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Lettera già inviata al Santo Padre, che diventa lettera aperta...

Un nostro lettore ci invia la sua sofferta testimonianza, corredata di questa lettera, che rendiamo pubblica, su sua stessa richiesta, omettendo solo i riferimenti personali

......., 08 febbraio 2008

Santità,

desidero innanzitutto ringraziarLa per l’amore con cui sta provvedendo alla “sete spirituale” dei nostri tempi, illuminato dallo Spirito Santo nel ruolo di guida della Chiesa di Cristo, a cui io mi glorio di appartenere. Ed è proprio constatando l’amorevole cura pastorale che, finalmente, trovo il coraggio di interpellare il Suo discernimento a proposito di un problema che turba, nell’intimo, la mia esperienza di membro del Cammino Neocatecumenale. Sono realmente preoccupato, mi capita di versare lacrime, e non solamente perché coinvolto in prima persona. So che la suddetta realtà è al sapiente vaglio di Santa Madre Chiesa, ma so anche che una cosa è la lettera sottoposta all’attenzione delle Congregazioni per la Dottrina e per il Culto, altra lo “spirito”, il clima che si vive e l’effettiva dottrina che, in pratica, viene inculcata quotidianamente in un contesto chiuso alla compartecipazione del restante popolo di Dio. Il Suo magistero mi insegna che diversità è ricchezza, non divisione, in nome dei carismi che derivano dallo Spirito Santo e che fanno della Sposa di Cristo una sublime realtà, la quale accompagna l’uomo nel suo corso mondano.

Non cerco la perfezione nell’uomo: sarebbe cosa stolta. Come non concordare, infatti, con quanto affermato da S. Paolo a proposito della Legge e del peccato? Ma sono altrettanto consapevole che il Signore, illuminandoci tramite l’antropologia paolina, non vuole affatto fornirci il pretesto per commettere errori. Soprattutto, come ho avuto modo di ascoltare dalla Sua voce, l’impegno a non scandalizzare i fratelli è tanto maggiore, quanto grave è l’assunzione di responsabilità di chi, nelle parrocchie e nei movimenti, svolge un ufficio pastorale. So che il Cammino parla attraverso coloro che lo conducono, attraverso quanti, a loro dire, proferiscono verbo ex cathedra, dettando la linea e conferendo contenuto a quel che è insegnamento comune, rivolto a tutti i suoi appartenenti. Non intendo meschinamente denunciare gli abusi ideologici di qualche persona in particolare: sia per non commettere peccato, sia perché ritengo che quanto sto per scrivere non comporti la mia condanna nei confronti di uomini, ma riguardi l’impostazione neocatecumenale in quanto tale, insieme con formule, opinioni, frasari che il Signore mi ha dato modo di riscontrare in questi anni. Prima di scrivere, ho cercato lumi presso diversi sacerdoti. Alcuni di loro, già titubanti circa il Cammino, mi hanno suggerito il presente passo. Inoltre, i catechisti stessi, sospettando della mia condotta “ondivaga”, mi hanno diffidato dall’interpellare il vescovo della mia diocesi (di .....): a loro modo di vedere, ogni mia mossa sarebbe conosciuta, essendo anch’egli un sostenitore dei neocatecumenali, mercé le ingenti offerte che le comunità devolverebbero, con cadenza mensile, a favore del “suo clero”. Desidero ardentemente che tale mio scritto non venga ritenuto di marca delatoria, perché – prego di essere creduto – il mio intento è sincero, almeno quanto il tormento e la preoccupazione di figlio che, la domenica, confessa di credere in una Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica». Per questo, per quanto possibile, mi atterrò ai “fatti”, a ciò che ho direttamente vissuto, per non giudicare sul sentito dire, né animato dal risentimento: sine ira et studio.

