«Quei Nobel per la
medicina che giocano ad essere Dio»
Gianfranco Amato, su L'Occidentale 6 ottobre
2009
Chi sono i genetisti premiati?
È proprio l'oggetto della scoperta a
stimolare i sospetti della gente comune che ama chiedersi dei perché. Si
tratta di ricerche sulle funzioni delle strutture che proteggono le
estremità dei cromosomi, i cosiddetti telomeri, e sull’enzima che li
costituisce, ovvero la telomerasi. Se consideriamo che i telomeri sono
la difesa più significativa contro i danni che i cromosomi possono
subire nella fase di divisione cellulare e costituiscono, quindi, la
protezione più importante contro la degradazione e l'invecchiamento,
possiamo intuirne le implicazioni. La Scienza starebbe finalmente
sconfiggendo l’odiosa vecchiaia e forse, chissà, anche la stessa morte...
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Anche per il 2009 il governo svedese
ha assegnato il Nobel per la medicina.
Si divideranno il premio di dieci milioni di corone svedesi (circa
980.000 euro) gli scienziati statunitensi d’adozione Elizabeth H.
Blackburn, Carol W. Greider e Jack W. Szostak.
Per la prima volta nella storia dell’ambito riconoscimento, due donne
hanno avuto l’onore di essere premiate. Non è, però, questa circostanza
– seppure di un certo rilievo – a destare l’interesse dell’opinione
pubblica non erudita sul Nobel di quest’anno.
In realtà, è proprio l’oggetto della scoperta premiata a stimolare la
curiosità della common people, normalmente poco avvezza ai vetrini dei
microscopi. Sì perché il Nobel questa volta è stato conferito ai tre
accademici per le loro ricerche sulle funzioni delle strutture che
proteggono le estremità dei cromosomi, i cosiddetti telomeri, e
sull’enzima che li costituisce, ovvero la telomerasi. Detta così la
scoperta non desta molto appeal. La cosa si fa, invece, più interessante
quando al profano viene spiegato che i telomeri sono la difesa più
significativa contro i danni che i cromosomi possono subire nella fase
di divisione cellulare e costituiscono, quindi, la protezione più
importante contro la degradazione e l'invecchiamento. Da qui il tripudio
collettivo. La Scienza sta finalmente sconfiggendo l’odiosa vecchiaia e
forse, chissà, anche la stessa morte.
L’eccitazione è però destinata presto a smorzarsi. Dal coro degli
scienziati entusiasti, infatti, si leva qualche voce stonata dettata da
maggiore prudenza e realismo. Il professor Roberto Bernabei, geriatra al
policlinico Gemelli ed ex Presidente della Società italiana di
Gerontologia e Geriatria, ad esempio, si mostra assai cauto: «Sono
scoperte indubbiamente interessanti, ma l'applicazione pratica è
straordinariamente lontana».
Per ora, coloro che sono affetti dalla sindrome di Dorian Gray ed i
fanatici della anti-aging medicine devono rinviare le speranze.
In attesa di verificare quali reali vantaggi la nuova scoperta possa
davvero portare nel campo terapeutico, soprattutto per quanto riguarda
il campo oncologico, si può riflettere sull’opportunità che la scienza
interferisca nei processi biologici, playing God.
Gli studiosi premiati sul punto hanno le idee molto chiare.
Elizabeth Blackburn è un’accanita sostenitrice della ricerca sulle
cellule staminali embrionali, convinta che da essa possa ricavarsi una
moderna lapis philosophorum capace di donare vita eterna ed immortalità.
Un approccio ideologico che ricorda più l’ermetismo alchemico che la
prospettiva razionale di una moderna mente scientifica. Nel 2004, del
resto, la Blackburn fu allontanata dal Council on Bioethics, il comitato
scientifico sulla bioetica degli Stati Uniti. Indispettita per quel
provvedimento, la scienziata non esitò a firmare un editoriale di fuoco
sul New England Journal of Medicine in cui sosteneva chiaramente di
essere stata licenziata dal comitato scientifico solo perché le proprie
idee contrastavano con la linea anti-staminali embrionali dell’allora
presidente americano George W. Bush.
Il collega scopritore Jack Szostak è, invece, uno sfegatato darwiniano
ossessionato dall’idea di riprodurre in laboratorio la cellula
primordiale per dimostrare l’assurdità della teoria dell’intelligent
design. Le sue ultime ricerche, infatti, sono essenzialmente focalizzate
sul tentativo di creare un sistema vivente sintetico in grado di
evolversi in senso darwiniano. Il Prof. Szostak non gioca ad essere Dio,
pensa semplicemente di esserlo.
Resta da capire che senso abbia tentare di creare una vita
biologicamente perfetta, arrestarne l’invecchiamento o addirittura
sconfiggere la morte, proiettando l’esistenza umana in una dimensione di
immortalità, se poi a questa esistenza non si riesce a dare un
significato.
È curioso il timore, diffuso a tutti i
livelli della società, di diventare vecchi e l’irrefrenabile desiderio
di prolungare il più possibile la vita, senza soffermarsi a riflettere
se poi esista davvero un motivo per cui valga la pena viverla. Ed è
curioso vedere la girandola degli enormi interessi economici, medici,
scientifici, politici che ruota attorno al sogno di sconfiggere
l’invecchiamento.
Quanto siano ambiziose le speranze in questo settore lo ha evidenziato
Leonard Hayflick, geriatra della University of California in una sua
celebre metafora: «Quando un’auto esce dal concessionario inizia ad
invecchiare, perdendo la sua integrità. La ripariamo, ma a un certo
punto diventerà inservibile perché i guasti saranno troppi: proprio come
accade all’uomo. Poiché nessuno è stato finora capace di fermare il
declino di un oggetto semplice come l’auto, pensare di riuscirci con
l’uomo appare tuttora come un’utopia». Forse qualche Premio Nobel, prima
o poi, riuscirà nell’impresa, realizzando quell’antica utopia. Ma ne
varrà davvero la pena?
Copyright © - L'Occidentale 6 ottobre 2009
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