Vive nella sua eredità,
non l'abbiamo seppellito
Andrea Riccardi, su
"Avvenire" dell'11 aprile 2005
Giovanni
Paolo II è stato sepolto. La sua personalità però continua a giganteggiare,
tanto che appare obiettivamente difficile chiudere in fretta il suo tempo. Un
altro verrà, evidentemente verrà, e assumerà il suo ruolo. Arduo però –
diciamolo francamente – che possa prendere il suo posto negli occhi del mondo.
Eppure, passati appena i momenti più dolorosi e di intensa partecipazione alla
sua malattia e alla sua morte, si deve rimeditare la sua eredità. Che è una
grande eredità, ma non tale da allontanare i tanti. Non a caso infatti, in
questi ultimi giorni vi si sono riconosciuti moltissimi, più di quanti
pensavamo. La folla attorno alle sue spoglie ha impressionato. Il numero di
leader e delegazioni presenti non ha paragoni con le modeste rappresentanze
diplomatiche che accompagnarono i funerali dei papi di una parte notevole del
Novecento.
L’eredità più vera di Papa Wojtyla tuttavia non è politica. Il suo
testamento rivela innanzitutto la tempra spirituale dell’uomo: «Ognuno deve
tener presente la prospettiva della morte. E deve esser pronto a presentarsi
davanti al Signore e al Giudice – e contemporaneamente Redentore e Padre».
Nei primi tempi del pontificato, così rispondeva a chi lo interrogava circa il
suo orientamento: «La linea del Papa? Questa linea è la fede». E il primato
della fede è tutt’altro che scontato, pur se troppo facilmente lo si
considera un’ovvietà.
A tale primato si connette la sua pastoralità. Chi lo ha conosciuto come
vescovo – si pensi alla Chiesa di Roma – ha avuto la percezione chiara di
trovarsi dinanzi a un uomo che prendeva sul serio la vita e la fede della sua
gente. È stato un pastore che ha incontrato milioni di uomini e donne, li ha
ascoltati, si è interessato a loro. È stato sul serio sacerdote e testimone
del Vangelo: fin nel profondo della sua umanità.
Karol Wojtyla è stato un vescovo del Vaticano II, anche se la sua nomina è
avvenuta nel 1958. Nelle note testamentarie datate 2000 scrive parole che fanno
pensare: «Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo
per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale con l’intera Chiesa –
e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore». Ma non è solo
un tributo al passato: «Sono convinto – aggiunge – che ancora a lungo sarà
dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del
XX secolo ci ha elargito».
Nel testamento non si danno indicazioni per il futuro. E in questo si legge un
rispetto estremo per la Chiesa e il suo successore. Solamente ha scritto, però,
sempre a proposito del Concilio: «Desidero affidare questo grande patrimonio a
tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo». D’altra
parte, era stato – come lui stesso afferma – la «grandissima causa» del
suo pontificato. Che potrebbe anzi leggersi come un’interpretazione creativa
del Concilio. Per lui il Vaticano II era, a un tempo, porta sul nuovo millennio
e ponte con la grande Tradizione. Il Papa è rimasto fedele alle stesse regole
decretate da Paolo VI, anche se ha riempito il servizio pontificale di uno
spirito personale e nuovo. Il che mostra come, nella Chiesa, il vissuto, la
spiritualità, il tratto umano possano operare una profonda innovazione.
Tanti hanno sentito questo Papa vicino. I piccoli, i poveri, i malati, i feriti
della vita hanno amato con intensità la sua figura. Nonostante i problemi che
la via ecumenica ha incontrato negli ultimi anni, i suoi funerali hanno
registrato una folta e silenziosa partecipazione di personalità cristiane (tra
cui il patriarca ecumenico, l’arcivescovo di Atene, la rappresentanza
dell’ortodossia russa, con cui esistono questioni aperte).
Giovanni
Paolo II è stato così salutato come un grande servitore dell’unità
cristiana e leader primo del cristianesimo. Anche questo è suo lascito. Perciò
la sua eredità non può andare dispersa nelle emozioni che passano, ma andrà
recepita in profondità. È un’eredità – come disse il cardinale Montini
quando Giovanni XXIII ci lasciò – che «la morte non può soffocare e una
tomba non può contenere». Solo la Chiesa può accoglierla nel suo seno.
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