  •  Un primo problema è il cruccio che mi provocano gli episodi in cui, con una certa trascuratezza, passando tra i banchi, vengono maneggiati il Corpo e il Sangue di Cristo i quali, spesso, caduti in terra, vengono raccolti in maniera estemporanea. Correlati a ciò, sono gli accadimenti che mi provocano turbamento, giacché, a volte, dubito di appartenere a un movimento cattolico, fedele e obbediente al Magistero della Chiesa. Mi riferisco, in particolare, all’interpretazione delle disposizioni della Congregazione per il Culto Divino, inviate con lettera prot. 2520/03/L del 01/12/2005 dal Cardinale Arinze. A oggi, infatti, restano disattesi: il punto 1 («Almeno una domenica al mese le comunità del Cammino Neocatecumenale devono perciò partecipare alla Santa Messa della comunità parrocchiale»); il punto 3, con relativo rinvio all’Istruzione Interdicasteriale Ecclesiae de mysterio art. 3 §§ 2 e 3, circa l’eccezionalità delle testimonianze dei fedeli durante la celebrazione eucaristica (le cosiddette “risonanze”): esse vengono incoraggiate e svolte indifferentemente, in ogni occasione e in numero superiore ai quattro-cinque interventi; il punto 6. Infine, in un proclama tenuto a tutte le comunità di Nettuno, Anzio e Cecchina (diverse centinaia di persone) dal catechista maggiore in carica, il punto 5 è stato descritto come una concessione che il Papa ha voluto fare a proposito della modalità di ricevere la Santa Comunione: Sua Santità avrebbe concesso, ad experimentum (sic!), la possibilità di rimanere seduti per ricevere le due specie, riservandosi di riesaminare la questione tra due anni: purtroppo, leggendo il testo della Congregazione, ho avuto modo di riscontrare il vero contenuto, nonché il termine perentorio fissato nel punto in questione: «… si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di transizione (non più di due anni) per passare […] al modo normale per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri liturgici per la distribuzione del Corpo e Sangue di Cristo». Il che ha notevole significanza, come illustrato da Sua Santità nell’enciclica Deus caritas est al § 13. E comunque, quel che mi ha sconcertato, è stata la chiosa del suddetto capo-catechista a proposito dell’intera lettera: «D’altronde, chi verrà mai controllarci. Infatti, celebriamo a porte chiuse e con nostri presbiteri». Nel frattempo, laici e sacerdoti neocatecumenali (a loro dire) impiegati presso Radio Vaticana (il cui S.I.C. ci si vanta di controllare) e Propaganda Fide spacciano notizie di corridoio come verità assolute, sostenendo di aver udito dalla Sua bocca l’intenzione di richiamare all’ordine le intemperanze del Cardinale Arinze, per poi disporre, il prossimo novembre, la revoca delle disposizioni in questione. Cosicché, al di fuori di ogni logica, la totalità dei fratelli dà per certe notizie ufficiose, imputando l’onere della prova (contraria) in capo a quanti rammentano i contenuti di un documento ufficiale!

  • E disattesi restano altresì gli Statuti. All’art. 10 § 3 è stabilito che: «La comunità neocatecumenale è affidata alla cura pastorale del Parroco e del presbitero da lui incaricato (cfr. art. 27). Inoltre la comunità indica, mediante votazione, un responsabile laico e alcuni corresponsabili, che vengono confermati dal parroco e dall’equipe di catechisti. Essi collaborano con il presbitero per assicurare che la comunità percorra l’itinerario del Cammino Neocatecumenale, secondo quanto stabilito nello Statuto e nel Direttorio, e per curare gli aspetti organizzativi». Ora, in diversi casi (comprese le vicende della mia comunità), nulla di tutto ciò accade: il parroco è totalmente tenuto all’oscuro di quanto dovrebbe pastoralmente guidare (cfr. art. 28 § 3) e, per giunta, la delicata carica di responsabile, chiamato a organizzare convivenze, a prelevare le dovute quote di danaro mensili (decime e altro) e a comunicare ai catechisti le attività (lavorative e non) intraprese da ciascun membro, è nominato d’imperio dai catechisti, senza la libera e spontanea elezione da parte dei fratelli. Questo accade specialmente in comunità che non devolvono sufficienti somme di denaro. Quanto alla possibilità di chiedere spiegazioni in merito, la risposta è stata: «Sono deroghe che non ti competono, le nostre decisioni sono ispirate dallo Spirito Santo, perciò le tue domande sono insidiose e provengono da Satana. Dovresti aver capito che gli Statuti sono stati fatti approvare per zittire i vescovi». Per giunta, conformemente a tali opinioni, i prelati che nutrono riserve sul Cammino sarebbero ingannati dal demonio: «Eppure, Yahweh misericordioso fa della loro debolezza nei confronti del denaro la nostra forza. E allora, partecipiamo tutti alle collette che, ogni tanto, devolveremo a parrocchie e diocesi. Così si ammorbidiranno e ci lasceranno fare le catechesi per i nuovi». Non posso accettare simili frasi, anche perché, paradossalmente, a rigor di logica, dovrebbe dirsi ingannata anche Sua Santità, visto che si è “permessa” di avallare determinate correzioni?

