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento.
Entrambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amati per
primo. Così non si tratta più di un “comandamento” dall’esterno che ci
impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno,
un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri
[…] Mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che
supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla
fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor. 15, 28)».
(Cit. Deus caritas est § 18).
6 Ep. ad Efes.II,15.
7 Ciò, a dispetto di quanto viene formalmente dichiarato
nall’art. 28 §2 4° degli Statuti: «[le équipes di catechisti] durante gli
scrutini di passaggio da loro guidati devono mantenere il massimo rispetto
per gli aspetti morali della vita intima dei neocatecumeni che rientrano nel
foro interno della persona».
8 Ep. ad Rom. XVI, 17-18.
|
|
| |
| |