  • Non posso rimanere imperturbato se, durante certe omelie, i presbiteri del Cammino, con tono apodittico, decretano che tsunami e altri disastri sono procurati da Dio per punire chi pratica turismo sessuale e altri consimili abominii; che l’attacco di Israele sui civili libanesi – comprese le comunità cristiane di Beirut – si giustificano alla luce della forza concessa da Dio al popolo eletto, il quale dimostra, oggi come nella storia dell’Antico Testamento, di mobilitarsi in modo compatto; che i cristiani, analogamente, hanno dimostrato in passato di potere abbattere gli Stati, come l’Impero Romano: perciò i neocatecumeni devono prepararsi per il futuro. Insistendo, poi, sulla considerazione per cui gli Ebrei sono fratelli maggiori nella fede, i catechisti descrivono il Cammino come diramazione dell’Ebraismo. Il che si rende evidente nell’oggettistica ebraica nelle case (comprese le bandiere con la stella di Davide) e sull’altare (durante la consacrazione, a pochi centimetri dal pane, è d’obbligo utilizzare le nove luci della Cannukkiàh), nell’invito ad alzarci in piedi quando si canta lo Shemà e nell’interpretazione sionista del dialogo tra cattolici ed ebrei (questi ultimi definiti letteralmente, dai catechisti, “popolo superiore”), nei sentimenti anti-palestinesi e, infine, nelle critiche alle inique politiche vaticane e francescane in Terra Santa (specie in occasione della recente crisi libanese, durante la quale, a loro dire, Sua Santità avrebbe fatto meglio a “schierarsi” a favore dei legittimi attacchi israeliani) etc.

  • Mi spaventa il modo in cui viene ignorata la vocazione ecumenica della Chiesa. Avanzando riserve a proposito delle spaccature che certi atteggiamenti settari potrebbero provocare, ho ricevuto risposta dai catechisti: il problema esposto dalla lezione paolina (per esempio, nell’Epistola ai Corinti I, 10 ss.) non si pone. Infatti, non si tratterebbe di essere seguaci di Cefa, di Apollo o di Paolo, poiché il Cammino è l’unica realtà che ricapitola ogni carisma. Chi non accetta questo, offende Yahweh (sic!). E ancora: che il nostro parlare debba essere sì sì, no no, e che il superfluo proviene dal maligno, significa dire sì o no al Cammino, mentre qualsiasi altra opzione è un compromesso che annacqua il messaggio di salvezza. Mi si ripete continuamente, durante le cosiddette “convivenze”, che colui il quale abbandona il Cammino Neocatecumenale è destinato a perdere la fede, giacché la Messa domenicale sarebbe un insufficiente palliativo per i cristiani tiepidi, così come omelie pressappochiste dei parroci i quali, servi della dottrina sociale della Chiesa, imbonirebbero i cultori di una “religiosità naturale”: «La messa della domenica lasciatela ai cristiani della domenica, fatevelo dire da persone che, per anni, prima di essere illuminati dal Cammino, hanno errato nelle parrocchie non incontrando mai Yahweh». E ciò produce i suoi effetti, dato che mi capita di ascoltare, durante le risonanze, persone che ringraziano Dio di aver donato loro sacerdoti neocatecumenali, pentendosi di aver partecipato, talvolta, alla Messa domenicale, da cui non hanno ricevuto null’altro che una sensazione di vuoto interiore (sic!). E, in queste occasioni, mai s’è levato un presidente (ovviamente lusingato da tali paragoni) a correggere simili affermazioni. Già, perché, a loro dire, la vita parrocchiale sarebbe ormai agli sgoccioli, pronta a essere sostituita dalla novità del Cammino, per mezzo dei suoi sacerdoti, formati nei seminari “Redemptoris Mater”. Per questo, oggi, trasmettere la fede ai figli significherebbe fare in modo che essi, come i genitori (e così per via genealogica) aderiscano solo e soltanto al Cammino Neocatecumenale. L’obiettivo dichiaratamente perseguito sarebbe una sorta di autarchia: “figli del Cammino” che, formatisi nei suddetti seminari, assumano la guida di più parrocchie possibili, impiantandovi la realtà neocatecumenale e tentando di renderla esclusiva per tutti i parrocchiani. Purtroppo, qualche anno addietro, a ...., l’ex parroco ...., aderendo al Cammino aveva assunto – a detta degli altri parrocchiani – un atteggiamento talmente parziale e discriminatorio da suscitare spaccature e gelosie nel popolo, sino a disporre che i banchi fossero sistemati perpetuamente in modo circolare, pronti all’uso del Cammino, e a far costruire, al centro, un vasto battistero per le immersioni. Purtroppo, una simile chiusura si ripercuote anche nel considerare fratello e prossimo solo chi è neocatecumeno, poiché, con estenuanti giochi verbali e sinonimi, si insinua la perfetta riduzione della Chiesa al Cammino: chi non è neocatecumeno è “figlio del mondo”. Tale identificazione produce effetti, specie su chi, da sempre lontano dalla partecipazione alla vita sacramentale, inizia ad ascoltare le catechesi. D’accordo l’orgoglio identitario (puntualmente celebrato anche a margine degli incontri con i giovani), lo spirito di corpo, ma ciò che mi turba è quando un organo si distacca dal resto delle membra, rivendicando superiorità. Il che mi si rende evidente, addirittura, quando ascolto dai ragazzi slogan da stadio, altamente offensivi nei riguardi dell’Opus Dei, di Comunione e Liberazione e dei (a loro dire) “madonnari” di Lourdes e Medjugorie. Nella mia comunità, per evitare “contaminazioni”, fratelli che si sono parallelamente avvicinati al Rinnovamento dello Spirito sono state richiamate all’obbedienza, invitati a non comportarsi come “serpi in seno” e, con ciò, a sedersi agli ultimi banchi durante le celebrazioni eucaristiche. Quale pena provo, Padre! quale pena! Del resto, sono veementemente scoraggiati i matrimoni con chi non è neocatecumeno. L’imperativo di riferimento è la frase di S. Paolo: «Non unitevi al giogo diseguale dei pagani». Stessa cosa è capitata a me quando ebbi la sventurata idea di dichiarare il mio desiderio di abbracciare l’Ordine Francescano Secolare: in molti, a cominciare dai catechisti, mi negarono il saluto. Tuttavia, quel che mi ha procurato maggior sofferenza è stato l’abbandono della mia fidanzata, figlia di catechisti, costretta a lasciarmi perché avevo mostrato l’intenzione “pagana” (sic!) di abbandonare il Cammino. Ci amavamo, ma è stata convinta che, con me, le sarebbe stato impossibile formare una famiglia cristiana. Io, tra l’altro, ero colpevole di avere avanzato sommesse perplessità sul fatto che se ogni movimento (i catechisti rifiutano tale denominazione, poiché il Cammino incarnerebbe l’autentica conversione cristiana) funzionasse secondo un’obbligatoria appartenenza genealogica, ascrittiva, potrebbe insinuarsi il tarlo della frammentazione, a dispetto del carattere cattolico (:universale) della Chiesa di Roma. La ragazza, tra i tormenti, mi diede l’addio, edotta sul fatto che Dio la chiamasse a tale sacrificio come fece con Abramo, chiamato a sacrificare Isacco (salvo, poi, ravvedersi dinanzi il mio formale ripensamento). E ciò non è accaduto soltanto a me, ma anche ad altri ragazzi. Evidentemente, non basta il requisito dell’amore, insieme col bonum prolis, bonum fidei e bonum sacramenti. A nulla vale far presente che un matrimonio fondato su Cristo è edificato sulla roccia. Lo stesso Cristo che unisce («ut unum sint»), a differenza del diavolo, che divide (diaballein). Anzi, mi viene insegnato che il Cammino deve impegnare ogni aspetto della vita, perciò è d’uopo coltivare amicizie solo all’interno di esso, dato che solo lì v’è salvezza, avendo qualcosa in più rispetto a tutte le altre realtà del mondo cattolico. Infatti, la fede si acquisterebbe coi cosiddetti “passaggi”, trasmessa dai catechisti, secondo un percorso iniziatico, concepito in tappe i cui contenuti, rituali e simbologie non devono essere assolutamente svelati né agli “esterni” (che continuano a essere esclusi dalle celebrazioni a porte chiuse), né ai “fratelli inferiori”: perché tanta segretezza e oscurità se, in virtù dell’unico (!) battesimo, il cristiano diviene figlio della luce? La verità dovrebbe temere il sole, dovrebbe celarsi nelle tenebre4?

  • · Le opere sarebbero totalmente inutili: il Cammino non prevede uffici caritatevoli verso il prossimo, perché non si tratta di fare “beneficenza”, essendo la presenza dei fratelli uno strumento di mortificazione che non prevede risalita, bensì la discesa sino a comprendere la nostra natura meschina, per mezzo delle celebrazioni della Parola: tutto ex sola fide, soprattutto, ex sola scriptura. Immagini quali conflitti io possa vivere, leggendo le parole di Sua Santità sulla qualità edificante dell’amore al prossimo5. Desidererei sapere se può ritenersi corretta oppure gnosticheggiante l’idea per cui, se non si riscopre il Battesimo, tramite il percorso neocatecumenale, il sacramento rimane inoperante. Inoltre, posso non essere considerato cristiano se manco una “convivenza”, se non mi reco all’incontro ufficiale coi catechisti oppure se non chiedo loro udienza per esporre ogni mio problema? A questo punto, non so più come leggere le affermazioni di S. Paolo a proposito della Legge e della metanoia operata da Cristo per mezzo della Sua carne6.

    · In questo percorso in discesa, ci viene detto che bisogna spogliarsi della propria personalità, tramite la totale obbedienza ai catechisti su ogni aspetto della vita: il Cammino conferirà nuova veste. Con ciò, sono esasperanti le pressioni per rivendicare continuamente tale soggezione a laici che, ribadendo la loro ispirazione divina, dettano il da farsi sin nei più piccoli aspetti del quotidiano, anche ai sacerdoti neocatecumenali, da essi richiamati all’obbedienza! Ogni decisione inerente a interessi, lavoro e acquisti va comunicata, affinché riceva approvazione dal loro discernimento. A me, in particolare, che non verso in buone acque a livello occupazionale, era stato promesso un lavoro, a condizione di dimostrare fedeltà al Cammino. Tutto ciò ha presa sulle persone semplici, che attendono una Parola di salvezza, alle quali viene insegnato e dimostrato che senza il Cammino (non senza la Chiesa!) sarebbero persone sole e derelitte, in balìa del mondo e del demonio. E alle spiegazioni che talvolta ho il coraggio di chiedere, loro rispondono che bisogna chinare il capo: «Non fare domande. Il dubbio sulle nostre scelte ti è insinuato dal demonio». Non dovrei neppure “fare filosofia”, perché la ragione umana è strumento di superbia di chi si crede dottore: anche nella Chiesa questo male intellettualistico sarebbe presente. Per quanto concerne la mia personale esperienza, a tal proposito, posso ancora testimoniare che, compiuti gli studi universitari in Scienze Politiche, ho intrapreso un percorso che mi ha condotto al corso di dottorato di ricerca in Filosofia Politica, collaborando all’ambiente di studio sorto dall’iniziativa del compianto Prof. Augusto Del Noce. Ebbene, anche queste mie attività hanno subìto condanna: non so per quale ragione ma, a detta dei catechisti, la filosofia, cristiana o meno, potrebbe egualmente portarmi sulla via dell’apostasia e della dannazione. A guidarmi, invece, dovrebbero essere le sole parole di Kiko, il fondatore, il cui carisma sarebbe stato in grado – secondo il racconto fornitoci dal suddetto capo-catechista – di far recedere Sua Santità e la Congregazione per il Culto Divino da propositi censòrii, durante un faccia-a-faccia tenutosi nel dicembre del 2005. A tutto ciò, ovviamente, si aggiunge il trionfalismo dei numeri, secondo loro capaci di persuadere le più dure cervici della “burocrazia” ecclesiastica, consentendo di cullare sogni espansionistici esportando il metodo neocatecumenale ai melchiti come agli ortodossi di Russia (viste le trattative riservate che sono in corso). A questo, infine, si sommano la superiore qualità del clero kikiano (ribadita in occasione delle penose cronache in materia di pedofilia), l’abilità nel persuadere i vescovi con carenza di parrocchiani e nel collocare i “fratelli” nei posti-chiave in quel di S. Pietro, nonché i favorevoli frutti del Concilio Vaticano II che, de-ellenizzando definitivamente la dottrina, avrebbe riportato sulla rotta ebraica, consegnando il futuro del cristianesimo nelle mani di questo sacerdozio laico, a riscatto dei secoli bui che occupano il salto tra Giovanni XXIII e la Chiesa costantiniana (espressioni usate da Kiko, Carmen e catechisti). Eppure, il mio desiderio è essere cristiano, non idolatra del Cammino. Se sbaglio, che Dio mi corregga, tuttavia reputo che idolo possa essere qualsiasi cosa o persona, qualsiasi mezzo che si sostituisca al fine, come insegnano le Scritture, insieme con S. Agostino (a proposito dell’amor sui), Rosmini e altri ancora. Perché ogni occasione adunativa, a Loreto lo scorso agosto, a S. Pietro nel 2006 come a Bonn nel 2005, deve essere vissuta mobilitando tutti, con il dichiarato intento di fornire una dimostrazione di potenza (sic!) alle “alte sfere ecclesiastiche”? Davvero si può credere di estorcere questa o quella approvazione alla Chiesa ponendo, sul piatto della bilancia, il proprio peso numerico? E mi domando a cosa giovi l’autocelebrazione, ossia il vedere e rivedere, nelle “convivenze”, le videocassette degli incontri con Kiko, col commento audio che insiste sulla primazia del Cammino Neocatecumenale. Né comprendo dove sia carità quando, in occasione del cosiddetto “secondo scrutinio”, si organizza un processo in pubblica piazza. Infatti, si è costretti, tra crisi di pianto, a confessare i propri peccati sotto le domande incalzanti dell’equipe di catechisti: indotto a confessare le più intime cadute, lo scrutinato è chiamato rivelare a tutti quanto sia “schifoso” (sic!)7. Il tutto deve corrispondere al dossier che catechisti e/o responsabili conservano sul suo conto (purtroppo, ho avuto la possibilità di scorgere fogli del genere). Gli altri fratelli, se, ascoltando, reputano che la persona di turno stia mentendo o celando qualcosa, sono tenuti a denunciare la non-conversione e la disobbedienza. In più, al responsabile viene chiesto, sempre davanti a tutti, se il fratello abbia mai mancato di versare il 10% del proprio guadagno mensile e di partecipare alle raccolte per sostenere le spese dei seminari “Redemptoris Mater” e della Domus Galilaeae. Nel caso in cui il grado di fede del soggetto in questione venga “bocciato”, costui viene retrocesso alla comunità inferiore, sino a successivo riesame, ovvero estromesso definitivamente.

    Se è vera l’affermazione per cui “al di fuori del Cammino non v’è salvezza” (pronunciata sulla falsa riga dell’extra ecclesiam nulla salus), non riesco a darmi ragione di come sia possibile l’esistenza di sant’uomini che del Cammino non hanno mai fatto parte. Né riesco a comprendere come si possano chiamare quanti entrino a far parte del Cammino (sacerdoti compresi), “i convertiti”. Allora sono da revocare tutte le canonizzazioni sinora decretate? A tali obiezioni non trovo risposta. Le mie saranno anche “domande da pagano” (sic!), ma come posso condividere il concetto per cui, se si sceglie di aderire ad altre realtà ecclesiali, oppure se ci si reca alla Santa Messa domenicale, ci si dispone sulla via della perdizione? Forse, la domenica, in parrocchia, si celebra un sacramento “meno sacramento” di quello “notturno” dei neocatecumeni? Inizialmente, credevo di aver compreso male, di aver equivocato il significato di tali messaggi catechetici: mi sembrava assurdo. E invece, quando ho avuto concreti riscontri da chi li pronunciava… sono caduto in crisi, cercando conforto nelle parole di Paolo: «Vi esorto poi, fratelli, a guardarvi dai fautori di discordia e intralci contro la dottrina che voi avete imparato: evitateli! Gente come loro, infatti, non servono a Cristo nostro Signore, ma alla loro cupidigia, e con parole carezzevoli e promesse di benedizioni ingannano l’animo dei semplici»8. Ma non so, sono attanagliato dal dubbio. Solo il Signore sa quante volte mi sono ritrovato a chiedermi perché. Eppure, nel momento in cui lo faccio, mi rendo conto dell’insufficiente fede che nutro nell’azione provvidenziale di Dio, operante per mezzo della Sua Santa Chiesa. Per tutto questo, ardisco confessare che per me sarebbe un dono di eccezionale importanza ottenere un Suo consiglio di padre. Per me sarebbe un privilegio se potesse posare per qualche istante la Sua preziosa attenzione sulla mia presente lettera: immagino gli innumerevoli impegni da cui è oberata la Sua persona, e non pretendo certo che si dia cura dell’ultima pecorella del gregge, ma chiedo di ricevere la grazia di una – anche breve – risposta. Ringrazio infinitamente per l’umanità e la comprensione con le quali avrà letto le mie noiose parole.

    Prego Sua Santità di benedirmi.

    (Nome Cognome)

    1 Ep. ad Rom. VII, 14-24.

    2 Ibidem, VI, 15 ss.

    3 «L’Eucaristica ci attira nell’atto ablativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La “mistica” del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare […] L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me […] La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani».

    4 A questo proposito, devo ringraziare ancora lo Spirito Santo per avermi preservato dall’errore, illuminandomi con il documento datato 11/03/1985 e dedicato alla Inconciliabilità tra fede cristiana e massoneria, con il quale la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito principi di efficacia indubbiamente generale. Infatti, tra le altre cose, si afferma: «Innanzi tutto si deve ricordare che la comunità dei “liberi muratori” e le sue obbligazioni morali si presentano come un sistema progressivo di simboli dal carattere estremamente impegnativo. La rigida disciplina dell’arcano che vi domina rafforza ulteriormente il peso dell’interazione di segni e di idee. Questo clima di segretezza comporta, oltre tutto, per gli iscritti il rischio di divenire strumento di strategie ad essi ignote […] Per un cristiano cattolico, tuttavia, non è possibile vivere la sua relazione con Dio in una duplice modalità […] Egli non può coltivare relazioni di due specie con Dio, né esprimere il suo rapporto con il Creatore attraverso forme simboliche di due specie. Ciò sarebbe qualcosa di completamente diverso da quella collaborazione, che per lui è ovvia, con tutti coloro che sono impegnati nel compimento del bene, anche se a partire da principi diversi. D’altronde un cristiano cattolico non può nello stesso tempo partecipare alla piena comunione della fraternità cristiana e, d’altra parte, guardare al suo fratello cristiano, a partire dalla prospettiva massonica, come a un “profano” […] Questo stravolgimento nella struttura fondamentale dell’atto di fede si compie, inoltre, per lo più, in modo morbido e senza essere avvertito: la salda adesione alla verità di Dio, rivelata nella Chiesa, diviene semplice appartenenza a un’istituzione, considerata come una forma espressiva particolare […] Solo Gesù Cristo è, infatti, il Maestro della Verità e solo in Lui i cristiani possono trovare la luce e la forza per vivere secondo il disegno di Dio, lavorando al vero bene dei loro fratelli».

    5 «Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei “doveri religiosi”, allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto “corretto”, ma senza amore […] Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un “comandamento” dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri […] Mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor. 15, 28)». (Cit. Deus caritas est § 18).

    6 Ep. ad Efes.II,15.

    7 Ciò, a dispetto di quanto viene formalmente dichiarato nall’art. 28 §2 4° degli Statuti: «[le équipes di catechisti] durante gli scrutini di passaggio da loro guidati devono mantenere il massimo rispetto per gli aspetti morali della vita intima dei neocatecumeni che rientrano nel foro interno della persona».

    8 Ep. ad Rom. XVI, 17-18.

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